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RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO
E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E
Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI
(e R IV IS T A IT A L IA N A D I D I R I T T O F IN A N Z IA R IO )
D I R E Z I O N E
EMILIO GERELLI - GIULIO TREMONTI COMITATO SCIENTIFICO
ENRICO DE MITA - ANDREA FEDELE - FRANCESCO FORTE AMEDEO FOSSATI - FRANCO GALLO - SALVATORE LA ROSA IGNAZIO MANZONI - GIANNINO PARRAVICIN1 - ANTONIO PEDONE
SERGIO STEVE COMITATO DIRETTIVO
ROBERTO ARTONI - FILIPPO CAVAZZUTI - AUGUSTO FANTOZZI G. FRANCO GAFFURI - DINO PIERO GIARDA - EZIO LANGELLOTTI ITALO MAGNANI - GILBERTO MURARO - LEONARDO PERRONE ENRICO P O T IT O - PASQUALE RUSSO - G IULIANO T ABET
FRANCESCO TESAURO - ROLANDO VALIANI
Pubblicazione sotto gli auspici del Dipartimento di Economia pubblica e territoriale dell’ Università, della Camera di Commercio di Pavia e dell’Istituto di diritto pubblico della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma.
Direzione e Redazione: Dipartimento di Economia pubblica e territoriale del l’ Università, Strada Nuova 65, 27100 Pavia; tei. 0382/504.406, (Fax) 504.402.
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Redattori: Silvia Cipollina, Angela Fraschini, Giuseppe Ghessi. Segretaria di Reda zione: Claudia Banchieri.
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Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 104 del 15 marzo 1966 Iscrizione Registro nazionale stampa (legge n. 416 del 5.8.81 art. 11)
n. 00023 voi. I foglio 177 del 2.7.1982 Direttore responsabile: Emilio Gerelli Rivista associata all’ Unione della Stampa Periodica Italiana
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P A R T E P R I M A
Studi per un progetto di riforma del sistema tributario italiano: Rapporto Irpef 435
Lu ig i Be r n a r d i - L ’Irpef: ragioni di una riforma e analisi di una proposta . 430 Ur s u l a Hk r h - Evoluzione ed aspetti quantitativi attuali dell'Irpef ... 485 St e f a n o Toso - Recenti riforme dell’imposta personale sul reddito: una prospetti
va internazionale ... 507 Ug o Co l o m b in o - Ipotesi di riforma fiscale ed effetti sull’offerta di lavoro ... 527 Mic h e le Be r n a sc o n i- Evasione, pressione fiscale e progressività delle imposte ... 538 Gio v a n n i Br u n o - Al b e r t o Za n a r d i - Tassazione del reddito dei lavoratori di
pendenti ed indipendenti: effetti della progressività su traslazione, evasione ed offerta di lavoro ... 554
Din o Riz zi - Effetti redistributivi delle proposte di modifica dell’Irpef contenute nel « Libro bianco » ... 57]
Se r g io St e v e - Commento al Rapporto Irpef ... 589 LEGGI E DOCUMENTI
Min is t e r o d e l l e f in a n z e - La riforma fiscale - Libro bianco ( I I ) ... 591 RASSEGNA D I PU B BLICA ZIO N I RECENTI ... 059
P A R T E S E C O N D A
Al e s s a n d r o Tu r c h i - Assegnazioni di alloggi ai soci di cooperative edilizie ed Iva ... 05
Gio v a n n i Gir e l l i - La destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’attività
d’impresa e il trasferimento a titolo gratuito dell’azienda e dei beni d’impresa: una questione ancora aperta ... 74
SENTENZE AN N O TATE
Iva - Società cooperative edilizie - Assegnazione di alloggi ai soci - Attività a carattere commerciale - Cessione di beni - Configurabilità (Cass., sez. I civ., 28 luglio 1994, n. 7061) (con nota di A. Tu r c h i) ...
LA COSTITUZIONE
ECONOMICA
ITALIANA
INTERPRETAZIONE E PROPOSTE
DI RIFORMA
S e co n d a e d iz io n eSommario:
La costituzione econom ica tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario - Il bilancio dello Stato e i principi del m od ello “sociale” - Quattro proposte di legge di revisione costituzionale in materia di costitu zione econom ica - Integrazioni e aggiornamenti.
8°, p. X-284, L. 34.000
726
I M A N U A L I T R I B U T A R I
Raccolte di legislazione, norme amministrative e giurisprudenza, coordinata per articolo
a cura di
Giuseppe Giuliani
MANUALE DELLA FINANZA LOCALE aggiornato al 31 maggio 1995
due raccoglitori con scatola custodia 2.015 schede e un fascicolo di indici, L. 530.000
MANUALE DELLE IMPOSTE DIRETTE aggiornato al 30 giugno 1995
con il nuovo Testo Unico cinque raccoglitori con scatola custodia 4.693 schede e un fascicolo di indici, L. 1.000.000
MANUALE DEL REGISTRO aggiornato al 31 luglio 1995
quattro raccoglitori con scatola custodia 3.504 schede e un fascicolo di indici, L. 840.000
MANUALE DELLE SUCCESSIONI E DELLE DONAZIONI aggiornato al settembre 1995
due raccoglitori con scatola custodia 1.034 schede e un fascicolo di indici, L. 330.000
MANUALE DELLA PROCEDURA TRIBUTARIA aggiornato al 31 agosto 1995
tre raccoglitori con scatola custodia 1.820 schede e un fascicolo di indici, L. 400.000
MANUALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA
(in corso di stampa)
525
TESTI SCELTI DI ECONOMIA
Robert E. Lucas jr.
"Premio N ob el"
STUDI SULLA TEORIA
DEL CICLO ECONOMICO
Traduzione di Giuseppina Malerba
Quattordici articoli sul ciclo economico, scritti tra il 196 7 e il 1981, che testimoniano l'evoluzione dell'insigne economista sui temi trattati evidenziando, nel contempo, la notevole coerenza di contenuti. Sommano:
Salari reali, occupazione ed inflazione. (Con Léonard A. Rapping) - La disoccupazione durante la Grande Depressione: esiste una spiegazione esauriente? (Con Léonard A. Rapping) - Aspettative e neutralità delia mone ta - Verifica empirica dell'ipotesi del tasso naturale - Valutazione empirica delle politiche normative: una critica - L'evidenza empirica a livello interna zionale dei trade-offs tra prodotto reale ed inflazione - Capacità produttiva, lavoro straordinario e funzioni empiriche di produzione - Equilibrio tra disoccupazione e ricerca di un posto di lavoro. (Con Edward C. Prescott) - Un modello di equilibrio del ciclo economico - Per una comprensione del ciclo economico - Le politiche a sostegno dell'occupazione - Interventi nor mativi, politiche discrezionali ed il ruolo dell'autorità di politica economica - Un commento a «Towards Full Employment and Price Stability: A Rapport to thè OECD by a Group of Independent Experts» (verso la piena occupa zione e la stabilità dei prezzi: rapporto per l'OECD da parte di un gruppo di esperti indipendenti), a cura di Paul McCracken e altri, OECD, giugno 1977 - Metodologie e problematiche delle teorie cicliche.
p. X-390, L. 26.000
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IBM VOICETYPE GIURIDICA
IBM VOICETYPE DICTATION (IBM VTD)
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO
DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE
G IO R G IO SACERDOTI SERGIO ALESSANDRINI
REGIONALISMO ECONOMICO
E SISTEMA GLOBALE
DEGLI SCAMBI
Sommario:SISTEMA MULTILATERALE DEGLI SCAMBI E REGIONALISMO
ECONOMICO: G. Sa c e r d o t i, Nuovi regionalismi e regole del Gatt dopo
l’Uruguay Round - E. Grilli, Regionalismo e multilateralismo: conflitto o
coesistenza? - E. Sa s s o o n, Regionalismo, multilateralismo o integrazione?
- M . Lunati, Nu o v o regionalismo, armonizzazione tecnica ed asimmetrie tra
Paesi - F. Munari, La libertà degli scambi intemazionali e la tutela dell’ambiente
- S. Sa v io l o, Integrazione multinazionale di imprese e integrazione economica
regionale. DINAMICA E SPECIFICITÀ DEI REGIONALISMI ECONOMICI: S. Alessandrini, Gli accordi di associazione della Cee con i Paesi dell’Europa
centro orientale - C. Dord i, Le regole di origine negli accordi regionali: modalità
applicative nella Comunità Europea - G. Porro, I settori oggetto di liberalizzazione
nell’accordo sullo Spazio Economico Europeo - F. Be s t a g n o, Clausole di
salvaguardia e trattati di integrazione economica: il caso dell’accordo sullo
Spazio Economico Europeo - A. Lan g, La procedura decisionale dello Spazio
Economico Europeo - M. M. Sa l v a d o r!, La disciplina degli appalti pubblici
nello Spazio Economico Europeo - J. E. Bric eno Ber r u, Aspetti giuridici
dell’integrazione regionale nell’America Latina. APPENDICE DOCUMENTARIA: Art. XXIV del Gatt - “Understanding on the interpretation of art. XXIV of Gatt 1994”, del 15.12.93 (Uruguay Round) - Nota della Commissione Cee del 12.5.93 sul Nafta - Decisione ministeriale “Trade and Environment”, Marrakech 14.4.1994.
8°, p. VIII-406, L. 48.000
______________________ 842
S T U D I P E R U N P R O G E T T O D I R IF O R M A D E L S IS T E M A T R I R U T A R I O IT A L I A N O :
R A P P O R T O I R P E F
Questo fascicolo della Rivista pubblica il Rapporto finale degli studi, relativi all’ Irpef, svolti nell’ambito delle ricerche per una rifor ma del sistema tributario italiano, che hanno accompagnato la stesura del « Libro bianco » diffuso nello scorso dicembre dal Ministero delle Finanze (1). Il rapporto Irpef è stato curato da L. Bernardi, che ne è anche coautore insieme a U . Herr, S. Toso, U . Colombino, M . Berna sconi, G. Bruno, A . Zanardi e D . Rizzi. È giunto, assai gradito, un breve commento del prof. S. Steve.
Gli Autori ringraziano l’allora Ministro Tremonti, per l’impulso dato alle ricerche e l’attuale Ministro Fantozzi, per l’autorizzazione al la pubblicazione. Si ringraziano inoltre i coordinatori locali di tali ri cerche E . Gerelli, G. Ghessi, A . Majocchi, e, per il costante supporto, non solo organizzativo, il dr. Ricci della Sogei.
Il Rapporto è qui pubblicato nella stesura originaria del gennaio
1995 e riflette quindi le informazioni allora disponibili e la legislazione vigente in quel periodo.
(1) Il « Libro bianco » è stato ripubblicato anche su questa Rivista. Cfr. fascico lo precedente ed attuale, sezione Leggi e documenti.
Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, LIV, 3, I, 436-484 (1995)
L ’ I R P E F : R A G I O N I D I U N A R IF O R M A E A N A L I S I D I U N A P R O P O S T A
di Luigi Bernardi (*)
Università degli studi di Pavia
So m m a r io: 1. La riforma Irpef e il « Libro bianco » delle Finanze. — 2. Origine, diffu sione, critica e riforma dell’imposta personale progressiva sul reddito. -2 .1 . Ori gine, diffusione e caratteri dell’ imposta, con particolare riferimento all’Irpef. -
2 .2 . Ripensamenti e critiche sull'imposta personale negli anni '70 ed ’80. - 2.3.
Le riforme attuate e proposte negli anni ’ 80 ed i limiti della « regola d’oro ». — 3.
Le riforme anni ’80 e la realtà italiana: obicttivi e limiti di una riforma possibile. - 8.1. La base imponibile. - 3 .2 . Redistribuzione e progressività. - 3.3. Requisiti della capacità contributiva. - 3 .4 . Semplificazione e trasparenza. - 3.5. Sintesi: obiettivi e limiti di una riforma possibile. — 4. Le ipotesi di riforma proposte dal « Libro bianco » . - 4.1. La base imponibile. - 4.2. Le ipotesi alternative ri guardo alla struttura dell’imposta. - 4.3. Aliquote marginali e aliquote medie per tipologia di percettori. — 5. Gli effetti delle ipotesi di riforma. - 5.1. L'analisi per percettori e per famiglie: in particolare gli impatti distributivi. - 5.2. Gli effetti sulla tassazione delle famiglie. - 5.3. Semplificazione e trasparenza. — 6. Conclu sioni. Bibliografia.
I conclude that there is no good reason for thè di- senchantment with thè incoine tax.
J.A. PECHMAN, 1990 Io continuo a domandarmi come sia possibile che studiosi di finanza pubblica di grande valore perse verino nel ritenere che l’ideale delle imposte sia l’imposta personale progressiva sul reddito.
S. STEVE, 1984
(*) La messa a punto e la simulazione delle ipotesi di riforma Irpef, recepite in
1. La riforma Irpef e il « Libro bianco » delle Finanze.
Nel « Libro bianco » delle Finanze si ritrovano due impulsi alla ri forma dell’ Irpef, ed uno è la generalizzazione dell’altro. L ’impulso m i nore deriva dalla~opportunità di ridurre l’imposta sul reddito (nel « Libro bianco » si ragiona a gettito totale costante), al fine di com pensare le famiglie dall’aumento di prelievi indiretti, derivanti da im pegni internazionali contratti dal nostro paese: per armonizzare l’ iv a europea e per stabilizzare le condizioni climatiche, tramite una m ag gior tassazione, che disincentivi gli impieghi energetici dei combusti- bili fossili. Lo spazio che così si apre per l’abbattimento dell’ Irpef è di un po’ più di 15 mila miliardi, poco meno di un punto di Pii (1).
L’impulso maggiore consiste nell’ihserire questa rimodulazione del prelievo in una direttiva di riforma più ampia, ed in larga parte tuttora da scrivere, ma comunque volta a sostituire imposte sul reddi to con tributi indiretti (e patrimoniali): questione non certo nuova (Steve, 1976, p. 264 ss.), ma rivitalizzata durante i decenni più recenti da una molteplicità di fattori: una diffusa delusione per il malfunzio namento delle imposte sui redditi; indicazioni di optimal taxation (per i tutti: Atkinson e Stiglitz, 1976; da ultimo, per il caso classico di mag- j giore evasione nelle dirette: Boadway, Marchand e Pestieau, 1994); esperienze specifiche, come quella inglese, per altro con effetti discuti bili in termini di equità (Giles, Johnson, 1994); e, infine, il processo di denazionalizzazione dei redditi, di quelli di capitale in ispecie: un fe nomeno sul quale il firmatario del « Libro bianco » ha insistito da tem po, e non da solo (Tremonti et al., 1993), e sul quale ha richiamato ora l’attenzione anche una delle voci più autorevoli della Scienza delle fi nanze contemporanea (Tanzi, 1995).
Le ragioni per studiare e proporre una riforma Irpef vanno tutta via al di là della meccanica del « Libro bianco » ed affondano le loro radici, com’è facile intuire, nel citato ripensamento in atto da almeno due decenni riguardo all’imposta personale sul reddito; nei tentativi, non troppo riusciti, di riforma degli anni ’80; nelle specifiche distorsio ni dell’Irpef italiana,. Non tutti questi argomenti hanno potuto per al tro essere compiutamente esaminati in questo studio, finalizzato co m’era alla formulazione e valutazione di proposte immediatamente
operative, e lo stesso linguaggio dovrà per lo più privilegiare la leggi bilità rispetto al rigore. L ’analisi è stata però approfondita su alcuni punti di rilievo, a cui sono dedicati i contributi che accompagnano questo testo: l’evoluzione e lo stato attuale dell’ Irpef e le tendenze re centi dell’imposizione sul reddito nei paesi occidentali; gli effetti della progressività su offerta di lavoro, traslazione ed evasione; gli impatti distributivi e solidali delle ipotesi di riforma prospettate dal « Libro bianco ». N on si è invece riusciti, con notevole rammarico, ad articola re quanto sarebbe stato necessario le problematiche relative all’unità impositiva: ma l’analisi economica sta attraversando in materia una fase piuttosto fluida e le istituzioni a cui si sarebbe dovuto fare riferi mento travalicano largamente l’ambito proprio del sistema tributario. Il seguito di questo testo riprende anzitutto le ragioni generali dell’affermazione, prima, e della successiva disaffezione verso l’im po sta progressiva sul reddito, disaffezione emersa, come si è detto, a par tire dagli anni ’70: si considerano e si valutano poi le riforme degli an
ni ’80, ispirate al paradigma « allargamento della base e riduzione del
le aliquote ». Questo paradigma viene in seguito riferito alla realtà ita liana e se ne giustificano le limitate e peculiari possibilità di applica zione. Si individuano così gli obiettivi ed i limiti di una possibile rifor m a dell’ Irpef, di cui vengono presentate le ipotesi alternative form u late nel « Libro bianco ». Di esse si discutono allora i caratteri, le pro prietà e gli impatti, con particolare riferimento a quelli distributivi ed a quelli relativi alla tassazione delle famiglie, questi ultimi per altro valutati con approcci molto convenzionali. Si conclude infine con una valutazione di sintesi delle proposte del « Libro bianco » e con qualche indicazione per gli sviluppi e gli approfondimenti di esse che sembra no prioritari.
2. Origine, diffusione, critica e riforma dell’imposta personale pro
gressiva sul reddito.
2.1. Origine, diffusione e caratteri dell’imposta, con partico lare riferimento all’Irpef.
C om ’è noto, l’imposta globale sul reddito complessivo delle perso ne fisiche (per tutti, Steve, 1976, pp. 292-3) nasce nell’ottocento, sia quanto alle prime esperienze di applicazione concreta, sia riguardo al- l’emergere dei sottostanti ideali redistributivi. È però durante il no stro secolo che l’imposta si diffonde, per il numero di paesi in cui vie
ne adottata, e per l’ampiezza della platea di contribuenti che ne sono coinvolti in misura crescente. Per lo più, il prelievo globale ha unifica to ed assorbito una molteplicità di tributi reali preesistenti su vari ce spiti, accompagnati o meno da limitate forme complementari di so- vraimposizione a carattere generale: questo processo è tuttora in corso in molti paesi in via di sviluppo (Tanzi, 1994). A partire all’incirca dal secondo dopoguerra, l’imposta personale globale è divenuta il prelievo di maggior importanza in pressoché tutti i paesi occidentali ma, come si è già notato, durante gli ultimi due decenni, il tributo ha attraver sato un’intensa stagione di ripensamento intellettuale e di diffuse re visioni delle legislazioni vigenti.
Il nostro paese è giunto relativamente tardi all’appuntamento con l’imposta globale sul reddito delle persone fisiche e con una vicen da troppo nota, nell’origine e negli sviluppi, perché la si debba rac contare anche in questa sede, al di là di pochi accenni. Solo con la ri forma del 1974, infatti, l’ Irpef sostituisce la congerie di prelievi diretti preesistenti (imposte di ricchezza mobile, di famiglia e complementa re, con relative sovraimposte ed addizionali). Gli studi svolti per la ri forma hanno individuato, in modo un po’ convenzionale, le ragioni che giustificavano l’adozione dell’imposta personale globale principal mente in quattro aspetti: evitare la sovrapposizione di molteplici pre lievi sul medesimo imponibile; impedire trattamenti diversificati in modo casuale tra contribuenti con uguale reddito proveniente però da fonti differenti; attuare una tassazione progressiva sull’insieme di red diti facenti capo ad un singolo percettore; tener conto di elementi sog gettivi e personali che influenzano la capacità contributiva a parità di reddito: insomma, adottare e sviluppare lo strumento di prelievo che meglio avrebbe dovuto garantire l’equità sia verticale che orizzontale (Cosciani, 1964, p. 163 ss.).
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-di suoi poteri precedenti, e sommersa, infine, dalle carte del nuovo prelievo, un numero di rapporti tributari improvvisamente ingiganti tosi. Presupposti strutturali per il successo della riforma erano a loro volta l’attesa di un’economia in crescita sostenuta e con prezzi stabili, ed in cui il controllo dei redditi prodotti divenisse sempre più agevole: si assumeva implicitamente l’estendersi dell’ambito della produzione e distribuzione di beni materiali, imperniato sul rapporto tra grande impresa e lavoro dipendente, ed il permanere di una fondamentale stabilità territoriale della ricchezza (2).
Dopo l’introduzione (3), l’ Irpef è sicuramente diventata col tem po un’imposta « grande », raggiungendo rapidamente il primato tra i prelievi tributari vigenti, non diversamente da quanto, come si è già detto, è avvenuto negli altri paesi occidentali, ma per effetto, com’è noto, non di un recupero di generalità (che è mancato quasi del tutto) ma piuttosto di una ingente lievitazione automatica, dovuta al fiscal drag monetario. Il gettito è salito, dal 1974 al 1993, dal 40 al 62% dei prelievi diretti, dal 13 al 37% degli incassi tributari erariali, dall’ 1,9 a quasi il 9,9% del Pii. L ’aliquota media per lavoratore dipendente è aumentata nello stesso periodo di quasi 15 punti, passando dal 5 al 20% circa. Il livello attuale del prelievo Irpef non è distante da quello medio che si registra in ambito sia Ile che Ocse, ma tende a collocarsi nella fascia alta della distribuzione dell’imposta per paesi, ed ha conti nuato a crescere anche nell’ultimo decennio, a differenza di quanto per lo più è avvenuto negli altri stati delle aree citate, confermando così la tendenza verso la concentrazione dei sistemi tributari. Rispetto ai paesi Ue, l’ Irpef presenta una progressività che non è in generale superiore alla norma, ma per l’operaio industriale medio italiano (che non può evadere e che deve pagare anche per chi può sfuggire al fi sco), il livello del prelievo è elevato, specie per i bassi redditi, mentre le agevolazioni per i carichi familiari sono assai meno generose di quel le concesse, ad esempio, in Francia ed in Germania (cfr. Toso e, inol tre, Messere [1993], Cer [1993], Oecd [1994] e Ec [1994]).
Rinviam o al testo di Ursula Herr per maggiori ragguagli quanti tativi, limitandoci a ricordare qui che, grande com ’è, l’ Irpef raggiunge
(2) Sui temi, largamente discussi, relativi all’avvio dell’ Irpef, rimandiamo, per tutti, a Pedone [1980], Fossati [1983] e Valiani [1984].
oggi circa 30 milioni di contribuenti, di cui 15 milioni circa di lavora
tori dipendenti, intorno a 10 di pensionati ed a 4 di lavoratori autono
mi e imprenditori personali. L ’aliquota media non è lontana dal 20%,
per un reddito imponibile medio a sua volta vicino ai 25 milioni. No
nostante erosione ed evasione, l’effetto redistributivo e quello di mo dulazione progressiva del carico sono tuttaltro che irrilevanti: l’indice di disuguaglianza dei redditi individuali netti da imposta dichiarati è inferiore a quello dei redditi lordi (cfr. Rizzi) per circa il 10% (pari a
circa 4 punti); con un certo margine di approssimazione si può dire
che il 4 0 % dei contribuenti più poveri paga il 5 % circa dell’imposta,
mentre, il 1 5 % dei più ricchi ne paga quasi il 5 0 % .
A questi apparenti e noti successi, conseguiti daU’ Irpef in circa un ventennio di vita ed ai quali è dovuta la pur così precaria tenuta (o il tax push?) dei conti pubblici italiani, vanno però contrapposti una serie di fallimenti altrettanto ben conosciuti ed il venir meno di alcune tra le condizioni che dovevano favorire l’equilibrato sviluppo dell’imposta, argomenti su cui torneremo nei prossimi paragrafi. Noli è dunque un caso che, al di là degli interventi di pura manutenzione, la legislazione Irpef si sia confrontata per vent’anni con alcuni proble mi strutturali ricorrenti e con la proliferazione di proposte di riforma: riguardo alla definizione della base imponibile; alla scelta della unità impositiva tra individuo o famiglia; alle modalità di applicazione del l’imposta nel comparto del lavoro autonomo e dell’impresa personale, al fine di abbattere l’elevato grado di evasione proprio di questi setto ri; alla revisione della struttura del pi'elievo, anche ed in particolare per compensare gli effetti del fiscal drag monetario (cfr. Herr).
2.2. Ripensamenti e critiche sull’imposta personale negli anni ’ 70 ed ’80.
Nello stesso intorno di anni in cui se ne ha l’introduzione in Ita lia, l’imposta globale sul reddito personale comincia ad essere oggetto di crescenti ripensamenti, dottrinari e politici, nei paesi in cui il pre lievo era stato adottato da più tempo e vantava, dunque, una più lunga esperienza. Come vedremo, le ragioni di questa diffusa critica all’imposta personale sul reddito valgono anche per il caso italiano, ma solo con alcune precise particolarità, e si possono sintetizzare in quattro capi d’accusa principali (su tutto, cfr. Toso e bibliografia ivi).
a) La non generalità della base. — Nella totalità dei paesi in cui è
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ti dei contribuenti sfugge alla base imponibile. Il fallimento della glo balità comporta il venire meno dei corollari più attraenti del requisito della personalità: in particolare sono compromessi i risultati di equità orizzontale e verticale che quest’ultima dovrebbe garantire e si re stringe l’ambito su cui può esplicarsi la funzione redistributiva del tri buto. La tipologia delle esclusioni daH’imponibile è per altro molto variabile, per entità e per contenuto, da paese a paese, anche se quasi ovunque l’imposta si trova in difficoltà nell’assoggettare i redditi da capitale, nell’accertare completamente quelli da lavoro indipendente, nel resistere alle richieste di agevolazioni particolari, patrocinate da questo o quel gruppo di interesse.
b) Livello e progressività delle aliquote. — Un altro tradizionale argomento di critica, alla struttura che l’imposta personale sul reddito era venuta assumendo fino agli anni ’70 nella maggior parte dei paesi occidentali, ha riguardato la configurazione delle aliquote, giudicate eccessive, quanto al numero, così come riguardo al livello ed alla pro gressività. Questa struttura del prelievo non avrebbe garantito il (quantum e l’equità dell’azione redistributiva, data la non generalità della base imponibile. Viceversa, alla dettagliata progressione di ali quote graduate si sono attribuiti una serie di effetti negativi, rinveni bili principalmente sul piano dell’efficienza e su quello dell’ammini strazione del prelievo, e costituiti: dal disincentivo all’offerta dei fat tori (ivi compreso il livello del cuneo interposto tra costo del lavoro e salario netto); dallo stimolo ad un maggior grado di evasione e ad una più diffusa ricerca delle possibilità di traslazione (che alterano la di stribuzione desiderata dall’onere del tributo); da un più intenso pro dursi del fiscal drag monetario; dalla complicazione nel trattamento di redditi quali quelli irregolari o quelli dei nuclei familiari.
c) Opacità e complicazione. — L ’imposta personale sul reddito è
d) Una visione riduttiva degli elementi costitutivi della capacità
contributiva.— Avviata con l’ambizione di tassare il reddito come en
trata (flusso di reddito prodotto, monetario e non, più variazioni pa trimoniali, maturate e realizzate), per lo più ridimensionata alla consi derazione del solo reddito monetario prodotto, l’imposta personale sui redditi, come abbiamo visto, non colpisce generalmente neppure que st’ultimo nella sua integrità, per la diffusione con cui vengono appli cati regimi sostitutivi, agevolazioni ed altre forme di erosione. Da tempo la letteratura ha poi evidenziato non solo i limiti del reddito quale unico indicatore di capacità contributiva (esemplari le pagine di Steve, anche per il vivace richiamo alla tradizione einaudiana [1984]) ma ha ribadito, inoltre, la necessità che l’identificazione della capacità contributiva stessa con il reddito debba in realtà essere filtrata con una serie di caratteristiche personali del contribuente, economiche e non. Tradizionali sono le discriminazioni qualitative, di cui spesso, pe rò, si è persa l’origine e non si riesce a giustificare l’entità. Questi pro
blemi si pongono a fortiori per il trattamento dei redditi familiari e
per l’individuazione dell’unità impositiva. Il prelievo può soffrire, co me avviene in Italia, della c.d. « distorsione familiare », ovvero della penalizzazione inflitta alla coppia monoreddito, a parità di reddito to tale della coppia, e stante la progressività delle aliquote. A loro volta le agevolazioni per i figli e gli altri familiari a carico possono rivelarsi insufficienti e determinare così la c.d. distorsione « demografica ». Al tre caratteristiche che possono influire sul benessere materiale e sulla capacità contributiva a parità di reddito, quali l’età o lo stato di salu te (anche di familiari del contribuente) non vengono per lo più consi derate rilevanti dalle legislazioni tributarie e va esplorata l’opportuni tà di attribuire ad esse un ruolo nella determinazione dell’imposta (per tutti Stiglitz, 1989, capp. 15 e 20).
2.3. Le riforme attuate e proposte negli anni ’80 ed i limiti della
« regola d’oro ».
Anche nei paesi nei quali la critica recente è stata più radicale, il peso relativo dell’imposta personale nel sistema tributario è stato ri dotto durante gli anni ’ 80 ma non abbattuto in misura macroscopica:
spesso ha semplicemente cessato di espandersi lungo i trenddel passa
patibile con la diffusa stringenza dei vincoli di bilancio e con la diffi coltà di sostituire per ammontari elevati il gettito, sottratto dall’im posta personale, con l’ incremento di quello di altre entrate.
Sul piano qualitativo, dibattito e revisione dell’imposta personale non sono per lo più sfociati a livello internazionale nell’adozione di modelli radicalmente alternativi a quello tradizionale dell’imposta sul reddito personale: la proposta di un prelievo commisurato alla spesa, piuttosto che al reddito, è parsa difficilmente praticabile per ragioni amministrative e di transizione; semplificazioni spinte sino all’adozio ne di una singola aliquota proporzionale sono risultate di fatto poco proponibili quanto agli effetti redistributivi (4). La riduzione dell’im ponibile ai soli redditi da lavoro, accompagnata dallo sfoltimento dei fattori di personalizzazione dell’imposta e dalla separazione della tas sazione (proporzionale) delle rendite da capitale, adottata di recente in alcuni paesi del Nord Europa (Soerensen, 1994), è risultata interes sante soprattutto sul piano operativo, forse più che per i suoi fonda menti teorici: essa apre inoltre la prospettiva, attraente ma non sem plice né prossima, verso la fusione (anche istituzionale ed amministra tiva) tra imposta personale e contributi sociali, in un unico strumento destinato al finanziamento progressivo ma, insieme, in contropresta zione della sicurezza sociale (previdenza e assistenza) (Ifs, 1992, cap. 8), un tema non estraneo anche alla letteratura italiana recente (Vita letti, 1993). Ma né la riflessione teorica, né, soprattutto, i sistemi tri butari concreti sembrano pronti né per questo né per altri interventi riformatori altrettanto radicali (Kay, 1991), se pur di diverso conte nuto, ivi compresi il ripristino dell’ideale comprehensive della tradizio ne riformista (Bosi, 1994, pp. 18-19) e l’attuazione integrale di tax de sign più direttamente derivati da modelli di optimal taxation. Soprat tutto, il convergere dei sistemi impositivi vigenti verso una struttura standard, quale quella che prevale oggi nelle economie occidentali, la scia supporre che un mutamento drastico di tale struttura, giustifica to o meno che sia, non è né prossimo, né possibile.
Come si è però già accennato, l’esito comunque più frequente del le riforme dell'imposta sui redditi adottate negli anni ’ 80 (cfr. Toso) (di cui l’esempio più noto, ma non più radicale né più anticipatore è
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quello introdotto dagli Stati Uniti nel 1986) è consistito nella « regola d’oro » di allargare l’imponibile del prelievo, attenuandone contempo raneamente le aliquote. Pur con uno spostamento di enfasi verso l’ef ficienza e la neutralità, si riteneva, in tal modo, di non compromettere eccessivamente la funzione redistributiva dell’imposta, perché la ridu zione delle aliquote doveva essere compensata dall’inclusione nell’im ponibile di redditi propri dei contribuenti più ricchi; viceversa il pre lievo sarebbe divenuto più efficiente, perché meno progressivo e più uniforme. I risultati di questa linea di intervento, sostenuta, come si è già notato, da una tradizione intellettuale e politica di tutto rilievo, sono stati largamente discussi, ma per lo più li si è ritenuti quanto meno inferiori alle aspettative, in particolare perché nell’arena politi ca i gruppi di pressione si sono ovviamente coalizzati a favore della ri duzione delle aliquote, ma hanno pesantemente ostacolato le estensio ni di imponibile (Stiglitz, 1989, cap. 23). Inoltre, analisi condotte negli anni più recenti hanno, almeno in parte, ripristinato il tradizionale ri sultato della scarsa sensibilità empirica dell’offerta di lavoro alla tas sazione progressiva, modificando la conclusione contraria che era emersa da alcune note ricerche svolte tra i ’70 e gli ’ 80 (bibliografia in Toso).
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3. Le riforme anni ’80 e la realtà italiana: obiettivi e limiti di una ri
forma possibile.
3.1. La base imponibile.
Valutazioni effettuate a più riprese, a partire dalla fine degli anni ’70, hanno indicato, con inevitabile approssimazione, ma con una so stanziale stabilità, che la base imponibile teorica totale dell’ Irpef è scomponibile (come ordini di grandezza) in un 50% dichiarato, un 25% eroso od escluso, un 25% evaso (Vitaletti, 1984, p. 332 ss.; Ber nardi, 1989, p. 70 ss.; Visco, 1992, p. 125 ss., con precedenti dello stes so A.; Ceriani, Frasca, Monacelli, 1992, pp. 642-653, con discussione). L ’area dell’erosione è stata in parte limitata, durante gli ultimi anni, specie per effetto dell’aggiornamento degli estimi catastali, del l’introduzione dell’ Ici (sostitutiva dell’ Ilor fondiaria e dell’ Invim, ma aggiuntiva rispetto ai preesistenti tributi locali immobiliari ed a quelli indiretti), della trasformazione in detrazioni al 27% di quasi tutti gli oneri deducibili diversi dai contributi previdenziali. L ’inasprimento della fiscalità fondiaria non ha certo eliminato i livelli precedenti di erosione, ma ha per altro indotto a far adottare con la manovra di fi nanza pubblica per il 1994, una specifica agevolazione per le « prime case »: persistono cioè spazi consistenti per una più realistica determi nazione degli imponibili da terreni e fabbricati, la cui rivalutazione solleva per altro problemi distributivi e di volontà politica. Le spese fiscali (esclusi sempre i contributi previdenziali), non raggiungono cer to l’ammontare proprio di altri paesi (Stati Uniti, in particolare); la loro giustificazione è sicuramente discutibile, per l’eterogeneità dei fi ni che le caratterizzano, e per l’estensione ricoperta in Italia dalle pre stazioni sociali ad offerta pubblica: anche una completa eliminazione aumenterebbe però la base imponibile di poco più del 3,5%, ed il pre lievo di meno del 5% (5).
Estrapolando e combinando le stime citate, si può assumere che l’erosione sui redditi da lavoro dipendente sia oggi pari a circa l’8-9% della base Irpef, ma si tratta di agevolazioni difficili da sottoporre a tassazione, essendo costituite, in via quasi esclusiva, dagli assegni
miliari, dai benefici in natura e, infine, dagli accantonamenti per il Tfr, su cui avremo per altro modo di ritornare.
Maggiori sembrano invece le possibilità di recupero per le esen zioni di vario tipo e per le componenti dei costi di produzione costitui te in realtà da consumi personali, riguardo all’imponibile dei lavorato ri autonomi, delle imprese, delle società di persone. Le stime esistenti in proposito sono molto incerte, ma se ne può azzardare 1 ordine di grandezza nel 2,5% circa dell’ imponibile Irpef, che risulta pari al 10- 15% circa dei redditi in questione dichiarati al fisco.
Resta la vasta area degli interessi attivi delle famiglie su depositi bancari e postali e su titoli obbligazionari, pubblici e privati, stimabi le, a fine 1994, ed in termini nominali, in circa il 17% dell’imponibile Irpef, in circa l’ l l % in termini reali. Le ragioni originarie della tassa zione sostitutiva sono state espresse in modo molto esplicito in una di chiarazione, spesso citata, resa dal Senatore Visentini (1979, p. 180) in uno dei Convegni tributari che si sono svolti a Pavia tra gli anni ’70 ed ’80. Tra quelle ragioni è forse venuta meno la necessità di sostegno al sistema bancario; si è acuita l’esigenza di favorire il finanziamento del debito pubblico; si è aggiunta la difficoltà di accertare e controlla re le rendite realizzate all’estero dai residenti, dopo la liberalizzazione dei movimenti internazionali dei capitali, che potrebbe favorirne lo spostamento dal nostro ad altri paesi (Bosi, 1994, pp. 135-142). Si ag giunga che più di un esercizio di simulazione (Bernardi, Marenzi, Poz zi, 1992, pp. 156-157; Ceriani, Frasca, Monacelli, 1992, pp. 756-760) ha evidenziato che l’inclusione degli interessi reali nell’imponibile Irpef, in alternativa alla tassazione sostitutiva, avrebbe effetti piuttosto de ludenti, sul piano sia del gettito che dell’ equità. In effetti, la proposta di inserire in qualche modo gli interessi nell’imponibile Irpef, avanza ta con frequenza fino a tutti gli anni ’80, non compare più nella lette ratura e nei programmi politici più recenti.
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dall’appesantimento degli obblighi contabili, all’inasprimento delle pene, al ricorso a variegati metodi semplificati di accertamento: nel dibattito non è mancata una ricorrente discussione sull’opportunità di adottare forme di tassazione del reddito normale (Leccisotti, 1990) o minimo, che hanno trovato una limitata ed effimera applicazione, co me è noto, nella minimum tax adottata per il 1993. U n ’azione anti- evasione condotta con maggior successo e/o volontà non soltanto avrebbe procurato maggior gettito, ma si sarebbe risolta in un signifi cativo aumento dell’effetto redistributivo dell’imposta: questo almeno è il responso ottenuto con i modelli di microsimulazione (Bernardi, Marenzi, Pozzi, 1992, p. 158).
Da tutte le lacune, fin qui ricordate riguardo all’imponibile, deri va la composizione sicuramente anomala (ma non tanto, in sede di confronti internazionali) della base Irpef, costituita per il 73% da red diti da lavoro dipendente e pensioni: per il 14% da proventi di impre sa e partecipazione; per il 6,5% da redditi professionali; per il 5% da tutti i cespiti fondiari, terreni e fabbricati; per l’ I % dai proventi del capitale finanziario (dividendi) (6). E inoltre diffusa la convinzione che l’elasticità dell’imposta rispetto alla crescita dell’economia sareb be tendenzialmente destinata a peggiorare nel tempo (Vitaletti, 1993; Ceriani, Frasca, Monacelli, 1992) per il progressivo venire meno di quei presupposti strutturali sui quali si confidava all’atto della rifor ma del 1974: la base produttiva si è allontanata da una presunta ten denza verso il modello grande impresa-lavoro dipendente, caratteriz zato da flussi monetari facilmente valutabili, per evolversi invece lun go le direttrici assai meno controllabili della piccola impresa e del la voro autonomo; le dinamiche salariali e pensionistiche sono sottopo ste ad un rigido controllo; l’economia reale si restringe a favore di quella finanziaria: nel 1974 il capitale mobiliare delle famiglie era l’85% circa del Pii, nel 1993 è salito a quasi il 180%.
La discussione contenuta in questo paragrafo porta a concludere che una riforma dell’ Irpef non può prescindere da interventi sull’im- ponibile, ma che difficilmente quest’ultimo può essere allargato, in misura così ampia ed in tempi così rapidi, quanto avrebbe voluto la « regola d’oro », degli anni ’80. Il comparto della tassazione immobilia re va razionalizzato; soprattutto vanno recuperate l’evasione e l’ero sione nei settori dei redditi da lavoro autonomo, impresa e partecipa zione, riconsiderando anche le esistenti tipologie dei soggetti di
sta e dei metodi di accertamento. La riduzione dell’evasione, in parti colare, (cfr. infra, par. 4.1) va perseguita con ben altra forza politica di quella, così poco convinta, manifestata in passato, nei confronti di precise categorie dell’elettorato, seguendo un cammino né facile né breve, ma che costituisce la condizione essenziale di successo per ogni intervento presente e futuro sull’ Irpef, così come l’inattuata efficienza deH’Amministrazione e la presunta forza degli strumenti contabili do vevano esserlo per i riformatori del 1974.
3.2. Redistribuzione e •progressività.
Il processo di riduzione del numero e del livello delle aliquote ha interessato anche il nostro paese durante gli anni ’80, con il graduale passaggio dai 33 scaglioni del 1974 ai 7 vigenti dal 1989 e con l’abbat timento del tasso marginale più elevato, dall’82% al 51% (destinato per altro sempre ad un numero poco più che simbolico di contribuen ti) (7) (cfr. Herr). Il fenomeno è stato però indotto in larga misura dalla esigenza di contrastare, nei limiti consentiti da vincoli stringenti di gettito, il fiscal drag monetario e non ha inciso in misura significati va sull’effetto redistributivo del prelievo e sull’onere per i contribuen ti modali: la riduzione della progressività è. stata infatti compensata dall’aumento dell’aliquota media (Sartor, 1987).
I persistenti vincoli di gettito e i limiti, che abbiamo visto, di estensione dell’imponibile implicano che la correzione delle aliquote della legislazione vigente operata da una riforma Irpef non possa esse re drammatica. L’imposta deve inoltre mantenere una funzione redi stributiva: per quel grado di avversione alla disuguaglianza e di soli darietà che sono sicuramente proprie della nostra collettività; perché l’ Irpef è il principale strumento esistente per adeguare il sistema tri butario italiano al requisito costituzionale della progressività (ovvero della non proporzionalità né regressività, secondo l’interpretazione data negli anni ’60 dalla Commissione Cosciani), requisito che il siste ma sembra oggi osservare, stando ai risultati delle rilevazioni esistenti (Marenzi, 1989; Bernardi, 1995 e letteratura ivi) ma che tuttavia si perderebbe quando si includessero nel computo anche i contributi so ciali, dall’incidenza per altro quanto mai incerta.
In presenza di una riduzione del peso dell’imposta, quale quella prefigurata dal « Libro bianco », la salvaguardia della funzione
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stributiva comporterebbe di necessità di non modificare più che tanto il grado di progressività delle aliquote. Gli effetti della progressività hanno per altro costituito, come si è visto, uno degli aspetti più tor mentati nel dibattito svoltosi di recente riguardo all’imposta persona le, e ciò sia a livello politico che in ambito scientifico. E parso dunque opportuno approfondire l’argomento, come pure si è già detto, con una serie di studi allegati a questo testo e destinati a verificare se d av vero, ed in quale misura, la progressività comporti disincentivi rile vanti nell’offerta di lavoro, insieme ad accresciuti stimoli all’evasione, ed alla traslazione dell’imposta, alterando, in entrambi i due ultimi casi, gli obiettivi di equità perseguiti dal legislatore. Le analisi svolte sono, almeno per ora, giunte a queste principali conclusioni, talora fortemente condizionali o caratterizzate da un grado più o meno ele vato di incertezza:
a) effetti significativi, in termini di elasticità (cfr. Colombino), delle aliquote sull’offerta di lavoro, stando al modello microeconomico standard ed alle sue traduzioni empiriche disponibili per l’ Italia, sono riscontrabili quasi eslcusivamente in capo alla popolazione femminile coniugata; sono verosimilmente maggiori (dati i minori vincoli con trattuali) per gli autonomi piuttosto che per i lavoratori dipendenti e, quel che più conta, a livello dei redditi medi e bassi, piuttosto che di quelli alti; vi è infine l’evidenza di una forte relazione inversa dell’of ferta con il reddito del coniuge. Queste evidenze suggeriscono che un opportuno ridisegno delle aliquote possa conseguire simultaneamente miglioramenti di efficienza e di equità, alleggerendo il carico che gra va sulla parte inferiore della distribuzione dei redditi; si noti, inoltre, che la misura della correzione della attuale distorsione nella tassazione dei redditi familiari dovrà tener conto dell’effetto di disincentivo al lavoro di un coniuge (moglie) esercitato dal reddito dell’altro (marito);
co che a livello teorico. Sul piano empirico si è postulata l’esistenza di una costrizione delle imprese all’ evasione, determinata dalla pressione fiscale esistente e dai vincoli di competitività. Si potrebbe per altro obiettare che, in questo caso, una riduzione delle aliquote indurrebbe forse una caduta percentuale dalla evasione, ma, ancora una volta, non è detto che ne consegua un aumento dei gettiti. A livello teorico il modello di portafoglio è stato invece discusso, tra l’altro, specie per l’ipotesi di razionalità individualistica su cui si basa. Se si ammette, invece, che i comportamenti dei contribuenti siano sottoposti anche a vincoli morali di fairness, la riduzione delle aliquote sembra poter di sincentivare l’evasione solo se è percepita come un aumento di fa ir ness nelle relazioni tra contribuenti ed in quelle tra gli stessi contri buenti e lo stato; ma la fairness, nel secondo caso, non dipende solo dal singolo rapporto tributario, e col tempo sembra essersi profonda mente degradata nel nostro paese, e richiede dunque una lunga opera di ricostruzione;
c) riguardo alle possibilità di traslazione dell’ Irpef (cfr. Bruno e Zanardi), quindi di divergenza tra effetti redistributivi di diritto e di fatto, si deve distinguere tra lavoratori dipendenti ed indipendenti. Per i dipendenti, la tradizionale ipotesi di non traslazione è stata con trastata da analisi basate su modelli di contrattazione salariale: i ri sultati ottenuti riguardo agli effetti della progressività sul grado di traslazione, almeno a breve-medio termine, non sono però univoci ma fortemente condizionali: l’ipotesi di non traslazione potrebbe essere mantenuta sulla base dei dati attuali della realtà italiana, ovvero ipo tizzando un’ulteriore accettazione, da parte sindacale, di politiche di contenimento del costo del lavoro e di salvaguardia dell’occupazione. La situazione dei lavoratori autonomi è stata poco studiata dalla let teratura, che si è concentrata quasi esclusivamente sulle diverse fatti specie dei dipendenti o, all’opposto, delle grandi imprese societarie. Si è pertanto costruita una variante originale del modello di portafoglio per i lavoratori autonomi, che rimuove l’ipotesi di reddito esogeno, e che tiene conto anche della disutilità del lavoro e della tecnologia, ol tre che dei tradizionali parametri relativi all’avversione al rischio, alla struttura tributaria ed al sistema sanzionatorio. L ’imposta può indur re, oltre che ad una dichiarazione fedele, anche alle alternative di eva dere, di modificare la combinazione dei fattori, e, infine, di variare la quantità prodotta: in questo caso si ha traslazione nel mercato, a dif ferenza di quanto avviene con l’ipotesi tradizionale di massimizzazio ne del profitto. Le analisi teoriche di statica comparata del modello
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indicano che solo in alcune ipotesi una maggior progressività induce univocamente ad una maggior traslazione (od evasione), ovvero che questi esiti delle scelte del contribuente non sono, almeno a priori, ge neralizzabili.
I risultati ottenuti con le analisi appena sintetizzate non sembra no evidenziare delle ragioni sufficientemente robuste per contrastare decisamente il mantenimento dell’effetto redistributivo dell’ Irpef, a cui favore giocano, come abbiamo visto, non solo scelte equitative ma anche vincoli di bilancio e di estensione degli imponibili. Si devono al lora individuare i criteri più opportuni per distribuire la riduzione del prelievo ipotizzata dal « Libro bianco ». Un primo criterio minimo, e facilmente accettabile, può essere che la riforma non produca perdite significative di reddito disponibile per nessuna tipologia di contri buenti. Sembrano poi esservi buone ragioni, di efficienza e di equità, per tutelare in particolare i bassi redditi, destinati tra l’altro a subire i maggiori svantaggi sia dal processo di contenimento in atto per i sala ri e le prestazioni sociali e sia dalla sostituzione del prelievo Irpef con tributi indiretti. Per i redditi medio-alti appare viceversa opportuna una riduzione del frazionamento degli scaglioni e della graduazione delle aliquote marginali (senza una sostanziale riduzione di quelle m e die), sulla base di un atteggiamento prudenziale di fronte alle eviden ze non univoche ottenute in merito ai comportamenti di evasione e traslazione. L ’insieme di questi criteri sembra dunque suggerire il pas saggio ad una struttura d ’imposta con pochi scaglioni ma con adegua te detrazioni alla base: si tratterebbe di una struttura « semplice », ma che, proprio per questo, richiede una calibratura accurata, con la for mulazione di più ipotesi di distribuzione del carico, da sottoporre alla scelta di competenza del policy-maker.
3.3. Requisiti della capacità contributiva.
Per i motivi che abbiamo già esposto in termini generali, una ri forma Irpef non può prescindere dalla verifica e, se possibile, dall’ar- ricchimento dei requisiti di capacità contributiva: la materia implica per altro valutazioni sia tecniche che politiche per cui l’esposizione terrà conto delle scelte già presenti al riguardo nel « Libro bianco ».
un’imposta sul reddito, ma più equa perchè verificata anche sul patri monio. Questo aspetto, di cui andrebbero naturalmente definite le modalità operative, potrebbe in realtà avere un significativo effetto anti-evasione (8) e rendere meno arbitrari i sistemi di prestazioni pub bliche commisurati alle condizioni economiche del percipiente.
La riforma deve inoltre procedere ad una migliore correzione del le distorsioni sia familiare che demografica, presenti nell’attuale regi me Irpef (9). Per quanto riguarda la distorsione familiare (famiglia monoreddito versus bireddito: problema che in qualche modo verreb be già attenuato da un’eventuale riduzione degli scaglioni), la com pensazione dovrà comunque essere parziale (ad esempio del 50% cir ca) per una serie di ragioni: a parità di reddito netto, la famiglia mo noreddito dispone di un maggior benessere, dipendente dall’assenza del sacrificio lavorativo (per altro non necessariamente volontario) di uno dei coniugi, dalla sua disponibilità per il lavoro domestico, dal minor ammontare delle spese connesse con l’esercizio della attività la vorativa. Si deve poi tener conto dell’effetto di disincentivo che, come abbiamo visto, il livello del reddito del marito esercita sull’offerta di lavoro della moglie; della necessità di non ostacolare la formazione di famiglie regolari, e, infine, della tendenza verso l’autonomia indivi duale dei coniugi che caratterizza l’evoluzione sociale e che ha portato gradualmente la maggior parte dei paesi Ocse (cfr. Toso) ad adottare regimi di tassazione separata dalle coppie. Questi motivi, unitamente ad un alto costo, in termini di gettito e di amministrazione, dovrebbe ro indurre a non accettare il modello dello splitting (10) ed a corregge re invece la distorsione familiare con una deduzione a favore delle coppie monoreddito. Questa soluzione sembra accettabile anche alla luce degli orientamenti recenti ed in itinere della Corte costituzionale sull’argomento (11).
(8) Questa è almeno l’esperienza di paesi in cui l’imposta personale ha una base mista reddito-patrimonio.
(9) Tra l’ampia letteratura in argomento, limitiamo il rinvio ai lavori recenti di Franco e Sartor [1990 c 1994], Patrizii e Rossi [1991] e Longobardi e Patrizii [1993], ai quali, in misura maggiore o minore, si rifanno gli argomenti svolti di seguito nel testo. Non ci si è invece avventurati nella letteratura dell’ Household Itargaining [ad es. Mau ser e Brown 1980] che non sembra tuttora fornire prescrizioni sicure per la politica tri butaria.
(10) Questa conclusione, raggiunta nel 1992 anche dal Gruppo di lavoro del Mi nistero delle Finanze incaricato di valutare gli effetti dell’eventuale introduzione di una forma di « quoziente familiare » in Italia, ai sensi delle 11. 4084990 e 413/1991 è sta ta verificata anche nelle analisi preliminari svolte per la definizione delle ipotesi di ri forma Irpef poi accolte nel « Libro bianco ».
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La riforma dovrà parimenti allargare le deduzioni per i figli a ca rico, sia pure non nella misura richiesta per compensare i maggiori co sti apportati da essi al nucleo familiare, ma tenendo presente il contri buto positivo di benessere generalmente arrecato dalla presenza di fi gli frutto di libere scelte dei coniugi. La questione del sostegno pub blico per i figli a carico dovrebbe per altro essere ulteriormente quali ficata, nelle motivazioni e quanto agli strumenti. Gli interventi pub blici mirati alle famiglie con figli a carico possono essere ricondotti a due principali obiettivi: il sostegno delle famiglie in condizioni di disa gio economico e l’incentivo demografico. Il perseguimento dei due obiettivi richiede interventi di natura diversa: nel primo caso occorre concentrare le risorse verso le famiglie a basso reddito con interventi di sussidio (più che di sgravio d ’imposta, che risulterebbero inefficaci per incapienza delle detrazioni); nel secondo, si deve estendere l’age volazione a tutte le famiglie. La presenza di vincoli finanziari impor rebbe di stabilire delle priorità tra i due obiettivi. Privilegiare il primo obiettivo (sostegno della povertà) potrebbe apparire preferibile sotto un duplice aspetto: la tutela della libertà di avere figli indipendente mente dal livello del reddito e, come si è già detto, il fatto che una procreazione liberamente scelta non comporta necessariamente una ri duzione del benessere e, quindi, della capacità contributiva. Qualora la scelta di privilegiare il sostegno della povertà sia condivisa, sarebbe però necessario ricorrere ad uno strumento maggiormente idoneo a conseguire l’obiettivo. Si tratterebbe, in particolare, di sostituire la detrazione d ’imposta spettante in tali circostanze con un trasferimen to diretto di danaro. Sotto il profilo tecnico, una concreta possibilità di modificare le linee d ’intervento attuali consiste nel destinare il mancato gettito che deriverebbe dalla concessione di detrazioni d’im posta al finanziamento dell’« assegno per il nucleo familiare ». Que st’ultimo, opportunamente riparametrato, dovrebbe essere concesso a tutte le famiglie italiane in condizioni di bisogno, anche nei casi in cui i redditi da lavoro dipendente e assimilati non rappresentano la fonte principale delle entrate familiari. Questa soluzione, almeno nell’ imme diato, va per altro al di là degli scopi di una riforma tributaria, perché richiede l’integrazione degli istituti fiscali con quelli dell’assistenza so ciale, e con gli apparati e le procedure gestionali ad essi relativi.
U n ’ultima direzione in cui pare opportuno integrare la specifica zione usuale delle caratteristiche della capacità contributiva è (tra le
tante ipoteticamente configuratali) quella delle condizioni di età e di salute dei contribuenti. Il fatto che un cattivo stato di salute limiti la capacità contributiva è correntemente ammesso dalla letteratura con temporanea più consapevole (Stiglitz, 1989, cap. 15). Un intervento in questa direzione non è a sua volta semplice, se non altro perchè an drebbe anch’esso coordinato con gli attuali schemi di assistenza socia le e con le recenti proposte in materia del Ministero per la famiglia. L’ipotesi di commisurare la capacità contributiva all’età ed in particolare di ritenere che la vecchiaia comporti una perdita di capa cità è invece una scelta peculiare, ma con qualche precedente (12), propria del « Libro bianco », giustificata dalla considerazione che con la vecchiaia, vissuta per lo più al di fuori della solidarietà familiare, ed in carenza delle strutture di assistenza, aumentano i bisogni perso nali e diminuisce l’attitudine al lavoro, anche domestico. Questa scel ta del « Libro bianco » si risolve nel mantenere la parificazione delle detrazioni concesse ai pensionati con quelle attribuite ai lavoratori di pendenti in attività, comprese le spese di produzione, e nell’esentare dall’imposta le fasce di popolazione anziana con reddito pari od infe riori ad un livello di « decorosa sussistenza ». Ovviamente, si tratta di scelte che possono essere discusse: ad esempio da chi ritenga che, in un contesto intergenerazionale, i livelli attuali delle prestazioni pen sionistiche siano già eccessivi, specie per la popolazione femminile, o v vero che ulteriori provvedimenti in favore degli anziani dovrebbero semmai essere (non facilmente) discriminati, secondo le condizioni di salute.
3.4. Semplificazione e trasparenza.
Elementi di complessità e di scarsa trasparenza sono sicuramente presenti nella realtà dell’ Irpef, anche se forse l’opinione pubblica ed il dibattito recente ne hanno sopravvalutato l’entità od hanno canaliz zato sull’Irpef l’opposizione nei confronti di procedure amministrative e tributarie opprimenti, ma dipendenti da altre fattispecie. È per al tro certo che trasparenza e semplicità gestionale potrebbero trarre senz’altro vantaggio da una riduzione del numero degli scaglioni e dallo sfoltimento delle agevolazioni: l’allargamento degli scaglioni, inoltre, facilita la tassazione di redditi quali quelli occasionali o fami liari.
Un ulteriore fattore di trasparenza, individuato dal « Libro