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INDICE
CAPITOLO I
LE ORIGINI DELLA LIBERTA’ ECONOMICA NEGLI STATI UNITI ... 4
1. Gli ideali della Costituzione americana: la Dichiarazione di indipendenza e la Convenzione di Philadelphia... 4 2. La libertà economica: epicentro delle libertà fondamentali. ... 9 3. Gli strumenti a tutela della Costituzione liberale: il «due process of law» e la «state action». ... 11 3.1 La Corte Suprema e la judical review. ………19 3.2 Segue. Il federalismo duale………22 4. L’«interstate commerce law» e il federalismo cooperativo. 26 4.1 I limiti all’intervento dello Stato federale. Il Child Labor Act del 1916. ...30 5 L’avanzata del capitalismo e lo Sherman Act del 1890 come embrione dell’interventismo statale. ... 31 5.1 Il ruolo della giurisprudenza nell’ambito degli accordi tra imprese e l’introduzione della «rule of reason». ...35 6 Il mercato nell’era progressista: l’intervento federale nell’economia fino al New Deal. ... 37
CAPITOLO II
LA LIBERTA’ DI INIZIATIVA ECONOMICA NEL QUADRO COSTITUZIONALE ITALIANO ... 42
1 L’abbandono delle Costituzioni liberali e la Costituzione di Weimar come premessa all’interventismo statale. ... 42 1.1 La libertà di iniziativa economica: potere riconosciuto o libertà originaria?………45 2 La Costituzione economica secondo l’Assemblea costituente. Considerazioni iniziali. ... 50 2.1 L’origine dell’art. 41 Cost.: tra liberali e interventisti. ...54 3 I limiti dell’iniziativa economica: l’intervento delle istituzioni secondo il modello keynesiano. ... 57 3.1 La prefigurazione di un’economia sociale. ...62
2 3.2 L’art. 43 della Costituzione e il suo anacronismo rispetto alle normative europee. ...66 4 L’esigenza di tutela sociale alla base dell’ambiguità dell’art. 41 Cost……… ... 70 4.1 La copertura costituzionale ai poteri di intervento statale. ...73 5 Potere pubblico contro potere privato: un conflitto solo apparente. ... 75 5.1 L’impresa e la pubblica amministrazione: il superamento del «paradigma bipolare». ...79 5.2 Il Terzo settore: l’avvicinamento dell’attività economica privata alla funzione sociale. ...83 6 Tentativi di riforma dell’art. 41 Cost. e la recessività della Costituzione... 87
CAPITOLO III
L’INTERVENTISMO AMERICANO DAL NEW DEAL A TRUMP ... 91
1 Le prime istanze unitarie contro il laissez-faire e il ruolo della Corte Suprema. ... 91 2 Il New Deal: la svolta dell’interventismo americano. ... 93 2.1 L’incontro tra F.D. Roosvelt e J. Keynes. ………...…….97 3 Il federalismo cooperativo: dalla layer cake alla marble cake. ……… ...100 3.1 L’attuazione del federalismo cooperativo: i «conditional grants in aid». ...104 4 La rivoluzione ideologica del New Deal e i successivi assetti del federalismo americano. ... 108 4.1 Da Bush a Obama: nuove istanze centripete? ……….113 5 L’interventismo di Trump nell’era della globalizzazione: ritorno al protezionismo? ... 116
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CAPITOLO IV
LA LIBERTA’ D’IMPRESA TRA NORMATIVE NAZIONALI E COMUNITARIE ... 122
1 Breve excursus del rapporto Stato italiano-economia. Considerazioni introduttive. ... 122 2 L’avvento del mercato unico europeo e la sua influenza sul diritto pubblico nell’economia. ... 125 2.1 L’iniziativa economica privata nella dimensione della concorrenza europea. ...131 2.2 Segue. La disciplina della concorrenza in Italia. ……….135 3 Costituzione economica europea e Costituzione economica italiana a confronto. ... 137 4 La normativa degli «aiuti di stato». ... 140 4.1 La definizione di «aiuto di stato» e le deroghe all’art. 87 TCE………142
Conclusioni ... 149 BIBLIOGRAFIA ... 155
4 CAPITOLO I
LE ORIGINI DELLA LIBERTA’ ECONOMICA NEGLI STATI UNITI
1.1 Gli ideali della Costituzione americana: la Dichiarazione di indipendenza e la Convenzione di Philadelphia.
Se consideriamo la storia costituzionale americana, è facile intuire come, nonostante alcuni caratteri comuni ad altri ordinamenti costituzionali (vedi ad es. la divisione dei poteri), alcune caratteristiche ne fanno un unicum nel suo genere.
In particolare, due sono gli aspetti che contraddistinguono fin dall’origine l’ordinamento americano e dai quali è senz’altro dipeso l’approccio dello Stato nell’economia.
Il primo aspetto riguarda l’idea dell’individuo come essere indipendente dotato di libertà che gli appartengono ab origine e che quindi sono concepite come diritti naturali1 e prepositivi e il cui esercizio è giovevole al benessere comune: essi concernono qualsiasi rapporto, da quello con le autorità (si pensi alla libertà da processi penali privi di garanzie procedurali) a quello di ordine economico (quali, ad es., la proprietà privata, la libertà di commercio e di industria), avendo questi ultimi particolare rilievo
1 T. Hobbes, Leviatano, Editori Laterza, Roma-Bari 2011, p. 105: «il diritto di
natura, che gli scrittori chiamano comunemente jus naturale, è la libertà che ciascuno ha di usare il proprio potere a suo arbitrio per la conservazione della sua natura, cioè della sua vita e conseguentemente di fare qualsiasi cosa che, secondo il suo giudizio e la sua ragione, egli concepisca come il mezzo più idoneo a questo fine». V. anche G. FASSO’, L’età moderna, in Storia della filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino, 1968, p. 141 ss.
5 per la produzione e la distribuzione della ricchezza all’interno del mercato. Ne conseguono: una società civile autonoma - purchè intesa come insieme di soggetti ciascuno titolare delle medesime libertà - e il mero riconoscimento della stessa da parte dello Stato. L’altro importante aspetto concerne, per l’appunto, la struttura dello Stato-apparato che deve funzionare in via strumentale alla tutela dell’individuo; da ciò discende l’applicazione del principio della separazione dei poteri con il quale viene domato il rischio di un potere sovrano assoluto e della violazione delle libertà fondamentali2.
L’individualismo dell’idea liberale trova conferma nel rilievo che le ex colonie britanniche diedero alla Dichiarazione di Indipendenza del 17763 la cui giustificazione non venne letta solo
2 P. RIDOLA, Preistoria, origini e vicende del costituzionalismo, in Diritto
pubblico comparato, P. Carrozza, A. Di Giovine, G. F. Ferrari (a cura di),
Roma, Laterza, 2009, p. 33 ss; sulle costituzioni degli Stati del Nord America v. anche G. MORBIDELLI, Diritto Pubblico Comparato, G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Reposo e M. Volpi (a cura di), Torino, Giappichelli, 2012, p. 41 ss.
3 C. Martinelli, I fondamenti costituzionali del conservatorismo inglese e
statunitense: la praticabilità di una comparazione eloquente, in Osservatorio costituzionale, fasc. 1, 2016, p. 13: «il 4 luglio 1776 viene scritta una pagina di straordinaria importanza per il costituzionalismo moderno, sia per il valore intrinseco della Dichiarazione, sia perché questo documento, pur prodotto nei territori delle colonie, si distacca non poco dai dettami del costituzionalismo inglese. Se quest’ultimo è tutto concentrato su se stesso, sulla propria storia, sui conflitti per l’affermazione concreta, pragmatica e negoziale dei diritti, il costituzionalismo che si inaugura con la Dichiarazione di indipendenza è invece tendenzialmente universalista, giusnaturalista, umanitario, popolare. Vi è la proclamazione astratta di un’uguaglianza tra gli uomini e del loro essere dotati di diritti inalienabili come la vita, la libertà e il perseguimento della felicità».
L’indipendenza definitiva sarà riconosciuta nel 1783 con il Trattato di Parigi che chiude la guerra d’indipendenza americana di cui la Dichiarazione del 1776 è un momento epico. Si veda anche V. Barsotti, La tradizione giuridica
6 in chiave di violazione di regole imperiali – che in quel caso erano di carattere tributario - a cui i coloni si opposero4, ma affondò le proprie radici nell’invocazione di quei diritti naturali che spettano a un popolo e che nessuno può calpestare5 tra i quali proprio quello del necessario consenso ai tributi da parte dei tassati (“no taxation without representation”6).
Il desiderio dell’indipendenza e il principio di autoregolamentazione risultano evidenti dalla successiva redazione da parte delle singole ex colonie di una propria Costituzione votata da un’Assemblea popolare e che andava a
occidentale. Testo e materiali per un confronto civil law e common law,
Torino, Giappichelli, 2014, p. 315.
4 Naturalmente esisteva una fazione profondamente devota alla Corona
costituita dai cd. lealisti, i quali furono costretti a emigrare in Canada e le cui terre vennero confiscate spianando la strada a sentimenti egualitari. Ciò sottolinea la rilevanza sociale, oltre che economica, della Dichiarazione di indipendenza americana che ha gettato le basi della democrazia politica, arricchendosi da lì a poco degli effetti della ben nota Rivoluzione francese. In tal senso, M. OLIVIERI, Bentham, Lind, and the debate on the Declaration of
Independence of the United States, in Pensiero politico, vol. 39, 2006, pp.
36-48; A. DONNO, The United States and the Universal Declaration of Human
Rights, in Clio, vol. 36, 2000, pp. 59-78.
5 Si ricorda che l’opposizione dei coloni - e la conseguente separazione dalla
Gran Bretagna - fu dovuta all’imposizione di tributi agli stessi e di regole riguardanti il commercio fra le Colonie e il resto del mondo. Gli americani si schierarono contro questa legislazione asserendo che il Parlamento non sarebbe stato competente ad emanarla, dal momento che essi avrebbero dovuto avere il diritto di esprimersi tramite una propria Assemblea rappresentativa (ciò deriva dalla loro idea di Commonwealth, ossia una confederazione di entità politiche indipendenti accomunate dalla stessa soggezione alla Corona).
6 Cfr. J.P. Greene, The Constitutional Origins of the American Revolution,
Cambridge, Cambridge University Press, 2011, p. 67 secondo il quale il dibattito sul potere di tassare ha costituito, infatti, in ragione dei «Parliament’s
efforts to impose taxes on the colonies in the mid-1760s [...] the first intensive and systematic exploration of this problem on either side of the Atlantic».
7 sostituire lo Statuto regio per qualità imposto dall’alto, lasciando evincere la carica di un futuro popolo sovrano.
Fu soprattutto per tutelare i diritti della proprietà privata, dell’iniziativa economica e della libertà e sicurezza dei commerci che i più oculati politici americani decisero di convocare nel 1787 una Convenzione a Philadelphia nell’ottica di un più forte mercato nazionale. Infatti, non di rado i singoli Stati avevano legiferato a favore di gruppi sociali profondamente indebitatisi, violando la certezza dei traffici commerciali intra e interstatali.
Fin da subito, dunque, si sentì l’esigenza di associarsi per portare avanti un sistema economico fondato sul grande ideale liberale, che talvolta era stato intaccato da leggi che incidevano sui diritti e principi fondamentali per il destino di una futura nazione solida e compatta7.
Fu nel Congresso tenutosi a Philadelphia che questa spinta, si potrebbe dire quasi-sentimentalista, si concretizzò nella formazione di uno Stato federale che prese il posto della Confederazione precedente8: nacque, così, la Costituzione
7 W. F. MURPHY, La Costituzione statunitense nel suo significato odierno, Il
Mulino, 1988, pp. 57-104.
8 Gli articoli della Confederazione esistente costituirono la prima Costituzione
degli Stati Uniti che restò in vigore solo otto anni. L’art. II chiariva: «Ogni Stato conserva la sua sovranità, libertà ed Indipendenza, e ogni potere di giurisdizione e diritto non espressamente delegato da questo patto confederale agli Stati Uniti riuniti in Congresso». D’altra parte il Congresso aveva poteri sulla politica estera e militare, seppur in via meramente formale. A rig. L. Levi,
8 federale del 1787-17889 che mise in luce gli interessi della classe dei proprietari e dei commercianti e la loro adesione al modello dell’economia liberale.
Naturalmente la ratifica della Costituzione non fu semplice, dal momento che non mancarono di opporsi i cd. antifederalisti, per i quali si dovette scendere a una serie di compromessi, primo fra tutti quello riguardante il depotenziamento del Federal government il quale mostrò una prima ingerenza sulla sfera di autonomia commerciale degli stati membri solo successivamente, attraverso l’uso della «interstate commerce clause»10.
9 Le Costituzioni che i singoli stati sembri si erano dati, seppur permeate di
giusti valori, non erano sufficienti a contrastare gli atti delle autorità che incidevano sulle libertà fondamentali e le conseguenti illegalità popolari contro le autorità stesse. Il prossimo collasso delle istituzioni unito al serio pericolo di un irrealizzabile mercato comune tra gli stati, portò alla creazione della citata Costituzione federale. In tal senso, G. Bognetti, La costituzione liberale, in Lo
spirito del costituzionalismo americano, t. I, Giappichelli, Torino, 1998, p. 28.
10 Di fatti, come si evince da G. Bognetti, op. cit., p. 200 ss, tale clausola venne
usata da Marshall e Story per limitare il potere degli Stati membri contro il libero flusso delle attività economiche tra i confini degli stessi, stabilendo il divieto di normative impeditive e con esso quello di dazi e imposte limitative del medesimo. Si trattò di una vera e propria scoperta di un potere di intervento, allora dovuto all’esigenza di dare una disciplina nazionale uniforme al sistema ferroviario che dall’Atlantico al Pacifico attraversava i confini di tutti gli stati assicurando una fitta rete di scambi commerciali.
9 1.2 La libertà economica: epicentro delle libertà
fondamentali.
Al fine di realizzare l’ideale della società civile autonoma occorreva assicurare le libertà fondamentali dell’individuo di cui la Costituzione liberale era portavoce11, da quelle relative alla vita privata a quelle di carattere culturale ed economico.
Furono proprio quelle che ruotavano attorno alle attività economiche ad entrare ben presto sotto l’ala protettiva della Corte Suprema, conscia della loro suscettibilità a essere per natura comprimibili o estendibili. Che siano state alla base dello scontro fra le ex colonie e la madrepatria è un dato di fatto, ma l’importanza che assunsero in qualità di libertà imprenditoriale o industriale è sicuramente noto oggi viaggiando a ritroso.
Certamente è agile constatare come il motto no taxation without representation di carattere socio-economico abbia fatto da principale catalizzatore della Rivoluzione americana, prima ancora di interessare il dibattito interno sui rapporti Stato-Federazione, così divenendo sintesi di un’impostazione repubblicana (vedi il principio di rappresentanza e di sovranità popolare) e di premesse liberali della Rivoluzione.
Le rivendicazioni in materia fiscale avrebbero consentito di trovare nella taxation la leva ideale per la difesa di una certa
11 K. MICHAEL, La libertà personale e il costituzionalismo statunitense, in
10 concezione della liberty e della property contro l’intervento di un potere statale eccessivamente invadente12.
La giurisprudenza dell’epoca sembrava avere un trattamento di favore per le libertà nel campo dell’economia come se la libertà dell’uomo e, dunque, della società civile fosse legata soprattutto alla sua facoltà di produzione e distribuzione della ricchezza. Di fatto, la stessa Costituzione federale, come anticipato, nasce dall’esigenza di assicurare un mercato unico nazionale e nella sua versione matura attribuisce importanza alle istituzioni in quanto strumentali a garantire il funzionamento dello stesso.
Qualsiasi cambiamento dell’apparato statale sarà legato a motivi di natura economica che porteranno al passaggio dal «federalismo duale» a scarso potere federale al «federalismo
12 F. SAITTO, No taxation without representation: il dibattito sul potere di
tassare alle origini dell’esperienza costituzionale statunitense e la sua eredità,
in Dir. pubb., fasc. 2, 2013, p. 641 ss; cfr. anche A. TESTI, La formazione
degli Stati Uniti, il Mulino, Bologna 2003, 61-62 secondo il quale bisogna
distinguere tra il potere di fare le leggi e il potere di tassare: «Nella monarchia
costituzionale inglese il potere di imporre tasse era così centrale e fondante da essere distinto da quello di legiferare. Fare leggi era un atto del potere sovrano e cioè della corona […], il prodotto di un processo di costruzione del consenso fra le diverse istituzioni politico-sociali, il monarca, l’aristocrazia, la rappresentanza del popolo. Ma le tasse erano un’altra cosa. […] Solo i Comuni potevano introdurre ed emendare disegni di legge di carattere fiscale, perché solo i rappresentanti del popolo potevano trasferire porzioni di proprietà dei loro rappresentati al sovrano, sotto forma di prelievo impositivo. Fare altrimenti voleva dire violare i diritti e i privilegi degli inglesi, procedere ad atti illegittimi di confisca della proprietà privata, ad atti di tirannide». I
coloni non contestavano l’appartenenza alla Corona e, anzi, essendo portatori della mentalità inglese, pretendevano un trattamento analogo a quello dei concittadini britannici.
11 cooperativo» e dopo il New Deal nuovamente al duale, ma a potere accentrato13.
L’iniziativa economica appare come un valore da proteggere a tutti i costi, epicentro di altri diritti satelliti, e la Corte Suprema ne diventa garante limitando i poteri dei singoli stati membri e quelli dello stato federale.
1.3 Gli strumenti a tutela della Costituzione liberale: il «due
process of law» e la «state action».
La Costituzione liberale redatta nel 1788 viene integrata dal cd. Bill of Rights nel 179114 fino a giungere a totale completamento attraverso l’affrancamento dal Common Law
13 L’apertura degli Stati Uniti a un contesto internazionale richiese
necessariamente un accentramento compatto dei poteri capace di far fronte a conflitti di un’economia in progressiva espansione, forte dell’esperienza precedente di decentramento dei poteri che portò alla guerra di secessione. Fu questo stesso motivo che, ad esempio, spinse il Canada a optare per un governo federale forte come si evince in G. D’IGNAZIO, L’influenza del modello
statunitense, in Amministrare, fasc. 1-2, 2002, p. 9.
14 Essendo la Costituzione poco esaustiva rispetto ai diritti fondamentali,
vennero proposti 10 emendamenti che andarono a integrarne il testo - costituendo il Bill of Rights - e che nel tempo si estesero a 27 (di cui l’ultimo approvato nel 1992). A rig. E. M. Fernando, The Bill of Rights, Quezon City, Central Lawbook, 1970, p. 23 ss; R. J. Morgan, James Madison on the constitution and the Bill of Rights, New York, Greenwood, 1988, p. 54 ss; secondo V. Barsotti, La tradizione giuridica occidentale. Testo e materiali per
un confronto civil law e common law, op. cit., p. 317: «gli articoli originari, insieme ai Bill of Rights, rappresentano il testo del più antico documento costituzionale oggi in vigore, che si pone come una costituzione rigida, modificabile solo attraverso emendamenti richiedenti un complesso procedimento di formazione in cui intervengono anche gli stati membri».
12 originario avvenuto con l’abbattimento dell’ultimo ostacolo al liberalismo: la schiavitù15.
In particolare, il Bill of Rights era nato dal confronto immediato con il sistema costituzionale più vicino da cui gli americani presero inevitabilmente spunto, cioè quello inglese. La convinzione che la libertà del popolo non potesse essere assicurata senza una Carta dei diritti divenne l’argomento principe degli antifederalisti i quali ritenevano necessario imporre dei limiti al potere del Governo federale16.
L’inibizione dell’azione federale apparve fin dalle origini una prerogativa essenziale e trovò sfocio perfino nell’ambito giurisprudenziale ove la Corte Suprema agì a totale difesa dei diritti fondamentali introducendo per la prima volta un sistema di
15 Sulla guerra di secessione americana, v. C. Galli, Manuale di storia del
pensiero politico, Bologna, Il Mulino, p. 399 ss. Tra i compromessi che i Padri
fondatori dovettero accettare ai fini dell’Unione uno concerneva il mantenimento della schiavitù nei Paesi del Sud. Tuttavia, il capitalismo industriale del Nord non tardò a ravvisare nel territorio del Sud un potenziale sbocco per i propri prodotti e portò inevitabilmente alla guerra civile (1861-1865). L’eliminazione della schiavitù, seppur recante un forte accento sociale e di dignità umana, scaturiva ancora una volta da un motivo economico, nonché dalla differenza tra l’economia del Nord e l’economia del Sud, oltre che da divergenze relative ai valori civili e culturali. Per una lettura approfondita della questione si rinvia a C. Lawrence, A Union indivisible:
secession and the politic of slavery in the border South, in Civil War History,
vol. 64, 2018, p. 388 ss.
16 I federalisti, dal canto loro, non si preoccupavano al riguardo sottolineando
il decentramento del potere e l’improbabilità di una violazione delle libertà fondamentali da parte del Governo centrale. Tuttavia, come è noto, cedettero alla pretesa di una carta dei diritti, pur di raggiungere l’Unione. A rig. R. Gori-Montanelli, Il federalismo e la Corte Suprema degli Stati Uniti, Firenze, European Press Academic, 2006; C. Bologna, Stato federale e national
interest, Bononia University Press, 2010, p. 58: «la presenza di un Bill of Rights accanto a quelli statali non farebbe che assicurare ai diritti stessi una double security, una doppia garanzia».
13 bilanciamento dei valori costituzionali attraverso cui valutare la validità delle leggi statali: si tratta della «due process of law clause».
L’impiego della clausola avvenne non solo nei confronti del Federal government, ma anche dei singoli stati rispetto ai quali fino ad allora - e soprattutto ai tempi del giudice Marshall – era utilizzata la «contract clause», ossia la clausola dell’intangibilità dei contratti. L’eclissi di tale clausola fu dovuta proprio all’introduzione della due process of law clause con la quale si perseguirono risultati analoghi ma non proprio identici, richiedendo per la validità delle leggi incidenti quantomeno il carattere della “ragionevolezza”17.
La Corte ritiene che la clausola in questione tuteli «vita, libertà, proprietà» e, malgrado non parlasse all’epoca di diritti fondamentali, di fatto l’uso che ne fece condusse a una enucleazione degli stessi e a riconoscere la legittimità del provvedimento autoritativo dello stato centrale solo quando quest’ultimo fosse coerente con la natura del diritto in questione; d’altro canto, gli stati membri che usavano il cd. police power con cui regolavano o reprimevano situazioni soggettive per pubblica
17 Infatti, nonostante l’intangibilità dei contratti, gli stati avevano iniziato a
varare leggi incidenti sui diritti patrimoniali: ad es. nonostante non potessero modificare d’autorità gli statuti degli enti cui avevano riconosciuto personalità giuridica, avendo questi carattere contrattuale e quindi non intaccabile, di fatto ciò accadde. In tal senso, G. Bognetti, La costituzione liberale, op. cit., p. 129.
14 sicurezza, benessere comune e altri scopi sociali non potevano emanare leggi che fuoriuscissero dai confini di tale potere, pena la loro incostituzionalità.
La vis espansiva della clausola e la sua potenziale genericità abbracciava qualsiasi diritto e bloccava altrettanti tentativi di violazione come previsto dal V e dal XIV Emendamento rispettivamente rivolti allo stato centrale e ai singoli stati membri18. La garanzia che ne derivava era di tipo sostanziale e comprendeva anche gli aspetti procedurali (si parla al riguardo di «procedural due process»), scontrandosi, tuttavia, con l’idea del liberalismo classico e per ciò subordinata a due limiti specifici. In primo luogo, essendo la clausola una copertura per i soli rights, non poteva essere utilizzata per i cd. privileges ossia quelle che nell’epoca liberale venivano considerate «public largesse» o benevole elargizioni da parte dello Stato. Di fatto, l’avanzata dello Stato sociale aveva prodotto una serie di vantaggi
18 In particolare, il XIV Emendamento, approvato nel 1868, rende opponibile
agli stati membri il Bill of Rights – prima valido solo per il governo federale - ponendo sotto l’ala protettiva della Corte Suprema i diritti e le libertà fondamentali contro le eventuali violazioni da parte degli stessi. Fino ad allora, infatti, ciascuno stato poteva imporre perfino una religione ufficiale, cosa che era stata vietata già al Congresso in origine dal primo emendamento della Costituzione: «Congress shall make no law respecting an establishment of
religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the government for a redress of grievances». Coerentemente il XIV
emendamento recita: «Nessuno Stato farà o metterà in esecuzione una
qualsiasi legge che limiti i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti; né potrà qualsiasi Stato privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge; né negare a qualsiasi persona sotto la sua giurisdizione l'eguale protezione delle leggi».
15 a favore della collettività, vantaggi che però, secondo la Corte, non davano vita a vera «property» e a situazioni giuridiche catalogabili come rights, lasciando così privi di tutela i diritti sociali19.
Il secondo limite della clausola è rappresentato dalla sua inopponibilità ai privati che, come tali, sono privi di un potere di comando che obblighi a una data condotta senza il loro espresso consenso; dunque, l’esercizio dei diritti essendo totalmente libero non è soggetto di per sé a determinati standards costituzionali che invece è giusto pretendere dalle autorità pubbliche.
L’azione dei privati è esclusa anche dall’applicazione della «equal protection clause» (XIV Emendamento) che corrisponde al principio di uguaglianza che ciascuno stato deve garantire, incluso quello federale (V Emendamento). Tale clausola era complementare alla due process, ma aveva un valore sussidiario entrando in gioco quando le situazioni discriminatorie non fossero attaccabili con la prima.
I due principi vengono utilizzati dalla Corte Suprema in maniera diversa: nell’epoca liberale, infatti, l’idea imperante di una società civile autonoma costringe a un uso incisivo nei confronti della «state action» e non dei privati i quali, per
19 Come si evince in G. Oestreich, Storia dei diritti umani e delle libertà
fondamentali, Roma, Editori Laterza, 2001, p. 63 ss., solo più tardi essi saranno
ricondotti alla categoria dei diritti costituzionalmente garantiti ma all’epoca la mentalità prettamente liberale non faceva spazio che ai diritti civili. Ne consegue che la giurisprudenza americana di quel periodo ricomprendeva nei
16 converso, successivamente i privati risulteranno destinatari di sanzioni quando la state action apparirà indispensabile alla garanzia di taluni diritti fondamentali20.
Quanto ai diritti patrimoniali, la Costituzione federale stabilisce che nessuna property possa essere «tolta» o «presa» (taken) al suo titolare se non per uso pubblico e verso corresponsione di un giusto compenso. Questo è ciò che dispone anche il V Emendamento (cd. «taking clause») che la giurisprudenza estese ben presto anche al XIV Emendamento, nonché all’azione degli stati membri. L’espropriazione deve perseguire il benessere della collettività e un esempio lapalissiano dell’epoca deriva da quella operata a favore delle compagnie ferroviarie private al fine di garantire il medesimo servizio a tutto il pubblico21.
20 infine, bisogna ricordare che l’intensità della protezione dei diritti è
effettivamente diversa a seconda che in gioco ci sia l’azione restrittiva dello stato federale o quella degli stati membri. In tal senso, G. Bognetti, op. cit., p. 138: «riguardo allo stato federale i vincoli per esso della due process clause
[…] possono considerarsi in un certo senso complementari ad altri che posseggono maggiori specificità» e che discendono dal Bill of Rights, limitando i poteri dello stato in relazione alle libertà culturali, di domicilio, di proprietà privata e così via. Gli stati membri, invece sono legati da varie norme
del testo originario della Costituzione, «ma quanto alla maggioranza dei
classici diritti della persona l’unica garanzia adoperabile è quella del due process del XIV Emendamento (accompagnata dalla equal protection clause)».
21 Ciò affonda le sue ragione nella deroga prevista al principio della libertà
imprenditoriale. in particolare, lo stato (membro o federale) poteva intervenire per prevenire la dannosità dell’attività o quando intendesse aumentarne l’utilità. Per la stessa ragione o quando in linea generale l’attività fosse «affected with a public interest»: al di fuori di tali casi la legge non poteva sovrapporsi al mercato (decidendo, ad es., di aumentare arbitrariamente i prezzi).
17 Le libertà economiche rappresentano il vero cuore della giurisprudenza dell’epoca liberale in fatto di tutela dei diritti della persona e ciò appare ancora più evidente con la sentenza Allgeyer in cui la Corte Suprema opera una enunciazione completa di tali libertà che, insieme ai diritti di property, essa ritiene protette dalla due process clause del XIV Emendamento. Esse rientrano nel «diritto del cittadino di far uso di tutte le sue facoltà in ogni modo legittimo» per “vivere e lavorare dove egli vuole; guadagnarsi la vita attraverso la professione e il commercio (trade) di sua scelta, acquistare o cedere proprietà e concludere liberamente tutti i contratti opportuni per l’esecuzione proficua di tali scelte e connesse attività”22.
Tutte le libertà economiche menzionate e le figure di property potevano essere sottoposte a un intervento limitativo - dello stato membro o del federal government – ma solo se la Corte Suprema ne constatava la ragionevolezza secondo i principi superiori di giustizia.
Si richiama un ulteriore caso, Lawton vs Steel, 152 U.S 133 (1894), in
supreme.justia.com ove la Corte si era espressa dichiarando la pericolosità di
attività ittiche verso specie in estinzione che, dunque, erano da preservare.
22 G. Bognetti, op. ult. cit., p. 140: «tali libertà spettano non solo all’individuo
singolo, ma anche agli individui associati, alle società, e in particolare a quelle di capitali dotate dotate di personalità giuridica (le corportions)». Con
riguardo a quest’ultime gli stati imponevano requisiti diversi per l’acquisto della personalità giuridica: da qui la tendenza delle corporations di nascere e farsi riconoscere sotto un regime più favorevole potendo in un momento successivo estendersi su tutto il territorio dell’Unione, essendo un mercato unico nazionale.
18 In sintesi, la due process clause e la taking clause appaiono le principali garanzie dei diritti fondamentali e soprattutto della libertà di iniziativa economica e della proprietà. Nel periodo liberale la Corte Suprema si fa paladina dell’autonomia individuale, cercando in tutti i modi di garantire il suo pieno esercizio sia di fronte allo stato federale che di fronte a ciascuno stato membro.
Si ricorda, a tal proposito, la sentenza Lochner v. New York23 che riguardò l’orario di lavoro e la violazione del XIV Emendamento della Costituzione e si concluse con l’emanazione di una dichiarazione di incostituzionalità della legge dello Stato di New York che stabiliva il tetto massimo di ore lavorative settimanali perché contrastate con il principio del giusto processo e con la libertà contrattuale delle parti.
Tale sentenza si fonda su una delle controversie giurisprudenziali più importanti per l’affermazione delle libertà economiche e individuali, tanto che finirà col segnare un cambiamento di rotta nell’interpretazione dell’intervento dello Stato nell’economia.
23 F. SAITTO, Dalla Gilded Age al New Deal: diritti e federalismo nella
19 1.3.1 La Corte Suprema e la judical review.
La storia del costituzionalismo americano è densa di avvenimenti che lo hanno reso progressivamente pieno di significato mettendo in luce come l’origine di alcuni istituti sia legata all’esperienza inglese, segno di un reale rispetto verso la madrepatria tanto da mutuarne alcuni istituti che sono risultati fondamentali per l’evoluzione dell’idea liberale statunitense.
L’imposizione dall’alto della Corona inglese di uno Statuto prevedeva un controllo di legittimità statutaria delle leggi emanate dalle Assemblee delle singole colonie e condusse all’inevitabile e speculare introduzione nel nuovo ordinamento americano della «judical review», ossia di un controllo di legittimità costituzionale delle leggi. Di judical review non si fa cenno espressamente nella Costituzione, né si individua l’ambito in cui la Corte può esercitarla e i suoi effetti vincolanti, ma dalla lettura del Federalista24 si deduce che i Padri Fondatori ne abbiano presupposto l’esistenza, seppur genericamente.
C’è chi sostiene che il fondamento possa ravvisarsi nella «supremacy clause» dell’art. VI, ma ad ogni modo preme sottolineare che si tratta di un potere già esistente presso le Corti
24 A. HAMILTON, J. MADISON e J. JAY, Il Federalista, Il Mulino, 1998 ove
si legge, infatti, che il potere giudiziario è il meno pericoloso dei poteri e ha il compito di far rispettare le leggi anche da parte del governo e tra le leggi principalmente la Costituzione.
20 statali prima dell’Indipendenza e dell’adozione della Costituzione25.
Si tratta di un ulteriore strumento posto a tutela di eventuali violazioni perpetrate attraverso atti governativi o leggi dello stato e il cui esercizio è attribuito naturalmente alla Corte Suprema federale e alle Corti Supreme dei singoli stati.
In origine Madison, uno dei principali autori della Costituzione, considerava il sistema federale elaborato così equilibrato da escludere qualsiasi contrasto tra leggi e Costituzione, ma il caso volle che la prima ipotesi che si prospettò lo riguardò personalmente26.
In quel periodo egli era funzionario della nuova amministrazione Jefferson (antifederalista) e si rifiutò di portare a
25 Le leggi coloniali potevano essere applicate solo se non contrastavano con
le leggi dell’Impero e il giudizio era affidato al Privy Council, ossia il Consiglio privato di sua Maestà. Al riguardo, M. Cappelletti, Il controllo giudiziario di costituzionalità delle leggi nel diritto comparato, Giuffrè, 1984, p. 44 ss.
26 Marbury v. Madison, 5 U.S. 137 (1803), in Amministrare, Rivista
quadrimestrale dell'Istituto per la Scienza dell'Amministrazione pubblica,
1/2010, pp. 7-32: Marbury era stato nominato giudice di pace in un distretto federale, ma non potendo svolgere le proprie funzioni senza aver ricevuto il decreto di nomina chiese a Madison, segretario di Stato del nuovo presidente, di inviargli tale decreto. Tuttavia, Madison si rifiutò considerando la sua nomina di tipo politico, avvenuta come ultimo atto di amministrazione e ricompensa per i servizi resi al vecchio Presidente. Marbury ricorse, dunque, alla Corte Suprema alla quale chiese un writ of mandamus e di obbligare
Madison al rilascio di tale atto come prevedeva la legge ordinaria (il Judiciary Act del 1789) contrariamente alla Costituzione che qualificava la stessa Corte
come organo di ultima istanza e non competente a emanare quel tipo di ordine. Ne derivò un giudizio di incostituzionalità della legge ordinaria e di conseguenza l’attribuzione del controllo di costituzionalità alla Corte Suprema.
21 termine l’atto di nomina a giudice di pace di Marbury inducendo quest’ultimo a ricorrere alla Corte Suprema affinché obbligasse Madison a notificargli la nomina. Infatti, sulla base del Judiciary Act del 1789 si attribuiva alla Corte il potere di «emettere “writs of mandamus” nelle ipotesi previste dai principi e dalla prassi giudiziaria a favore di ogni corte o di ogni persona che esercita un potere per autorità degli Stati Uniti» contrariamente a ciò che la Costituzione prevedeva27.
La Corte presieduta da Marshall (appartenente allo stesso partito di Marbury) era ancora un organo piuttosto debole che si trovava di fronte a due alternative: accogliere la richiesta del ricorrente rischiando di schierarsi con l’opposizione oppure rigettarla ma apparire acquiescente al volere del governo federale.
Alla fine, grazie all’acutezza di ragionamento del giudice Marshall si riconosce un contrasto tra la legge ordinaria e la Costituzione affermando che «o la Costituzione è superiore ad ogni atto legislativo non conforme ad essa, o il potere legislativo può modificare la Costituzione con una legge ordinaria28».
27 L’art. III della Costituzione elenca, infatti, tassativamente i casi in cui la
Corte può esprimersi definendo il primo grado e il grado di impugnazione. In tal modo, si escludeva il ricorso sulla base di quanto previsto dal Judiciary Act.
28 Il giudice Marshall prosegue affermando che «o la Costituzione è una legge
superiore non modificabile con mezzi ordinari, ovvero è simile agli atti legislativi ordinari e, come tale, sempre modificabile dal potere legislativo».
Cfr. V. Varano e V. Barsotti, La tradizione giuridica occidentale, vol. I, Giappichelli, 2018, p. 326.
22 In questo modo, e rigettando il ricorso del compagno di partito, Marshall crea il nuovo principio sulla base del quale il controllo di costituzionalità è corollario dell’obbligo del giudice di decidere un caso: si afferma, così, il modello diffuso di costituzionalità per cui il giudizio di una controversia è subordinato al giudizio di legittimità costituzionale di una legge. Non solo la Corte Suprema federale potè disapplicare nelle sentenze le leggi del Congresso, ma pretese ulteriormente di interpretare la Costituzione federale in modo vincolante per le Corti inferiori e anche per le varie Corti Supreme degli stati membri, nonché per il Legislativo e l’Esecutivo.
La judical review apre le porte al governo dei giudici e, come si vedrà in seguito, ciò risulterà determinante per la mobilità del sistema del federalismo duale, altro mezzo posto indirettamente a presidio delle libertà individuali.
1.3.2 Segue. Il federalismo duale.
Il diritto al lavoro, il diritto di produrre e quello di arricchirsi rappresentano per gli americani i supremi interessi tra quelli costituzionalmente previsti e i Padri Fondatori ebbero
23 l’acutezza e la lungimiranza di creare una struttura statale che fosse funzionale alla loro salvaguardia.
Il federalismo americano dell’epoca liberale era caratterizzato da una evidente limitazione della state action: lo stato federale era inibito, come anticipato, dalla due process clause e dalla taking clause29, mentre gli stati membri dal principio di libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali30.
La Corte Suprema aveva vietato allo stato federale di ingerirsi in materie di competenza esclusiva degli stati membri31 e il tentativo di intervenire nell’economia tramite l’imposizione tributaria venne presto riconfinato.
Il riparto delle materie avveniva secondo un modello duale con maggiore raggio d’azione per gli stati membri e in rari casi
29 Per la prima metà dell’Ottocento la Corte Taney decise che il Bill of Rights
dovesse essere preso come riferimento solo per l’azione del governo centrale e non dunque per lesioni dei diritti individuali da parte dei singoli Stati. Si tratta di una interpretazione restrittiva che sarebbe stata modificata decenni dopo. A rig. O. Bergamini, Breve storia del federalismo americano, Marcos y Marcos, 1996, p. 88.
30 Secondo Marshall e Story gli stati non potevano interferire né con dazi né
con imposte impeditive del libero commercio, spettando queste al potere del Congresso.
31 Di fatti, l’interpretazione che la Corte aveva dato della clausola di esecuzione
del XIV Emendamento negava al Congresso qualsiasi discrezione nel campo del diritto civile e del diritto penale attribuiti in via esclusiva agli stati membri. In tal senso, O. Bergamini, op. cit., p. 81, in cui si precisa che oltre che su tali materie, nel primo trentennio dell’Ottocento gli stati si occupavano del grosso della politica, nonché della legislazione economica e della gestione del lavoro, mantenendo un controllo anche sul processo elettorale, sull’educazione e sui governi locali.
24 poteva ravvisarsi una cooperazione con lo stato centrale32, il cui potere di guida, tuttavia, divenne prevalente con l’affermazione dell’interventismo a fini sociali ed economici nel ventesimo secolo.
Il federalismo duale mira a definire con precisione i il campo operativo del governo generale e quello degli stati. In particolare, la Corte riconobbe in capo a questi ultimi poteri in materia di ordine pubblico interno (il cd. police power), ma soprattutto relativamente allo sviluppo economico attraverso la concessione di licenze, emissione di banconote, legislazione bancaria33.
Il freno posto allo stato centrale rispondeva ai criteri di un’economia liberale e dal punto di vista della divisione orizzontale dei poteri poneva al centro il Legislativo; al contrario, man mano, quando si profilerà un maggiore interesse statale verso l’economia (il che accadrà soprattutto verso la fine dell’Ottocento), l’Esecutivo inizierà ad assumere un ruolo preminente. D’altronde, c’era già nell’idea dei Padri fondatori la
32 O. Bergamini, op. ult. cit., p. 87: «secondo la classica definizione di Edward
Corwin il “dual federalism” comporta quattro postulati: 1) il governo nazionale ha soltanto poteri enumerati, 2) le sue competenze costituzionali sono poche, 3) nelle rispettive sfere di competenza governo nazionale e governi statali sono pienamente sovrani e quindi di pari dignità ed autorità, 4) la relazione tra i due livelli è di competizione e di tensione più che di collaborazione».
33 Su questa linea si consentì l’istituzione di banche di proprietà statale o
interamente controllate da amministrazioni statali. A rig. O. Bergamini, op.
25 creazione di un sistema che girasse attorno al Congresso che doveva costituire il fulcro dei meccanismi federali. Inoltre, il Presidente veniva sottoposto a elezione popolare con la conseguenza che tra la Guerra Civile e il New Deal, quando iniziò ad allargare la sua presenza nel sistema, il suo ruolo aumentò34.
Il ruolo estremamente circoscritto dell’azione federale in questo periodo era sicuramente legato alla filosofia dominante del laissez-faire35 di cui, però, si fece allo stesso tempo garante (si pensi all’interstate commerce clause con cui colpiva le normative statali impeditive del libero flusso commerciale tra gli stati).
Il federal governement di questo periodo rappresenta uno stato minimo non interventista che tutt’al più si pone a presidio della libera circolazione di merci, persone e capitali. A tal proposito, famosa è la decisione Gibbon vs. Ogden del 1824 con la quale la Corte Suprema diede una interpretazione estensiva del commerce power federale, riconoscendo la possibilità di
34 Dal 1901, anno in cui fu eletto Roseevelt, la figura del Presidente porta
definitivamente al centro l’Esecutivo. Tuttavia, almeno fino alla fine dell’Ottocento il Congresso rimase l’unico vero protagonista della politica giungendo a togliere al Presidente perfino il potere di licenziare i ministri senza il suo consenso. Si dovette aspettare lo Sherman Act per dare l’impressione di una presenza federale nell’economia, già percepibile nell’ambito del commercio interstatale con l’Interstate commerce Act del 1887. Per un inquadramento storico del periodo v. A. Testi, Il secolo degli Stati Uniti, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 15 ss.
35 P. TESAURO, Lezioni di diritto pubblico americano, C. DECARO, E.
26 disciplinare tutte le relazioni intercorrenti tra più di uno stato e in più di “governare” il commercio interstatale36.
L’America di questo periodo era molto favorevole al free trade interno, ma non altrettanto nei rapporti internazionali adottando una politica improntata sul protezionismo (motivo per cui lo Stato federale agisce contrastando legislazioni ostruzionistiche dell’economia).
Ad ogni modo, la politica estera e ciò che concerne trattati, regolamento del commercio con altre nazioni, difesa ecc. era attribuita allo Stato centrale e ciò conferiva agli Stati Uniti l’immagine di uno stato unitario dotato di un governo nazionale capace di intrattenere rapporti con le altre nazioni.
1.4 L’«interstate commerce law» e il federalismo cooperativo. Prima dell’istituzione della Federal Commerce Commission (1887) l’«interstate commerce law» era stata applicata dallo Stato federale nei confronti degli stati membri e delle rispettive leggi impeditive del flusso commerciale interstatale37. Fondamento costituzionale è la terza clausola
36 F. FRANKFURTER, The commerce clause under Marshall, Taney and
Waite, University of North Carolina Press, Chapel Hill, 1937, p. 46 ss.
27 dell’VIII sezione dell’art. I della Costituzione statunitense, in base a cui il Congresso ha l’attribuzione di «disciplinare il commercio con le Nazioni straniere, fra i diversi stati dell’Unione e con le tribù indiane». Essa rappresentava uno stretto canale di ingerenza nella vita interna dei singoli stati e il suo uso era giustificato dalla tutela della libertà di commercio nel mercato unico nazionale38; per questo motivo, ad esempio, venne dichiarato incostituzionale un provvedimento statale che imponeva il pagamento di un pedaggio per il trasporto di persone da altro stato membro.
A tal proposito, si ricorda che dopo il 1835 gli stati membri – che fino ad allora legiferavano esclusivamente in materia di commercio intrastatale - divennero destinatari di alcuni poteri relativamente a transazioni, negozi, beni e servizi interessanti il commercio interstatale. La Corte Suprema precisò l’esistenza di aspetti che richiedevano per loro natura un trattamento uniforme su tutto il territorio federale e che per tale ragione non tolleravano interferenze statali; altri aspetti, tuttavia, poiché mischiati con attività locali, potevano essere regolati attraverso il police power dei singoli stati determinando una sorta di competenza
38 Effettivamente la Convenzione di Philadelphia era stata approvata
nell’intento di garantire il libero mercato, affrancandolo dalle politiche protezionistiche degli stati. Per tale ragione nessuno dubitò di dotare il Congresso del potere di regolamentare il commercio tra gli stati. In tal senso, v. E. Corwin, The commerce power versus states rights, Princeton University Press, 1962, p. 68.
28 concorrente con lo Stato federale – e conducendo ad eventi quale quello su citato.
La commerce clause assume due accezioni: una positiva e una negativa. La prima consiste nell’interstate commerce power, ossia il potere della federazione di disciplinare il commercio tra gli stati; la seconda consiste nella dormant commerce clause la cui funzione è quella di limitare le legislazioni statali anche quando la federazione non avesse legiferato lasciando, appunto, il proprio potere dormant o dormiente39.
Se per tutta l’epoca liberale l’interstate commerce law era utilizzata per tutelare il libero commercio secondo le modalità appena descritte, a fine secolo la situazione mutò. Il Congresso si accorse di poter sfruttare la forte potenzialità insita nella clausola e ne invocò l’esercizio – giustificando in tal modo il suo primo intervento incisivo nell’economia – allo scopo di dare una disciplina uniforme al sistema ferroviario che attraversava dall’Atlantico al Pacifico i confini degli stati.
Ma effettivamente quale attività poteva regolamentare il Congresso?
39 C. Bologna, op. cit., p. 145 ove si fa un’attenta analisi delle varie
interpretazioni che la Corte dà alla clausola dall’entrata in vigore della Costituzione fino ad arrivare ai giorni nostri.
29 Si ricorda che la Costituzione americana dichiara l’appartenenza delle libertà all’uomo e il loro “mero” riconoscimento a livello ordinamentale con la conseguenza che nè sarà necessario che gli stati membri attribuiscano la libertà di commercio, nè lo stato federale potrà toglierla potendola esclusivamente regolare nei limiti della due process clause.
Tuttavia, al fine di definire l’ambito di intervento del Congresso occorreva stabilire cosa si intendesse precisamente per “commercio”. La Corte ricondusse a tale definizione qualsiasi «traffico», «trasferimento di beni o servizi» e «scambio di utilità» al di sopra dei confini degli stati40.
Inoltre, venne puntualizzato il momento in cui l’intervento statale poteva avvenire: infatti, se ciò era possibile con riferimento a ipotesi in cui il commercio locale (regolato dalle normative statali) produceva effetti sul commercio interstatale, dall’altra parte era escluso quando minacciava la produzione dei beni o dei servizi, avendo tale produzione solo un effetto indiretto sul commercio nazionale (e per questo di competenza solo degli stati membri).
40 Si segnala la sent. Mc Culloch vs. Maryland 17 U.S 316, in
supreme.justia.com, con cui la Corte si pronunciò estensivamente rispetto ai
poteri previsti dall’art. I, sez. VIII, della Costituzione attribuendo al Congresso anche la facoltà di emanare leggi in materie non incluse nel catalogo delle competenze federali, purchè opportune per l’adempimento delle sue competenze.
30 1.4.1 I limiti all’intervento dello Stato federale. Il Child Labor Act
del 1916.
Nel commercio interstatale l’unico caso in cui era realmente concesso al Congresso di pronunciarsi sulla libertà di commercio, era quello in cui si prospettava “ragionevolmente”41 un danno durante il trasporto o presso la destinazione finale.
In virtù di tale principio vennero rinviati alla legislazione federale diverse ipotesi: dalla previsione di forme di arbitrato per dispute fra corporations coinvolte in trasporti interstatali al divieto di destinazione di donne alla prostituzione.
Tuttavia, vi fu un caso che ingannò lo Stato centrale e lo indusse a solcare la soglia della propria competenza: nel 1916 con il Child Labor Act vietò il trasporto da stato a stato di beni prodotti «con manodopera minorile».
Il divieto di per sé era compatibile con i limiti posti dalla due process law clause ma ciò che venne contestato fu l’invadenza dell’intervento in materia di produzione di beni o servizi che, come anticipato nel paragrafo precedente, era di stretta competenza degli stati membri. Di fatto, la Corte si schierò dalla parte di questi ultimi e mettendo a confronto il fatto con il trasporto di cibi adulterati o di donne destinate alla prostituzione
41 Si ricorda, infatti, che lo stato federale agisce nei limiti della due process e
che la stessa, in sostituzione della contract clause, aveva introdotto il criterio della ragionevolezza del provvedimento statale. Si rinvia al para. 3.
31 precisò che tali beni non cagionavano in concreto nessun danno durante il trasporto o a destinazione42.
Permettere al Congresso, ampliandone ancora di più i poteri, di penetrare nell’ambito della produzione dei beni tramite la commerce law clause significava esporre a rischio il sistema del federalismo duale che si contraddistingueva proprio per l’ampia autonomia degli stati membri in fatto di regolamentazione e organizzazione del commercio intrastatale, fattore che consentiva una maggiore concorrenza e mobilità economica.
1.5 L’avanzata del capitalismo e lo Sherman Act del 1890 come embrione dell’interventismo statale.
Fin qui si è rilevata la preoccupazione - soprattutto della Corte – di preservare il mercato da interventi pubblici che ne alterassero le dinamiche e i due strumenti attraverso cui
42Hammer vs. Dagenhart 247 U.S 251 (1918), in www.oyez.org: «The Keating-Owen Child Labor Act prohibited the interstate shipment of goods produced by child labor. Reuben Dagenhart's father -- Roland -- had sued on behalf of his freedom to allow his fourteen year old son to work in a textile mill». Come
rispose la Corte? Il giudice Day parlò per la maggioranza introducendo due argomentazioni a sfavore del Congresso: «Production was not commerce, and thus outside the power of Congress to regulate. And the regulation of production was reserved by the Tenth Amendment to the states». Day scrisse che "the powers not expressly delegated to the national government are reserved to the states and to the people”.
32 combatterli, come più volte precisato, erano la due process clause e indirettamente il sistema federale.
La libertà di iniziativa economica, tuttavia, appariva disarmata davanti agli attacchi privatistici che spesso conducevano a una restrizione della concorrenza tramite accordi o per mezzo di monopoli.
Alcuni settori dell’economia venivano razionalizzati tra le grandi corporations e i grandi capitalisti (tra questi i Rockefeller, i Carnegie e i Morgan).
L’ideale di una società civile autonoma non bisognosa dello Stato nella produzione della propria ricchezza e il perseguimento della propria felicità stava giungendo al tramonto. L’avanzata del capitalismo portò, infatti, inevitabilmente a disuguaglianze sociali ed economiche e lo stesso Congresso pensò di combattere quantomeno il fenomeno dei trusts43 dimostrando che la tutela del valore del libero mercato non era solo una prerogativa della Corte, ma era diventata un interesse anche del Legislativo.
43 O. Bergamini, op. cit., p. 149: «Il primo Novecento fu l’epoca del
Progressismo, ampio e complesso movimento che si poneva come obiettivo la ricostituzione della coesione sociale che lo sviluppo economico e demografico sembravano aver compromesso. I suoi maggiori esponenti intendevano perciò promuovere una regolamentazione delle attività delle imprese, contrastare lo strapotere dei trust, adottare misure di legislazione sociale e tutelare le risorse ambientali dall’indiscriminato sfruttamento degli imprenditori privati. Il tutto con l’obiettivo di preservare il sistema capitalistico, attenuandone le contraddizioni più dirompenti».
33 L’antica regola già presente nella Common Law – e ispirata alla logica della libera concorrenza - sulla invalidità dei contratti tra privati stipulati in «restraint of trade» non era sufficiente a contrastare il fenomeno dei trusts riguardando essa prettamente l’ambito del diritto civile. Spesso, infatti, i concorrenti non producevano alcun accordo formale e rispettavano spontaneamente il dovere di non competere l’uno con l’altro o di trattare con terzi a determinate condizioni. Ciò condusse il Congresso all’emanazione dello Sherman Act nel 1890 con il quale si puniva ogni accordo diretto a limitare il «commercio tra gli stati» nonché ogni tentativo di «monopolizzare» qualsiasi settore di tale commercio44.
Inoltre, esso attribuiva il potere ai Procuratori pubblici degli Stati Uniti di perseguire tali reati e – cosa ancora più importante – di chiedere alle Corti degli stati membri di emanare provvedimenti ingiuntivi o inibitori.
Nel 1914 lo Sherman Act venne integrato dal Clayon Act e il suo fine rafforzato dall’istituzione della Federal Trade
44 J. Rene, The rule of reason in antitrust law. American, German and Common
Market Law in comparative perspective, James A. Rahl (a cura di), 1967, 59: «American antitrust law is built upon absolute faith in the values of
competition. As stated in Northen Pacific Railway Co.: “The Sherman Act was designed to be a comprehensive charter of economic liberty aimed at preserving free and unfettered competition as the rule of trade. Its rests upon the premise that the allocation of our economic forces, the lowest prices, the highest quality and the greatest material progress, while at the same time providing an enviroment conducive to the preservation of our democratic political and social institutions”».
34 Commission: attraverso il primo vennero precisate alcune ipotesi di pratiche anticoncorrenziali, allargando il divieto a ogni «unfair method of competition», mentre la Commissione avrebbe individuato quale pratica potesse in concreto considerarsi «unfair». In aggiunta, la Commissione avrebbe potuto chiedere alle Corti provvedimenti ingiuntivi e inibitori secondo quanto previsto dallo Sherman Act.
Quando tali provvedimenti erano insufficienti l’unica soluzione restante era lo smembramento delle corporations o delle loro combinazioni. A tal proposito, si ricorda il trust formatosi nel settore petrolifero dalla Standard Oil Corporation di Rockefeller dissolta tramite la vendita delle partecipazioni azionarie detenute dalla società capo45.
Probabilmente l’obiettivo del Congresso era quello di tutelare i piccoli e medi imprenditori veri artefici di un mercato pluralistico: i meccanismi di concorrenza, benchè non ancora molto sviluppati, realizzarono la prima forma di interventismo puro dello Stato in economia non del tutto coerente con l’ideale di una società civile autonoma; ciò nondimeno la Corte cercò sempre di mediare e interpretare la legislazione antitrust coerentemente alla logica di un sistema capitalistico in ascesa.
45 Altro caso celebre di smembramento fu quello dell’American Tobacco
Corporation che all’epoca dominava nel settore del tabacco e che diverntò
strumento per la Corte del giudice White di precisazione della portata del divieto enucleato nello Sherman Act.
35 1.5.1 Il ruolo della giurisprudenza nell’ambito degli accordi tra
imprese e l’introduzione della «rule of reason».
In seguito all’emanazione dello Sherman act, la Corte svolse un ruolo fondamentale nell’enunciare i principi cardini cui l’applicazione della legge fu subordinata fino al New Deal.
Innanzitutto, precisò che le leggi federali contro i monopoli non potessero riguardare l’ambito della produzione o della distribuzione dei beni o dei servizi - spettante agli stati membri – al di fuori dei casi di intervento previsti dall’interstate commerce clause46.
Inoltre, per quanto riguarda l’individuazione del momento rilevante ai fini dell’applicazione dello Sherman Act, si escluse l’ipotesi in cui il monopolio, malgrado si fosse formato attraverso pratiche scorrette, operasse al presente nel rispetto delle regole della concorrenza47.
Ma come mai una tale presa di posizione? Si ricorda che la logica seguita dalla Corte trovava il suo fulcro nella salvaguardia
46 Si tratta dei casi di danno ai beni durante il “trasporto” o a destinazione (si
rinvia a para. 4.1). Soltanto nel 1905 la Corte estese l’intervento federali ad ambiti ulteriori al mero trasporto di beni o servizi. In tan senso, G. Bognetti,
op. cit., p. 207.
47 Si richiama la United States vs United State Steel Co. 251 U.S. 417 (1920).
Il magnate Carnegie controllava la metà del settore acciaio ed aveva raggiunto tale traguardo tramite l’attuazione di pratiche sleali. Tuttavia, svolgendo in quel periodo regolarmente la propria attività, la Corte ritenne l’inopportunità di procedere al suo smembramento.
36 del mercato libero e dell’autonomia imprenditoriale: è proprio il principio dell’autonomia che spinge l’imprenditore a espandersi acquisendo una eventuale posizione dominante sul settore in cui agisce. Da questo punto di vista, la legislazione entra in conflitto con la logica del mercato libero, dal momento che intende punire il rappresentante del liberalismo puro e cioè il monopolista.
Come anticipato, la Corte aveva il potere di emanare provvedimenti inibitori e ingiuntivi, al di là delle sanzioni penali previste dalla legge, e oltre a tali atti diede vita a una serie di ordini diretti a bloccare o attivare certi comportamenti delle imprese al fine di ristabilire la concorrenza.
Tuttavia, la cosa più importante che la Corte fece riguardò l‘introduzione della «rule of reason» che divenne il criterio di valutazione della legittimità dell’accordo imprenditoriale. Effettivamente non tutti gli accordi erano restrittivi della concorrenza poiché ve ne erano alcuni che facevano parte di un complesso piano strategico dell’impresa e per questo legittimi48.
Nel leading case Standard Oil Corporation la rule of reason venne utilizzata nei confronti dei Rockefeller, detentori del mercato petrolifero, ma il caso rese palese l’incertezza circa la sua
4848 S. Lamarca, La disciplina dei cartelli nel diritto antitrust europeo ed
italiano, Gappichelli, 2017, p. 4: «la verifica della leicità di una restrizione della concorrenza è formulata soppesando gli effetti pro e anti competitivi dell’accordo alla luce della sua natura, delle sue caratteristiche e delle condizioni dei mercati rilevanti».
37 applicazione. Solo dopo, nell’America Tobacco case, la Corte presieduta dal giudice White ebbe l’occasione di fare delle delucidazioni: «since the statute had not defined the phrase “restraints of trade”, it became necessary to construe those words49».
In linea generale, si può dire che nei primi decenni che seguirono alla legislazione antitrust, pochi furono i casi interessati per via di una desistenza da parte delle istituzioni tanto che la «per se rule» - che stabilisce una presunzione di illegalità per tutti gli accordi restrittivi della concorrenza- troverà applicazione solo per gli accordi di particolare gravità (denominati anche hard core restricton50). Malgrado ciò, il principio della concorrenza ottenne via via sempre più spessore e aprì la strada al potere discrezionale della giurisprudenza nell’economia americana.
1.6 Il mercato nell’era progressista: l’intervento federale nell’economia fino al New Deal.
L’evoluzione dello Stato federale è stata profondamente influenzata dagli ideali costituzionali di un’economia libera.
49 R. Joliet, op. cit., p. 29:
50 Tra questi i già citati casi Standard Oil Co. v. United States e America
Tobacco Co. v. United States ma anche Tran Missouri Freight Ass. v. United States 166 U.S 290 (1897) e Adduston Pipe & Steel Co. V. USA 175 U.S 211
38 Il diritto al lavoro era estenuamente tutelato dalla Corte che giungeva a invalidare leggi che vietavano alle imprese di assumere residenti senza cittadinanza. Si trattava di proteggere il perno dell’economia e della società: prima della guerra civile la libertà di svolgere la professione era assoluta eccetto in alcuni casi (quali ad es. la professione di medico); dopo la guerra di secessione crebbe il numero delle attività soggette ad autorizzazione statale (autorizzazione che serviva solo per valutazioni di tipo tecnico).
Il diritto a svolgere attività imprenditoriale non era riservabile all’arbitrio della legge, spettava a ciascun individuo e il ruolo delle istituzioni doveva adeguarsi al suo libero esercizio, purché rispettasse le regole di una leale concorrenza51.
Qualsiasi intervento statale doveva essere proporzionato allo scopo che perseguiva: evitare il danno o accrescere l’utilità dell’attività.
Nel corso dell’Età Dorata, caratterizzata da una prevalenza del Legislativo sull’Esecutivo, il Congresso approvò due leggi destinate a cambiare il rapporto tra Stato federale ed economia nazionale. Più precisamente, nel 1887 l’Interstate commerce Act, sulla base della commerce clause, attribuì al governo centrale il potere di regolamentare tutta una serie di fattori inerenti il commercio interstatale (compresa la calmierazione delle tariffe
51 E. Freund, The police power. Public policy and costitutional rights,