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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1997, Anno 56, settembre, n.3

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Spedizione in a .p . - 4 5 % - art. 2 comma 2 0 /b legge 662/96 - Filiale d i V arese

SETTEMBRE 1997 Pubblicazione trimestrale Anno LVI - N. 3

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A D E LL E F I N A N Z E

Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI

(e R IV IS T A IT A L IA N A DI D IR IT T O F IN A N Z IA R IO )

D I R E Z I O N E

EMILIO GERELLI - GIULIO TREMONTI

COMITATO SCIENTIFICO

ENRICO DE MITA - ANDREA FEDELE - FRANCESCO FORTE AMEDEO FOSSATI - FRANCO GALLO - SALVATORE LA ROSA IGNAZIO MANZONI - GIANNINO PARRAVICINI - ANTONIO PEDONE

SERGIO STEVE

COMITATO DIRETTIVO

ROBERTO ARTONI - FILIPPO CAVAZZUTI - AUGUSTO FANTOZZI G FRANCO GAFFURI - DINO PIERO GIARDA EZIO LANCELLOTTI ITALO MAGNANI - GILBERTO MURARO - LEONARDO PERRONE EN RICO P O T IT O - P ASQ U ALE RUSSO - GIU LIANO T ABET

FRANCESCO TESAURO - ROLANDO VALIANI

M V L T A P A V C I S

AG

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territoriale dell’Università, della Cam era di Com mercio di Pavia e dell’Istituto di diritto pubblico della Facoltà di Giurisprudenza d ell’Università di Roma. Q uesta Rivista viene pu bblicata con il contribu to fin a n zia rio del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

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Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 104 del 15 marzo 1966 Iscrizione Registro nazionale stampa (legge n. 416 del 5.8.81 art. 11)

n. 00023 voi. I fogho 177 del 2.7.1982 Direttore responsabile: Emilio Gerelli

Rivista associata all'Unione della Stampa Periodica Italiana

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INDICE-SOMMARIO

P A R T E P R I M A

Ca r l o Bu r a t t i - Analisi costi-benefici e giudizi di valore nella sanità ...

Ro berto Gu id i- The Endogenous Default of Public Debt in An Overlapping Ge­

neration Model ...

Fans Va n iste n d a e i. - Le sanzioni fiscali in Belgio ...

Federico Mancini- Le sanzioni tributarie: i principi desumibili dall’ordinamen­

to comunitario ... Die t e r Bi r k - Le sanzioni fiscali in Germania ...

329 355 383 398 412 LEGGI E DOCUMENTI

Em il io Ge r e l l i - Lettera aperta alla Commissione di concorso a professore ordi­ nario di scienza delle finanze e al Ministro dell Università ...

NUOVI L IB R I ...

RASSEGNA D I PU B B LIC A ZIO N I RECENTI ...

P A R T E S E C O N D A

Silvia Cipo llin a- Fusioni societarie ed imposte sui conferimenti: dal caso Bau-

tiaa all’esperienza domestica ...

Silvia Cipo llin a - Imposta di registro ed atti societari: il caso della delibera as­

sembleare che autorizza l’amministratore unico ad assumere finanziamenti infruttiferi presso i soci ...

SENTENZE AN N O TATE

Diritto tributario comunitario - Imposte indirette sulla raccolta di capitali - Artt. 4, n. 1, lett. c) e 7, n. 1, Direttiva n. 69/335/Cee (e successive modifi­ cazioni) - Imposta armonizzata sui conferimenti - Fusioni societarie - Ap­ plicabilità - Conferimenti mobiliari - Normativa nazionale - Imposta di re­ gistro - Aliquota dell’ 1,20% - Incompatibilità.

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Imposta di registro - Fusione per incorporazione - Artt. 50, 4" c., D .P.R. n. 131/1986 e 4, lett. b), Tariffa, Parte I, all. D .P.R. n. 131/1986 - Imposta proporzionale - Aliquota 1% - Art. 7, n. 1, Direttiva n. 69/335/Cee (e suc­ cessive modificazioni) - Incompatibilità - Norma comunitaria - Sufficiente precisione - Sussistenza - Applicabilità diretta - Sentenza interpretativa ex art. 177 Trattato Cee - Efficacia retroattiva (Comm. Trib. Regionale di Torino, Sez. X X X I , 26 giugno 1997, n. 153) (con nota di S. Cim i.lin a) ... 47 Imposta di registro - Amministratore unico - Finanziamenti infruttiferi - As­

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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, LVI, 3, 1, 329-354 ( 1997)

ANALISI COSTI-BENEFICI E GIUDIZI DI VALORE NELLA SANITÀ

di Carlo Buratti

Università di Padova

So m m a r io: 1. Introduzione. — 2. La valutazione della vita umana. — 3. I tentativi di superare il metodo del prodotto lordo: la rilevazione della disponibilità a pa­ gare. — 4. Sottovalutazioni e doppi conteggi dei benefici. — 5. L ’analisi costi- efficacia. — 6. La valutazione dei costi. — 7. La questione del tasso di sconto. — 8. Conclusioni. Bibliografia.

1. Introduzione.

L ’applicazione dell’analisi costi-benefici al settore sanitario com­ porta difficoltà maggiori rispetto a quelle che normalmente si incon­ trano nelle altre applicazioni. Si può quindi considerare, sotto questo profilo, la sanità come un « settore di frontiera ». Le spese per la difesa nazionale sono un altro tipico « settore di frontiera ». In entrambi i ca­ si è estremamente difficile dare una valutazione monetaria dei benefi­ ci.

Si ricordi che l’analisi C-B pretende di valutare tutti i costi e tutti i benefici sociali generati da una specifica spesa pubblica o, più in ge­ nerale, da qualunque provvedimento di politica economica. In prati­ ca, tuttavia, possono aversi dei benefici e dei costi intangibili, cioè di impossibile valutazione monetaria. Se si tratta di costi e benefici indi­ retti, essi possono a volte essere trascurati senza che per questo l’ana­ lisi risulti eccessivamente viziata. O, più correttamente, la valutazio­ ne monetaria dei benefici e dei costi può essere completata da una elencazione degli elementi intangibili in modo da fornire al decision

maker un più adeguato supporto informativo. Ma quando Voutput

principale dell’investimento è esso stesso intangibile, come succede con la sanità, l’intera metodologia dell’analisi C-B rischia di fallire.

Si consideri, a questo proposito, che lo scopo di ogni trattamento sanitario consiste nel modificare positivamente il decorso delle

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tie, ovvero nel prevenire l’insorgere di stati morbosi (Drummond 1981, p. 31). I benefici principali degli investimenti in campo sanitario sono dunque costituiti daH’allungamento della vita e/o dal migliora­ mento della qualità della vita. Questi elementi rappresentano i cosid­ detti benefici diretti dell’investimento. Vi possono poi essere dei benefi­

ci indiretti che affluiscono a soggetti diversi dai pazienti sottoposti a

trattamento. Se, per esempio, una vita salvata consente di aumentare la produzione, il maggior prodotto avvantaggia, per la parte non di­ rettamente goduta dal paziente, altre persone che potranno godere di maggiori consumi pubblici (1) e privati; una vita salvata presenterà inoltre benefici indiretti sotto forma di minori sofferenze psichiche per i familiari, gli amici e gli altri soggetti che sarebbero stati coinvolti emotivamente nel decesso (2). Sia il risparmio di vite umane che la ri­ duzione della sofferenza rappresentano benefici intangibili di assai difficile (e opinabile) valutazione.

In questo saggio si porrà in evidenza come la valutazione dei be­ nefici intangibili in campo sanitario si fondi su pesanti giudizi di valo­ re, in genere non specificati dall’analista e non sempre ampiamente condivisi o condivisibili. A questo proposito, il paper effettua una ra­ pida rassegna dei metodi di valutazione dei progetti sanitari, senza pretesa alcuna di essere esaustivo e sorvolando su taluni aspetti tecni­ ci non direttamente attinenti con l’oggetto della trattazione. Si dimo­ strerà che la stessa metodologia dell’analisi costi-efficacia, frequente­ mente impiegata in campo sanitario in alternativa alla più ambiziosa analisi costi-benefici in considerazione della difficoltà di dare una va­ lutazione corretta agli intangibili, non sia affatto scevra di giudizi di valore e, anzi, in alcuni casi questi ultimi abbiano un ruolo più rile­ vante nell’analisi C-E che in quella C-B. Dalle considerazioni formula­ te nel saggio si faranno discendere precisi limiti all’impiego dell’analisi costi-benefici e costi-efficacia per la valutazione di progetti sanitari.

Preme qui sottolineare come il ruolo dei giudizi di valore sia così rilevante da rappresentare in molti casi, e non solo negli investimenti sanitari, la vera discriminante fra benefici (e costi) tangibili e

intangi-(1) Il prelievo tributario sui maggiori redditi consente di aumentare i consumi pubblici.

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bili. In altri termini, il dominio dei benefici (e dei costi) tangibili può essere esteso (e quello dei benefici e dei costi intangibili ristretto) se si trovano dei metodi di calcolo dei benefici (e costi) appropriati sul pia­ no tecnico e ampiamente condivisibili sul piano etico e politico. La defi­ nizione da libro di testo di benefici intangibili come outputs che non trovano valutazione attraverso il mercato non sembra appropriata. Non si dovrebbe dimenticare, a questo proposito, che i benefici legati a traded outputs del progetto pubblico sono tangibili in quanto esisto­ no valutazioni di mercato e tali valutazioni sono largamente condivise come una buona base di valutazione sociale deH’investimento (il che implica l’accettazione di tutta una serie di valori etici, su cui è super­ fluo insistere). Chi ha dimestichezza con 1 analisi C-B sa anche che in molti casi si considerano tangibili outputs che non hanno mercato, purché esistano mercati per prodotti simili, o purché si possa arrivare a stimare il valore dell’output con criteri rigorosi dal punto di vista scientifico e che non sottendano giudizi di valove inaccettabili (così è, per esempio, per la valutazione del tempo risparmiato negli investimenti nel settore trasporti, sebbene per il trasporto aereo si siano manifesta­ te alcune perplessità di tipo distributivo). In altri casi può non esserci consenso sufficiente sui giudizi di valore impiegati dall’analista. Per esempio, nell’analisi C-B di un aeroporto si può stimare il costo sociale connesso al rumore degli aerei in base alla riduzione del valore delle abitazioni nelle vicinanze dell’aerodromo se: 1) si ritiene che le conse­ guenze sanitarie del rumore siano irrilevanti dal punto di vista sociale (primo giudizio di valore); 2) si ritiene che il fatto che chi sopporta il rumore appartiene presumibilmente ai ceti meno abbienti mentre i passeggeri aerei sono prevalentemente del ceto medio-alto è irrilevan­ te (secondo giudizio di valore); 3) si ritiene che gli effetti del rumore sull’ecosistema siano irrilevanti (terzo giudizio di valore). Ovviamente non tutti sono d ’accordo su questi giudizi di valore. Se l’accordo non si trova, il costo resta intangibile e potrà essere indicato solo in termi­ ni qualitativi nell’analisi C-B, eventualmente con l’aggiunta della va­ lutazione minimale del costo sociale del rumore fondata sul metodo summenzionato. Ancorché tali costi sociali non siano monetizzati, possono portare al rigetto dell’investimento da parte delle competenti autorità.

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di sfruttare più pienamente le economie di scala, o la sostituzione di una certa apparecchiatura diagnostica con altra più evoluta in grado di svolgere lo stesso servizio con costi inferiori. Tali scelte difficilmen­ te richiedono l’analisi costi-benefici sociali: normalmente è sufficiente una analisi comparata dei costi. L’analisi C-B sociali potrebbe ciono­ nostante essere opportuna anche per taluni investimenti rientranti nella categoria suddetta, come l’accorpamento di più ospedali in un’u­ nica unità, se si ritenesse che da tale operazione possano discendere conseguenze (positive o negative) di qualche rilievo a carico dei pa­ zienti: per esempio un accrescimento del rischio di morte a causa dei maggiori tempi di trasporto del malato nei ricoveri di urgenza.

2. La valutazione della vita umana.

La valutazione della vita umana è uno dei punti centrali dell’a­ nalisi C-B della sanità ed è anche uno dei punti più controversi (3). Un metodo di valutazione, largamente utilizzato nelle prime ana­ lisi C-B, fa riferimento al prodotto lordo (4) che il paziente salvato è in grado di generare nella vita residua. Se il paziente è un lavoratore dipendente, il valore della sua vita residua è dato dalla retribuzione lorda da imposta e oneri sociali cumulata per tutti gli anni residui di attività lavorativa (naturalmente, le retribuzioni future vanno scon­ tate al tasso sociale di sconto prima di essere sommate fra di loro). In base alla teoria marginalistica, la retribuzione lorda rappresenta il va­ lore di quanto il lavoratore produce, perchè se il datore di lavoro è di­ sposto a pagare quella somma per un’unità di lavoro addizionale vuol dire che quell’unità di lavoro gli fornisce un prodotto che è almeno pari (ed esattamente pari al margine) alla retribuzione corrisponden­ te. Altrimenti il datore di lavoro non si comporterebbe in modo razio­ nale.

Analogamente, il valore della vita residua di un lavoratore auto­ nomo è dato dal valore attuale dei redditi lordi futuri da questi presu­ mibilmente generati. Si assume, in altri termini, che ciò che la società è disposta a pagare per i servizi resi da questa categoria di lavoratori

(3 ) Per una rassegna dei criteri di valutazione della vita umana, si vedano Pi e- itAn t o n i (1985), Fis h e r, Ch e s t n u te Vio l e t t e (1989), Da i.v i(1988), Mil l e r(1989), Visc o si (1991, 1993).

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rappresenti il valore sociale dei medesimi (5) (si ricordi, a questo pro­ posito, che la società è considerata come una somma di individui e i benefici sociali complessivi sono la somma dei benefici individuali).

Taluni vorrebbero escludere dal prodotto lordo così determinato il valore dei consumi (scontati) effettuati dal paziente nell’arco di vita residua (6). Si argomenta che se il paziente viene salvato, ciò che resta disponibile per la società non è il prodotto lordo definito come sopra, ma il prodotto lordo meno quanto è direttamente consumato dal pa­ ziente. Ma poiché della società fa parte il paziente stesso, tale ragiona­ mento è palesemente infondato (7). In realtà, i benefici che affluisco­ no al paziente (inclusi quelli che derivano dal consumo) sono il nucleo principale dei benefici diretti. Tutto il resto costituisce « esternalità ».

Il metodo del prodotto lordo, sopra menzionato, è stato severa­ mente criticato: esso attribuisce un valore alla vita dei lavoratori in quanto produttori di reddito e dei bambini, in quanto potenziali futu­ ri lavoratori, ma non attribuisce alcun valore alla vita dei pensionati e degli inabili. Più in generale, favorisce i giovani (ma non i giovanissi­ mi (8)) rispetto agli anziani. Inoltre, all’interno della stessa categoria di lavoratori introduce inaccettabili discriminazioni tra lavoratori ad alto e basso reddito: in particolare le donne avrebbero scarso titolo a beneficiare degli investimenti sanitari, soprattutto in quei paesi dove la loro partecipazione al mercato del lavoro è modesta. E questo suc­ cederebbe anche quando si valutasse il lavoro delle casalinghe sulla base delle retribuzioni delle collaboratrici familiari, visto che comun­ que queste ultime hanno basse retribuzioni.

A queste critiche tradizionali se ne può aggiungere un’altra: in un

(5) A rigore, il flusso di produzione generato da un lavoratore autonomo do­ vrebbe essere depurato di quella componente che continuerebbe ad aversi anche in se­ guito alla morte dell’individuo. Una piccola impresa, per esempio, continuerebbe ad esistere e a produrre reddito anche se il titolare decedesse.

(6) Fra i primi sostenitori di questo approccio, che prende il nome di metodo del prodotto netto, si collocano Dvbi.in e Lotka (1946), i quali applicano al capitale umano praticamente lo stesso criterio di valutazione in uso per il capitale tecnico. Il metodo del capitale umano è stato, in seguito, rivisitato da vari autori fra cui Wki- s b r o d (1961).

(7) Si veda, fra gli altri, Ki.a r m a n (1965). L ’alternativa ex ante-ex post (cioè la possibilità di fare riferimento alla disponibilità a pagare per evitare l’evento o alla somma richiesta come indennizzo dopo 1 evento) in questo caso non ha senso, perchè i maggiori interessati non sono in grado di esprimere ex post le loro valutazioni.

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mondo caratterizzato da diffusa disoccupazione è probabile che una vita salvata aumenti la disoccupazione invece del prodotto nazionale lordo. E anche quando non vi fosse disoccupazione palese, non è detto che la produzione diminuisca per effetto del decesso, in quanto po­ trebbe esservi disoccupazione nascosta o un eccesso di personale man­ tenuto a carico delle aziende per ragioni sociali. Inoltre, in presenza di piena occupazione i lavoratori deceduti potrebbero essere sostituiti, almeno in parte, dagli immigrati.

La presenza di disoccupazione richiede anche che si tenga conto del fatto che i lavoratori specializzati, così come i professionisti e i ma­ nager, sono meno facilmente rimpiazzabili rispetto ai lavoratori non qualificati. Quindi nel primo caso un decesso potrà comportare perdi­ te di produzione anche in assenza di piena occupazione (9). L’analista dovrebbe dunque stimare il valore della vita tenendo conto delle pro­ babilità dei due eventi possibili (che il paziente salvato incida sulla produzione oppure no). È comunque chiaro che in presenza di ampia disoccupazione il valore della vita, calcolato in base a criteri produtti­ vistici, diminuirebbe.

Una parte delle critiche sopra menzionate vengono però a cadere, 0 si ridimensionano alquanto, se il problema della valutazione viene collocato nella giusta cornice. In realtà l’analisi costi-benefici non vie­ ne mai utilizzata per fare delle scelte fra singoli specifici pazienti da sottoporre a terapia. Le analisi C-B sono effettuate ex-ante, quando in genere non è noto quale saranno le caratteristiche socio-economiche e anagrafiche dei pazienti: non è dato sapere, cioè, se una data struttu­ ra o una data terapia sarà utilizzata da pazienti ricchi o poveri, da operai o professionisti, da giovani o anziani, da occupati o disoccupa­ ti. Il riferimento sarà allora ad un paziente « medio », o tipico, che rea­ lizzi una sintesi statistica delle caratteristiche dei « pazienti possibili ». Naturalmente, l’approccio del « paziente medio » non risolve tutti 1 problemi perchè in molti casi gli interventi progettati andrebbero a vantaggio di una ben determinata categoria di utenti. Così è, per esempio, per la medicina perinatale, la diagnosi precoce dei tumori dell’utero e della mammella, e la cura di altri tipi di tumore che « av­ vantaggia » soprattutto gli anziani, visto che per essi è maggiore

l’inci-(9) Questo approccio non è nuovo, in quanto viene impiegato per determinare

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denza di tali malattie neoplastiche. Bisognerebbe allora decidere se impiegare valori della vita specifici per uomini e donne, neonati e pa­ zienti in età matura, e così via. Se ei si volesse attenere strettamente alla impostazione del prodotto lordo, bisognerebbe certamente discri­ minare i valori della vita per le diverse categorie di pazienti. Se però si riconoscono ulteriori benefici intangibili legati alla vita e alla ridu­ zione della sofferenza che non sono assolutamente quantificabili in termini oggettivi, se si riconosce la salute come un merit want e non si disconoscono completamente le più basilari esigenze di equità, si può concludere a favore del medesimo valore della vita per tutte le catego­ rie di pazienti. Una impostazione un po’ meno egualitaria riconosce­ rebbe invece lo stesso valore monetario per ogni anno di vita guada­ gnato, favorendo quindi i giovani rispetto agli anziani in una serie nu­ merosa di scelte. I giudizi di valore hanno, in definitiva, un peso rile­ vantissimo in questo approccio.

Se non c’è un livello sufficiente di condivisione di questi giudizi di valore « forti », l’analisi costi-benefici deve essere confinata all’in­ terno delle scelte fra metodi alternativi di cura delle medesime patolo­ gie: potrà cioè essere utilizzata per stabilire se sia più opportuno ricor­ rere, per il trattamento delle vene varicose, al metodo chirurgico o al metodo injection-compression; o se, per la cura delle nefropatie, sia più conveniente la dialisi a domicilio, la dialisi ospedaliera o il trapianto di rene. Ma non potrà essere utilizzata per confrontare la redditività dello screening mammario con quello toracico per il controllo della TBC, nè per confrontare gli interventi per l’abbattimento della mor­ talità perinatale con quelli mirati ai cardiopatici.

3. I tentativi di superare il metodo del prodotto lordo: la rilevazione del­

la diponibilità a pagare.

Secondo Mishan (1975, cap. 45) il metodo del prodotto lordo in­ troduce elementi di incoerenza nell’analisi C-B che è fondata sui due criteri della disponibilità a pagare e del costo-opportunità, rispettiva­ mente per la valutazione dei benefici e dei costi.

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soltan-to la produzione di beni e servizi e i benefici che la società trarrebbe dal loro consumo; essa non tiene conto delle sofferenze psico-fisiche evitate nè dei benefici corrispondenti ai piaceri della vita non ricon­ ducibili ad attività di consumo (dal piacere di una passeggiata ai lega­ mi affettivi) e porta dunque a una sostanziale sottovalutazione dei benefici degli investimenti sanitari.

Una valutazione più completa dei benefici sociali derivanti dalle vite salvate richiederebbe una rilevazione delle disponibilità a pagare per tutti i benefici, tangibili e intangibili, che affluiscono ai diversi soggetti.

Si pongono su questa linea gli studi che fanno riferimento ai con­ tratti di lavoro per occupazioni rischiose e alle scelte di consumo che coinvolgono rischi, oltre ai contingency studies che tentano di rilevare direttamente la disponibilità a pagare attraverso interviste e questio­ nari. Alcuni autori fanno anche riferimento ai premi pagati per le assi­ curazioni sulla vita. Quest'ultimo metodo, tuttavia, è privo di solide fondamenta, in quanto non rivela il valore della vita in sè, ma piutto­ sto il livello di preoccupazione dell’assicurato per il benessere dei pro­ pri cari (Mishan, 1975, p. 303): infatti, il mero fatto di sottoscrivere un contratto di assicurazione non scongiura il verificarsi dell’evento temuto, nè il capitale liquidato in caso di morte può intendersi come un indennizzo per l’assicurato. I valori della vita rivelati in questo modo sono inoltre fortemente influenzati dal censo.

Più rigorosi dal punto di vista concettuale ma, come si vedrà, non sempre affidabili sotto il profilo empirico, sono gli altri approcci elencati sopra. Essi mirano a valutare non già la vita di una specifica persona, quanto la vita di un anonimo individuo (che nel gergo econo­ mico prende il nome di « vita statistica »), e discendono tutti, concet­ tualmente, dal pionieristico lavoro di Schelling (1968), il quale sostie­ ne che ciò che va stimato è la disponibilità a pagare degli individui per la riduzione del rischio di morte.

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per l’esiguità delle spese in questione esse possano rivelare soltanto il limite inferiore della disponibilità a pagare (10). Altri surveys tentano di accreditare l’esistenza di un ventaglio più ristretto di stime, attra­ verso una opportuna selezione degli studi empirici e il ricalcolo delle stime sulla base di ipotesi e parametri coerenti (11). Tuttavia, queste operazioni non sono esenti da critiche. Miller (1989a, 1989b), per esempio, ricalcola le disponibilità a pagare al netto delle imposte, te­ nendo cioè conto che talune spese (per dispositivi di sicurezza, assicu­ razioni, ecc.) sono deducibili dall’imponibile e danno origine a rispar­ mio di imposta. Ciò che conta, però, è la disponibilità a pagare della società nel suo complesso per la riduzione del rischio: con questo as­ sunto non si comprende perchè dovrebbero essere detratte le imposte dalla disponibilità a pagare dei singoli (12).

L ’approccio probabilmente più promettente è basato su intervi­ ste e questionari (contingency studies). Fra questi studi si colloca lo studio di Acton (1975) sulla prevenzione dell’infarto. A un campione di 100 individui è stato chiesto quanto sarebbero stati disposti a paga­ re per dimezzare il rischio di morte per infarto attraverso un program­ ma pubblico di prevenzione. Gli studi di Jones-Lee (1969; 1976; 1989) utilizzano anch’essi interviste e questionari, ma sono molto più raffi­ nati in quanto rilevano la disponibilità a pagare per una riduzione del rischio di morte, e gli indennizzi richiesti nel caso di aumento del ri­ schio, relativamente a una serie di fattispecie diverse utilizzando la me­ todologia Von Neumann-Morgenstern. In questo modo diventa possi­ bile verificare la coerenza delle risposte, scartare quelle incoerenti e correlare la disponibilità a pagare con il livello di rischio, l’età, il red­ dito, ecc. Dalla diponibilità a pagare per la riduzione del rischio di morte si risale poi al valore della vita (13).

Questo metodo presenta la debolezza di prospettare agli intervi­ stati delle scelte puramente ipotetiche: è noto che in tali circostanze l’interpellato può fornire risposte inattendibili e incoerenti (quest’ulti- ma osservazione va mitigata, come già detto, per gli studi di Jones- Lee).

(10) Le stime qui riportate sono tratte dall’ottima rassegna critica di Dai.vi (1988). U n’altra ampia rassegna delle valutazioni empiriche, centrata soprattutto sul mercato del lavoro, è quella di Viscosi (1993).

(11) Si vedano in particolare Mill k r (1989a, 1989b) e Bi.omqvist (1982). (12) Un’altra operazione, più ragionevole, consiste nell’utilizzare il medesimo tasso di sconto in tutti gli studi.

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Ci sono almeno tre altri aspetti che meritano considerazione nel­ l’approccio basato su questionari: 1) la percezione del rischio di morte varia da individuo a individuo; 2) uno stesso soggetto può esprimere valutazioni diverse in periodi diversi della propria vita; 3) la percezio­ ne del rischio può essere sistematicamente distorta.

Riguardo al primo punto, individui poco accorti tendono a sotto­ valutare il rischio di morte; inoltre, certi rischi sono assunti in piena consapevolezza: è difficile, infatti credere che i pericoli sanitari legati al consumo eccessivo di tabacchi, alcoolici e droghe risultino scono­ sciuti anche ai più sprovveduti. Possiamo parlare in questo caso di ri­ schi volontari. Il problema qui è se lo Stato debba sempre e comun­ que aderire alle preferenze degli individui, oppure debba sostituire propri giudizi di valore a quelli espressi dai cittadini. In genere preva­ le la seconda tesi, in quanto si ritiene che le prestazioni sanitarie siano un merit good (14). In tal caso, però, i risultati delle indagini alla Jo- nes-Lee non costituiscono una buona base per calcolare il valore della vita (15).

Circa il secondo punto, va osservato che la disponibilità a pagare per la riduzione del rischio di morte in conseguenza di stati morbosi cresce presumibilmente con l’età, ovvero con la probabilità di incorre­ re in malattie potenzialmente mortali. Quando la probabilità di morte diventa alta — come succede nel caso in cui venga contratto un tu­ more maligno o il cuore manifesti serie disfunzioni — la disponibilità a pagare cresce tanto da diventare virtualmente infinita; se di fatto non lo diventa, è perchè incontra un limite nel reddito e nel patrimo­ nio disponibile.

Circa l’ultimo punto, risulta da molte indagini la scarsa attitudi­ ne degli individui a percepire con esattezza i piccoli rischi e, in parti­ colare, la tendenza a sopravvalutarli. Il risultato paradossale di que­ sta errata percezione è che il valore rivelato della vita è più basso quando agli individui si prospetta la possibilità di evitare rischi consi­ stenti e più alto quando gli intervistati sono posti di fronte a rischi pressocchè irrilevanti! (Dalvi, 1988). Questa incongruenza che non ha trovato in letteratura nessuna convincente spiegazione — a parte quella del tutto tautologica dell’imperfetta percezione del rischio — va probabilmente ascritta proprio alle modalità con cui sono condotti gli esperimenti Von Neumann-Morgenstern: se si prospetta agli

inter-(14) Non mancano però pareri contrari. Mishan (1975) ritiene che ci si dovreb­ be comunque attenere alle valutazioni individuali.

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vistati che con una piccola somma si può ridurre di una certa quanti­ tà (irrilevante) il rischio, ma non si chiarisce che tale riduzione è, ap­ punto, irrilevante, gli individui che non sono in grado di percepire esattamente tale rischio, ma sono comunque risk averter, pensano che sia una buona cosa destinare quella piccola somma al miglioramento della sicurezza propria e della propria famiglia. L ’analista, fatti i do­ vuti conti, perviene ad un valore elevato della vita. Gli stessi o altri individui, posti di fronte a riduzioni molto più consistenti di rischio e ad esborsi corrispondentemente molto più elevati, dimostrano di esse­ re meno interessati alla riduzione del rischio perchè in quest’ultimo caso il vincolo di bilancio si fa più stringente. In altri termini, il pro­ blema non sta soltanto nella percezione del rischio ma anche nella percezione del vincolo di bilancio. Il consumatore non avverte il vin­ colo di bilancio quando gli si prospetta una piccola spesa che non è in grado di modificare, se non in modo del tutto marginale, il proprio

'pattern di consumo; al contrario, è severamente limitato nelle sue scel­

te dal vincolo di bilancio quando gli si prospettano drammatiche e co­ stose riduzioni del rischio. Dunque, per alti livelli di rischio si può ve­ rificare una sottovalutazione per motivi analoghi e speculari rispetto a quelli menzionati sopra: la vischiosità dei pattern di consumo (16).

Ci si trova in sostanza, di fronte a un dilemma difficilmente risol­ vibile. Se si vuole valutare un investimento che riduce la mortalità per infarto di 5000 decessi l’anno su una popolazione di 50 milioni, si potranno ottenere risultati molto diversi qualora si chieda a un cam­ pione estratto dall’intera popolazione di esprimere la disponibilità a pagare per una riduzione del rischio di morte pari 1/10.000, oppure si chieda a un campione di malati di cuore di valutare la riduzione del rischio per la categoria specifica dei cardiopatici di, poniamo, 1/100 (nell’ipotesi che ci siano 500.000 soggetti con questa patologia).

In definitiva, diventano molto importanti le modalità di selezio­ ne del campione da intervistare.

È comunque interessante notare che con l’approccio dei mercati contingenti (interviste e questionari) si ottengono stime caratterizzate da una fortissima variabilità e quindi poco affidabili. Lo stesso Jones- Lee (1976) stimava che una vita umana valesse, nel 1975, intorno ai 3 milioni di sterline correnti, mentre in un successivo studio eseguito

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per il Ministero dei Trasporti britannico (1983) riduceva tale valore a 1,8 milioni di sterline o, addirittura, a soli 0,8 milioni di sterline qua­ lora si fosse fatto riferimento al valore mediano anziché alla media. Più recentemente si sono avuti dei tentativi di ridurre la variabilità delle stime ottenute per questa via (Miller 1989a, 1989b, Blomqvist 1982), ma come si è già detto sopra, queste stesse procedure non sono immuni da critiche.

Nonostante queste legittime perplessità, le metodologie basate sulla willingness to pay, tese a fornire una valutazione della « vita sta­ tistica », sono state largamente impiegate negli Stati Uniti nel corso degli anni Ottanta sia da parte dei tribunali che delle Public Agencies come strumento di policy analysis (Miller 1989a) (17). Questa scelta è stata soprattutto il risultato della generale insoddisfazione per il me­ todo del capitale umano che, come si è visto, può fornire risultati ini­ qui e paradossali.

Lo stesso metodo della W TP non è però del tutto esente da giu­ dizi di valore, anche se questi ultimi hanno un ruolo apparentemente minore e decisamente più ambiguo che nel metodo del capitale uma­ no.

Innanzitutto, poiché la W TP riflette il reddito, può in certe cir­ costanze sfavorire i pazienti colpiti da determinate patologie tipiche delle classi meno abbienti. Chiaramente, il problema non esiste se si chiede a un campione estratto dall’intera popolazione quanto siano disposti a pagare per ridurre genericamente il rischio di morte attra­ verso investimenti sanitari. O, a maggior ragione, se si desume il valo­ re della vita da scelte di consumo o concernenti occupazioni rischiose, e si applica poi lo stesso valore a tutte le vite risparmiate. Se, invece, si volesse valutare la W TP per l’abbattimento della mortalità per ma­ lattie coronariche e per la silicosi e asbestosi, interpellando i due grup­ pi di soggetti a rischio, si otterrebbero probabilmente stime significa­ tivamente diverse per le due categorie di individui (più alte per i pri­ mi), con conseguente penalizzazione degli operai/minatori esposti al rischio di silicosi e asbestosi. Il risultato, cioè, non sarebbe molto di­ verso, sotto il profilo quantitativo, da quello che si otterrebbe se si fa­ cesse ricorso al metodo del prodotto lordo.

In secondo luogo, se si stimasse un unico valore della vita stati­ stica, indipendentemente dalla patologia, si ignorerebbe il fatto che

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non tutte le morti coinvolgono lo stesso grado di sofferenza: una mor­ te per cancro o Aid snon è equivalente a un decesso per infarto o a un aborto spontaneo. Dunque, implicitamente, si assumerebbe che salva­ re una vita ha lo stesso valore indipendentemente dalle sofferenze ri­ sparmiate. A questo inconveniente si può però ovviare aggiungendo al valore della vita così determinato un quid a fronte delle sofferenze evitate, differenziato per patologia. Questo approccio è ora seguito da numerose Corti degli Stati Uniti (Miller 1989a).

In terzo luogo, se non si determina un valore della vita differen­ ziato per patologia, non si tiene conto del numero di anni risparmiati. Se il valore della vita è unico, salvare un vecchio o un giovane è del tutto equivalente. Questa metodologia si fonda dunque su giudizi di valore che sono forse eccessivamente egualitari e che potrebbero esse­ re non del tutto condivisi. In altri termini, non tutti potrebbero consi­ derare equo mettere sullo stesso piano la vita dei giovani e dei vècchi.

Una digressione.

Queste considerazioni consentono forse di guardare con occhio meno critico al metodo del prodotto lordo, che potrebbe essere oppor­ tunamente modificato ed integrato.

Come si è visto nel paragrafo 2, questa metodologia può essere fa­ cilmente adattata alla stima del valore di una vita anonima, ovvero di un « paziente medio » o di un « paziente tipo ». Sotto questo profilo, dunque, non si tratta di un metodo inferiore rispetto a quelli basati sulla stima della W TP per la riduzione del rischio. Però, a differenza di questi, non prende in considerazione null’altro che il prodotto perso dalla società in seguito al decesso.

È forse possibile trovare una soluzione per colmare il gap tra va­ lutazione della vita basata sul prodotto e valutazione complessiva di tutti i benefici sociali legati al risparmio di vite umane, attribuendo un valore al tempo libero che il paziente potrebbe godere qualora fos­ se salvato dall’intervento sanitario. L ’operazione non dovrebbe sem­ brare bizzarra, in quanto il tempo libero viene considerato, nelle ana­ lisi welfaristiche, come la n + I-esima attività di consumo e viene in­ cluso comunemente fra i benefici dei progetti di trasporto (benefici che sono costituiti per la grande maggioranza da risparmi di tempo la­ vorativo e non lavorativo); viceversa, in campo sanitario si tiene con­ to del tempo libero solo fra i costi (18), come tempo perso dai pazienti

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e dai loro familiari nelle cure e, rispettivamente, nell’assistenza. (An­ che questa prassi, poi, non risulta molto seguita) (19).

Includere nel valore delle vite risparmiate anche i benefici del tempo libero vuol dire tenere conto delle capacità del soggetto di go­ dere della vita al di là di quanto risulti dal consumo di beni e servizi. Un anziano, per esempio, potrà godere di una passeggiata aH’aria aperta (che non costa nulla) e per tale piacere sarà presumibilmente disposto a pagare. Ne deriva che la vita di un anziano potrà avere un valore monetario anche se costui non partecipa più alla produzione.

Un approccio di questo tipo pone indubbiamente dei grossi pro­ blemi metodologici (20) (quanto vale, per esempio, il tempo libero dei disoccupati? O il tempo libero di un pensionato? È lecito assumere il valore del tempo libero di questi soggetti uguale al valore del tempo libero dei lavoratori?), ma è potenzialmente molto fruttuoso in quan­ to elimina o riduce sensibilmente alcune delle incongruenze rilevate sopra a proposito del metodo del prodotto lordo. Infatti, alla vita de­ gli anziani e dei disoccupati non verrebbe più assegnato un valore nullo.

4. Sottovalutazioni e doppi conteggi dei benefici.

I benefici complessivi che derivano da ogni vita salvata sono rias­ sunti dalla seguente formula:

B,=

X,

Cui( 1+r)'+£,(Y¡—Cu)/ ( l+r)'+Z,Lul( l + r f + ^ u + ^ p t

t =1 j = 1 j i

dove C, sono i benefici che l’individuo salvato trarrà dai propri consumi, F; il reddito lordo cui lo stesso soggetto dà origine, L, i

bene-fi!)) Dalvi (1988) inserisce il tempo libero fra i benefici delle vite risparmiate senza tuttavia portare il ragionamento alle logiche conseguenze.

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fici che derivano dal tempo libero, S< i benefici per le sofferenze evita­ te dal paziente, S# i benefici per le minori sofferenze sperimentate da tutti gli altri soggetti (in primo luogo i parenti) che hanno relazioni con l’individuo i, r è il tasso sociale di sconto e n è il numero di anni salvati.

La formula su riportata è coerente con l’esposizione fatta nelle pagine precedenti, che non coincide sempre con il mainstreain dell a- nalisi C-B della sanità. Nella maggior parte delle analisi, al posto delle componenti Lt e St si trova un addendo che rappresenta il valore della vita in sè o dello stato di benessere psico-fisico dell’individuo. Queste differenze marginali di impostazione non limitano tuttavia la validità di quanto segue.

Nelle analisi economiche della sanità i benefici sociali sono nor­ malmente sottovalutati. Il metodo del prodotto lordo considera sol­ tanto le due componenti ZitCitl( 1+r)' e Zt,( Y,r Cjt) /( 1+r)1. Il metodo del prodotto netto sottovaluta ancor più il beneficio sociale limitando­ lo alla seconda componente. L ’approccio basato su questionari e inter­ viste, nell’ipotesi che gli intervistati non siano reticenti e il campione sia ben disegnato, valuta i benefici come somma delle componenti

’LnCitl ( 1+ry, ZuLulfi+r)1 e I i($ più una ulteriore componente che

esprime il grado di preoccupazione per il benessere della famiglia; tale componente non può assumere un valore superiore a

ZufYu-CiJ'K 1+r)1. Il metodo delle assicurazioni, infine, ridurrebbe il

valore della vita a quest’ultima componente sostanzialmente psicolo­ gica.

(20)

proprio congiunto. Si tratta evidentemente di due valutazioni dello stesso « oggetto » che non è legittimo sommare fra di loro (21). E non è nemmeno legittimo sommarle alla valutazione della produzione per­ duta a causa della malattia. In realtà, se si valuta in modo più o meno oggettivo il maggior prodotto che la riduzione della morbilità consen­ te, non c ’è alcun bisogno di ricorrere a valutazioni soggettive dello stesso beneficio. Da un punto di vista sociale non fa alcuna differenza che il maggior prodotto venga goduto dai parenti o da altri soggetti: in entrambi i casi si hanno benefici derivanti dal consumo che posso­ no essere correttamente e oggettivamente valutati a prezzi di merca­ to, i quali registrano la disponibilità a pagare. Il metodo della will-

ingness to pay applicato a tutta la polazione accresce grandemente il

rischio di doppi conteggi.

In conclusione, le valutazioni soggettive della malattia espresse dal paziente stesso e dai suoi familiari possono essere sommate fra di loro e alla perdita di produzione soltanto se si riferiscono ad un aspet­ to particolare della malattia, ovvero alle sofferenze psico-fisiche legate allo stato di infermità (gli addendi S; e Sjf. Le valutazioni soggettive desumibili dai contratti di assicurazione, questionari e interviste, pe­ rò, ben difficilmente possono essere circoscritte ad un campo così ri­ stretto, per cui il rischio di doppi conteggi è sempre presente.

5. L ’analisi costi-efficacia.

Per tutte queste ragioni si preferisce in genere non attribuire una valutazione monetaria alla vita umana, limitandosi a considerare gli anni di vita risparmiati dagli investimenti sanitari. Fra due o più in­ vestimenti che comportino la stessa spesa si sceglierà dunque quello che comporta il risparmio del maggior numero di vite umane misurate

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in anni-uomo. O, viceversa, a parità di anni-uomo risparmiati si sce­ glierà quell’investimento che comporta i costi minori. Questo approc­ cio — indubbiamente meno ambizioso dell’analisi C-B propriamente detta -— prende il nome di analisi costi-efficacia. In questo modo si superano molti problemi dell’analisi C-B, ma non tutti; in particolare anche questo approccio riflette drastici (e drammatici) giudizi di valo­ re: l’analisi continua infatti a privilegiare i giovani rispetto agli anzia­ ni, in quanto i primi hanno di fronte a sè un orizzonte temporale mag­ giore e, quindi, salvando le loro vite si generano benefici sociali più consistenti (22). Anzi, l’analisi C-E favorisce i giovani più di quanto non faccia l’ analisi C-B, in quanto la prima non sconta gli anni di vita risparmiati mentre l’analisi C-B sconta tutti i benefici futuri, qualun­ que essi siano (valore degli anni di vita inclusi), al tasso sociale di sconto.

La riduzione dei benefici diretti degli investimenti sanitari all’al­ lungamento delle aspettative di vita (o alla riduzione dei giorni di ma­ lattia) non è comunque soddisfacente, in quanto ignora completamen­ te le condizioni di vita in cui vengono a trovarsi i pazienti. Due inve­ stimenti che consentano di allungare in egual misura la vita attesa non sono equivalenti se non restituiscono ai pazienti anche la stessa autonomia e la stessa capacità di godere della vita. La dialisi del san­ gue consente, per esempio, ai malati cronici di reni di sopravvivere un certo numero di anni, ma in condizioni molto disagiate, mentre il tra­ pianto di rene permette ai pazienti una vita quasi normale.

Alcuni autori hanno cercato di risolvere questo problema attri­ buendo dei punteggi alla capacità del paziente di alzarsi dal letto, mangiare da solo, uscire di casa e così via (Harris et al. 1971). Altri co­ struiscono una sorta di curve di indifferenza fra i diversi stati sopra menzionati, facendo corrispondere a curve più elevate livelli di benes­ sere più alti (Culyer, Lavers, Williams 1971; Culyer 1976, cap. 4). Queste operazioni consentono di costruire degli indici con cui ponde­ rare gli anni di vita risparmiati, ottenendo i cosiddetti QALYs, quali-

ty adjusted life years.

I metodi usati per determinare gli indici variano nei diversi studi (Formez; Palazzo 1993). Rosser e Watts (1972) rilevano le valutazioni espresse da medici, infermieri e pazienti effettuando poi una media

(22) I giovani sarebbero ancora più privilegiati qualora si dovesse tenere conto

(22)

fra di esse, per ogni possibile stato di salute. Una debolezza di questo approccio è che i giudizi espressi da soggetti diversi possono divergere enormemente (Formez, pp. 55-58). Altri metodi più indiretti danno maggiori garanzie di coerenza: fra questi si collocano il metodo della lotteria e quello dello scambio temporale. Con il primo metodo si pro­ spetta al paziente la possibilità di giocare a una lotteria che dia origi­ ne ai possibili risultati « perfetta guarigione » e « morte » con probabili­ tà p e, rispettivamente, 1-p. Al paziente viene quindi chiesto quale sa­ rebbe la probabilità minima p che lo indurrebbe ad accettare la gioca­ ta. Chiaramente, più basso è p, peggiore è la condizione attuale di vi­ ta.

Con il secondo metodo si chiede al paziente qual è la frazione di anno in piena salute che sarebbe sufficiente ad indurlo a rinunciare a un anno di vita nelle sue attuali condizioni di salute. Anche qui, più bassa è la frazione dichiarata tanto peggiori sono le condizioni attuali.

Quando si tratti di valutare investimenti diretti a risolvere stati morbosi non mortali, la valutazione diretta dello stato di salute del paziente secondo le linee summenzionate è di fondamentale importan­ za. Tuttavia, viste le difficoltà che questa operazione comporta, si è spesso costretti a ricorrere al metodo del prodotto lordo (o netto), che consente di valutare monetariamente le giornate lavorative risparmia­ te, pur con tutti gli inconvenienti già visti a proposito della valutazio­ ne della vita umana. Per mitigare gli aspetti negativi della metodolo­ gia, si può attribuire un valore convenzionale (pari, ad esempio, alla retribuzione media lorda di un operaio dell’industria o — meglio — ad una media del valore del tempo lavorativo e del tempo libero per il medesimo soggetto) ad ogni giornata sottratta alla malattia, indipen­ dentemente dalla circostanza che il paziente sia o non sia un lavorato­ re. Naturalmente è sempre possibile seguire, anche in questo caso, la strada dell’analisi C-E. In tutte le soluzioni alternative qui elencate i benefici sociali risultano comunque sottostimati.

6. La valutazione dei costi.

La valutazione dei costi si presenta decisamente meno complessa rispetto alla valutazione dei benefici. I costi da prendere in considera­ zione possono essere suddivisi in tangibili e intangibili. I primi posso­ no essere così elencati (23):

(23)

347 —

— costi sostenuti dal sistema sanitario pubblico;

— costi sostenuti dallo Stato o dagli enti locali per l’eventuale assistenza sociale prestata al malato prima, durante e dopo l’interven­ to in esame, a causa dell’intervento stesso (può trattarsi, per esempio, di costi per l’assistenza infermieristica a domicilio);

— costi sopportati dal paziente, per esempio per gli spostamen­ ti dalla propria abitazione al luogo di cura e viceversa; sono esclusi i rimborsi (tickets, ecc.) del paziente al servizio sanitario pubblico, per­ chè altrimenti si avrebbe un doppio conteggio di certi costi;

— costi sostenuti dai familiari per l’assistenza al malato, incluso il controvalore monetario del tempo speso nell’assistenza.

I pagamenti fatti dalle società di assicurazione (per esempio, per indennizzare le vittime degli incidenti stradali) non sono rilevanti in questo contesto, in quanto vanno a coprire spese già effettuate o da effettuarsi da parte del paziente, dei familiari di quest’ultimo o del si­ stema sanitario. In questo contesto si devono sempre prendere in con­ siderazione soltanto i costi diretti, da chiunque sostenuti, per evitare doppi conteggi di certe spese.

I costi intangibili, che non risulta siano mai stati presi in conside­ razione nell’analisi C-B della sanità, sono rappresentati da:

— le sofferenze e i disagi sopportati dai pazienti a causa delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche cui sono sottoposti;

— le sofferenze psichiche sopportate dai parenti per gli stessi motivi indicati sopra.

II problema dei costi intangibili nasce dalla diffusione di terapie e tecniche diagnostiche fortemente invasive che risultano decisamente sgradite ai pazienti, talché, a volte, preferirebbero evitarle ed accetta­ re il decorso normale della malattia: basti pensare ad alcuni tratta­ menti contro il cancro. Il problema dell’accanimento terapeutico non interessa soltanto i malati terminali, ma anche altre categorie di pa­ zienti. Inoltre possono verificarsi costi intangibili anche quando si fac­ cia uso di pratiche mediche del tutto incruente. È noto, per esempio, che i programmi di screening diretti a diagnosticare precocemente i tumori al seno producono un numero elevato di falsi positivi che crea­ no ansietà nelle pazienti, tanto che oggi qualche voce si leva, dalla classe medica, contro l’indiscriminata diffusione della mammografia.

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molto difficile o addirittura impossibile; ma l’analista dovrebbe quan­ to meno darne una descrizione qualitativa in margine alle tradizionali analisi C-B o C-E.

7. La questione del tasso di sconto.

I benefici e i costi sociali sono scontati al tasso sociale di sconto. La logica dello sconto è indiscussa nel caso di valori monetari effetti­ vi, che possono essere scambiati sul mercato. L ’estensione dello sconto a costi e benefici sociali che non hanno un mercato — che rappresen­ tano cioè valori monetari fittizi — è stata difesa con varie argomenta­ zioni: l’impazienza per il consumo (che può essere estesa ai beni non di mercato), l’incertezza circa il futuro (che può fornire una giustifica­ zione razionale all’impazienza per il consumo), la convinzione che le generazioni future saranno più ricche (argomento della utilità margi­ nale decrescente del reddito); la necessità di razionare l’ impiego di ca­ pitale indirizzandolo sui progetti più produttivi (argomento del costo- opportunità dei fondi pubblici).

Esistono però forti perplessità sull’opportunità di scontare certi benefici e costi sociali, come quelli legati alla vita umana, alla soffe­ renza, all’ambiente. Si potrebbe sostenere che la vita umana ha lo stesso valore oggi e domani. Osserva Goodin R.E. (1982): « conviene riflettere un momento su cosa significhi applicare uno sconto compo­ sto alle vite future anche solo al modesto tasso del 5 per cento. Signifi­ cherebbe adottare una posizione di indifferenza tra lo scegliere se creare un ambulatorio che curi immediatamente dieci pazienti affetti da una malattia o un sistema sanitario basato sulla prevenzione che costi quanto il primo e che impedisca che tra dieci anni 16 persone contraggano la stessa malattia. Allo stesso modo, dovremmo essere di­ sposti ad utilizzare un farmaco che impedisca oggi alle donne incinte di abortire, anche se tale farmaco farà aumentare il tasso di aborti nel futuro tra le figlie delle stesse donne, purché ad esempio, per ogni 10 aborti evitati oggi non se ne provochino più di 26 fra 20 anni. Se que­ sto tipo di trade-off ci appare poco convincente, allora dobbiamo rifiu­ tare il concetto di un equivalente monetario della vita umana ».

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investimenti nella prevenzione, che forniscono benefici molto diluiti nel tempo; un tasso nullo li agevola. Ma questo è solo una piccola par­ te della storia!

Un tasso nullo favorirebbe grandemente gli investimenti nella medicina perinatale e nelle patologie che colpiscono prevalentemente i giovani, mentre penalizzerebbe gli anziani. Potrebbe risultare, per esempio, che gli interventi contro la sterilità (fecondazione artificiale, ecc.), ancorché molto costosi, sono più vantaggiosi rispetto agli inve­ stimenti nella cura degli infartuati, perchè se nasce un bambino in più bisognerà mettere all’attivo dell’analisi C-B un numero di anni-vita guadagnati pari a 75 circa (date le attuali aspettative di vita), mentre un infartuato ha un orizzonte temporale decisamente più contenuto.

Inoltre, un tasso di sconto nullo mette sullo stesso piano due in­ vestimenti che abbiano lo stesso costo e che contribuiscano a salvare

10 anni di vita per 100 persone o 5 anni per 200 persone, mentre un tasso di sconto, anche modesto, porterebbe a preferire il secondo inve­ stimento.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, quindi, l’impiego di un tasso di sconto maggiore di zero riflette una posizione più demo­ cratica, più egualitaria, rispetto a un tasso nullo. E i sottostanti giudi­ zi di valore sarebbero largamente condivisi. Nei due esempi sopra ri­ portati la grande maggioranza della gente concorderebbe con le scelte effettuate sulla base di un tasso di sconto maggiore di zero: molti con­ dividerebbero l’opinione che sia meglio salvare qualche cardiopatico in più piuttosto che forzare delle gravidanze più o meno contro natu­ ra; e che in presenza di scarsità di risorse e di lunghe liste di attesa per gli interventi ospedalieri, sia meglio prolungare la vita di 5 anni a 200 persone piuttosto che di 10 anni a 100 persone.

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la razionale consapevolezza che la vita non è eterna e che le malattie possono colpire chiunque e in qualunque momento, anche domani. Non sarebbe dunque razionale, per la popolazione vivente, differire i benefici degli investimenti sanitari: domani potrebbe essere troppo tardi! E d ’altro canto non sarebbe neppure equo chiedere alla popola­ zione presente di finanziare con le proprie risorse la salute dei posteri; soprattutto non le si può chiedere di accettare qualche morte in più per rendere più numerose e felici le generazioni future. A parte, ovvia­ mente, la naturale preoccupazione della attuale popolazione matura per i propri figli.

La scelta del tasso di sconto, in definitiva, non è per nulla neu­ trale. Essa coinvolge rilevanti giudizi di valore e può portare a scelte completamente diverse.

8. Conclusioni.

Nell’analisi C-B la linea di demarcazione dei benefici tangibili e intangibili è una frontiera mobile la cui collocazione dipende in larga misura dall’abilità dell’analista e in parte anche da quanto si è dispo­ sti a spendere per eseguire la valutazione costi-benefici. A parità di ogni altra condizione, quanto più abile è l’analista tanto più ristretta diventa l'area dei benefici intangibili. Lo stesso succede sul lato dei costi.

NeH’ampliare il « dominio » dei benefici tangibili (monetizzabili) l’analista introduce però spesso dei giudizi di valore che condizionano pesantemente il risultato dell’analisi. È vero che qualche principio eti­ co è sempre presente in qualunque scelta, incluso la non scelta. Se per esempio si decidesse di assegnare le risorse ai vari reparti di cura di un ospedale con il metodo del « bilancio incrementale », per cui chi più ha avuto in passato continuerà ad avere di più in futuro, significherebbe che giudichiamo soddisfacente e meritevole di essere mantenuta l’at­ tuale distribuzione delle risorse a favore dei pazienti sofferenti di cuo­ re, di reni, di malattie neoplastiche, ecc., anche se la mortalità potreb­ be, per ipotesi, essere abbattuta spostando risorse da un reparto all'al­ tro.

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Il problema fondamentale che deve essere risolto dall’analisi C-B, così come dall’analisi C-E, è se la vita di un anziano vale quanto quel­ la di un giovane, la vita di una donna quella di un uomo o, ancora, la vita di un disoccupato quella di un occupato. Mutatis mutandis lo stesso dilemma si applica alla cura delle malattie non mortali, dove sono in discussione le giornate sottratte alla malattia. L ’analisi C-E assume che la vita abbia lo stesso valore indipendentemente dal sesso, dal censo e dalla condizione professionale, ma non pone sullo stesso piano giovani e anziani quando prende in considerazione gli anni di vita risparmiati anziché le vite salvate. Tanto meno l’analisi C-E fa­ vorisce gli anziani quando gli anni aggiuntivi di vita sono ponderati con indici di autosufficienza o benessere, perchè frequentemente un anziano, al contrario dei giovani, per quanto clinicamente guarito, non è in grado di tornare alla piena autosufficienza.

Se queste tecniche fossero usate per selezionare investimenti al­ ternativi attinenti a diverse patologie, determinando in questo modo anche la dimensione del budget dei singoli reparti ospedalieri, le risorse per la cura degli anziani verrebbero ridotte. In particolare, verrebbero tagliate le risorse per la cura dei malati terminali. Può darsi che su ta­ le politica si possa raggiungere un ampio consenso: certamente l’acca­ nimento terapeutico ha suscitato delle critiche e gli stessi pazienti pre­ ferirebbero a volte una interruzione dei trattamenti sanitari; ma scel­ te così fondamentali, che coinvolgono la vita e la morte, non possono essere lasciate all’analista.

La scelta del tasso di sconto, come si è visto, è un ulteriore varia­ bile strategica che sottende importanti giudizi di valore. Un alto tasso di sconto tende a favorire (o a non sfavorire) gli anziani e a diffondere i benefici su più soggetti.

(28)

ferimento a dei responsabili facilmente individuabili (il Parlamento, il Consiglio regionale, il funzionario deH’Usl o dell’ospedale a seconda dei livelli decisionali).

La seconda alternativa prevede che gli economisti svolgano le analisi sulla base di propri giudizi di valore includendo, dove possibi­ le, diverse opzioni (conformi a diversi giudizi di valore), lasciando poi la scelta ai policy maker. Questa soluzione lascerebbe la responsabilità delle decisioni finali all’apparato politico-burocratico, ma creerebbe le basi per decisioni più informate. È necessario però che gli analisti ab­ biano piena coscienza dei giudizi di valore sottesi alle loro analisi-cir­ costanza che non sempre si verifica, soprattutto quando le valutazioni sono effettuate da « praticoni ».

In ogni caso occorre molta cautela per evitare che l’analisi C-B si trasformi da un prezioso strumento di valutazione in « un insidioso veleno nel corpo della pubblica amministrazione » (Williams 1973).

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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, LY1, I. 355-382 ( 1MJ7)

THE ENDOGENOUS DEFAULT OF PUBLIC DEBT IN AN OVERLAPPING

GENERATION MODEL

by Roberto Guidi ( * )

University of Genoa

Su m m a r y: 1. Introduction. 2. The Samuelson model. — 3. The different kinds of defaults of public debt. 4. Conclusions. - Appendix. References.

1. Introduction.

The main effort of the economic literature on high public debt, is directed at the analysis of the sustainability of the burden of the debt and the consequences for fiscal policies. The possibility that a high public debt could be defaulted, it has been considered residual and therefore not much studied.

Consequently a number of possible questions about default arise: 1. When does a default of public debt occur?

2. What is the amount of public debt at which a default takes place?

3. W hy does it happen?

4. What are the economic variables that cause the default? 5. Is there just one kind of default, or we can specify many of them?

In this paper I will try to answer partially to these questions and to demonstrate how an endogenous default of public debt occurs in an OLG model. The repudiation is endogenous because no ad hoc hy­ potheses are necessary. There are different kinds of default, and each one occurs in correspondence with different parameter values charac­ terized by Snap back repeller bifurcations (a special kinds of global bifurcation) or in its right-hand intervals. Each kind of default is de­ fined using the mathematical features of the dynamical system stud­ ied in this paper.

(*) I would like to thank prof. Amedeo Fossati, prof. Alfredo Medio, prof. Gianita-

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