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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1960, Anno 19, n.3, settembre

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(1)

SETTEMBRE 1960

P u b b lic a z io n e trim estrale

Anno X IX - N. 3

Spedizione in abbonamento postale - Gruppo I V

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A DELLE F I N A N Z E

Fondata da B E N V E N U TO G R IZ IO T T I

(e

RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)

(2)

bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia etc. Redattore Capo, prof. Francesco Forte.

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Estero . . . . » 1500

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Per ogni effetto l ’abbonato elegge domicilio presso l ’amministrazione della rivista.

AB B O N AM E N TI C U M U LA TIV I : Gli abbonati alla Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delie Finanze, in regola con il pagamento, hanno diritto ad una ridu­ zione del 10 % sugli abbonamenti alla Rivista dei Dottori Commercialisti ed a II Diritto fallimentare e delle società commerciali, edite dalla Casa Dott. A. Giuffrè.

(3)

INDICE-SOMMARIO

P A R T E P R I M A D O T T R IN A

Pag.

Gia n n in o Parkavicini - Vecchie e nuove considerazioni sul debito pubblico 221 Angelo Du s - Considerazioni sulla discrezionalità nell’accertamento tri­

butario ...238 Franco Vo l p i - A proposito di una recente discussione in materia di am­

mortamenti f i s c a l i ...263 Premiano Picarelli - Alcune note intorno all’abolizione della I.G .E . in

a b b o n a m e n t o ...275 Sebastiano Mu s u m e c i - Sulla soglia della riform a del contenzioso tributario 293

A P P U N T I E RASSEG NE

Renato Ricci - Rassegna dei lavori parlamentari in materia finanziaria nel secondo trimestre I960 ... 313

Premio per il m igliore contributo originale agli studi di finanza pubblica 348

R E C E N S IO N I

Vilfredo Pareto- Lettere a Pantaleoni (J. G rlzio ttl Kretsehm apn) . . . 350

O PE R E R I C E V U T E ... ...352

RASSEGNA D I P U B B L IC A Z IO N I R E C E N T I ...354

P A R T E S E C O N D A N O TE A S E N T E N Z E E D E C IS IO N I

Gia n Antonio Mic h e l i - In tema di costituzionalità del « solve et repete » 109 Costantinode Bono- L ’ingiunzione fiscale: natura ed efficacia . . . . 174 Giu s e pp e Greco- Sentenze nei giudizi aventi per oggetto azioni revocato­

ne fallim entari e sentenze dichiarative di avocazione alla massa dei creditori dei beni acquistati dal coniuge del fa llito : disciplina tribu­ taria r e l a t i v a ...133 Francesco Valenziano - Finizione dei repertori degli atti - Poteri polizia

t r i b u t a r i a ...138 Gio vanni Ravagli- Validità della dichiarazione di prezzo o di valore fatta

(4)

Imposte indirette - Opposizione ad ingiunzione - « Solve et repete » - In ­ costituzionalità della norma - Questione non manifestamente infon­ data (Prêt. Pavia, 21 marzo 19ÍÍ0) (con nota di G. A . Mic h e l i) Registro e successione - Ingiunzione - Causa del debito - Rilevanza im­

plicita - Non sussiste nullità (Cass., 9 maggio 1956 n. 1520) (con nota di C. De Bono) ...

Imposta di registro - Fallimento - Revocatoria - Sentenza di accogli­ mento di azione revocatoria fallimentare di compravendita - Inappli­ cabilità dell’imposta proporzionale (Trib. Milano, 9 aprile 3959) (con nota di G. Greco) ...

Registro - Scrittura privata non registrata - Inesistenza di violazioni ai fini del bollo e dell’I.G.K. - Registrazione di ufficio - Inammissibilità. Repertori degli atti - Poteri della Polizia tributaria (Comm Centr 17

gennaio 1958, n. 502) (con nota di F . Valenziano)

(5)

CASA EDITRICE DOTT. ANTONINO GIUFFRÈ - MILANO

E R A LD O F O S S A T I

PROBLEMI

DEI NOSTRI GIORNI

NOTE ECONOMICHE DEL PERIODO 1946-1957

Problemi nazionali - Problemi internazionali - Visioni sul mondo - Tendenze del nostro tempo - Appendici.

« In questa pubblicazione sono raccolti molti articoli dell’illustre pro­ fessor Fossati, apparsi in riviste e giornali. Gli argomenti cbe egli svolge, non hanno un’impostazione unitaria e sistematica, giacché af­ frontano le questioni di attualità necessariamente varie e senza alcun filo conduttore. Questa frammentarietà però non toglie nulla al valore intrinseco del contenuto. I l lettore, che svolgerà le pagine così dense di questo volume, si imbatterà nelle soluzioni nette e precise dei pro­ blemi, che affiorano di continuo sul tormentoso terreno economico nel decennio trascorso dal ’46 al ’57. Nessuno dei problemi economici, sia di carattere nazionale sia internazionale, che nel periodo menzionato si sono agitati, è sfuggito a ll’abile penna dell’autore. E gli ha saputo svincolarsi dai vecchi schemi dell’economia classica, che aveva perduto di vista l'uomo reale per correre dietro al fantoccio astratto dell'uomo oeconomicus... Sono pagine, che offrono materia di ripensamento per chi detiene le redini del potere politico economico ».

(Da la « C iviltà Cattolica » del 21 novembre 1959)

Volume in 8°, pag. V III-249

(6)

BENVENUTO GRIZIOTTI

P R I M I E L E M E N T I

DI SCIENZA DELLE FINANZE

Sesta edizione accresciuta ed aggiornata per cura

di

Fr a n c e sc o Fo r t e.

Volum e in 8° di pag. IV-323

.

. . . L. 1200

JENNY GRIZIOTTI KRETSCHMANN

P O L I T I C A E C O N O M I C A

E F I N A N Z I A R I A

Volum e in 8° di pag. Vl-276

L. 1200

SAGGI S U L L ’ E C O N O M I A

E S U L L E F I N A N Z E S O V I E T I C H E

Volum e in 8° di pag. IV-108

L . 500

(7)

CASA EDITRICE DOTT. ANTONINO GIUFFRÈ - MILANO

C A R L O M A S I N I

LA D I N A M I C A E C O N O M I C A

NEI SISTEMI DEI VALORI D’AZIENDA :

VALUTAZIONI e RIVALUTAZIONI

In t r o d u z io n e

L A M O N E T A E L ’E C O N O M IA D ’A Z IE N D A Capitolo I: La moneta nell’economia. - Capitolo 11: Le aziende, i mercati : La moneta e il credito.

Lib r o I

L A D IN A M IC A D E G L I A C C A D IM E N T I E C O N O M IC I Capitolo I: L ’investigazione della dinamica economica. - Capi­ tolo I I : L ’osservazione delle fluttuazioni delle quantità econo­ miche svolta secondo diversi gradi di astrazione. - Capitolo III: I settori economici del consumo e della produzione. - Capitolo IV : Il movimento economico generale di un paese.

Lib r o I I

IL D IN A M IC O S IS T E M A D E I V A L O R I D ’ A Z IE N D A Capitolo 1: L e proposizioni generali. - Capitolo II: Le appli­ cazioni. - Capitolo 111: Le questioni complementari. - Appen­ dici.

V o lu m e in 8 ° di p ag. X X X I I - 976, con g ra fici e tabelle L. 5000

(8)

atenti-G IO R D A N O D E L L ’ A M O R E

ASPETTI A Z I E N D A L I E S O C I A L I

DELLA PO LITICA ECONOMICA E F IN A N Z IA R IA

So m m a r i o: Parte prima - MONETA, R ISPAR M IO ,

CREDITO E B AN C H E: Rapporti quantitativi fra la cir­ colazione monetaria e la moneta scritturale - I l regime valutario attuale - La giornata internazionale del r i­ sparmio - La formazione del risparmio nelle attuali con­ dizioni della vita sociale - L ’accumulazione del risparmio in rapporto al saggio dell’interesse - Risparmio e giusti­ zia sociale - La crisi della politica dello sconto delle ban­ che centrali - La funzione delle Casse di Risparmio nel sistema bancario italiano - Le caratteristiche economiche nei depositi delle Casse di Risparmio italiane - La po­ litica degli investimenti delle Casse di Risparmio - Un saggio provvedimento finanziario - Le riserve di liquidità - La disciplina coattiva della liquidità bancaria - I saggi di interesse sui depositi nel sistema dei tassi bancari - Le fluttuazioni dei depositi e la politica degli investimenti nelle banche di credito ordinario - I finanziamenti indu­ striali a medio termine - La funzione del credito agrario nel finanziamento della produzione - L ’organizzazione del credito agrario internazionale - I l riordinamento del cre­ dito agrario in Italia.

Parte seconda - AG RIC O LTU RA, IN D U S T R IA E

COMMERCIO: Fini precettistici e fini conoscitivi degli studi di politica agraria - La politica agraria della nuoya Italia - Democrazia e ruralità - La terra agli agricoltori - La politica delle importazioni agricole - I cicli finan­ ziari della produzione agraria - La difesa dell’economia montana - Gli ammassi obbligatori e la stabilità dei prezzi dei prodotti agrari - La disciplina internazionale del lavoro agricolo - I l valore degli impianti industriali - Aspetti finanziari della produttività - Attuali orienta­ menti negli studi di tecnica commerciale - I costi di di­ stribuzione - I problemi attuali del nostro commercio con l’estero - I l commercio estero nel quadro della politica economica italiana - L ’economia della regione lombarda - I l riscatto economico e sociale delle aree arretrate.

Volume di pag. X -686...L . 3.000

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CASA EDITRICE DOTT. ANTONINO GIUFFRÈ - MILANO

G IU S E P P E U GO P A P I

T E O R I A

D E L L A

C O N D O T T A E C O N O M I C A

D E L L O S T A T O

ci... Concludendo : le nostre chiose se da un lato manifestano il forte interesse destato dalla nuova opera del Papi — un volume denso di insegnamenti che invita a profonde riflessioni — dal­ l’altro sottolineano anche nel suo significato di stimolo a discussioni ed a ripensamenti critici, il valore scientifico della magistrale analisi dell’A., tendente a pervenire ad un’organica teoria della condotta economica dello Stato » (A. Pr e d e tt i, L ’Industria, luglio 1956).

«... I saggi riuniti nel volume, per la posizione eminente del­ l’A. tra gli studiosi dei problemi economici, nonché per l’evidente importanza degli argomenti assunti ad oggetto di indagine, non hanno mancato di imporsi all’attenzione sia degli economisti di professione sia di lettori comunque interessati ai detti problemi. Anche per chi abbia meditata conoscenza dei singoli saggi la rac­ colta odierna offre peraltro nuovi motivi di riflessione, ulteriori sti­ moli all’approfondimento, possibilità accresciute di rendersi conto delle aperture che i saggi stessi additano,.. » (F. Caffè, Bancaria, luglio 1956).

« L ’illustre economista romano ha raccolto in questo volume molteplici indagini condotte in passato. Ne è derivato un volume di straordinaria compitezza e perspicuità su un problema di fon­ damentale importanza » (24 Ore, 7-10-56).

Volum e in 80 di pagine X VI-412 - Rilegato in tela - Lire 2500

(10)

A S S O C IA Z IO N E F R A LE S O C IE T À I T A L IA N E P E R A Z IO N I - R O M A

M I M I M I DELLE IMPOSTE

R assegna d elle d ecisio n i di m assim a della C o rte di Cassazione e d ella C o m m issio n e C en tra le d elle im p oste

co n note e studi di diritto tribu tario

COMITATO DIRETTIVO

A w . L U IG I B IA M O N T I

A w . Prof. G IA N C A R LO FRÈ - A w . Prof. G IN O DE G EN N ARO

REDATTORE

A w . Prof. A N T O N IO B E R L IR I

TRIMESTRALE

Prezzo di abbonamento annuo: L. 2.000

m v l t a

J

PAVCISI

AG

DOTT. A. G IUFFRÈ - EDITORE MILANO

(11)

V E C C H IE E N U O V E C O N S ID E R A Z IO N I S U L D E B IT O P U B B L IC O

1. G li argomenti a favore e contro il debito pubblico, le analisi dei suoi effetti economici e della ripartizione temporale dell’onere che ne discende, sono dai più considerati, ha detto recentemente lo Hansen, una questione troppo ripetuta e non attuale (1). Alcuni scritti apparsi in questi ultim i tempi dimostrano l ’ opposto : nell’am­ bito degli effetti economici molti aspetti appaiono ancora incerti, oscuri o non sufficientemente tra tta ti; nell’ambito più strettamente finanziario della ripartizione nel tempo dell’ onere delle spese pub­ bliche, la discordanza del linguaggio e il riaffiorare di un non sopito spìrito polemico risospingono ancora alcuni studiosi verso posizioni estreme, per le quali il debito pubblico graverebbe unicamente sulla generazione presente o sulle generazioni venture.

In questo secondo ambito ha recentemente attirato l ’ attenzione un libro di uno studioso americano, James Buchanan, che, rivendi­ cando la validità della concezione da lui definita « classica », ripro­ pone il debito pubblico quale strumento finanziario atto a trasferire il peso delle spese pubbliche sulle generazioni future (2). I l tentativo non è riuscito, nè potrebbe essere altrim enti ; esso ha comunque il merito di non essersi circoscritto a rappresentare noti dissensi o vec­ chi dubbi, che già hanno avuto una risposta, e quello di sospingere il lettore a riconsiderare risultati prima non sufficientemente me­ ditati.

2. Secondo il Buchanan alla concezione « classica » del debito pubblico, che ne addosserebbe tutto l ’onere alle generazioni venture,

(1 ) Au v in H . Ha n s e n, The Publio Debt Reconsidered: A Review A r­ tid e in « The Review o f Economics and Statistics », novembre 1959, pp. 370- 378.

(2) Ja m e s M. Bu c h a n a n, Publio Prìnoiples o f Public Debt, A Defence and Restatement, Irwin, Homewood, 1958, pp. X+223. L ’interesse del Buchanan per il debito pubblico si accese durante un soggiorno in Italia nell’ anno accade­ mico 1955-56, e scaturì dalla conoscenza che fece della nostra letteratura finan ziaria e del dibattito che da noi si è svolto sul teorema ricardiano.

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H.C. Adains, C.F. Bastable e P. Leroy-Beaulieu, si sarebbe sostituita una « nuova ortodossia » per la quale, al contrario, l ’onere sarebbe integralmente della generazione presente (3). Sempre secondo il Bu­ chanan la nuova ortodossia si appoggerebbe ai seguenti tre « ba­ luardi » teorici : 1) il debito pubblico interno non esige alcun sacri­ ficio dalle generazioni future, in quanto lo stato acquisisce, con la spendita del ricavo del prestito, unicamente beni e servizi presenti ; 2) il debito pubblico interno si distingue nettamente dal debito p r i­ vato; mentre il debito privato determina al suo sorgere un accresci­ mento delle risorse a disposizione del debitore e successivamente una loro riduzione, il debito pubblico interno non determina alcun ac­ crescimento delle risorse della collettività nel momento in cui si ha l’ emissione del prestito, nè una loro diminuzione, quando ha luogo il pagamento degli interessi; 3) il debito pubblico estero ha natura ed effetti nettamente diversi da quelli del debito pubblico interno ed è in tutto simile al debito privato.

I l Buchanan contesta la validità dei tre « baluardi » che ritiene strettamente connessi, ugualmente necessari alla « nuova, ortodossia » e colpevoli perciò delle sue fortune.

N ella sua analisi diretta ad accertare la generazione, o le genera­ zioni, su cui grava l ’ onere del debito pubblico, egli giustamente circo­ scrive il proprio ragionamento ai prestiti « reali », i quali insieme comprendono i due momenti, del volontario trasferimento dai privati allo stato dei d iritti sulle risorse esistenti, e della spesa, o della effettiva acquisizione pubblica di queste risorse, provengano esse dal reddito corrente o facciano parte del patrimonio ; e rinvia ad un se­ condo tempo l ’ analisi dei prestiti monetari (4). Inoltre, presuppone

(3) Non appare chiaro, a quale periodo nella storia del pensiero finan­ ziario debba attribuirsi questa dottrina. I l Peacock, nella sua recensione al volume del Buchanan, abbandona la definizione di « nuova ortodossia » e di­ scorre apertamente di una teoria keynesiana del debito pubblico. Non mi sem­ bra che la sostituzione sia lecita : il Buchanan, pur riferendosi frequentemente al Lerner e ai keynesiani, non pone lim iti temporali e teorici. D ’altronde la principale affermazione della « nuova ortodossia » apparve nel secolo X V III (,T. P . Melon). Vedasi: Ax a n T . Peaoock, The RehaMlitation of Classiceli Deht Theory, in « Economica », maggio 1939, pp. 161-66.

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una spesa pubblica, finanziata dal prestito, abbastanza piccola r i ­ spetto al reddito e agli investimenti della collettività, sicché gli ef­ fe tti sul saggio dell’interesse e sui prezzi sarebbero trascurabili; li­ mita la vita della generazione presente al tempo occorrente per la sottoscrizione del prestito e la sua spesa ; postula un mercato in cui prevalgono le condizioni di libera concorrenza ; e, infine, poiché sol­ tanto l ’individuo è soggetto senziente, sposta ogni ragionamento dal campo macroeconomico a quello microeconomico.

Queste premesse e questi criteri metodologici pongono la « nuova ortodossia » del debito pubblico alla sua mercè. I l primo « baluardo » è anche il primo a cadere : la sottoscrizione ad un prestito pubblico, in quanto avviene liberamente è, per ciò stesso, la forma più vantag­ giosa d’impiego delle disponibilità del sottoscrittore. Questi non sop­ porta che il sacrificio della rinuncia ad avvalersi nel tempo presente delle risorse che sono date a prestito allo stato, sacrifìcio inferiore al vantaggio che il prestito in sé offre ; egli consegue pertanto un van­ taggio differenziale. Poiché l ’insieme dei vantaggi differenziali dei singoli rispetto ad altre form e d’impiego non può avere che un valore positivo, non ha senso discorrere di un sacrificio connesso al trasferi­ mento di risorse da impieghi privati a impieghi pubblici. Poiché, inol­ tre, nel periodo di tempo, nel quale ha luogo l ’emissione del prestito e la spesa del suo ricavo, non v ’è ancora pagamento di tributi per il servizio degli interessi, il sacrificio connesso al pagamento dei tributi è a sua volta delle generazioni venture, alle quali soltanto apparten­ gono i contribuenti. L ’ onere prim ario di spese pubbliche finanziate con prestiti cade di conseguenza sulle generazioni venture; esso è, sottolinea il Buchanan, un onere reale, che trae origine dalla coat­ tiva cessione allo stato di risorse reali (5).

attività, finanziata col prestito, con il prestito stesso. I l metodo da lui se­ guito è corretto; non è possibile determinare l ’onere, o l ’incidenza, di un provvedimento finanziario di ordine generale, sia esso imposta o prestito, total­ mente ignorando l ’altra parte del bilancio, la spesa, o i mutamenti compensativi dell’entrata. Se si ha presente il solo momento dell’introito dei mezzi monetari, o della loro spesa, ogni dibattito sulla ripartizione degli oneri del prestito pub­ blico tra le diverse generazioni non ha più senso. L ’emissione di un prestito è sempre null'altro che deflazione, più ampia quando sottoscrivono i privati, meno ampia quando sottoscrivono le banche; il pagamento degli interessi è sempre null’altro che inflazione. Cfr. di Abba P. Lerner, la recensione al volume del Buchanan in « Journal o f Politicai Economy », aprile 1959, pp. 203-6.

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L a sostituzione dell’individuo alla collettività e la limitazione temporale della generazione presente fanno di per sè cadere anche il secondo « baluardo » (differenza tra debito pubblico interno e de­ bito privato) : come non si può discorrere di un sacrificio attuale in dipendenza della volontaria cessione di risorse allo stato, neppure si può parlare di assenza di sacrifici per le generazioni future, cioè per le generazioni sulle quali graverà il prelievo coattivo del paga­ mento degli interessi. La inconsistenza del secondo « baluardo » e la sostanziale somiglianza tra debito pubblico interno e debito privato sarebbero, d’altronde, ben evidenti per il Buchanan qualora anche per il debito pubblico si ponesse a base dell’analisi sempre lo stesso soggetto, il sottoscrittore-creditore oppure il contribuente-debitore, anziché confondere i d iritti dei creditori con le obbligazioni dei de­ bitori.

Infine il terzo .« baluardo », (differenza tra il debito pubblico in­ terno e il debito estero) è, a sua volta, inconsistente per l ’ omissione, su cui si basa, dei diversi effetti economici dei due tipi di prestiti. I l prestito interno consente allo stato di acquisire una quota di risparmio, che altrim enti avrebbe preso (o avrebbe potuto prendere) la strada degli investimenti p rivati; il prestito estero lascia immu­ tato l ’ammontare degli investimenti privati. Ma il reddito priva­ to disponibile viene ad essere in entrambi i casi inferiore a quello che si sarebbe avuto se lo stato non avesse emesso il prestito ; nel primo caso perchè si riduce lo stesso reddito sociale, nel secondo caso perchè il reddito sociale viene ad essere gravato dell’ onere del paga­ mento degli interessi a ll’ estero. Se si prescinde dalle complicazioni valutarie e monetarie collegate al trasferimento del servizio dei pre­ stiti esteri, e dai diversi effetti sulla propensione al risparmio e sul consumo, non v i sono due tip i contrastanti di prestiti, vi sono sol­ tanto due diverse fonti di finanziamento, la cui scelta dovrebbe d i­ pendere unicamente dal raffronto dei saggi dell’ interesse e delle altre condizioni, alle quali i prestiti possono essere alternativamente ot­ tenuti.

(15)

tempo appianati, lo abbia condotto a fa r risaltare un’ opposizione di opinioni ben più ampia di quella realmente esistente, e a dare vita a una immaginaria « nuova ortodossia » del debito pubblico, a ttri­ buendo ad essa ogni interpretazione errata, o da lui ritenuta tale (6). V i è un solo « baluardo » necessario, che, però, non è sufficiente, a sostegno della tesi che il debito pubblico grava unicamente sulla generazione presente, ed è il primo, nella ipotesi e con le considera­ zioni che lo rendono valido, e nei lim iti di tale validità. I l secondo, della distinzione tra debito pubblico interno e debito privato, è un corollario del primo, derivazione della concezione organica della collettività che ne sta. alla base (7).

I l terzo « baluardo » (natura nettamente diversa del debito pub­ blico estero rispetto a quello interno) è stato abbattuto da tempo as­ sai antico, da studiosi, i quali cionondimeno hanno accettato la fonda- mentale proposizione della « nuova ortodossia », e può pacificamente essere accantonato anche se in esso hanno mostrato ancora di credere illustri studiosi di finanza, come il Pigou e il Lem er (8).

(6) In corrispondenza privata il Buchanan riconosce di avere accentuato forse eccessivamente i contrasti, ma attribuisce questa accentuazione di con­ trasti alla esigenza di sviluppare fino alle conseguenze logiche più estreme ciò che è implicito nelle linee dei ragionamenti degli uni e degli altri. La sua obie­ zione ha un indubbio peso, ma a mio avviso la questione riguarda appunto la rilevanza, o la non rilevanza, delle due posizioni estreme nell’ambito del pen­ siero sul debito pubblico.

(7) Il Buchanan iter dimostrare la sostanziale identità tra il debito pub­ blico e quello privato, suppone 1’esistenza nel seno della collettività di due gruppi : il gruppo dei sottoscrittori del debito pubblico, la cui posizione è si­ mile a quella dei prestatori privati, giacché i frutti del titoli pubblici non sono che benefici alternativi di altri che il singolo avrebbe potuto procurarsi con le somme imprestate; e il gruppo dei contribuenti-debitori, che dovrebbero assi­ milarsi ai debitori privati, nella supposizione che i contribuenti siano anche i beneficiari della spesa del prestito pubblico. In realtà non esiste tra il debito pubblico e l ’obbligazione tributaria alcun rapporto diretto, nè giuridico nè eco­ nomico. Sotto il profilo giuridico si hanno due ambiti ben distinti di rapporti : quelli in essere tra i sottoscrittori e lo stato debitore, e rispettivamente quelli in essere tra lo stato, che si avvale della sua potestà impositiva, e i contribuenti. Sotto il profilo economico esistono unicamente due gruppi nettamente indivi­ duabili, il primo dei sottoscrittori-creditori e il secondo dei contribuenti, gli uni e gli altri diversamente appartenenti, a loro volta, aile schiere di coloro che sono stati danneggiati dalla flessione della spesa privata e di coloro che sono stati avvantaggiati dalla nuova spesa pubblica (v. prg. 4). I sacrifici e i vantaggi, valutati e attribuiti dallo stato secondo criteri di interesse generale, non si ri­ partiscono tra i singoli in conformità ai presupposti razionali che regolano i prestiti privati ; il prestito pubblico determina sempre una redistribuzione dei redditi dei singoli, la quale trascende la legge del mercato privato dei prestiti.

(16)

Da noi. già nel 1891 il Pantaleoni indicò con chiara evidenza l ’i ­ dentità economica tra prestito interno e prestito estero. « L a con­ dizione prima e fondamentale, egli scrisse, perchè un debito possa gravare l ’avvenire, è, non già che il capitale venga dall’estero, ma che il debitore non possegga tanto quanto prende a prestito » (9). Lo stesso Einaudi e il B orgatta non hanno mancato, tra altri, di a tti­ rare più tardi l ’attenzione sulla simiglianza di fondo dei due pre­ stiti (10).

4. I l Buchanan ha il merito di avere ricordato quanto già altri prima di lui, tra i quali il nostro G riziotti (11), avevano osservato : il trasferimento di risorse dalla collettività allo stato che avviene mediante un prestito sottoscritto liberamente, non impone alcun sa­ crificio ai sottoscrittori. I l ragionamento del Buchanan, impostato entro la cornice delle premesse di cui s’è detto e condotto in termini di scelte individuali tra sacrifici e vantaggi relativi, non fa qui una piega; l ’ emissione di un prestito pubblico è regolata, quando non sia forzosa o politica, dalle leggi che sovraintendono agli scambi tra beni presenti e beni futuri.

I l consenso cessa quando il Buchanan, partendo da questa pre­ messa, ritiene grazie a successive ipotesi lim itative di dimostrare l ’ in­ consistenza della « nuova ortodossia » e la fondatezza della proposi­ zione sul trasferimento dell’ onere del debito pubblico da una genera­ zione a quelle future. Dapprima egli restringe la durata della gene­ razione presente al solo periodo di tempo occorrente alla sottoscri­ zione del prestito e alla spesa del suo ricavo, in modo che unicamente le generazioni future siano chiamate a pagare l ’ imposta perenne or­ dinaria, e afferma esplicitamente che si propone non di conoscere se l ’onere cade su coloro che sono presenti quando lo stato ricorre a un prestito oppure sui figli e sui nipoti, bensì se l ’onore del prestito può o non può essere rinviato in un secondo momento. Ma poi, con uso

(9) Maffeo Pantaleoni, Imposta e prestito in riguardo alla loro pressione, in « Giornale degli economisti », 1891, da ultimo ripubblicato in « Studi di finan­ za e di statistica », Zanichelli, Bologna, 1938, pp. 1949-166. R if. p. 165. Inoltre : Fenomeni economici della guerra, in « Giornale degli economisti », 1916, pa­ gine 210-03.

(10) Lu ig i Ein a u d i, P rin cip i di scienza della finanza, Einaudi, Torino, 1956. R if. p. 356.

Gino Borgatta, La finanza della guerra e del dopoguerra, Succ. Cazzotti e C., Alessandria, 1945. Rif. pp. 220-23.

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indebito del termine di generazione, egli interviene nelle controversie di coloro pei quali questo termine ha il consueto significato e pei quali, come pel nostro Pantaleoni, « le generazioni successive si allineano nel tempo non già come serie di quantità discrete ma in form a di un continuum , a modo delle singole fibre di canepa costi­ tuenti una corda » (12).

Quindi il Buchanan, mentre da un canto suppone una condotta razionale pei sottoscrittori che fanno scelte ponderate secondo la propria conoscenza dei fa tti e la propria capacità d’intenderli, dal­ l ’altro suppone che i contribuenti di domani non prevedano il carico fiscale che loro cadrà sulle spalle. In fa tti soltanto in un mondo economico non razionale, più opaco ancora di quello che l ’ esperienza ci presenta, dove l ’ emissione di un prestito non susciti considerazioni sulle sue conseguenze, nè si ricordino passate vicende analoghe, nè si facciano previsioni, il futuro onere fiscale non tocca anche la ge­ nerazione presente, pur non oltrepassando la durata di questa il momento della spesa pubblica del ricavo del prestito, e non ne modi­ fica i piani e le scelte. La conclusione cui egli perviene, considerando il singolo in un solo istante della sua esistenza, si riduce alla mera affermazione che l ’ onere del tributo si avverte unicamente nel mo­ mento in cui lo si paga.

Infine il Buchanan, la cui analisi, è forse d ’uopo ricordare si r i­ ferisce ai prestiti « reali », non riconosce il dovuto peso ai restanti gruppi economici, dei produttori, dei risparmiatori, dei consumatori, e via dicendo, che, accanto ai sottoscrittori e ai contribuenti, compon­ gono la società. G li imprenditori che debbono pagare un saggio dell’interesse più elevato per i capitali che prendono a prestito, o che sono costretti a uscire dal mercato, i detentori dei fattori pro­ duttivi che soffrono una flessione della loro domanda, i consumatori, che vedono rincarare i beni da loro preferiti, tu tti costoro subiscono indubbiamente un danno dall’ emissione di un prestito pubblico. Il Buchanan avverte l ’ obiezione e tenta di contenerne la rilevanza. In un primo tempo suppone, come si è detto, un prestito di importo assai modesto, sicché, la sostituzione della domanda pubblica di risparmio a quella privata, quando il prestito è finanziato con quote di reddito che sarebbero state comunque destinate a risparmio, o la sua addi­ zione, quando il prestito è finanziato con quote di reddito che a ltr i­ menti sarebbero state destinate al consumo, non avrebbe influenza sul saggio dell’interesse e sui restanti prezzi. Sucessivamente, a

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«trazione fatta, egli abbandona questa restrizione e ammette che vi possano essere delle variazioni sia del saggio dell’interesse che dei prezzi ; ma conclude ugualmente nel senso che l ’ eventuale danno di al­ cuni è di natura secondaria, più che cox>erto dal vantaggio che afflui­ sce agli altri per cui i risultati acquisiti non verrebbero sostanzial­ mente invalidati. Non avverte che la esiguità del prestito pubblico, se contiene entro lim iti angusti g li svantaggi di coloro che sono dan­ neggiati, contiene, altresì, entri lim iti angusti i vantaggi dei sotto- scrittori : esistono diretti rapporti tra le dimensioni del prestito, l ’ampiezza dei vantaggi dei sottoscrittori e i mutamenti che il pre­ stito stesso impone alle altre variabili del mercato. Sempre (tranne che in casi marginali senza alcun significato conoscitivo) si hanno vantaggi da una parte (e i vantaggi si estendono dai prestatori pub­ blici ai prestatori privati che beneficiano del rialzo del saggio dell’in ­ teresse) e svantaggi dall’altra.

La sostituzione del ragionamento microeconomico a quello ma­ croeconomico non avrebbe condotto il Buchanan alle sue conclusioni se egli non si fosse posto le lim itazioni su indicate riguardanti il concetto di generazione, la prevedibilità dei futuri oneri fiscali, g li effetti secondari di un prestito sui diversi gruppi economici. È inoppugnabile che soltanto l ’individuo esiste come essere senziente e che la collettività non è che la somma di individui, e lo è anche in società non democratica, ci sentiamo di aggiungere. Ma la sottra­ zione pubblica di risorse non costituisce certamente in sè un evento atto a fa r migliorare nel tempo presente le condizioni della colletti­ vità nel suo insieme, o a impedirne un peggioramento, anche se il nostro giudizio si lim ita a un rapporto tra i vantaggi indiscussi di alcuni, i sacrifici di altri, e l ’incerta situazione dei restanti. I l fatto che il trasferimento di risorse dai privati allo stato abbia luogo volontariamente, e non mediante coazione, come avverrebbe se si ricorresse a ll’imposta, straordinaria, non è in sè sufficiente per asse­ rire che l ’onere della spesa pubblica grava interamente o prevalen­ temente sulle generazioni future (13).

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Le conclusioni del Buchanan, se fossero corrette dovrebbero es­ sere valide in ogni periodo di tempo, oltre che nel periodo iniziale, in cui si contrae il prestito, in quelli successivi, in cui si fa luogo al pagamento degli interessi ; questi pure dovrebbero essere soddi­ sfatti ricorrendo ancora al prestito, potendosi cosi trasferire di volta in volta l ’onere ai periodi susseguenti. Così attraverso successive scelte « razionali » intese a scaricare sul futuro l ’ onere fiscale, l ’ intero sistema precipiterebbe nel disastro economico di un aumento a spi­ rale del saggio dell’interesse o dell’inflazione. A ttra tti dal miraggio della propria convenienza, i singoli fabbricherebbero la propria rovina economica.

I l metodo, che prende a proprio criterio di giudizio le uti­ lità e i sacrifici dei singoli, nettamente separando ciascuno di loro nel proprio chiuso mondo, non consente in realtà di pervenire ad un risultato conclusivo e di valore generale, per l’impossibilità del raffronto tra diversi soggetti. Le conclusioni non possono che es­ sere indeterminate. N el contrasto delle risultanze individuali, sol­ tanto il ragionamento che abbraccia l ’ insieme dell’economia di una collettività è in grado di guidare verso i risultati definiti.

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loro legittim a attesa non si avveri (14). In sè la pubblica acquisizione di risorse decurta per sempre il patrimonio privato della collettività, senza lim iti nell’estensione del tempo. Soltanto la volontà e la capa­ cità di ciascuna generazione, dalla prima alle successive, di ricosti­ tuire quella parte di patrimonio, di cui lo stato si è impossessato, possono ridurre il sacrificio delle generazioni successive.

L ’illazione sull’ ammortamento dell’imposta ha, a sua volta, scar­ sa consistenza, o più esattamente ha una validità assai circoscritta nella misura e nel tempo. Essa ha a proprio fondamento la tacita ammissione che in via di massima si provvede al servizio del prestito con l ’imposizione del reddito di capitale e l ’accettazione del prin­ cipio delPamortamento che grava su questi redditi. Belle due condi­ zioni la prima è smentita dalla esperienza, la quale insegna che il ricorso alla imposizione indiretta prevale sulla imposizione diretta e che questa grava in gran parte sui redditi di lavoro ; la seconda ac­ coglie consensi tu tt’altro che unanimi. Le ragioni che militano con­ tro l ’ invariabilità dei redditi lordi di capitale e del saggio dell’ inte­ resse sono di troppo grave peso, perchè si possa convenire nel prin­ cipio dell’ammortamento, anche nella supposizione di un sistema eco­ nomico perfettamente « trasparente », il quale consenta ai contri­ buenti di dedurre con esattezza dalla serie dei redditi futuri la serie dei previsti contestuali oneri fiscali.

L ’ ammortamento dell’ imposta diretta nel valore dei beni capitali è fenomeno lim itato ai beni durevolmente affìttati o investiti; ed anche per questi esso raramente uguaglia il valore attuale dell’in ­ tera imposta, calcolato sulla base del saggio dell’interesse esistente a ll’introduzione dell’imposta stessa, nè si protrae per l ’ intera durata dell’affitto o dell’ investimento. Anche per questi beni, infatti, il pro­ cesso di redistribuzione del carico fiscale elide prontamente le con­ seguenze dell’imposta. Possiamo dire, con le espressive parole del Fubini, che non le imposte antiche debbono considerarsi ammor­ tizzate, bensì le nuove (15). Tanto più l ’imposta è vecchia tanto meno

(14) Questa dipendenza delle conclusioni dal giudizio di valore verso il quale va la nostra preferenza, fu chiaramente vista da A. De Vi t i De Marco, che così scrisse: « . . . poiché di fatto gli eredi riprendono la vita economica dei padri al punto dove questi l ’aveano portata, si potrà indifferentemente dire : o che le spese dei padri non si ripercuotono in nessun caso sui posteri, o che in ogni caso i posteri restano colpiti dalle spese paterne ». In « Saggi di Economia e Finanza ». Contributo alla teoria del debito pubblico, Roma, 1898, pp. 61-123, cit. p. 94.

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la. si può considerare ammortizzata. I l che significa, nell’ambito che qui ci occupa, che il sacrificio fiscale di spese pubbliche finanziate con prestiti, che sempre si prolunga nel tempo quando lo stato si av­ vale dell’ imposizione indiretta e di quella diretta sui redditi di la ­ voro, ancora si prolunga nel tempo, quale onere effettivo, quando lo stato si avvale dell’imposizione diretta dei redditi di capitale. L ’ammortamento dell’imposta, pur aprendo un varco nel sistema lo ­ gico del Buchanan, non appare in sè un valido « baluardo » per la difesa della opposta tesi, che ha tratto lo spunto dal teorema di R i­

cardo (16).

L ’ onere della spesa pubblica finanziata col prestito ricade sulla generazione presente e su quelle venture ; esso ha la propria origine nella diminuzione delle risorse a disposizione dei privati e ha la pro­ pria. espressione e misura nella imposta perenne occorrente per servi­ zio degli interessi. Può avere ulteriore espressione nella temporanea riduzione dei valori dei patrimoni ; questa tuttavia, altro non è che una diversa immagine della relativa- flessione di alcuni redditi di ca­ pitale rispetto ai restanti. N el nostro modello, il quale non tiene

conto (teli’apporto della spesa pubblica al reddito sociale, il prestito

impone sempre alla collettività un onere, che il susseguente prele­ vamento fiscale ripartisce tra i singoli e nel tempo.

La generazione presente conosce, è vero, i vantaggi dei sotto- scrittori, ma conosce pure le perdite di coloro che subiscono un danno dalla sottrazione pubblica di beni o di nuovo risparmio, e conosce g li oneri dei contribuenti. Questi oneri si estendono a loro volta alle generazioni venture, siano i tributi posti sul consumo, siano essi posti sui fru tti del lavoro o del capitale (17).

(16) Lo stesso Buchanan non può evitare di ricordare il teorema ricar- diano, sebbene esso si svolga in termini di identità monetaria e non si presti a essere inserito nel suo ragionamento che si svolge in termini di utilità e disutilità (Cfr. Ernesto D ’Albergo, P restiti e imposte nelle nuove teorie e nel­ l ’esperienza bellica, in « Studi dell’Istituto di scienze economiche e statistiche », Giuffrè, Milano, 1943, voi. I, pp. 159-201). E, trovandosi legato dalla premessa di un mutamento trascurabile del saggio d ell’interesse, egli non impugna la vali­ dità del teorema in sè, bensì ne circoscrive la rilevanza date l ’impossibilità di prevedere il futuro onere fiscale e l ’esistenza dei redditi non fondati. Con­ clude con l'ammissione che anche la generazione presente possa partecipare all’onere della spesa pubblica, ma che l ’onere stesso cade però sempre, almeno in larga parte, sulle generazioni venture.

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6. Le considerazioni fin qui svolte riguardano i prestiti reali, quei prestiti che impongono ai sottoscrittori la volontaria rinuncia ai loro d iritti su risorse esistenti e che si intendono inclusivi dell’ac­ quisizione pubblica delle risorse medesime; esse presuppongono inol­ tre che queste risorse, qualora non trasferite allo stato, sarebbero dai privati consumate se beni primari, oppure impiegate in iniziative produttive. Ogni considerazione di ordine monetario è posta da canto.

Ma un prestito non è sempre reale e certamente non è mai esclu­ sivamente reale : non lo è quando è sottoscritto con fondi oziosi dei privati e si rivolge a risorse altrim enti non utilizzate, e non lo è quando viene sottoscritto dalle banche e queste espandano le disponi­ bilità monetarie ; nell’uno e nell’altro caso la volontaria rinuncia dei privati alle risorse esistenti o manca del tutto o manca conte­ stualmente, giacché è avvenuta da tempo.

Quando il prestito è sottoscritto con mezzi provenienti dai fondi oziosi dei privati oppure dalle banche, ricorda il Buchanan, si lascia il campo classico dei prestiti reali, emessi in condizione di piena oc­ cupazione, e ci si introduce in quello dei prestiti monetari, emessi per creare nuove occasioni di impiego, oppure per fare fronte ad esigenze belliche. D i norma, egli aggiunge, i prestiti emessi in condi­ zioni di sottoccupazione, per dare nuovo impulso a ll’ attività econo­ mica, attingono ai fondi oziosi dei privati e di istituti non bancari; i prestiti emessi per esigenze belliche si rivolgono alle banche. Con en­ trambi questi due tip i di prestiti lo stato compie un’ operazione finan­ ziaria irrazionale. Razionale sarebbe in fatti la diretta emissione di nuova moneta la quale non è in sè inflazione, giacché l’ inflazione sopravviene solo se si supera il lim ite della piena occupazione e più

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non esistono risorse inutilizzate. Con il primo tipo di prestito, che attinge ai fondi oziosi, lo stato acquisisce risorse non occupate, che per la collettività hanno costo reale nullo, in quanto non sono sot­ tratte a impieghi alternativi ; con il secondo tipo di prestito, proprio dei periodi bellici quando non esistono risorse fisiche inutilizzate, lo stato pone in essere un trasferimento coattivo di risorse dal set­ tore privato a quello pubblico grazie soltanto a ll’ inflazione, cui dà origine la spesa pubblica. N ell’ uno e nell’altro caso impone alle ge­ nerazioni future un onere fiscale pel pagamento degli interessi non necessario.

In realtà il Buchanan, volendo distinguere tra prestiti reali e prestiti meramente monetari, si è lasciato qui prendere da alcune vicende ultime più appariscenti dell’ esperienza americana. Le conclu­ sioni cui egli giunge nell’analisi degli specifici tipi di prestiti e nella loro distinzione teorica non possono non dare motivo a varie obie­ zioni, e a qualificazioni ben precise.

In primo luogo hanno un costo reale nullo per la collettività uni­ camente le risorse produttive e i beni finiti ai quali non si apre un impiego, o uno sbocco, nè al presente nè prospettivamente in futuro, e il cui uso non impone nuovi oneri. Mai, pertanto, hanno un costo reale del tutto nullo i beni capitali inoperosi, ogniqualvolta è presu­ mibile che col sopravvenire di condizioni economiche più propizie po­ tranno essere proficuamente immessi nella produzione, nè la mano d’opera disoccupata ogniqualvolta il salario supera l ’assegno di d i­ soccupazione, nè i beni di consumo durevoli o conservabili, che ra­ gionevolmente si ritiene potranno essere venduti al riattivarsi della domanda. I l campo delle risorse e dei beni di consumo aventi costo reale nullo per la collettività è oltremodo circoscritto ; occorre ripie­ gare su una concezione puntuale del costo, che prenda in considera­ zione soltanto l ’attuale possibilità alternativa di impiego, affinchè i beni aventi costo nullo abbiano una apprezzabile consistenza quantita­ tiva nella stessa fase economica depressiva ; ma tale concezione è in realtà una « scatola vuota » ed è, inoltre, in contraddizione con la nostra analisi, la quale riguarda anche i sacrifici e i vantaggi futuri. Non quindi di onere fiscale non necessario, si dovrebbe parlare, bensì di onere fiscale probabilmente superiore al costo effettivo che viene imposto a ll’insieme dell’economia privata con l ’acquisizione pub­ blica di risorse.

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particolari casi, alla mera emissione di carta moneta. La sottoscri­ zione con mezzi attinti dai fondi oziosi può dare luogo o conseguenze ben differenziate; essa ha effetti analoghi a ll’emissione di carta mo­ neta soltanto quando avvenga con b iglietti tesoreggiati, caso invero ben poco frequente ; in questo caso in fatti la liquidità del sistema ban­ cario si accresce, e si accresce in misura corrispondente ai biglietti che vanno ad affluire alle casse delle banche ordinarie o sono river­ sati a ll’ istituto di emissione. Per contro nel caso in cui la sottoscri­ zione avvenga ricorrendo ai depositi bancari, la liquidità del sistema bancario, diminuisce, e diminuisce in misura corrispondente alla riduzione delle disponibilità liquide delle banche, che i pagamenti al tesoro per conto dei loro clienti sottoscrittori vi determinano.

A sua volta la sottoscrizione delle banche a prestiti pubblici è as­ similabile a ll’ emissione di moneta soltanto in due casi : quello in cui i prestiti siano sottoscritti d a ll’istituto di emissione, e l ’ altro in cui le banche ordinarie sottoscrittrici abbiano facoltà illim itate di ricorso a ll’istituto di emissione, oppure in cui l ’istituto di emissione perse­ gua una rigida politica di difesa del corso dei tito li del debito pub­ blico. Nel primo caso l’istituto di emissione pone a disposizione del mercato nuova moneta in quantità uguale al fabbisogno pubblico di finanziamento e compie la consueta operazione che ha luogo quando viene emessa carta moneta a corso forzoso. N el secondo caso sono le banche ordinarie a porre a disposizione del mercato nuova moneta, in questo caso moneta bancaria, per lo stesso importo ; la facoltà, loro concessa di ricostituire prontamente e a loro beneplacito la situa­ zione di liquidità di partenza, le mette in condizione di fare fronte ad ogni richiesta pubblica di finanziamento senza modificare la pro­ pria politica nei riguardi dei prestiti privati.

N ei restanti casi le conseguenze monetarie sono ben diverse. La sottoscrizione delle banche ordinarie a prestiti pubblici incontra pre­ cisi lim iti, come qualsiasi altro prestito, nei margini della loro liqui­ dità non ancora u tilizzata; al di là di questi lim iti, essa può aver luogo soltanto a spese dei prestiti ai privati (18). La situazione si

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ferenzìa. nettamente da quella clie si produce con l ’emissione di carta moneta a corso forzoso, la quale non pone lim iti al processo di espan­ sione dei prestiti privati e crea, a l tempo stesso, una base per una ulteriore e maggiore espansione della moneta bancaria in tempi futuri.

Gli effetti monetari dell’attività finanziaria non si piegano a sem­ plici enunciazioni, condizionati come sono dalle consuetudini, dalle caratteristiche istituzionali del mercato monetario e creditizio e degli organismi che sovrintendono agli incassi e ai pagamenti pubblici, nonché dalle condizioni monetarie di volta in volta esistenti. In linea di massima ogni forma di procacciamento pubblico di mezzi finan­ ziari può essere origine di espansione della domanda effettiva : dalla imposizione alla sottoscrizione privata ai prestiti pubblici con mezzi a ttin ti dal reddito, alla sottoscrizione dei prestiti con fondi oziosi o da parte delle banche, alla emissione di carta moneta. I l prestito può porsi tra i due casi estremi, in cui non vi è alcuna espansione della domanda effettiva o in cui l ’ espansione è del 100 per cento ; è tanto più vicino al primo caso quanto più è assorbito dai privati e comporta una loro volontaria contestuale rinuncia a ll’ uso di risorse di cui dispongono ; è tanto più vicino al secondo caso, quanto più è assorbito dalle banche. Ma mai può essere assimilato del tutto al primo o a ll’altro caso ; non al primo perchè il privato dispone sem­ pre della facoltà di una spendita parziale dei tito li in suo possesso ; non a l secondo perchè, salvo eccezioni (ad es. la sottoscrizione dei t i ­ toli da parte dell’istituto di emissione), la creazione di nuova moneta mai raggiunge il 100 per cento dell’im porto sottoscritto dalle banche e spesso ne è assai al di sotto essendo preclusiva di alternativa espan­ sione avente origine in esigenze private (19).

7. I l prestito reale, il quale presuppone il volontario trasferi­ mento dalla sfera privata a quella pubblica di risorse, in beni capi­ ta li e in beni di consumo, rappresenta, comunque, soltanto uno dei tip i nei quali il prestito pubblico si concreta. Tjn altro tipo si ha allorché il ricavo del prestito è speso nell’acquisto di risorse che a l­ trim enti sarebbero rimaste, almeno per alcun tempo, inutilizzate ; il terzo si ha allorché la spendita del ricavo del prestito si tramuta in

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inflazione, in quanto l’ addizionale domanda effettiva pubblica non si compensa con una domanda privata venuta meno o non si rivolge verso risorse al momento non utilizzate. Solitamente un prestito pub­ blico appartiene nello stesso tempo a più di uno dei tipi indicati.

La ripartizione temporale dell’ onere di una spesa pubblica finan­ ziata con il ricorso a prestiti si pone nei termini esposti nei prece­ denti paragrafi per il prestito reale e per il prestito che si tramuta in inflazione, sebbene in quest’ ultimo ben più gravi siano i sacrifìci che ricadono sulla generazione presente. Invece l ’ onere della spesa pubblica appare in tempi futuri, mentre nel presente se ne conoscono soltanto i vantaggi, quando lo stato acquisisce risorse, produttive o di consumo, al momento non utilizzate, ma alla quali il futuro avrebbe destinato proficui impieghi o una attiva domanda. Nessun onere si ha nè al presente, nè in futuro, quando il ricavo del prestito è u tiliz­ zato per l ’acquisto di risorse aventi un costo reale nullo per la collet­ tività neppure prospettivamente in tempi futuri.

I l problema della ripartizione temporale dell’ onere della spesa pubblica e della scelta dello strumento finanziario in funzione di que­ sta ripartizione temporale arretra, peraltro, oggi di fronte ad altri aspetti e motivi, politici, sociali ed economici, ben più gravi e determi­ nanti. La presente disattenzione verso la concezione « classica » del debito pubblico, lamentata dal Buchanan, dipende da una più ampia e complessa visione che di esso si è andata acquisendo. Ogni scelta tra fonti pubbliche alternative di acquisizione dei mezzi occorrenti pel finanziamento delle spese pubbliche è in primo luogo una scelta po­ litica, giacché impone una determinata distribuzione tra le classi dell’ onere finanziario, ed è quindi una scelta economica nel senso più lato. In quest’ultimo ambito, più che a ogni altra considera­ zione, si è attenti agli effetti sull’ammontare complessivo, presente e futuro, del reddito e sulla sua distribuzione, attraverso il mutare dei prezzi, del consumo, del risparmio, degli investimenti, dello sforzo produttivo e della propensione ad assumere nuovi rischi (20).

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m

donata la rarefatta atmosfera della statica comparata e posti da canto i vincoli del coeteiis paribus, il debito pubblico viene a ragione esaminato nella integralità dei suoi aspetti e dei suoi effetti, in una analisi che abbraccia entrambi i momenti dell’attività finanziaria, dell’ entrata e della spesa, e distingue l ’entrata, cioè il prestito, se­ condo i sottoscrittori, la natura dei fondi con cui si sottoscrive, le scadenze, il grado di « monetabilità » dei titoli, e così via.

Gia n n in o P arrav ic in i

chè la contraddizione in essere tra gli asseriti suoi effetti negativi e l ’espe­ rienza americana. SI può aggiungere che i risultati del Meade e di chi lo ha preceduto partono dal presupposto che l ’abolizione del debito pubblico non turbi i valori dei beni patrimoniali rimasti nelle mani dei privati, e che que­ sti, pur continuando a godere dello stesso reddito netto, non si rendano conto del precedente velo fiscale e non modifichino in conseguenza il loro compor­ tamento.

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N E L L ’A C C E R T A M E N T O T R IB U T A R IO

1. È principio fondamentale di ogni Stato di diritto che nessun prelevamento d’imposta può essere effettuato se non in base alla legge. Tale principio, già affermato nel nostro Paese dall’art. 30 dello Statuto, è fissato ora dall’art. 23 della Costituzione, secondo il quale « nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge » (1).

Sul contenuto e sui lim iti del principio di legalità dei tributi v ’è peraltro ancora qualche contrasto. P er comprenderne lo spirito occorre considerare che il principio indicato non è una creazione moderna, ma è profondamente radicato nella tradizione europea. A n ­ che a non voler risalire alla sua prima manifestazione contenuta nella Magna Charta del 15 giugno 1215, perchè è dubbio che esprimesse effettivamente tale principio, è certo che esso venne espressamente enunciato nello statuto di Edoardo I, de tallagio (2) non concedendo, nel quale si stabilì che le imposte non potevano essere levate « sine

volúntate et assensu Archiepiscoporum , com itum , baronum, m ilitum , burgesium, et aliorum Uh eri) rum hominum de regno ». A d esso fecero

appello sia la petizione dei d iritti del 1628, confermando che il re non poteva metter doni, prestiti, tasse, benevolenze, senza il consenso del parlamento, e sia l ’ atto dei d iritti del 1688, nel quale venne r ia f­ fermata la illegalità dell’imposizione messa dal re, per sè e ad uso della corona, sotto l’ombra di prerogativa o senza il consenso del parlamento per un tempo, più o meno lungo e in modo diverso da quello che è o sarà decisa dal parlamento (3).

(1) Per un riscontro negli ordinamenti stranieri, vedasi Ba r t h o u n i, I l principio di legalità dei tributi in materia di imposte, Padova, 1957, pag. 4 e seg. (nota 3).

(2) Si chiamavano tallagia le prestazioni straordinarie che dovevano cor­ rispondere i concessionari delle terre demaniali, simili a quelle fornite dai vas­ salli in luogo del servizio miltare. Vedasi in merito Pic c a Sauerno, L e entrate ordinarie dello Stato, nel voi. IX, p. I, del Trattato dell'Orlando, Milano, 1915, pag. 170.

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ge-— 239 ge-—

I l principio no taxation w ithout representation trovò peraltro applicazione anche fuori dell’ Inghilterra, in condizioni politiche pro­ fondamente diverse. Può in fatti considerarsi principio universale de­ gli stati del medioevo che i tributi non potessero accrescersi fuori dei casi previsti dagli statuti, delle convenzioni e dalle consuetudini, senza il consentimento dei soggetti; ma, ove si consideri la costi­ tuzione economica e giuridica della società di quel tempo, divisa per classi diverse per condizioni, d iritti e doveri, appare evidente che il consenso dei contribuenti alle imposte, più che la volontà del po­ polo, significava il privilegio e la forza delle classi dominanti, che con le loro franchigie e prerogative limitavano il potere e frenavano l ’arbitrio dei principi (4).

La situazione è attualmente radicalmente mutata. Non sembra tuttavia possibile, neppure oggi, fa r coincidere il principio della rap­ presentanza politica con quello dell’ auto-imposizione (5) perchè essi rispondono ad esigenze profondamente diverse. Semmai deve dirsi che il cammino percorso dall’ imposizione è proprio l ’opposto : si è pas­ sati dal dono formalmente e materialmente libero, attraverso l ’ ac­ cettazione formalmente libera di contributi tradizionalmente imposti, ad un puro obbligo di prestazione (6).

Questa evoluzione, con le sole variazioni imposte dalle condizioni e dagli ordinamenti dei singoli paesi, non porta peraltro al pre­ valere assoluto dello Stato : il punto di incontro è dato dalla legge,

nerale, I I ed., Milano, 1946, pag. 129, che la funzione principale del parla­ mento inglese consisteva in quel tempo nel consentire i tributi che venivano domandati dal re « per il principio generale che i tributi dovevano essere ac­ cordati solo da coloro sui quali sarebbero gravati ». Sembra in effetti che tale potere sia stato usato più per strappare concessioni al sovrano che per con­ tenere l ’imposizione, anche se esso effettivamente ne contenne l ’accrescersi. Ciò è confermato dal fatto che, ottenuto il risultato voluto le spese pubbliche au­ mentarono notevolmente (vedasi su questo punto Ni t t i, Scienza delle finanze, I I I ed., Napoli, 1907, pag. 54 e seg.).

(4) KiCOa Salerno, ibidem, nota (3).

(5) Cosi invece il Ba r th o l in i, op. cit., particolarmente a pag. 49 e se­ guenti. E da avvertire che l ’A. richiama talvolta « l ’esigenza politica che sia la Nazione a tassare se stessa », sul che si deve convenire; altrove osserva invece « che 1 cittadini — non qualunque contribuente, dunque -— consentano, attraverso la propria rappresentanza politica, alle imposte che dovranno pa­ gare ». I l fatto si è che non solo i singoli contribuenti, ma neppure i cittadini come collettività possono opporsi ai tributi posti dal parlamento, come risulta dal divieto del referendum (art. 75 della Costituzione; vedasi anche Berlirt,

P rin cip i di d iritto tributario, I, Milano, 1952, pag. 30).

(6) Ne u m a r k, Theorie der Besteuerung, in Handwörterbuch der Sozial­ wissenschaft, Stuttgart, Tübingen, Göttingen, 1957, pag. 93; Schmoelders,

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che liberamente votata dal parlamento, contempera le esigenze della tutela della libertà e proprietà privata e degli interessi superiori dello Stato. Sulla necessità che l ’ imposizione sia stabilita legislati­ vamente non sembra possano sorgere contrasti, sia che si accolga il concetto che l ’ emanazione di norme giuridiche costituisce un’ a ttri­ buzione propria ed esclusiva del potere legislativo, sia che, limitando ad alcune materie tale facoltà esclusiva, si ritenga che l ’imposizione dei tributi rientri tra le materie riservate alla legge (7).

Qualche dubbio sorge invece per quanto concerne i lim iti. P re­ messo che per istituire un tributo (8) occorre una legge, è sufficiente che questa ne disponga l ’istituzione, oppure deve precisarne tu tti gli elementi? Nonostante qualche dissenso, riteniamo accoglibile soltanto

(7) A. D. Gia n n i n i, I concetti fondamentali del d iritto tributario, Torino, 1956, pag. 22 e seg.; Id., I rapporti tributari, in Commentario sistematico della Costituzione italiana, I, Firenze, 1950, pag. 273 è seg.; Id., Istituzioni di diritto tributario, V II ed., Milano, 1956, pag. 11, nota (14).

Secondo I ’Ingrosso, D iritto finanziario, I I ed., Napoli 1956, pag. 18 e 122 e seg., « l ’imposta deve essere stabilita per legge perchè costituisce un precetto giuridico fondamentale deirordinamento organico dello Stato; e solo un atto legislativo può porre tale specie di precetti. Considerato poi nel suo fine, l ’atto di imposizione mette in essere una condizione imprescindibile dell’attività dello Stato ed occupa perciò un gradino troppo elevato nella scala delle pubbliche funzioni per non intendere perchè debba essere una legge. La legge è l ’espres­ sione integrale della sovranità dello Stato ed è superiore, in termini di forza, ad ogni altro suo comando ». E più oltre « l ’atto di imposizione incide sulla sfera giuridica della persona, ed è perciò un elemento fondamentale d ell’or­ dine giuridico: come tale appartiene alla competenza del potere legislativo che solo pone le fondamenta dell’ordine giuridico ». La legge tributaria « è nor­ male manifestazione della funzione legislativa in una materia che è propria, anzi esclusiva della sua competenza ». Si veda anche del medesimo A. I tri­ buti nella nuova costituzione italiana, in Arcihvio fin., I, 1950 pag. 158 e seg. Per I 'Aixorio, La portata dell’articolo 23 della Costituzione e la incosti­ tuzionalità delle legni sui tributi turistici, in D ir. Prat. Trib., 1957, I I, pag. 7S e seg. « Il principio (della « riserva di legge ») così accolto e dichiarato dalla Costituzione ha la sua radice politica nella necessità di evitare che l ’A.F. imponga a piacimento carichi tributari, col relativo sacrificio dei patrimoni privati. La disposizione ha dunque di mira la difesa dell’economia privata contro il prepotere dell’ amministrazione ». In questo senso si esprime anche il Maffezzoni, Valore positivo dei principi costituzionali in materia tributaria, in Jus, 1956, 324 e seg. Vedono sostanzialmente una riserva di legge anche Virga, D iritto costituzionale, I I I ed., Palermo, 1955, pag. 388 e seg.; Cereti,

Corso di diritto costituzionale italiano, I I I ed., Torino. 1953, pag. 321; Bisca- retti di Bu f f ia, D iritto costituzionale, I I I ed., Napoli, 1954, pag. 567; Mortati,

Istituzioni di diritto pubblico, I I I ed., Padova, 1955, pag. 224; S. Romano,

op. cit., pag. 288; Cocivera, P rin cip i di diritto tributario, Milano, 1959, pag. 17 e seg.; Vit t a, D iritto amministrativo, I, I I I ed., Torino. 1948, pag. 36; Zano- b in i, Corso di diritto amministrativo, Milano, I I I ed.; 1948, pag. 258 e seg.

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la seconda soluzione a meno di non voler ammettere che la disposi­ zione dell’art. 23 della Costituzione sia priva di effettivo conte­ nuto (9).

(9) La questione è peraltro controversa, specie perchè anziché il testo proposto alia Costituente « se non per legge » venne accolto quello « in base alla legge », il che sembra suffragare la tesi che si tratti di riserva di atto primario normativo e non di riserva di norma primaria. In contrario può rilevarsi l ’estrema diffidenza della Costituzione in materia di deleghe legisla tive; sarebbe strano che i poteri che si sono voluti restringere in limiti ristrettissimi per il Governo fossero poi stati concessi in ampia misura ad organi inferiori. Logicamente il testo indicato ha invece lo scopo di consentire agli enti autarchici un settore di autonomia, nei lim iti degli interessi superiori dello Stato. Vedasi in materia: Za n o bini, La potestà regolamentare e le norme della Costituzione, in R iv. trim . dir. puh hi., 1954, pag. 555. M. S. Gi a n n in i,

I proventi degli enti pubblici minori e la riserva della legge, in R iv. dir. fin. se. fin., 1957, I, pag. 3 e seg., premessa la indicata distinzione tra le due specie di riserve, ritiene che la legge tributaria sia legittima ogni qualvolta la prestazione sia da essa configurata con sufficiente determinatezza, quando cioè la legge determini la natura giuridica del tributo e la sua struttura fon­ damentale, i soggetti passivi ed i soggetti ausiliari dell’obbligazione ed i pre­ supposti necessari. Maggiore latitudine potrebbe essere lasciata « relativamente a ll’oggetto del tributo, alle aliquote, agli atti dei procedimenti di accertamento e di imposizione, nonché alla riscossione» (pag. 10-1 1 ).

In precedenza il medesimo A., in Provvedim enti amministrativi generali e regolamenti m inisteriali, P oro Iteti., 1953, I I I , 9, aveva rilevato che « i n ma­ teria di imposizione non statale, la legge attribuisce ad organi del potere am­ ministrativo, che di solito sono i ministri — o altri organi delPAmministrazone statale — e, più raramente, le giunte provinciali, il potere di determinare 1 og­ getto dell’imposizione, oppure l ’imponibile (in sé, o mediante la determinazione di scaglioni o di minimi esenti), oppure le aliquote o le misure dei tributi, attribuisce inoltre il potere di concedere deroghe ad aliquote e a misure mas- mise fissate dalla legge, di variare aliquote o misure fissate da norme di legge » (col. 14-15). Più oltre (col. 17) l ’A. afferma peraltro che la materia tributaria può essere regolata soltanto per legge, il che conferma che se la teoria è acco- glibile nei lim iti dell’argomento trattato dall’A., la sua generalizzazione dà adito a notevoli dubbi, specie per quanto concerne le aliquote. Per P Alt/irio,

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