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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1987, Anno 46, settembre, n.3

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Spedizione in abbonam ento p ostale - Gruppo IV -7 0 %

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E

Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI

(e R IV IST A IT A L IA N A DI DIR ITTO FIN A N Z IA R IO )

D I R E Z I O N E

ENRICO ALLORIO - EMILIO GERELLI

COMITATO SCIENTIFICO

ENRICO DE MITA - ANDREA FEDELE - FRANCESCO FORTE FRANCO GALLO - IGNAZIO MANZONI - GIANNINO PARRAVICINI

ANTONIO PEDONE - ALDO SCOTTO - SERGIO STEVE

COMITATO DIRETTIVO

ROBERTO ARTO N I - F IL IP P O CAVAZZUTI - AUGUSTO FA NTOZZI G. FRANCO G A F F U R I - DINO P IE R O GIARDA - E Z IO LA N CELLO TTI SALVATORE LA ROSA - ITA LO MAGNANI - G ILB ER TO MURARO LEONARDO PER R O N E - E N RICO PO TIT O - PA SQ U A LE RUSSO FRANCESCO TESA U RO - G IU LIO TREM O N TI - ROLANDO VALI ANI

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di diritto pubblico della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma

Dir e z io n e e Re d a z io n e: Dipartimento di Economia pubblica e territoriale del­ l’Università, Strada Nuova 65, 27100 Pavia; tei. 0382/22198.

Ad essa debbono essere inviati bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia.

Redattori: Sil v ia Cip o l l in a, An g el a Fr a s c h in i, Gi u s e p p e Gh e s s i. Segretaria di Redazione: Cl a u d ia Ba n c h ie r i.

L ’Am m in i s t r a z i o n e è presso la casa editrice Dott. A. GIUFFRÈ EDITORE S.p.A.,

via Busto Arsizio, 4 0 - 2 0 1 5 1 Milano - tei. 3 0 1 0 1 0 6

Pu b b l ic it à:

dott. A. Giuffrè Editore S.p.a. - Servizio Pubblicità

via Busto Arsizio, 4 0 - 2 0 1 5 1 Milano - tei. 3 0 1 0 1 0 6 , ini. 3 2 4

CO ND IZIO N I D I ABBO NAM EN TO PER IL 1 9 8 8 Abbonamento annuo Italia ...L. 6 0 .0 0 0 Abbonamento annuo e s t e r o ...L. 9 0 .0 0 0

A n n a te a rretra te sen za a u m e n to risp e tto alla q u o ta a n n u a le.

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Il pagamento può effettuarsi direttamente all’Editore, anche con versamento sul conto corrente postale 721209, indicando a tergo del modulo, in modo leg­ gibile, nome, cognome ed indirizzo dell’abbonato; oppure presso i suoi agenti a ciò autorizzati.

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All’Editore vanno indirizzate inoltre le comunicazioni per mutamenti di indirizzo, quest’ultime accompagnate dall’importo di L. 500 in francobolli.

Per ogni effetto l’abbonato elegge domicilio presso l’Amministrazione della Rivista.

Ai collaboratori saranno inviati gratuitamente 50 estratti dei loro saggi. Copie supplementari eventualmente richieste all’atto del licenziamento delle bozze ver­ ranno fomite a prezzo di costo. La maggiore spesa per le correzioni straordinarie è a carico dell’autore.

Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 104 del 15 marzo 1968 Iscrizione Registro nazionale stampa (legge n. 416 del 5.8.81 art. 11)

n. 00023 voi. 1 foglio 177 del 2.7.1982 Direttore responsabile: Em i l i o Ge r e l l i

Rivista associata all'Unione della Stampa Periodica Italiana

Pubblicità inferiore al 70 %

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P A R T E P R I M A

Alan Wil l ia m s - What is Wealth and Whn Creates It?

Alberto Ma jo c c h i - Il finanziamento degli enti locali e l’autonomia

impositiva ... Angela Fr a s c h in i - Ilde Rizzo - Definizione e misurazione del grado di

decentramento : problemi teorici e tentativi di quantificazione Carlo Perron i - Imposte e consumi intermedi in un modello computa­

bile di equilibrio g e n e r a le ... Franco Gallo- Il problema della soggettività ai fini Iva dei fondi comuni

di investimento ...

Fabio Ma r c h etti - Nozione e trattamento dell’impresa minore nel sistema

t r i b u t a r i o ...

APPUNTI E RASSEGNE

M. Cec il ia Guerra - Benefici tributari del regime misto por i dividendi

proposto dalla commissione Sarvinelli: Una nota critica

Mir k o Trapé - La registrazione dei contratti di locazione relativi ai beni

immobili ...

LEGGI E DOCUMENTI

La disciplina del Transfer Pricing nell’ordinamento canadese . .

RECENSIONI

Sobbrio G. - Lezioni di finanza pubblica - Teorìa economica dell’azione collettiva (M. Ma tteitzzi) ...

Sch iav ello L. - Responsabilità contabile formale e amministrativa

(F. Gallo) ...

NUOVI L IB R I . ... RASSEGNA DI PUBBLICAZIONI RECENTI . ...

P A R T E S E C O N D A

Salvatore Di Rosa - Il « redditometro », avanti la Corte Costituzionale . Andrea Fedele - « Coacervo » o c cumulo » di più donazioni f

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Mir k o Trapé - L'imposizione diretta degli immobili strumentali dati

in locazione ...

SENTENZI! ANNOTATE

Diritto tributario generale e costituzionale - D.M. 21 luglio 1983 - Que­ stioni di legittimità per contrasto con l’art. 53 Cost. - Inammissibilità. Diritto tributario generale e costituzionale - Art. 38, quarto comma,

IXP.R. n. 600 del 1973 - Questione di legittimità per contrasto con gli artt. 2, 3, 24 e 53 Cost. - Infondatezza (Corte Cost,, 23 luglio 1987, n. 283) (con nota di S. Da Rosa) ... Imposta sul valore aggiunto - Registrazione di fatture d'acquisto nel­ l’anno precedente a quello di ricevimento - Perdita del diritto alla detrazione della relativa imposta - Rilevanza sostanziale degli adem­ pimenti formali (Comm. Trib. Centr., Sez. XVI, 23 settembre 1985, n. 7791).

Imposta sul valore aggiunto - Registrazione di fatture d’acquisto nell'anno precedente a quello di ricevimento - Perdita del diritto alla detra­ zione della relativa imposta (Comm. Trib. Centr., Sez. IX, 1 aprile 1986, il. 2697).

Imposta sul valore aggiunto - Registrazione di fatture d'acquisto nel­ l’anno precedente a quello di ricevimento - Sussistenza del diritto alla detrazione - Inapplicabilità della sanzione di cui all’art. 47, il. 3 D.P.R. il. 633 del 1972 (Comm. Trib. Centr., Sez. XI, 24 luglio 1986, n. 6589) (con nota di M. Ra silav ecch ia) . . . . Accertamento delle imposte sui redditi - Dichiarazione - Oneri deducibili

detratti dall’imposta anziché dal reddito - Liquidazione della mag­ giore imposta ex art. 36-6/* D.P.R. n. 600 del 1973 - Ricostruzione della dichiarazione a favore del contribuente - Impossibilità - Pro­ ponibilità di istanza di rimborso (Comm. Trib. Centr., Sez. Ili, 10 giugno 1986, n. 5051) (con nota di M. Ra silav ecch ia) . . . . Imposta sulle successioni e donazioni - Artt. 7 e 55, D.P.R. n. 637 del

1972 - Cumulo delle donazioni effettuate al medesimo soggetto con atti distinti - Ammissibilità (Cornili. Trib. Centr., Sez. XVII, 28 gennaio 1987, n. 2670-6/*) (con nota di A. Fedele) ... Tributi locali - Invilii - Accertamento - Notifica al procuratore speciale

del venditore - Responsabilità del procuratore come parte nel rap­ porto giuridico - Insussistenza (Comin. Trib. Centr., Sez. IX, 19 marzo 1987, n. 2253) (con nota di A. Fedele) ... Ilor - Art. 4, quinto comma, D.P.R. n. 599 del 1973 - Redditi degli

immobili civili appartenenti ad imprese commerciali e locati a terzi - Applicazione separata dell’imposta - Illegittimità per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. - Non manifesta infondatezza (Oomm. Trib. I gr. Torino, 8 marzo 1985) (con nota di M. Trapé) .

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M A N U A L I

G I U L I A N I

INDICI INTEGRATI 1987

REPERTORIO ALFABETICO-CRONOLOGICO D

* M A N U A LE D ELLE IM POSTE DIRETTE

* M A N U A L E DEL REGISTRO

* M A N U A L E DELLA FIN AN ZA LO C ALE

Questo volume di Indici, che si affianca alla serie dei «Manuali Tributari», contiene, tra loro fusi, i repertori dei tre manuali già disponibili nella nuova versione a schede. L’opera, destinata a diventare nel tempo una vera e propria ENCICLOPEDIA TRIBUTARIA, costituisce uno stru­ mento di particolare utilità per tutti gli operatori del settore poiché fornisce una prima, immediata risposta ai quesiti che di solito pone chi lo consulta, e spesso evita la consul­ tazione dei singoli manuali per risolvere un determinato problema.

8°, p. X-1132, L. 70.000

27

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VITTORIO ITALIA

Ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico nell’Università di Milano

CODICE DELLE LEGGI

E DEI REGOLAMENTI

AMMINISTRATIVI

E D IZ IO N E A G G IO R N A T A A L 1° O T T O B R E 1987

Il più completo ed aggiornato Codice del diritto amministrativo, comprende tutte le principali leggi ed i regolamenti, riguardanti l’or­ ganizzazione e l’attività della pubblica amministrazione italiana. L’edizione è corredata di un ampio Indice analitico, che costituisce l’indispensabile « chiave di lettura » di questa completa ed articolata normativa.

U n’opera, dunque, utile e necessaria per gli amministratori pubblici e per tutti gli operatori del diritto.

16°, rii., p. VIII-2443, L. 130.000

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Dipartimento di ricerche aziendali

COLLANA DI DIRITTO ED ECONOMIA diretta da Dario Velo

__________________ 18 __________________

MAURIZIO MURGIA

I

FINANCIAL FUTURES

NEL MERCATO

DEI CAPITALI ITALIANO

Aspetti teorici ed osservazioni empiriche

per l ’istituzione di un mercato organizzato

Sommario:

Sviluppo e funzionamento del mercato dei

financial

futures:

una introduzione.

La teoria e le funzioni economiche dei

financial futures.

I

financial futures

nel mercato dei capitali italiano: l ’analisi

economica.

Osservazioni empiriche sul mercato azionario italiano.

8°, p. 194, L. 18.000.

(8)

Dipartimento di economia aziendale

Serie: Finanza aziendale 6.5

ALBERTO DESSY

IL FINANZIAMENTO

A MEDIO TERMINE

DELLA PICCOLA

E MEDIA IMPRESA

Il volume si basa sull’analisi delle caratteristiche peculiari e delle problematiche di ordine finanziario delle piccole e medie imprese.

A tal fine vengono inizialmente affrontati temi quali la definizione, il ruolo, la struttura ed il comportamento finan­ ziario di tali imprese.

Successivamente vengono esaminati i principali strumenti di finanziamento — sia a tasso di mercato che agevolato — cui tali imprese possono accedere, anche per verificarne pregi e carenze.

Infine, vengono proposti alcuni spunti di riflessione sulla politica industriale a favore delle piccole e medie imprese, finalizzati a migliorare l’accesso di queste ultime ai mercati finanziari.

8°, p. Vn-277, L. 22.000

324

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U N I V E R S I T À D E G L I S T U D I

D I R O M A « L A S A P I E N Z A »

P ubblicazioni della faco ltà di econom ia e com m ercio XLIV, 1 e 2

KEYNESIAN THEORY

PLANNING MODELS AND

QUANTITATIVE ECONOMICS

Essays in memory of Vittorio Marrama

Giancarlo GANDOLFO - Ferruccio MARZANO

EDITORS

Volume I: Keynesian economics, growth and development,

fiscal and policy issues

Volume II: Planned economies, m athem atical economics and

econometrics

8°, due volum i di com plessive pp. LXIII-979, L. 140.000

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IL D I R I T T O D E L L A B A N C A E D E L L A B O R S A S t u d i e d i b a t t i t i

5

GIUSEPPE BOLLINO

GLI ISTITUTI REGIONALI

DI MEDIOCREDITO

Il volume costituisce il primo tentativo della letteratura giuridica di delineare in modo organico la disciplina dei mediocrediti regionali.

L’indagine si propone di colmare le numerosissime lacune lasciate dalla scarna regolamentazione legislativa con un la­ voro di «costruzione» della disciplina che segue una linea unitaria diretta a valorizzare, al di là della natura pubblica dell’Ente, gli elementi normativi capaci di recepire la realtà imprenditoriale di questa categoria di enti pubblici creditizi.

8°, p. 212, L. 16.000

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1. The value of any asset is determined by the flow of income (and capital gains) that it is possible to get from it, and by the discount rate (based on the opportunity cost of capital) that is used to convert that future stream to a present value. To be profitable such an asset must therefore generate goods or services which are tradable, at home or abroad, for prices which exceed their costs. Such profit-seeking behaviour is the mainspring of the enterprise system, and is the fundamental source of a nation’s wealth. Other things that people want, which are not traded or profitable, such as social services and social security, have to be financed out of the incomes generated (and thus the wealth created) by the trading sector, which is predominantly a private enterprise sector. Thus it is the ability of the private enterprise sector to generate wealth that sets the limit to our capacity to devote resources to nonproductive purposes such as education, health services, and pensions. Moreover, the taxes needed to transfer resources from the productive to the non-productive sector will lead to further losses in the country’s real wealth, because of their disincentive effects on effort, saving, and risk taking. Thus a large public sector imposes a double burden on society: it diverts wealth from productive to non-productive activities, and it reduces the amount of wealth available.

2. That view of what wealth is and who creates it is the conventional wisdom of the business community, as epitomised in the following statement by Sir John Hoskyns, Director-General of the British Institute of Directors (Times 11 June 1986).

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lives, in effect, on “ dividend income ” from the working population, largely provided or spent through the mechanism of the welfare state. If the 17 million producers are suf­ ficiently productive, the dividend can be generous. Conversely, if the dividend policy is too generous the total tax overhead borne by the producers will actually make them uncom­ petitive — and thus unable to pay the dividend the dependent population expects ...»

There are some distinct oddities about this particular formulation of the problem however, which turn particularly on the role of the 6.7 million public sector workers, whose incomes are initially included in the funds from which the « dependent » population is supported, but who almost immediately disappear from sight leaving only the 17 million « producers » in the private sector to carry the burden. The initial picture seemed to be that depicted in Figure 1, which somehow gets transformed into the picture shown in Figure 2. Both of these variants have some grossly unsatisfactory features, the most significant being the view that the 32m « dependents » get most of their support from the tax-financed welfare state. The truth is that they mostly get their support directly from the « workers », because they are the other members of the « workers » households. The second unsatisfactory feature is the failure to distinguish the provision of real public services from the financing of transfer payments (probably because the size of the overall tax yield was Hoskyns’ main focus of interest). But the « burden » on the workers differs according to whether the taxes are financing, say, (a) better roads (which enhance the productivity of the private sector), (b) the provision of free education (which saves the workers from having to pay for it out of their own incomes) and (c) the provision of pensions (which may genuinely divert consumption from households with « workers » to households w ithout« workers », and is certainly a big (and increasing) element in welfare state provisions, though whether its economic effects are any different from private occupational pensions is a moot point). The third weakness is the more common one that only paid work in seen as contributing to wealth, ignoring entirely the value of unpaid domestic work, including the informal care of

the truly «dependent» population (children, the sick, the very

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4. Nor is it easy to improve upon it within its own frame of reference. For instance, we might try to deal with the anomalous position of workers in public enterprises and in government (as depicted in Figure 2) by changing the story to that shown in Figure 3, in which public enterprises are conceded a productive role, but the rest of government is still regarded as living parasitically off taxes. This variant still leaves us with all the foregoing criticisms (as set out in para 3) and we are still left with the puzzle of where the factor incomes and taxes paid by the 5m workers in government tit in. All in all, it seems an untenable view of the world, no matter how you seek to interpret it.

5. Yet it persists as powerful emotional rhetoric in high places, often pushed even further than in Sir John Hoskyns’ piece. In the more extreme versions not only does the public sector live parasitically off its « host », the private sector, but within the private sector the « services » subsector lives parasitically oft' manufacturing (just as in former times manufacturing was held to live parasitically off the « extractive » industries such as agriculture, mining, and fishing). Thus a profitable private manufacturing industry is seen as the pinnacle of human achievement, the basic source of all wealth, and the touchstone of success for all nations. A declining manufacturing sector means a declining society, and it therefore follows that our economic policies should be focussed singlemindedly on maintaining a thriving manufacturing sector, for it is upon that that we all depend.

6. Such policies include various protective devices and special tax concessions (and even output subsidies) to manufacturing industry (though perhaps not quite on the incredible scale on which we still subsidies and protect agriculture!), so as to insulate it from «unfair competition », plus a shifting of the tax burden away from (high) income earners and business profits onto the consumption of services, plus generalised cut-backs in all public expenditures (except possibly those of direct benefit to manufacturing industry, such as transport and power supplies).

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8. I regret to say that the orthodox National Income Accounting view of the economy is not much better. Its essence is set out in

Figure 4. I t has the great advantage (over the Hoskyns’ view) that

it does not see the public sector as « using up » the wealth created by the private sector, but as contributing to the nation’s real income in a parallel fashion (though in the absence of any independent valuation of its output the contribution of the public sector is, of course, measured by the value of the inputs it uses). National Income Accounting does however treat transfer payments as going back to people to finance their private consumption, and sees all factor incomes as generating taxes (not just those earned in the private sector). I t is logical and internally consistent. But this is not sufficient to make it very helpful ansvering my basic questions: « What is wealth and who creates it? » This is partly because not all valuable activities are counted in GDP, but partly also because it works with a very limited view of what constitutes « capital » (still basically clinging to the view expressed in my opening paragraph) entirely ignoring human capital formation. So to get a different perspective on all this let us start from a different position.

9. Suppose we were to see the wealth of a society as determined

by the present value of the future consumption possibilities open to

its citizens. Some of these consumption possibilities depend on the

availability of manufactured goods (cars, TV, clothes, furniture, books), some on privately provided services (restaurants, barbers, repair and maintenance services) some on publicly provided services (transport, police, fire) and some on services which may be either

privately or publicly provided (education, health, housing). These

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10. This broader view of wealth also sheds a different light on the welfare implications of redistributive taxation. Before pursuing that point further, however, let me say that I remain unconvinced that taxation on balance has any great disincentive effects on effort, on savings or on enterprise. In principle the direction of the effect is ambiguous, and, despite the strong pressures to find hard evidence of such disincentive effects, it has proved very difficult to find any except at an anecdotal level. I t is clear that some tax structures are more likely to have adverse effects than other structures, and that taxes will usually change the distribution of effort, or savings, or risktaking (or consumption expenditure), but since we cannot

assume that, in a second best world, the previous patterns were

optimal anyway, we have no right to assume that all such induced changes make things worse. Indirect taxes on goods complementary to leisure may offset any effects that income taxes have on work/ leisure choices at the margin, and the best way to get people working harder seems to be to get them heavily into debt and then tax their incomes highly! The disincentive effects of taxation are a more complex, and far less clear cut, matter than the businessman’s folklore would have us believe. But like other folklore, it needs only the occasional confirming anecdote to sustain it,and its true purpose is to provide a stick with which to beat the public sector. But perhaps one takes it too seriously if one regards it as a statement of fact, •when it may really be simply designed to curb the enthusiasm of politicians for dispensing patronage from the public purse (and to provide them with an excuse for not spending money when ... for other reasons ... they may not wish to do so). As such it will doubtless continue to be quite impervious to contrary evidence, and indeed to reason.

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non-traded goods and services (health services, recreational and cultural activities) as well. There are then two complementary ways of looking at this situation within the broader perspective on wealth that I am exploring. The first is cross-sectional, and indicates that such trans­ fers will actually enhance wealth if the value of the additional consumption possibilities to the recipients exceeds the value of the lost consumption possibilities to the «donors» (who may, of couise, be involuntary « donors »!). That is no more than a restatement of the old comparison between the respective marginal (social) utilities of income for the two groups. (Clearly it is quite possible, in principle, for this transfer to be « unproductive » even in my terms, if the value of the gains is less than the value of the losses, but this is an empirical matter, which may or may not be the case, not a theoretical necessity.) The other way of looking at the same situation is longitudinally. A sense of security enhances people’s welfare, and over each person’s lifetime, therefore, the payment of insurance premiums (which are usually not actuarially fair) in both private and public sectors for protection against unpleasant future contin­ gencies is a welfare-enhancing activity. Thus again these transfei payments may actually be wealth creating, if the expected future consumption patterns of individuals are on balance of higher value with that protection than without it. So whether such transfers are seen as interpersonal or inter-temporal, they may be « productive » in my (fundamental) sense of that word, and are not therefore to be dismissed a priori as necessarily unproductive as they are in the narrow view of wealth.

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the « public » goods and services (architecture, museums, scenery, « ambience ») which attracts the tourists in the first place and it is the private sector which then exploits their presence (restaurants, souvenirs, hotels, etc.) so in this case it seems to be the private sector that is living parasitically off the public sector! Thus just as manufactures slowly overtook primary products as the chief mer­ chandise of international trade, with the advent of mass international travel by people we may expect to see «invisible» trade (in ail types of goods and services) slowly come to dominate international commerce, as people seek to broaden their personal experiences directly (rather than doing so vicariously through films, television, radio, records, books, etc.). Thus the dominant role of manufacture

in foreign trade may decline as it has in gross domestic product,

and as agriculture did so damatically before it.

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services to others (e.g. grandparents, child minding, relatives nursing each other through sickness, and so on). I understand why no-one has yet managed to quantify these things in a credible way, or to value them alongside the other items in GNP, but we need to keep on reminding ourselves that they ought in principle to be there, and we mislead ourselves if we exclude them from our list of « wealth creating » activities.

14. So far my argument has essentially been a counter-polemic against what I see as an unfortunate narrowing of our vision of what constitutes « the wealth of nations », much of this narrow­ mindedness perpetrated in the name of Adam Smith, with whom that phrase about the « wealth of nations» is now inextricably associated. But as a moral philosopher he undoubtedly had a rather broader view' of the world than some of his more fanatical latterday disciples and it is such a broader view of the world that I now wish to examine more closely.

15. There is an interesting recent book by Amartya Sen called

Commodities and Capabilities (North Holland, 1985) which throws

an interesting light on this discussion, though Sen comes at the matter from a different direction and with somewhat different interests. As he says in his preface:

« The main purpose of this tiny book is to present a set of interrelated theses concerning the foundations of welfare economics, and in particular the assessment of personal well being and advantage. I argue in favour of focusing on the capability to function, i.e. on what a person can do or can be, and argue against the more standard concentration on

opulence (as in 1 real income ’ estimates) or on u tility (as

in traditional ‘ welfare economics ’ formulations). ».

The structure of his argument is complex, and it is impossible to do it justice here, but its bare bones, as I perceive them, are as follows (see Diagram A): The economic system produces commo­

dities (such as food) which have characteristics (such as the ability

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calls utilisation), and this will determine the distribution of nourish­ ment in the society (i.e. how well nourished people are). People’s

happiness depends not only upon their access to these « characte­

ristics », but also upon their aspirations (thus as a coping mechanism, poor people learn not to expect much from life and to be content with small mercies !). Thus, says Sen, welfare should be measured by how highly people value the access possibilities they have (compared with other access possibilities that other people have).

16. He then goes on to discuss the difficulties involved in measuring these « capabilities » and discusses the relative merits of attempting to do so by means of market purchase data, question­ naires, and « non-market obser\ ations of personal states. » He regards market data as too limited, questionnaires as underrated, and the third method as under-exploited. More specifically, on the latter source of information (in relation to his interest in people’s

capabilities) he writes :

« Some of the particular functionings have been much discussed in the context of ' development indicators ’, ‘ basic needs ’ fulfilment, ‘ quality of life ’ index, ‘ levels of living ’ calculations, and so forth. Longevity and literacy in par­ ticular have received a good deal of attention in the develop­ ment literature » (p. 45).

« In the richer countries, the functionings involving longevity, nourishment, basic health, avoiding epidemics, being literate, etc. may have less variation from person to person, but there are other functionings that do vary a great deal. The ability to entertain friends, be close to people one would like to see, take part in the life of the community ... [and] ... other functionings (for example those involving literacy, cultural and intellectual pursuits on the one hand, and vacationing and travelling on the other) ... involve a good deal of variation ... and ... raise questions of assessment and valuation ». (pp. 46/7)

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17. Much earlier, in Ms influential book Social Choice and

individual Values, Arrow too toyed with the idea of using longevity

as a guide to social welfare. He there wrote (page 75n):

« This view is especially attractive since the greater part of social, and particularly economic, activity is devoted to that end, broadly construed ... However, life cannot be taken as the sole objective since, for most human beings, there are specific situations in which human beings are willing to give up their lives in pursuit of other values ... From a more practical viewpoint, longevity is probably too insensitive to short-run economic adjustments to serve as a meaningful guide, especially in view of the great uncertainty existing as to the factors making for prolongation of life ».

But we do know quite a lot about the influences of consumption levels and consumption patterns on life-expectancy, also about oc­ cupational risks and risks of death and injury on the roads and in other transport modes, not to mention the effects of poor housing, low educational levels, insanitary water supplies and waste disposal, environmental pollution, and so on, and all of these factors are related to economic variables about which we have policies (good or bad). So the outlook now is not as bleak as Arrow thought it to be twenty-five years ago. But he was right to stress that sheer survival is not everything, and that we also need to take account of quality of life as well as quantity of life, for people may be willing to sacrifice one for the other.

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set of valuations is shown in Figure 6 (from which it will be noted that some living states are judged to be as bad as, or even worse than, being dead!). This work was conducted prior to the writing of Sen’s book, but it seems to fit his specification very well, in that it enables us to value, by a common standard, the lifetime prospects (in terms of life expectancy, disability and distress) which face different classes of person (rich versus poor, men versus women, etc.) and it gives us the mechanism with which to appraise different policy measures designed to improve those prospects. The composite unit which combines the different attributes of health is the « quality- adjusted-life-year » (QALY) and policy options can be ranked ac­ cording to cost/QALY at the margin, (as in Figure 7).

19. Clearly it is a more complex task to extend this methodology to the other asoects of life such as Sen lists, and the valuation tasks also become more severe. Nevertheless, if you accept in principle my view that it is the present value of these future life-time profiles of consumption possibilities which represents the true wealth of a society, we should perhaps direct rather more research effort to finding out more about these consumption possibility profiles and how to value them.

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out of the windows (if any!) and rediscovered our vision of what the economic system is /or! Talented research departments with interest and responsibilities in the evaluation of alternative economic strategies might like to make a start. So perhaps I can rely on you out there to lead the wray!

University of York, England

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Workers Incomes Figure 1 - HoskynsInitial View.

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tU Figure 3 - The Public Sector as « Parasite ».

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Figure 4 - The Basic National Income Accounting Framework. Private .. ______ __ ______ _—k- Private sector production --->. Factor Incomes consumption Transfers ;____ ^ —----► Public Taxes sector production — ► — ---w • ■' 1 \ Public consumption

Figure 5 - Rosser’s classification of Illness States.

Disability

j No disability j ,1 Slight social disability

i II Severe social disability and/or slight impairment of performance at work

Able to do all housework except very heavy tasks IV Choice of work or performance at work veri se­

verely limited

Housewives and old people able to do light hou­ sework only t u t able to go out shopping V Unable to undertake any ¡paid employment

Unable to continue any education

Old people confined to home except for escorted outings and Ishort walks and unable to do

shopping i

Housewives aide only to I perform a few single

tasks j i

VT Confined to chair or to wheelchair or able to move aroundl in the house only with support from an assistant

VII Confined to bed _____ I V III Unconscious Distress A. No distress B. Mild C. Moderate D. Severe

(27)

Figure 6 - Rosser’s valuation matrix: A ll 70 respondents. Disability Rating Distress Rating A » B C D i 1.000 0.995 0.990 0.967 i i 0.990 0.986 0.973 0.932 h i 0.980 0.972 0 .9 5 6 0.912 IV 0.964 0.956 0.942 0.870 V 0.946 0.935 0.900 0.700 VI 0.875 0.845 0.680 0.000 VII 0.677 0.564 0.000 - 1.486

V ili - 1.028 Not applicable

Fixed points: Healthy = 1 Dead = 0

See: Kin d, Ro ss e r & Wil l ia m s « Valuation of Quality of Life Some Psycho­

metric Evidence », in Jo n e s-Le e, M.W. (editor), The Value of Life and Safety, North Holland, 1982.

(28)

Figure 7 - Approximate NH S cost per Qaly gained for some selected activities (1985 GB ¿’000).

Hospital Haemodialysis... 15 Heart Transplantation ... 8 [UK GNP per H e a d ... 5] Coronary artery by-pass grafting (CABG) for 2-vessel disease

and moderate a n g i n a ... 4 Kidney Transplantation... 3 CABG for left main disease and severe a n g i n a ... 1 Total H IP Replacement ... 0.8 Pacemaker for Heart B lo c k ... 0.7 GPs counselling patients to stop smoking ... < 0.2

See: Wil l ia m s, Al a n, « The Economics of Coronary Artery Bypass Grafting », British Med. J. 3rd August, 1985.

DIAGRAM A Se n’s Ak g u m en t

1. The economic system produces

Commodities e.g. Food (« opulence »)

2. Which have

Characteristics e.g. Nutritional value

3. Disposable income determines

Utilisation (of characteristics) e.g. The Distribution of

(Mal)Nutrition 4. Utilisation in relation to Expectations determines

Happiness (or « utility »)

5. We should be measuring

Capabilities i.e. the value of the utilisation possibilities open to people (or « Access »)

6. Capabilities are a function of Longevity, Literacy, etc.

(29)

DIAGRAM B

If wealth = quality-adjusted life years who creates them?

and

should we not be trying harder to find out which econpmic policies contribute

(30)

E L’AUTONOMIA IMPOSITIVA (*)

So m m a r io: 1. La natura del problema. — 2. La Costituzione e l’autonomia impositiva. — 3. Le tendenze attuali. — 4. La classificazione delle fonti di entrata. — 5. Le compartecipazioni al gettito di tributi erariali. —■ 6. I trasferimenti erariali. — 7. Il ruolo dell’imposizione autonoma. — 8. Un modello di federalismo fiscale.

1. Nel dibattito politico-culturale è ormai largamente preva­ lente l’ipotesi di restituire autonomia impositiva agli enti locali. L’obiettivo prioritario che si intende perseguire, oltre alla riduzione dell’onere a carico del bilancio dell’operatore pubblico centrale, è di responsabilizzare maggiormente gli amministratori locali e di ga­ rantire una più elevata efficienza allocativa della spesa gestita dai livelli inferiori di governo. Ma nonostante questa larga convergenza di consensi, l’autonomia impositiva stenta a trovare effettiva rea­ lizzazione.

Questo lavoro intende sottoporre a verifica l’ipotesi che in realtà il problema cruciale da risolvere per restituire una reale autonomia decisionale ai livelli inferiori di governo, in ordine al comando delle risorse necessarie per realizzare gli obiettivi di spesa stabiliti a livello regionale e locale, non sia legato soltanto alla possibilità di disporre di fonti autonome di entrata, ma anche alla capacità di intervenire in modo efficace, e su un piede di parità rispetto allo Stato, nel momento in cui si prendono le decisioni in ordine alla ripartizione delle risorse fra i diversi livelli di governo. Un progetto adeguato di riforma della finanza regionale e locale deve quindi riferirsi ad un modello di federalismo fiscale, di cui l’autonomia impositiva rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente.

(31)

2. L’autonomia impositiva degli enti territoriali minori rap­ presenta senza dubbio uno degli elementi costitutivi del principio ge­ nerale di tutela delle autonomie locali, che si esprime negli artt. 5 («La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le auto­ nomie locali») e 128 (« Le Province e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica che ne determinano le funzioni ») della Costituzione. Essa è destinata a costituire, insieme all’autonomia di spesa, l’autonomia finanziaria, che è a sua volta uno dei fondamenti essenziali dell’autonomia locale. « Senza sufficienza di mezzi e libertà di spesa non può concepirsi, infatti, alcuno sviluppo dell’autonomia politica dell’ente locale, né può pensarsi di recuperare una maggiore responsabilità dell’ammi­ nistrazione locale verso il corpo elettorale nella gestione delle risorse a livello del proprio governo » (1).

L’autonomia finanziaria, dunque, non può avere il significato ristretto di poter disporre liberamente di risorse che vengono tra­ sferite dai livelli superiori di governo senza vincolo di destinazione, ma presuppone anche la possibilità di imporre tributi propri ade­ guati alla rispettiva capacità di spesa, entro i limiti stabiliti dalle leggi dello Stato e previo il coordinamento con la finanza statale e, per gli enti minori, regionale.

Evidentemente, in applicazione del principio della riserva di legge stabilito dall’art. 23 della Costituzione, la legge statale deve disciplinare nei suoi elementi essenziali (presupposto, soggetti pas­ sivi e altri elementi strutturali) il tributo, mentre l’ente locale ha facoltà di stabilire se istituirlo o meno in concreto, di determinarne la misura attraverso la fissazione dell’aliquota, almeno entro i limiti — minimo e massimo — previsti dalla legge statale, e infine di ac­ certare e riscuotere direttamente il tributo una volta che questo è stato istituito.

Valutazioni del tutto analoghe possono essere svolte per quanto riguarda l’autonomia impositiva nel caso della finanza regionale. Essa è specificamente prevista dall’art. 119 della Costituzione, che riconosce espressamente alle Regioni — nel Io comma — l’autonomia finanziaria, nei limiti stabiliti dalle leggi statali, e distingue, per quanto riguarda i mezzi di finanziamento, fra tributi propri e quote di tributi erariali. Mentre è evidente il ruolo di garanzia

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mistica attribuito all’imposizione autonoma, è altrettanto chiaro che le quote di tributi erariali debbono svolgere una funzione perequa- tiva fra le diverse regioni, essendo distribuite — attraverso un fondo comune — secondo parametri che riflettano le disparità esistenti nella distribuzione della ricchezza sul territorio. Ma è concorde il giudizio della letteratura secondo cui il dettato costituzionale non può ritenersi soddisfatto con disposizioni regolative della finanza regionale che escludano, in misura pressoché integrale, resistenza di una consistente autonomia di prelievo.

3. L’esigenza di garantire un margine di autonomia impositiva ai livelli di governo sub-centrali, come è noto, viene largamente disattesa nella situazione attuale della finanza regionale e locale. Le tendenze culturali del momento hanno dato vita, quando fu varata la legge finanziaria regionale (legge 16 maggio 1970, n. 281), ad un sistema finanziario sostenuto in misura pressoché esclusiva da tra­ sferimenti statali. E la situazione si è andata, con il passar del tempo, progressivamente deteriorando da questo punto di vista, in quanto le entrate tributarie proprie delle Regioni, a causa della loro scarsa manovrabilità, é in Corrispondenza all’aumento delle entrate complessive, si sono ridotte dal 9,5 % sul totale nel 1972 allo 0,8 % nel 1984.

Una situazione analoga si è manifestata anche per gli enti locali, con il varo della riforma tributaria. Sono stati soppressi infatti una serie di cespiti — si pensi soltanto all’imposta di famiglia e all’im­ posta sui consumi — di grande rilievo quantitativo per la finanza locale; e i tributi sostitutivi previsti non sono stati certo in grado di fornire un gettito equivalente. Ma in questo caso l’analisi deve essere sviluppata, un po’ più in profondità.

(33)

delle risorse è costituita per il 66,1 % da trasferimenti e per il 29,5 % da entrate tributarie e tariffarie.

Questo cambiamento intervenuto nella situazione degli enti lo­ cali non va certamente disconosciuto, ma deve tuttavia essere ulte­ riormente analizzato, in quanto il reale contenuto di autonomia tributaria non sembra essersi notevolmente ampliato, nonostante la crescita indubitabile delle entrate proprie che in questo caso afflui­ scono ai Comuni.

In effetti, un vincolo che si è andato nel tempo ulteriormente rafforzando, per quanto attiene agli enti locali, dopo l’avvio della riforma tributaria, riguarda la possibilità di variare il livello delle aliquote, pur entro i limiti fissati dalle leggi dello Stato. Questo potere è stato immediatamente avocato allo Stato nel caso dell’ILOR e si è progressivamente ridotto per l’INVIM. Dopo che nel 1981 è stato fissato un incremento minimo del 16 % rispetto al gettito previsto nel 1980, nel 1982, con il provvedimento noto come « An­ dreatta 2 », viene disposto che in tu tti i Comuni e per ogni scaglione di incremento di valore imponibile debba essere applicata l’aliquota massima prevista dalla legge. Anche per PINVIM, quindi, il cui get­ tito comunque affluisce ai Comuni, non vi è più possibilità di manovra sull'aliquota, così come avviene per l’ILOR; ma una situazione ana­ loga si presenta anche per l’imposta comunale sulle pubbliche affis­ sioni e per le tasse di occupazione permanente e temporanea di spazi ed aree pubbliche, per cui le tariffe da applicare sono quelle massime previste dalla legge, mentre per l’imposta sui cani e per l’imposta di soggiorno le tariffe sono definite direttamente dallo Stato.

Parallelamente, sono state introdotte nuove forme di prelievo a favore degli enti locali, con l’addizionale sul consumo di energia elettrica e, sia pure per un solo anno, con la SOCOF. Per entrambi questi tributi i Comuni possono in teoria decidere in merito alla eventuale applicazione, ma questa libertà di scelta è di fatto pesan­ temente condizionata dalla possibilità di ottenere trasferimenti a pareggio del bilancio, aperta soltanto ai Comuni che hanno applicato il prelievo e in misura commisurata all’aliquota effettivamente imposta.

In questa norma si può vedere un incentivo — apprezzabile — allo sforzo fiscale, ma emerge ancora una volta la limitazione arrecata alla libertà di scelta da parte dell’ente locale (2).

(2) Su questo punto si veda : Fr a sc h in i A., I vincoli all'autonomia finan­

(34)

4. Ma al di là delle tendenze attuali, e al fine di fornire un quadro generale, adeguato per una valutazione più pacata delle pro­ spettive della finanza locale e regionale, è opportuno cercare di distin­ guere con cliiarezza la natura e la funzione proprio delle diverse fonti di entrate dei livelli sub-centrali di governo.

Nel quadro della teoria generale del federalismo fiscale l’ipotesi di partenza è rappresentata dalla possibilità di identificare l’area territoriale entro cui si manifestano in prevalenza i benefici della spesa pubblica. In questo caso, l’attività di erogazione di risorse da parte dell’ente locale deve essere finanziata con l’applicazione del principio del beneficio, ossia attraverso imposte versate in misura esattamente corrispondente ai benefici che i cittadini ricevono at­ traverso la spesa locale.

Per quanto riguarda i servizi a domanda individuale, i cui beneficiari possono venire esclusi dal servizio e per cui si può quindi esigere un pagamento individuale, il principio del beneficio può essere realizzato con l’introduzione di tariffe e prezzi pubblici. Questa possibilità si può applicare a numerosi servizi offerti dagli enti locali (trasporti, acqua, gas, raccolta rifiuti, ecc.). Per altri servizi di natura personale, la copertura del costo secondo il principio del beneficio è possibile in astratto, ma rischia di urtare contro i principi di equità nella distribuzione del carico tributario. In ogni caso, l’ap­ plicazione rigida del principio del beneficio non consente di tener conto degli effetti esterni correlati alla spesa: è anche per questa ragione che in alcuni casi non vengono applicate tariffe perfettamente adeguate ai costi.

(35)

di imposte locali, anche quando le giurisdizioni locali hanno diritto al gettito di talune imposte.

In tal caso, infatti, si ha un unico sistema nazionale di imposte, con la particolarità che il gettito di alcune di esse è destinato alle giurisdizioni locali secondo quanto riscosso localmente » (3).

Viene qui sottolineata una prima importante distinzione da cui è opportuno prendere avvio per una classificazione delle diverse fonti con cui possono essere finanziati i servizi indivisibili, cercando di individuare per ciascuna fonte gli obiettivi che essa specificamente consente di perseguire.

5. Se si vuole iniziare questa analisi prendendo in esame la situazione degli enti locali di livello inferiore, ossia dei Comuni, si può subito rilevare che un obiettivo da perseguire, e per cui si ma­ nifesta una generalità di consensi, è quello di garantire un flusso minimo di erogazione di servizi in misura standardizzata sul ter­ ritorio. Per il finanziamento di questa attività appare opportuno stabilire una forma di compartecipazione locale al gettito dei tributi erariali. In effetti, se viene garantita la compartecipazione ad un tipo di tributo per cui l’elasticità della base imponibile rispetto al Pii — a livello aggregato — sia almeno pari ad 1, e se l’aliquota della compartecipazione viene mantenuta costante, il livello minimo di erogazione dei servizi sul piano locale può crescere nel tempo ad un ritmo pari al tasso di crescita del reddito nazionale (4).

Si tratta quindi di scegliere la compartecipazione al gettito di un’imposta elastica per evitare che nel tempo vengano a mancare i mezzi di finanziamento destinati a coprire le esigenze di spesa per garantire la produzione di un determinato zoccolo minimo di servizi.

(3) Brosio G., Economia e finanza pubblica, La Nuova Italia, 1986,

p. 285.

(4) Se al tempo t0 la compartecipazione complessiva Oa è pari ad una quota c del gettito complessivo di un’imposta data T„ determinato a sua volta dall’applicazione di un’aliquota t ad una base imponibile B I0 che rappresenta una quota a sul reddito nazionale ¥,„ abbiamo O0 = c T0 ; T0 = t B I0 ; B I0 = a Y0 e quindi, per sostituzione C0 = c [t (a F 0)].

Se a è costante e quindi l’elasticità della base imponibile rispetto al reddito è dBI unitaria, e se il tasso di crescita proporzionale del reddito è h, allora -=-=— =X3i0

= - ^ - = h e dBI = h BI„ e quindi B I1 = BI„ + dBI = B I0 (1 + h). La compárte­ lo

(36)

Si è così definito l’ammontare complessivo della compartecipazione su scala nazionale.

Il secondo passo consiste nell’adottare una formula di distri­ buzione del totale così determinato tra i diversi enti locali. Il me­ todo più semplice è quello di adottare una distribuzione ugualitaria pro-capite.

In questo caso si prescinde dall’obiettivo perequativo, secondo cui « i Comuni più poveri debbono, a parità di popolazione, ricevere trasferimenti di importo superiore ai trasferimenti concessi ai Co­ muni più ricchi. La logica di un siffatto atteggiamento non sarebbe più quella di perequare la capacità di spesa, bensì quella di attribuire alla produzione dei servizi sociali il compito di perequare i livelli di reddito reale all’interno del paese; questo compito sarebbe rea­ lizzato sia attraverso l’impatto occupazionale diretto che si associa ad un’espansione relativa nella produzione dei servizi pubblici, sia attraverso la progressiva espansione dei consumi pubblici nelle aree sviluppate. L’espansione dei consumi pubblici, finanziata dalla col­ lettività nazionale, avrebbe l’effetto di ridurre i differenziali di red­ dito reale tra Regioni povere e Regioni ricche e di sostituirsi nelle Regioni più povere alla mancata o minore dinamica dei consumi privati ».

In proposito, la conclusione di Giarda, che ci sembra corretta, è che « l’obiettivo della perequazione dei livelli di reddito e dello sviluppo delle aree arretrate debba essere perseguito con strumenti di intervento diversi dalle spese correnti degli enti locali » (5).

Evidentemente l’adozione di una formula ugualitaria di distri­ buzione delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali assume che non vi siano economie di scala nella produzione dei servizi pub­ blici che rientrano nella fascia garantita, ovvero che i costi di pro­ duzione siano costanti al variare del livello di erogazione. Se la quantità di servizi erogati è proporzionale al livello di popolazione, questa formula distributiva contraddice l’ipotesi che la spesa pro­

capite dei Comuni abbia il tipico andamento ad U per classi crescenti

di ampiezza demografica (6).

(5) Giarda P., Finanza locale. Idee per una riforma, Vita e Pensiero, Milano, 1982, pp. 61-62.

(37)

differen-Per tener conto di questo fenomeno, che sembra empiricamente fondato, si può allora adottare la soluzione proposta da Giarda: « a) enti locali con uguale dimensione demografica dovrebbero ricevere dallo Stato assegnazioni di importo uguale; in altre parole, do­ vrebbero ricevere la stessa quota per abitante; b) la quota per abi­ tante attribuita ad enti locali di diverse dimensioni dovrebbe essere una funzione crescente della popolazione residente » (7).

In definitiva, si può ipotizzare che la compartecipazione pro­

capite al gettito di tributi erariali sia pari al costo minimo di

produzione dei servizi, la cui offerta debba essere garantita ai cit­ tadini su tutto il territorio del paese; e che le variazioni della quota per abitante attribuita ai Comuni a seconda dell’appartenenza a di­ verse classi di ampiezza demografica debba riflettere sia l’aumento del costo del servizio per livelli crescenti di produzione (8), sia l’at-ziali verticali nei trasferimenti erariali sono indicati nella Tabella I (tratta da: Min ist er o d eix’Interno, Rapporto sui trasferimenti finanziari 1985 dello Stato affli enti locali, Roma, Poligrafico dello Stato, 1985) dal rapporto tra la dotazione pro-capite di ciascuna classe e la dotazione pro-capite minima, che coincide sempre con la classe dei Comuni compresi tra i 5 e i 10 mila abitanti. In tu tti e tre gli anni l’andamento a TJ è marcato, così come si rileva normal­ mente per la spesa pro-capite, ma si attenua leggermente tra il 1983 e il 1985.

Amministrazioni comunali - classi demografiche, negli

Rapporti differenziali delle anni 1983, 1984 e 1985.

risorse pro-capite medie per

1983 1984 1985 Fasce demografiche: < 1.000 ... . . . . 1,47 1,41 1,40 da 1.000 a 1.999 . . ... 1,22 1,18 1,16 da 2.000 a 2.999 . . . . . . 1,18 1,12 1,10 da 3.000 a 4.999 . . . . . . 1,09 1,06 1,05 da 5.000 a 9.999 . . . . . . 1,00 1,00 1,00 da 10.000 a 19.999 . . . . . . 1,16 1,14 1,13 da 20.000 a 59.999 . . . . . . 1,30 1,25 1,25 da 60.000 a 99.999 . . . . . . 1,71 1,62 1,58 da 100.000 a 249.999 . . . . . . 1,76 1,68 1,64 da 250.000 a 499.999 . . . . . . 2,50 2,30 2,19 oltre 500.000 ... . . . . 2,42 2,25 2,15

(7) Giarda P., op. cit., pp. 67-68.

(38)

tivazione di nuovi servizi resi necessari dalla crescita della dimen­ sione del Comune. Ya qui sottolineato che la definizione dei servizi da attivare e delle risorse necessarie a questo fine deve avvenire con­ testualmente e con la partecipazione alla decisione dei livelli inferiori di governo, per evitare che lo Stato possa imporre nuovi oneri ai livelli sub-centrali di governo senza attribuire al contempo le risorse necessarie e per garantire quindi in modo sostanziale l’autonomia effettiva degli enti locali.

6. Si tratta ora di esaminare le diverse funzioni che possono essere attribuite ai trasferimenti discrezionali di risorse da parte dello Stato. Innanzitutto, nell’ipotesi che vi sia ampio spazio per l’imposizione autonoma degli enti locali, tradizionalmente si attri­ buisce ai trasferimenti una funzione perequativa della capacità di spesa per gli enti locali che dispongono di una base imponibile più ristretta. Ma questa funzione perde di rilievo se il finanziamento dello zoccolo minimo di servizi viene attribuito a tu tti i Comuni in modo uniforme sulla base del criterio del fabbisogno. Resta tu t­ tavia il fatto che lo Stato può mirare a realizzare una perequazione nel capitale sociale disponibile sul territorio garantendo il finanzia­ mento degli investimenti necessari per colmare il gap tra stock di capitale in un dato Comune e livello medio nazionale ovvero per creare le infrastrutture che consentano uno sviluppo dell’attività produttiva nelle aree più arretrate, mentre nelle aree più avanzate il finanziamento degli investimenti può avvenire o con i proventi dell’imposizione autonoma ovvero attraverso il ricorso al mercato dei capitali.

Inoltre, i trasferimenti possono essere modulati per tener conto degli elementi di fabbisogno che non sono collegati unicamente alla dimensione della popolazione, ma che risentono di altre condizioni socio-economiche o territoriali. Infine, i trasferimenti possono essere utilizzati nella loro funzione pigouviana, per correggere gli effetti esterni positivi che derivano dal traboccamento dei benefici, al di là dei confini degli enti locali : in questo caso, infatti, senza una politica di sussidi l’esistenza di esternalità positive tende a provocare una determinazione della spesa al di sotto del livello ottimale.

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minazione del flusso di erogazioni, ad ogni livello, debba essere decisa anche con la partecipazione del livello di governo inferiore (9).

In sostanza, i trasferimenti possono essere considerati in questa ottica come uno strumento essenziale per realizzare la programma­ zione, in un modello in cui appunto agli enti territoriali minori è affidato in prevalenza il compito della gestione dei servizi (reali e personali), mentre i livelli superiori hanno compiti prevalentemente di governo e di programmazione.

In questa prospettiva, la compartecipazione alle decisioni con­ sente anche di garantire la certezza delle entrate disponibili per gli enti di livello più basso e quindi la possibilità di un’efficace program­ mazione finanziaria, ivi inclusa la determinazione del livello neces­ sario di imposizione autonoma.

7. Fino a questo punto si sono prese in considerazione sostan­ zialmente tre fonti di entrata per gli enti locali:

a) tariffe e prezzi pubblici per coprire il costo dei servizi divi­ sibili, in applicazione del principio del benefìcio;

b) compartecipazioni al gettito dei tributi erariali per coprire il costo di un livello minimo di servizi pubblici indivisibili, di uguale ammontare pro-capite per enti della stessa dimensione demografica e crescenti al crescere della popolazione;

c) trasferimenti da parte dei livelli superiori di governo, che mirano essenzialmente a coprire le differenze nelle spese pro-capite fra diversi enti dello stesso livello non imputabili a fattori demo­ grafici, a correggere le esternalità e a realizzare gli obiettivi della programmazione, in particolare attraverso una perequazione del ca­ pitale sociale disponibile sul territorio.

A questo mix di entrate si aggiunge l’imposizione autonoma, che risponde anch’essa ad una pluralità di obiettivi.

In primo luogo, si ritiene che essa possa consentire di frenare la crescita della spesa pubblica locale. Su questo punto è necessario qualche chiarimento. Se infatti si vuole misurare il peso dell’aggre­ gato « enti locali » partendo, attraverso i dati di contabilità nazionale, (9) Su questa esigenza di partecipazione dei livelli inferiori di governo alle decisioni prese ai livelli superiori e sui meccanismi istituzionali per rea­ lizzarla, attraverso un sistema bicamerale, dove nella seconda camera siano rappresentati i livelli inferiori, si è particolarmente insistito in un lavoro pre­ cedente. Cfr. Ma jo c c h i A., Le procedure della programmazione e il Senato

(40)

da una valutazione della quota della spesa corrente di questi enti sul totale della P.A., l’aumento che risulta essersi verificato fra il 1973 e il 1985 è molto contenuto : si passa infatti dal 23,5 % al 25,7 %. Ma il dato qui utilizzato è parzialmente fuorviante, in quanto nel periodo in esame è intervenuta un’importante modificazione isti­ tuzionale, attraverso l’accentramento in capo allo Stato dell’indebi­ tamento complessivo del sistema. In conseguenza, la spesa per inte­ ressi degli enti locali sul totale della spesa corrispondente della P.A. è diminuita dal 43,9 % al 9,2 % ; al contempo, la spesa per interessi che grava sul settore statale è andata accrescendosi molto rapida­ mente nell’ultimo decennio a seguito dell’accelerazione del ritmo in­ flazionistico. Un confronto più corretto va allora effettuato al netto della spesa per interessi: in questo caso la spesa corrente degli enti locali sul totale della P.A. passa nel periodo considerato dal 22 % al 29,3 %, con un aumento pari a 1/3 in termini reali. Una ten­ denza analoga, anche se leggermente più contenuta, si può rilevare per i consumi collettivi che, in quota sul totale della P.A., passano dal 37,1 % nel 1973 al 44,1 % nel 1985.

Ma l’incremento più consistente si manifesta nel settore degli investimenti fissi lordi, per cui la quota degli enti locali passa dal 50 % nel 1973 al 62 % nel 1985 (10).

Vi è stato quindi un aumento consistente della spesa degli enti locali, nel periodo che segue l’avvio della riforma tributaria e che vede la progressiva scomparsa dell’autonomia impositiva degli enti locali. Anche se è più che mai opportuno in questo campo astenersi da affrettate generalizzazioni, non appare eccessivamente azzardato ritenere che un ritorno, entro i limiti prima definiti, ad un’autonoma capacità di prelievo possa presentare un freno efficace alla crescita della spesa e, in alcuni casi, addirittura un incentivo alla sua ri­ duzione.

In effetti, le considerazioni che spesso vengono avanzate sul li­ vello « ottimale » di spesa sono del tutto arbitrarie se non ven­ gono riferite ad un metro certo di valutazione. Così, si può forse affermare che la spesa locale è eccessiva se i beneficiari non sono disposti ad accollarsene il costo, depurato dagli effetti esterni po­ sitivi che sono giustamente a carico di collettività più vaste. Ma se la spesa locale viene finanziata attraverso trasferimenti è evidente, anche senza utilizzare raffinati modelli di public choice, che gli am­ ilo) Per queste osservazioni cfr. Os c u l a t i 1’., Tendenze e problemi delle

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ministratoli non avranno convenienza a ridurre la spesa, mentre questo esito si verificherà se i cittadini sono tenuti a concorrere, almeno in parte, alla copertura dei costi.

In questo caso, infatti, i cittadini o non sono disposti a pagare per un servizio i cui benefici sono inferiori ai costi, e quindi prefe­ riscono aumentare i consumi privati, ovvero votano per una ridu­ zione del servizio in questione per far spazio a nuovi servizi di mag­ giore interesse per la collettività.

Ma, oltre a questo effetto di freno sull’aumento della spesa, l’autonomia impositiva accresce la responsabilità degli amministra­ tori e attiva il controllo dei cittadini sulla gestione della cosa pub­ blica. In realtà, il sistema attuale di finanziamento della spesa degli enti subcentrali non fa emergere il costo reale della produzione dei servizi pubblici locali, in quanto il cittadino non è in grado di di­ stinguere in che misura il suo carico fiscale complessivo risulta ag­ gravato dalla necessità per il settore statale di effettuare trasferi­ menti a favore dei livelli inferiori di governo. Nel sistema di finan­ ziamento qui delineato la trasparenza è notevolmente accresciuta, e in conseguenza risulta pure rafforzata la possibilità di controllo democratico. In effetti, le compartecipazioni al gettito dovrebbero garantire a tutti i cittadini di godere di una quantità minima di servizi locali considerati dallo Stato alla stregua di merit goods. La copertura dei differenziali di costo, giustificabili sulla base di para­ metri territoriali o socio-economici, i sussidi commisurati agli effetti esterni positivi della spesa locale, ovvero la perequazione nella dota­ zione di capitale sociale verrebbero assicurati con trasferimenti

ad hoc. Un ente locale dovrebbe quindi ricorrere all’imposizione

autonoma soltanto per migliorare la qualità e la quantità dei servizi offerti ovvero per mettere a disposizione dei suoi cittadini nuovi servizi, in aggiunta a quelli offerti alla generalità del paese. Se questo non si verifica, i cittadini si renderanno conto che la produ­ zione del minimo garantito di servizi pubblici avviene a costi supe­ riori a quelli medi, e quindi che l’imposizione autonoma serve unicamente a coprire l’inefficienza degli amministratori locali.

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