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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1998, Anno 57, settembre, n.3

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Spedizione in a.p. - 45% - ari. 2 comma 20/b lcj^je 662/96 - Filiale di Varese

SETTEMBRE 1998 Pubblicazione trimestrale Anno LVII - N. 3

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E

SCIENZA

DELLE

FINANZE

Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI

(e R IV IS T A IT A L IA N A DI D I R I T T O F I N A N Z IA R IO )

D I R E Z I O N E

EMILIO GERELLI - GIULIO TREMONTI COMITATO SCIENTIFICO

ENRICO DE MITA - ANDREA FEDELE - FRANCESCO FORTE AMEDEO FOSSATI - FRANCO GALLO - SALVATORE LA ROSA IGNAZIO MANZONI - GIANNINO PARRAVICINI - ANTONIO PEDONE

SERGIO STEVE COMITATO DIRETTIVO

ROBERTO ARTONI - FILIPPO CAVAZZUTI - AUGUSTO FANTOZZI G. FRANCO GAFFURI - DINO PIERO GIARDA - EZIO LANCELLOTTI ITALO MAGNANI - GILBERTO MURARO - LEONARDO PERRONE E N R IC O P O T IT O - P A SQ U A L E R U SSO - G IU L IA N O T A B E T

FRANCESCO TESAURO - ROLANDO VALIANI

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Pubblicazione sotto gli auspici del D ipartim ento di Econom ia pubblica e territoriale delPUniversità, della Cam era di Commercio di Pavia e de IP Istituto di diritto pubblico della Facoltà di G iurisprudenza delPUniversità di Roma. Questa R ivista viene pu bblicata con il con tribu to fin a n zia rio del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Direzione e Redazione: D ipartim ento di Econom ia pubblica e territoria le del­ PUniversità, Strada Nuova 65, 27100 Pavia; tei. 0382/504.406, (Fax) 504.402,

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R e d a tto r i: Silvia Cipollina, Angela Fraschini, Giuseppe Ghessi, Segretaria di Redazione: Claudia Banchieri.

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Ai collaboratori saranno inviati gratuitamente 50 estratti dei loro saggi. Copie supplementari eventualmente richieste all’ atto del licenziamento delle bozze verranno fornite a prezzo di costo. La maggiore spesa per le correzioni straordinarie è a carico dell’ autore.

Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 104 del 15 marzo 1966 Iscrizione Registro nazionale stampa (legge n. 416 del 5.8.81 art. 11)

n. 00023 voi. I foglio 177 del 2.7.1982 Direttore responsabile: Emilio Gerelli

Rivista associata all’ Unione della Stampa Periodica Italiana

Pubblicità inferiore al 45%

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IN D IC E -S O M M A R IO

P A R T E P R I M A

Giannino Parravicini - L ’onere del debito pubblico e le generazioni ... 337 Franco Reviglio - Autonomia regionale e sanità ... 343 Gilberto Muraro - Alla ricerca dell’equità tributaria: dalle scritture ai problemi

attuali ... 3 5 8

Angelo M. Petroni - Moneta unica, costituzione europea e costituzione italiana .... 373

A P P U N T I E RASSEGNE

Piergiorgio Valente - Ipotesi di tassazione del reddito transnazionale in Inter­

net ... 383

N U O V I L IB R I ... Aio

RASSEGNA D I P U B B L IC A Z IO N I RECEN TI

P A R T E S E C O N D A

Giuseppe Graziano - Osservazioni sulla costruzione normativa dei reati tributari ... 73 Giancarlo Zoppini - Sul regime fiscale proprio dell’usufrutto azionario domestico

e dintorni ... 82

SE N TE N ZE A N N O T A T E

Diritto penale tributario - Sottofatturazione - Conti bancari intestati a persone diverse dalla società - Deposito di ricavi - Frode fiscale - Sussistenza (Tri­ bunale di Torino, 8 giugno 1998).

Diritto penale tributario - Pluralità di conti correnti e libretti di deposito - Ver­ samento di ricavi non fatturati - Frode fiscale - Insussistenza (Tribunale di Torino, Sez. IV pen., 9 maggio 1998) (con nota di G. Graziano) .... 67

Irpef - R eddito d ’impresa - Usufrutto azionario - Costo - Deduzione ex art. 68, secondo comma, D.p.r. n. 917/1986 - Legittimità.

Ilor - R eddito d ’impresa - Usufrutto azionario - Costo - Deducibilità (Comm. Trib. Reg. di Milano, Sez. X V I, 18 novembre 1997, n. 169) (con nota di G.

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M. ANTONIETTA GRIPPA SALVETTI

Sommario:

PRINCIPIO DI RISERVA DI LEGGE: ORIGINE E

CONTENUTO: Evoluzione del principio di riserva di legge - Il principio di riserva di legge nei principali ordinamenti europei - Limiti della riserva: contenuto “necessario” della legge - Criteri direttivi per la normazione secondaria. LA DELEGIFICAZIONE NELL’ ORDINAMENTO TRIBUTARIO: Rapporto tra le fonti e politica legislativa - 1 regolamenti previsti nella Legge n. 400 del 1988 - Ipotesi di studio connesse alla possibile utilizzazione dei regolamenti delegati nella disciplina della determinazione forfetaria di ricavi e volume d’ affari - Fattispecie di rinvio agli atti normativi secondari previsti nella Legge n. 400: l’ accertamento con adesione del contribuente - Profili di tutela del

contribuente nei confronti dei regolamenti e degli atti

amministrativi generali nell’ordinamento tributario - Tutela del contribuente nei confronti delle circolari nell’ ordinamento tributario.

8°, p. XHI-268, L. 34.000 GIUFFRÈ EDITORE

Via Busto Arsìzio, 40 - 20151 MILANO Tel. 0 2 /38.089.290 - Fax 02/38.009.582 h ttp ://w w .gitifire.it - E-mail: vendite@gitifire.it

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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, L V II, 3, I, 337-342 (1998)

L ’ONERE DEL DEBITO PUBBLICO E LE GENERAZIONI (*)

di Giannino Parravicin i

Io provo grande fastidio quando leggo nella stampa o sento dire: « diamoci da fare; eliminiamo il debito pubblico che pesa sulle genera­ zioni future, sui nostri figli. Non è giusto, l’onere dovrebbe fermarsi sulla generazione presente, quella che vi ha fatto ricorso, che sarebbe d’altronde colpita qualora ricorresse all’imposta, come dovrebbe fare ».

Lo stato, quando ha bisogno di denaro, applichi, quindi, una bel­ la imposta, magari una imposta patrimoniale, in questo modo è la ge­ nerazione presente che paga, la stessa che si avvantaggia del ricavo. Non ricorra all’indebitamento che obbliga i nostri discendenti a paga­ re continuamente tributi addizionali per far fronte al servizio del de­ bito; nel caso semplificato del prestito consolidato per fare fronte al­ l’onere degli interessi.

Non v ’è nulla di più errato di questa « paterna » affermazione, n’è di più gratuito o immotivato. In fondo essa presume che la generazio­ ne presente sia colpevole di mal uso della finanza pubblica e che quin­ di debba giustamente soffrire, mentre le generazioni future, essendo innocenti, hanno implicitamente il diritto di ricevere l’intero patrimo­ nio di chi le precede.

L ’affermazione ignora che l’emissione di un prestito e la spesa del ricavo implicano l’acquisizione da parte dello stato di beni e servizi esistenti al momento nel mercato, e che le disponibilità della colletti­ vità ne sono istantaneamente decurtate. La collettività ne è impoveri­ ta: l’onere dell’impoverimento cade istantaneamente sulla generazione presente. Nel caso in cui i beni e servizi sottratti alla libera disponibi­ lità della collettività sono beni e servizi destinati all’attività produtti­ va, e che questi, per contro, vengono destinati dallo stato a spese non

(*) Conferenza tenuta nell’adunanza dell’Accademia dei Lincei dell’8 maggio 1998.

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produttive, si verifica una immediata decurtazione del patrimonio produttivo, la quale si trasmette a tutte le generazioni future. Questa semplice verità, ormai secolare, risale a Davide Ricardo. Nella sua opera principale (« On Principles of thè Politicai Economi/ and thè Ta- xes », 1817-1821) Ricardo scrive: « se viene messa una imposta o viene acceso un debito pubblico per pagare delle spese improduttive, è col­ pita sia la generazione presente, sia le generazioni future, non c’è nes­ suna differenza ». È una verità sulla quale credo non ci possano essere dubbi. Tra le spese improduttive Ricardo considera quelle per la guerra e il pagamento di lavoratori improduttivi. Quindi egli implici­ tamente ammette che, nel caso in cui le spese dello stato si rivolgano, invece, ad attività produttive, altra sarebbe la conseguenza, cioè la sostituzione di attività produttiva pubblica ad attività produttiva privata, di cui si parlerà avanti.

Ritengo queste semplici conclusioni inoppugnabili. Ciò malgrado esse sono rifiutate o non comprese da non pochi studiosi, che nei loro ragionamenti si richiamano all’aspetto o meglio alla struttura tecnica dei procedimenti finanziari, secondo una visione più seducente e com­ prensibile per l’opinione comune, per chi ragiona in base alla propria immediata esperienza. Va ricordato che gli studiosi della finanza pub­ blica provengono da due diversi indirizzi, o meglio da due incomuni­ cabili tradizioni. Da un lato, essi si attengono alla logica economica, come Ricardo; dall’altro lato, essi seguono l’antica tradizione, che ri­ sale nel tempo, e che vede nella finanza pubblica una disciplina a sé stante, che si occupa essenzialmente dei sistemi istituzionali, del bi­ lancio pubblico, dei rapporti del fisco con i contribuenti e degli stru­ menti tecnici impositivi. Inoltre essi si soffermano in prevalenza sui rapporti dei singoli con il fisco, e da queste ricerche e dalle conseguen­ ti considerazioni, che riguardano esplicitamente il singolo e i suoi rap­ porti con l’amministrazione finanziaria, essi risalgono a risultati d’in­ sieme che sono la semplice ripetizione ampliata della valutazione del singolo.

Conseguente è, pertanto, la loro convinzione che la generazione presente non sopporti alcun onere quando si ricorre al debito pubbli­ co, anzi ne tragga vantaggi economici, dovuti all’aggiungersi alle of­ ferte di investimento già in essere quella d’un investimento addiziona­ le con diverse caratteristiche e in generale a migliori condizioni di in­ teresse.

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Principles of Public Debt. A Defence and Restatement », 1958), al quale è stato conferito alcuni anni dopo il Premio Nobel (non credo per que­ st’opera). La sua verità, che il debito pubblico graverebbe unicamente sulle generazioni future è, però, subordinata a specifiche condizioni, tra le quali: 1) la vita della generazione presente è limitata al tempo occorrente per la sottoscrizione del prestito; 2) soltanto l’individuo è essere senziente e quindi ogni ragionamento deve essere effettuato nel campo della microeconomia.

Con la prima condizione Buchanan crea una generazione presente particolarmente fortunata, perché non paga imposte e, al tempo stes­ so, sfortunata, perché vive solo pochi mesi. Con la seconda condizione butta gambe all’aria il ragionamento economico di Ricardo e degli economisti in generale. Ma poiché le sue deduzioni rispecchiano la pubblica opinione, che avverte ben più il morso del fisco che i vantag­ gi delle spese pubbliche, il « Restatement » ha avuto più fortuna che merito.

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3 H )

-I ragionamenti finora svolti riguardano specificamente il debito interno. Le valutazioni e le conclusioni non si differenziano, peraltro, nel caso di indebitamento all’estero, e quindi dell’acquisizione di beni e servizi all’estero, i quali si aggiungano alla disponibilità interna, nonché del pagamento di interessi all’estero. Lo stato che si indebita all’estero rimane, è vero, con la sua capacità produttiva intatta e quindi con una capacità di produzione del reddito invariata, ma la di­ sponibilità di reddito della propria collettività si riduce in dipendenza del pagamento degli interessi, che si traducono nel flusso di beni e ser­ vizi all’estero.

In realtà il quesito della ripartizione generazionale dell’onere del debito pubblico destinato a scopi improduttivi non ha in sé consisten­ za; l’onere cade su tutte le generazioni anche su quella presente, che è colpita come le altre, dall’aggravio fiscale per gli interessi. Il solo que­ sito consistente è quello della modalità della spesa dei mezzi finanziari acquisiti dallo stato, della sua validità economica. Si può, infatti, par­ lare di onere soltanto nel caso in cui i mezzi finanziari acquisiti siano destinati a spese di consumo improduttivo.

Non si dovrebbe parlare di onere (se non in senso relativo ai risul­ tati) quando il ricorso dello stato all’indebitamento abbia finalità eco­ nomiche, e si prefigga obiettivi di sviluppo e di miglioramento del si­ stema produttivo e sociale. In questa ipotesi i vantaggi dovrebbero, almeno nelle previsioni, superare le perdite e i danni. La situazione economica risultante dovrebbe consentire ai contribuenti di pagare le nuove imposte a valere su incrementi di reddito almeno uguali alle nuove imposte.

La generazione, che può essere la presente o una qualsiasi delle successive, che intenda evitare che le generazioni future abbiano a su­ bire i danni della decurtazione in essere della produttività del sistema, non ha che una modalità d ’azione, come ancora scrive Ricardo, quella di lavorare di più e ricostituire nella sua pienezza il capitale produtti­ vo.

L ’indebitamento è un onere per le classi future quando distrugge capitale produttivo; ne discende che un indebitamento, grazie al qua­ le si accresca la produttività del sistema economico, non possa essere considerato un indebitamento oneroso. Improprio, anzi errato, è in questo caso parlare di onerosità per le generazioni future.

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al debito, e della loro valutazione. Spesso la nostra scelta è tutt’altro che facile e semplice, ancora e spesso la valutazione ex post si diversifi­ ca da quella ex ante.

È frequente che in sede di valutazione si esprimano ex ante giudi­ zi astrattamente corretti, che poi raffrontati con la realtà si rivelano impropri o errati. Ricardo stesso cade in questo contrasto. Egli muove critiche alle spese militari considerandole improduttive, e muove que­ ste critiche all’inizio del 1800, quando l’Inghilterra costruiva con guerre e imprese militari un potente impero che le donarono ricchezza e potenza. Le singole generazioni divennero successivamente sempre più ricche grazie proprio alle spese militari. Probabilmente l’Inghilter­ ra provvide in prevalenza a queste spese con l’imposizione, ma nessun danno avrebbero subito le generazioni « future », se si fosse ricorso al­ l’indebitamento. In realtà la guerra, eticamente inammissibile, può essere economicamente conveniente.

La stessa riflessione sulla onerosità, o non, del debito pubblico è lecito estendere al nostro attuale elevato indebitamento. In questi ul­ timi venti trent’anni l’Italia è in verità ricorsa troppo facilmente al­ l’indebitamento, nella convinzione che tutto si aggiusti e che le dispo­ nibilità finanziarie non abbiano limiti invalicabili. Ma nella realtà spesso si sono avuti, o si hanno, anche casi di spese a natura impro­ duttiva, che hanno avuto o hanno effetti economici produttivi. Quan­ do il ministro Romita nel 1947 a Roma armò un gran numero di di­ soccupati con badili e picconi e li mandò a scavare intorno a Roma il tracciato di una futura strada tangenziale o anulare, fece opera asso­ lutamente positiva in senso economico, perché intesa a parare e a fronteggiare l’imminente pericolo dello scoppio di moti di violenza, che avrebbero ovviamente recato gravi danni economici e sociali. Quando, di fronte alla crescente disoccupazione intellettuale, special- mente giovanile, il governo decise ampie assunzioni nella pubblica amministrazione, in particolare per l’istruzione, anche se non ve n’era esigenza, anche se i giovani non erano tutti adeguatamente preparati, si fece ancora opera economicamente e socialmente positiva, che al­ lontanò 1 immanente temuto peggio. I fatti del « ’68 » lo testimoniano. L ’indebitamento che questi interventi costarono è da ritenersi un one­ re per la società? O non il prezzo per evitare un maggior onere che con grande apprensione si vedeva immanente?

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econo-— 342 econo-—

mico e civile che ha condotto l’Italia tra i primi paesi industrializzati. Purtroppo, ultimamente come accennato, il ricorso all’indebitamento è stato eccessivamente facile. Ma ciò nonostante appare poco convin­ cente l’atteggiamento dei signori di Maastricht nella loro pretesa di un rapido prosciugamento del nostro debito fino a dimezzarne il valore. Perché il debito ha già avuto la sua sistemazione strutturale, e perché la sua rapida riduzione in condizione di già elevata disoccupazione non potrebbe che aggravarla.

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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, LV II, 3, I, 343-357 (1998)

AUTONOMIA REGIONALE E SANITÀ (*)

di Franco Reviglio

Università degli Studi di Torino

So m m a r io: 1. Le riforme 1 9 9 2 -9 7 della sanità. — 2. Le deleghe per il riordino della sa­ nità. — 3 . 1 diversi modelli regionali di « quasi mercato ». — 4. Il contenimento delle retribuzioni. — Bibliografia.

1. Le riforme 1992-97 della sanità.

1. Le riforme sanitarie attuate nel periodo 1992-97 sono state ri­

volte:

— in generale al controllo del livello della spesa sanitaria regio­ nale mediante l’applicazione di vincoli di bilancio definiti principal­ mente in base alla quota capitaria di finanziamento;

— in particolare al contenimento della spesa farmaceutica, spe­ cialistica e per le analisi mediante la compartecipazione degli utenti, salvo il diritto di esenzione per una parte di essi;

— e inoltre al controllo del livello e della qualità della spesa delle Usi mediante l’introduzione del pagamento a tariffa per prestazione, mediante la trasformazione in aziende, mediante la razionalizzazione e il contenimento della spesa per acquisto di beni e servizi attraverso l’accreditamento dei fornitori e mediante lo sviluppo dei cosiddetti « quasi-mercati ».

2. Negli ospedali è in corso una vera rivoluzione grazie al pas­

saggio dal pié di lista e dalla giornata di degenza al rimborso a tariffa per prestazione. Sono stati definiti i criteri per la predeterminazione delle tariffe, indicandone le componenti di calcolo (costo standard di produzione) e si sono approvati prontuari di tariffe per le prestazioni di assistenza ospedaliera (1). Le tariffe adottate dalle Regioni sono

(*) Relazione presentata al 4“ Workshop di economia sanitaria, Torino, 4-5 giugno 1998.

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State nella maggior parte dei casi quelle ministeriali, ma in alcuni casi esse sono state stabilite in misura diversa per il diverso peso attribui­ to alle singole componenti.

Il nuovo sistema intende spingere verso l’uniformizzazione dei costi e la responsabilizzazione delle aziende ospedaliere e quindi do­ vrebbe incentivare l’efficienza e ridurre gli sprechi. Dovrebbe dimi­ nuire la durata delle giornate medie di degenza. La forte differenzia­ zione delle tariffe esistente dovrebbe gradualmente diminuire nel tem­ po, a mano a mano che la determinazione delle tariffe potrà trarre vantaggio dal completamento della raccolta di dati, dalla verifica del­ le prestazioni effettuate e dai confronti tra le diverse aziende e Regio­ ni.

L ’applicazione del nuovo metodo presenta tuttavia problemi an­ cora irrisolti. In primo luogo, essa non ha sinora consentito alle azien­ de ospedaliere di chiudere i bilanci in pareggio. I disavanzi interessa­ no particolarmente le aziende ospedaliere di maggiori dimensioni, che sono caratterizzate da costi generali e di gestione relativamente più elevati. Le aziende dovranno provvedere all’eliminazione futura di questi disavanzi mediante riduzioni dei costi.

Un secondo problema riguarda l’impatto del nuovo metodo sulla durata media della degenza. Gli ospedali hanno cercato di compensare le minori entrate connesse al nuovo metodo riducendo la qualità me­ dia delle prestazioni, selezionando i trattamenti più remunerativi, di­ storcendo le diagnosi e accrescendo artificiosamente il numero dei ri­ coveri, che nel 1995 sono aumentati di un quinto.

Anche se il costo medio per ricovero è lievemente diminuito ri­ spetto al 1993 grazie alla riduzione delle giornate di degenza, a causa dell’aumento dei ricoveri la spesa complessiva per le degenze è au­ mentata. Avrebbero contribuito all’aumento, oltre all’artificioso au­ mento del numero dei ricoveri, la lievitazione del costo medio di una giornata di degenza.

In conclusione, l’introduzione del prontuario tariffario ha avviato un profondo cambiamento nei comportamenti degli operatori sanitari che sembra produrre non solo effetti positivi sulla spesa, ma anche un aumento del numero dei ricoveri, un cambiamento dell’insieme di pa­ zienti ricoverati, un rischio di selezione dei pazienti e una specializza­ zione delle strutture di ricovero. L ’impatto complessivo potrebbe far lievitare in futuro la spesa complessiva a carico delle Usi.

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3. Quale sia l’effetto complessivo sulla spesa è difficile dirlo.

Una certa razionalizzazione dell intervento ospedaliero era peraltro già in corso prima del 1995. I nuovi criteri di formazione e gestione dei bilanci e 1 introduzione del direttore generale « manager » si sono proposti di trasformare le strutture ospedaliere in vere e proprie « aziende », gestite mediante la contabilità dei costi, i cui bilanci devo­ no chiudersi in pareggio. Le aziende devono operare nell’ambito delle linee di organizzazione definite dalle Regioni, a cui è stato affidato di controllare la gestione e la qualità dei servizi.

E stata programmata una graduale riduzione del numero eccessi­ vo di posti letto. Sulla base dei piani regionali essi dovrebbero passare da 6,1 a 5,5 per mille abitanti. Poiché nel 1993 i posti letto esistenti erano circa 340 mila, di cui 300 mila negli ospedali pubblici, se ne do­ vrebbero eliminare circa 34 mila. In questa direzione dovrebbe andare l’eliminazione degli ospedali, con meno di 120 posti letto, che non so­ no economici, ad eccezione di quelli specializzati, di quelli giustificati da particolari condizioni territoriali e di densità e distribuzione della popolazione e di quelli riconvertiti in residenze assistite per anziani.

E noto che queste chiusure sono fortemente avversate dalle col­ lettività locali. Dopo alcune chiusure, pari a circa 65 ospedali, alla fine del 1995 erano ancora attivi 254 piccoli ospedali, con una dotazione di oltre 19 mila posti letto e con oltre 35 mila dipendenti. Per superare le opposizioni, alla fine del 1995 si è prevista addirittura la nomina di commissari ad acta e di « multe » per la mancata chiusura nella forma di riduzioni della quota del Fsn spettante alle Regioni inadempienti.

La riduzione dei posti letto e la chiusura o la riconversione dei piccoli ospedali dovrebbero indurre le Regioni e le Usi a razionalizzare la rete ospedaliera, a ridurre 1 ospedalizzazione di coloro che possono essere curati altrove a costi inferiori e a riorganizzare la rete ospedalie­ ra e i singoli ospedali in strutture di servizi efficienti.

Accanto alla riduzione del numero di posti letto, si è cercato di accrescere il tasso di occupazione dei letti esistente. La capacità utiliz­ zata è in aumento, ma essa non deve essere valutata interamente co­ me un miglioramento di efficienza, se è la conseguenza « artificiosa » di un aumento dei ricoveri provocata dal nuovo metodo di pagamento.

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4. Nonostante gli interventi in corso il costo della giornata di degenza è ancora aumentato. All’aumento hanno contribuito in primo luogo i forti aumenti della spesa per il personale e per gli acquisti di beni e servizi che risulta crescere a tassi più che doppi di quelli del Pii nominale. Alla lievitazione della spesa per il personale del Servizio pubblico, che pesa per oltre 2/5 sulla spesa totale, ha contribuito so­ prattutto il pagamento di competenze arretrate, mentre a quella degli acquisti di beni e servizi l’insufficienza dei meccanismi esistenti di controllo della spesa e i maggiori prezzi imposti dai fornitori, per com­ pensare i forti ritardi dei pagamenti dal parte del Servizio.

A causa dei disavanzi, agli ospedali nel 1997 occorrevano in me­ dia 307 giorni per rimborsare l’acquisto di farmaci e 241 quello delle attrezzature biomediche e diagnostiche. Tempi così lunghi per i paga­ menti, che nelle Regioni più indebitate, quali la Puglia e il Lazio, rag­ giungevano anche due volte il valore medio, indicano l’esistenza di gravi distorsioni, perchè contribuiscono a creare nuovi disavanzi e ul­ teriori differimenti nei tempi dei rimborsi e pongono in grave difficol­ tà i fornitori, costringendoli a chiedere prezzi artificiosamente elevati per le forniture che tengano conto del ritardo nei pagamenti.

5. I risultati delle riforme, in termini di controllo quantitativo e qualitativo della spesa, sono stati nell’insieme positivi, anche se la transizione verso il nuovo scenario disegnato dalle riforme è ancora in corso e se ulteriori aggiustamenti, alla luce dei risultati dell’esperien­ za, dovranno essere apportati e se alcune ulteriori riforme dovranno essere definite.

Le misure dirette al contenimento della spesa introdotte dalle ri­ forme sono riuscite sinora a ridurre la spesa sanitaria pubblica, che gradualmente è scesa dal 6,4% del Pii nel 1992 al 5,7% nel 1994. Nel 1994 la spesa sanitaria pubblica ha toccato il livello più basso dei pae­ si europei, salvo quello del Regno Unito. Dopo il 1994 la spesa sanita­ ria pubblica è ulteriormente diminuita sino al 5,4% del Pii nel 1997. La riduzione del livello della spesa ha interessato tutte le componenti, ma in primo luogo la spesa farmaceutica.

A fronte di questo apparente successo riportato nel controllo del livello della spesa, sta peraltro l’inarrestata formazione di disavanzi da parte delle Regioni. Lo Stato non è riuscito ad impedire che le R e­ gioni continuino a formare disavanzi che finiscono a gravare sulla fi­ nanza statale (2).

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2. Le deleghe per il riordino della sanità.

1. Nel settore sanitario il problema centrale, che si dovrà af­

frontare in futuro, non è tanto di ridurre il livello della spesa, che do­ po gli interventi del periodo 1992-95 è divenuta inferiore alla media europea, quanto piuttosto di controllarne la dinamica crescente deter­ minata dagli andamenti demografici di invecchiamento della popola­ zione.

Secondo una stima della Ragioneria dello Stato nel periodo 1995- 2045 rinvecchiamento della popolazione di per sé dovrebbe fare au­ mentare il livello della spesa di circa 1-1,2 punti di Pii, pari a oltre 1/5 della spesa sanitaria pubblica (3). Accanto albinvecchiamento, influi­ rà sulla spesa la caratteristica di bassa produttività del settore che im­ plica la tendenza all’aumento dei costi per unità di prodotto relativa­ mente ai settori ad elevata dinamica della produttività.

All’aumento della spesa sembrano destinati a contribuire anche lo sviluppo delle nuove tecnologie (ma in parte esse possono fare ri­ sparmiare risorse) e la caratteristica del servizio sanitario di bene « su­ periore », la cui domanda tende a crescere con un’elasticità superiore a 1 al reddito e, d’altra parte, può essere artificiosamente indotto dal medico.

A fronte di queste tendenze, per evitare l’aumento del livello del­ la spesa rispetto al Pii, il controllo della spesa dovrà mirare a recupe­ rare risorse dall'interno del settore attraverso una vasta riorganizza­ zione che porti alla riduzione degli sprechi e delle inefficienze e all’au­ mento della quantità e qualità dei servizi a parità di spesa. A questi fini le riforme già definite devono essere completate e ulteriormente riordinate e se necessario, anche alla luce delle esperienze acquisite, modificate (4).

Al riordino del Servizio sanitario, il governo è stato delegato a emanare una molteplicità di decreti in un disegno complessivo di ri­ forma delle riforme già avvenute. L ’obbiettivo è il completamento e la revisione delle riforme avvenute nel periodo 1992-97.

(3) I] Ministero del Tesoro - Ragioneria generale dello Stato (Ministero del T e­ soro, 1997) ha valutato che nel periodo 1995-2045 rinvecchiam ento della popolazione produrrebbe un aumento della spesa sanitaria di 1-1,2 punti di Pii. Peraltro, questo ef­ fetto potrebbe essere almeno in parte com pensato dalla prevista riduzione della pop o­ lazione complessiva. In questo senso, Cariam i, Gambkrini e Hanau, 1996.

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:u8

L ’esercizio delle deleghe, che toccano quasi tutti i settori dell’in­ tervento, presenta in alcune sue parti grandi difficoltà tecniche e poli­ tiche. La vastità e la profondità degli interessi toccati rendono incerti i risultati che potranno essere ottenuti nello sciogliere i nodi più intri­ cati.

2. L ’impostazione dei criteri guida delle nuove riforme sembra nel suo insieme condivisibile, salvo forse l’eccessivo potere riservato allo Stato, l’ingenua fiducia, sinora non meritata, riposta nelle sue ca­ pacità programmatone e il previsto potenziamento del ruolo dei Co­ muni che rischia di accrescere la confusione istituzionale e di ridurre la responsabilizzazione delle Regioni.

D ’altro canto, il problema della formazione dei disavanzi occulti dovrebbe trovare soluzione grazie all’aumento delle disponibilità fi­ nanziarie per il servizio sanitario. Per il 1998 sono stati stanziati 106 mila miliardi, un ammontare sufficientemente capiente per consentire il rispetto dei vincoli di bilancio.

Rimane tuttavia aperto il problema della quantificazione tempe­ stiva e « realistica » da parte dello Stato del Fondo sanitario e la ride­ finizione dei meccanismi perequativi tra le Regioni. La distribuzione del Fondo tra le Regioni viene decisa con enorme ritardo (nel 1997 con sette mesi di ritardo), ben oltre l’inizio dell’esercizio. Inoltre, il Fondo risulta ancora sottodimensionato, come dimostrano i disavanzi annualmente registrati dalle Regioni.

L ’esclusione dalle deleghe della regolazione di questa importante decisione dipende probabilmente dall’essere la determinazione del­ l’importo del Fondo di competenza del Ministero del Tesoro che la propone nelle leggi finanziarie. Ma il problema nella sua sostanza, adeguamento della dimensione e tempestività della determinazione, non potrà comunque essere eluso.

Nelle pagine che seguono cercheremo di fornire alcune valutazio­ ni dei principali problemi ancora irrisolti e delle difficoltà esistenti per affrontarli e risolverli. Offriremo altresì qualche indicazione sui modi con cui l’esercizio delle deleghe potrebbe avvenire.

3. Lo strumento principale per accrescere la quantità e qualità dei servizi pubblici dovrebbe essere il completamento della responsa­ bilizzazione delle Regioni, con il trasferimento ad esse del potere dello Stato di definire i livelli delle prestazioni. Ma questa attribuzione di responsabilità alle Regioni non è prevista dal riordino del Servizio che mantiene allo Stato il potere di definire i livelli assistenziali.

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formazione di disavanzi da parte delle Regioni e quindi la sistematica violazione dei tetti di spesa stabiliti per le Regioni. A questo fine il previsto regime di sanzioni per le Regioni inadempienti e per gli am­ ministratori delle Asl e delle aziende ospedaliere non sembra essere un meccanismo efficace, così come non lo è stato in passato.

Nonostante i consistenti interventi di ripiano da parte dello Stato già avvenuti, alla fine del 1997 i debiti nei confronti dei fornitori an­ cora da ripianare erano stimati in circa 16 mila miliardi, di cui 6 mila relativi ai bilanci precedenti al 31 dicembre 1994 e 10 mila relativi ai tre esercizi 1995-97. Tali disavanzi dovranno essere posti a carico dello Stato.

Continua dunque la rincorsa tra ripiani e nuovi disavanzi che le leggi finanziarie non sono ancora riuscite ad arrestare. Non sembrano avere avuto sinora il successo che si sperava le nuove norme per re­ sponsabilizzare le Regioni attraverso l’attribuzione alle stesse della competenza di organizzazione dei servizi, di determinare le piante or­ ganiche e la mobilità del personale, di fissare il tariffario per le presta­ zioni, di accreditare le strutture produttive di servizi pubbliche e pri­ vate, di rendere personalmente responsabili gli amministratori delle aziende sanitarie. Nonostante queste positive innovazioni il fenomeno dei disavanzi occulti non è stato sinora posto sotto controllo.

L ’unico meccanismo per rimuovere una volta per sempre la for­ mazione di questi disavanzi sembra essere la piena responsabilizzazio­ ne delle Regioni (5). Le opposizioni che hanno sinora impedito la chiusura dei piccoli ospedali possono essere vinte solo se le Regioni di­ vengono pienamente responsabili della spesa. L ’attribuzione alle R e­ gioni del potere oggi statale di programmare i livelli delle prestazioni offrirebbe ad esse l’incentivo adeguato ad utilizzare efficientemente le risorse disponibili.

Lo Stato dovrebbe rinunciare a stabilire direttamente dal centro i cosiddetti livelli essenziali dei servizi da erogare in tutto il territorio nazionale, trasferendo alle Regioni l’intera programmazione e il con­ trollo della spesa sanitaria. Allo Stato dovrebbero rimanere solo poche funzioni, quali in primo luogo la programmazione dell’attività di pre­ venzione e di ricerca che sono fortemente carenti e in secondo luogo la determinazione del Fondo sanitario e dei criteri per la sua distribu­ zione in modo da aiutare le Regioni più povere e più sprovviste di strutture anche con nuovi interventi mirati.

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In futuro l’importo del fondo dovrebbe essere sufficiente a garan­ tire le risorse necessarie per le prestazioni considerate « di base », vale a dire ritenute « essenziali ». In questo modo i servizi essenziali verreb­ bero garantiti indirettamente, attribuendo alle Regioni risorse suffi­ cienti per la loro produzione.

Il problema che occorre risolvere una volta per tutte è la « con­ gruità » delle risorse, non il loro utilizzo adeguato, che è di responsabi­ lità esclusiva delle autonomie e garantito dal funzionamento del mec­ canismo delle scelte politiche locali. Questa è l’essenza dell’autonomia con responsabilità, .che non spetta al governo centrale di incrinare con un intervento di tipo paternalista.

D ’altra parte, occorre riconoscere che il vincolo di bilancio assu­ me credibilità solo se è definito partendo dalla spesa sanitaria effetti­ va. L ’entità della spesa non deve perciò essere desunta, come è avve­ nuto sinora, dai fondi assegnati l’anno precedente che già erano insuf­ ficienti a coprire la spesa storicamente effettuata.

La distribuzione tra le Regioni avviene ora sulla base di una quo­ ta pro-capite corretta da un sistema di coefficienti, che tengono conto della mobilità sanitaria tra le Regioni per tipo di prestazione, dei biso­ gni di assistenza della popolazione, della consistenza e dello stato delle strutture degli impianti e del riequilibrio della dotazione territoriale. Un apposito fondo è destinato a riequilibrare le Regioni con dotazioni di servizi inferiori a quelli uniformi minimi di riferimento.

I criteri di redistribuzione regionale sono oggetto di forti contra­ sti. Le Regioni del Sud chiedono la loro modifica, perché essi le pena­ lizzerebbero. La decisione al riguardo non ha natura tecnica, ma poli­ tica.

4. Senza questa piena attribuzione di responsabilità resta diffi­

cile attuare pienamente le ulteriori previste azioni di riorganizzazione della gestione della rete sanitaria anche attraverso l’introduzione dei « quasi mercati » nella sanità (6). La riorganizzazione della gestione della rete sanitaria dovrebbe toccare non solo le Asl, gli ospedali e le case di cura convenzionate, ma anche le strutture di assistenza sul territorio che devono essere accreditate. Il successo di questa redistri­ buzione dipende anche dagli investimenti in edifici ed attrezzature, si­ nora insufficienti in una prospettiva dinamica. Un bilancio adeguato

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per gli investimenti rappresenta lo strumento per rendere meno costo­ se e più efficaci molte terapie e ridurre così i costi.

La provvista di servizi offerti da ospedali di riabilitazione o da residenze sanitarie per gli anziani lungo-degenti è purtroppo grave­ mente carente. Si riversano quindi sugli ospedali richieste di presta­ zioni che potrebbero essere fornite a costi assai minori da altre strut­ ture o a domicilio. Per affrontare in parte il problema si potrebbe tra­ sformare i piccoli ospedali, che dovrebbero essere chiusi, in strutture di questo tipo. Per superare il vincolo di bilancio, una parte degli in­ vestimenti degli ospedali pubblici potrebbero essere finanziati con il project financing in consorzio con privati.

La programmazione da parte delle Regioni delle reti di ospedali, che dovrebbero collegare gli ospedali altamente specializzati con quel­ li che provvedono alla degenza e alla riabilitazione successive, è essen­ ziale per ridurre i costi ed eliminare gli sprechi. Le Regioni dovrebbe­ ro soprattutto eliminare le inutili duplicazioni, accorpando e integran­ do le strutture esistenti.

5. Rimane anche da individuare, definire e completare l’appli-

cazione delle tecniche dirette a introdurre aree di concorrenza tra i fornitori e gli utenti.

La normativa che autorizza a sperimentare i « quasi-mercati » nella sanità è stata introdotta nel 1992. Essa intendeva offrire un ven­ taglio di opzioni ai pazienti, tale da porli in condizione di scegliere li­ beramente il modo di provvedere ai propri bisogni sanitari. A questi fini le Usi erano autorizzate a soddisfare i bisogni assistenziali dei cit­ tadini, oltre che con le proprie strutture, con gli ospedali autonomi, gli istituti pubblici e privati, i professionisti, tra i quali il cittadino aveva la piena facoltà di scelta, pagando, quindi, per i servizi acqui­ stati.

Dopo il 1995, grazie ai decreti applicativi della normativa del 1992, potevano prendere il via i nuovi rapporti tra finanziatori ed ero­ gatori « accreditati » di servizi. Era un’occasione importante per intro­ durre novità organizzative in via sperimentale, sull’esempio di quanto sta avvenendo in altri paesi, quali il Regno Unito, la Svezia e l’Olan­ da, ma i fondi integrativi e l’assistenza indiretta non sono sinora par­ titi.

3. I diversi modelli regionali di « quasi-mercato ».

1. Il quadro esistente a fine 1997 sembra indicare che si sono fi­

nora mossi solo timidi passi verso una maggiore competizione. Non è

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ancora stata definita l’individuazione dei requisiti necessari per l’ac­ creditamento a causa delle grandi difficoltà esistenti. Le Regioni, a cui spetta la definizione del nuovo modello di « quasi mercato », han­ no proposto modelli molto diversi senza che sia ancora del tutto chia­ ro il modello destinato a prevalere.

Si fronteggiano tre diversi modelli: quello lombardo, denominato « delle Usi-terzo pagatore », quello toscano denominato « della Usl- programmatore » e quello cosiddetto « della Usi-sponsor » (7).

Con il primo modello si vuole promuovere la competizione tra tutti gli erogatori .accreditati sul mercato e la libertà di scelta del pa­ ziente. La Regione stabilisce l’accreditamento degli erogatori del ser­ vizio, le tariffe delle prestazioni e i criteri della loro erogazione. Le Usi definiscono i contratti con margini di manovra limitati per la necessi­ tà di negoziare con una vasta molteplicità di erogatori, senza poter programmare adeguatamente l’offerta che è ancillare alla domanda. Il rischio di questo modello è la lievitazione e il mancato controllo della spesa.

Il secondo modello poggia sulla regolamentazione e quindi sul­ l’imposizione di vincoli posti a livello regionale e limita la concorren- zalità tra gli erogatori. Se sono pubblici, essi possono negoziare con­ tratti a livello regionale; se sono privati, hanno un ruolo solo integra­ tivo dell’offerta pubblica. Presenta il limite di essere troppo burocra­ tico, di favorire le collusioni tra il finanziatore e l’erogatore e di non incentivare al miglioramento dell’efficienza qualitativa.

Il terzo modello prevede un ruolo molto attivo delle Usi che sele­ zionano gli erogatori accreditati dalla Regione in base alle opzioni qualità-prezzo offerte, stipulano con essi contratti, negoziando i vari termini degli scambi e poi controllandone i risultati. I pazienti posso­ no ricorrere ad altri erogatori solo in regime di assistenza indiretta ri­ cevendo al massimo rimborsi pari alle tariffe stabilite con gli erogatori preferiti. Le difficoltà di questo modello discendono dalla scarsa capa­ cità amministrativa delle Usi in termini di conoscenze e strumenti in­ formativi necessari per la selezione degli erogatori e per il loro control­ lo.

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orienterà maggiormente la scelta delle diverse Regioni e quindi quale peso rispettivo verrà dato alla programmazione e al mercato. Le mag­ giori difficoltà discendono dall’esigenza di condizionare l’esercizio del­ la concorrenzialità ai vincoli di bilancio. Idonee soluzioni dovranno essere trovate. Esse potranno in futuro offrire risultati importanti se, sull’esempio di altri paesi europei, si riuscirà gradualmente ad aprire i santuari protetti alla competizione tra gli operatori.

2. Gli acquisti di beni e servizi da parte delle Asl raggiungono

circa 18 mila miliardi l’anno. Come abbiamo visto, sussiste una rile- \ ante differenza nei prezzi praticati dai fornitori all’acquirente pub­ blico rispetto all acquirente privato e una grande dispersione nei prez- zi pagati dai diversi acquirenti pubblici. L ’accentramento del control­ lo degli acquisti e l’applicazione di prezzi standard potrebbero quindi produrre grandi economie.

La facoltà di negoziazione dovrebbe essere adeguatamente rego­ lata, stabilendo che sopra una certa soglia i contratti di assegnazione di beni e servizi debbano essere definiti con una gara pubblica. Un si­ stema efficace di controlli ex-ante e ex-post sulle gare e sugli acquisti è essenziale, ma in primo luogo si dovrebbero stabilire le regole e le mo­ dalità che devono essere seguite dalle strutture.

La facoltà di negoziazione è stata concessa solo alle mutue volon­ tarie, che gestiscono i fondi integrativi, con il conseguente rischio che esse sottraggano i rischi migliori, lasciando quelli peggiori al sistema pubblico. Essa dovrebbe essere estesa alle Asl e alle aziende ospedalie­ re che dovrebbero comunque essere attentamente controllate dalle Regioni attraverso un monitoraggio degli acquisti.

I controlli dovrebbero essere esercitati dalle Regioni insieme ai Comuni. Oggi le Asl possono esercitare un controllo su questa voce di spesa solo fissando tariffe per i diversi servizi che escludano gli opera­ tori più inefficienti, un modo molto indiretto per avviare una maggio­ re competizione, difficilmente applicabile con successo, per la situazio­ ne di carenza informativa sui livelli e sugli andamenti dei costi dei di­ versi operatori in cui le Asl si trovano.

4. Il contenimento delle retribuzioni.

1. Per il controllo della spesa sanitaria pubblica è ovviamente

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personale, sono convenzionati con il Servizio altri 77 mila medici. I redditi di lavoro del personale dipendente rappresentano quasi il 40% delPintera spesa sanitaria.

La maggior parte dei compensi sono stipendi fissi oggetto di con­ trattazione periodica tra le parti. In passato, a causa della grande for­ za contrattuale delle categorie sanitarie e delle politiche di assunzioni facili, particolarmente negli anni ’60, gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali hanno accresciuto la quota di questa voce di spesa, di cir­ ca un terzo negli anni ’60.

Per fermare 1-aumento di questa spesa le leggi finanziarie degli ultimi anni hanno introdotto vincoli finanziari ai nuovi contratti e blocchi delle assunzioni, questi ultimi nonostante la cronica insuffi­ cienza di personale infermieristico-specializzato. Dai vincoli finanziari stabiliti per legge discende il limite massimo degli aumenti che posso­ no essere concessi al personale delle ex-Usl e degli ospedali.

Il rapporto di lavoro è ora regolato da un contratto di diritto pri­ vato, sia pure integrato da norme di carattere pubblicistico. Alcuni ulteriori vincoli specifici, tuttavia, sono stati imposti per legge nel ca­ so di talune attività, quali la rinuncia al 50% dell’indennità di tempo pieno per i medici ospedalieri che svolgono attività privata. Si è così cercato di rimuovere, almeno per questa categoria di medici, le possi­ bili distorsioni a favore delle cliniche private.

Rimane tuttavia affidata alla negoziazione delle parti la defini­ zione dei nuovi contratti nel quadro delle compatibilità finanziarie. Nei confronti delle associazioni dei medici e dei sindacati del persona­ le paramedico dovrebbe essere creato un rapporto simile a quello che le aziende private intrattengono con il personale. L ’interfaccia che ne­ gozia con i sindacati dovrebbe essere autorevole e credibile.

I negoziati dovrebbero cercare di migliorare il prodotto e la pro­ duttività nei vincoli di bilancio attraverso una nuova regolazione del­ l’esercizio del tempo parziale e la creazione di meccanismi di incentivo alla produttività. Incentivi alla produttività dovrebbero essere ricer­ cati e definiti con i medici e con il personale sanitario ospedaliero at­ traverso meccanismi di remunerazione collegati a risultati misurabili, quali il tasso di occupazione dei letti e la riduzione delle code esistenti per ottenere i diversi trattamenti ospedalieri. Essi dovrebbero impedi­ re le pratiche corporative, spesso spacciate come miglioramenti di pro­ duttività.

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vrebbe essere loro impedito di esercitare pratiche di razionamento e di ricatto nei confronti dei pazienti a reddito medio-elevato. Vi sono in­ fatti medici che spingono i pazienti a trasferire il trattamento ospeda­ liero nelle cliniche private, con costose conseguenze per coloro che ac­ cettano il trasferimento e con un effetto di abbassamento della quali­ tà dei servizi delle strutture pubbliche.

Accanto alla fissazione dei vincoli finanziari e dei criteri per i rin­ novi contrattuali, le riforme hanno reso obbligatorio l’utilizzo della mobilità prima di nuove assunzioni. Per la copertura dei posti, che si rendono vacanti per cessazione dal servizio, le Regioni possono bandi­ re concorsi pubblici esclusivamente dopo aver esperito le procedure di mobilità e dopo che le Usi e le aziende ospedaliere abbiano provvedu­ to all’utilizzazione del personale che risulta in esubero a seguito della disattivazione degli ospedali. Dovrà essere regolamentato il numero degli operatori utilizzando strumenti di formazione e di mobilità. Questa innovazione va nella giusta direzione, anche se sinora non ha trovato applicazione concreta per l’opposizione sindacale e degli inte­ ressati.

2. In generale, per il controllo della spesa è essenziale l’azione di

responsabilizzazione dei medici riguardo agli effetti delle loro decisioni sulla spesa del Servizio sanitario. La capacità di responsabilizzare l’at­ tività dei medici generici (i medici di famiglia), dei pediatri e degli specialistici è cruciale, perché sono essi che determinano gran parte della spesa del Servizio.

In particolare dalle decisioni del medico di famiglia e dei pediatri dipende la spesa farmaceutica, il ricorso allo specialista, il ricovero dei pazienti negli ospedali e l’assistenza dei pazienti dimessi dagli ospeda­ li; dalle decisioni del medico specialista discende il ricovero in ospeda­ le. Le riforme già definite hanno opportunamente recepito il principio della responsabilizzazione rispetto ai livelli di spesa indotta per assi­ stito, ma gli strumenti utilizzati sono ancora inadeguati.

Si dovrebbe controllare l’attività di prescrizione dei farmaci e di rinvio alle strutture di analisi e di trattamento sulla base di un con­ fronto con i colleghi che esercitano nella stessa area, ma questo, salvo rare eccezioni, sinora non è avvenuto.

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anche se inaccettabile, difesa delle abitudini consolidate. Il Piano sa­ nitario nazionale 1998-2000 avvia il processo di definizione, diffusione e attuazione dei percorsi diagnostico-terapeutici.

La corporazione medica dovrebbe essere coinvolta e, se necessario incentivata, alla definizione e al rispetto volontario di questi percorsi in una nuova impostazione di responsabilizzazione degli effetti sul Servizio delle proprie decisioni. I risultati in termini di riduzioni dei costi e di maggiore efficacia dei trattamenti possono essere premianti anche per i medici e i pazienti.

Il meccanismo di remunerazione dovrebbe essere legato ai risul­ tati ottenuti con incentivi e disincentivi rispetto agli obbiettivi prefis­ sati in termini di budget. Appositi richiami, successivamente sanziona­ ti, dovrebbero essere rivolti a coloro che violano i livelli definiti « nor­ mali » di prescrizione e di rinvio alle strutture di analisi.

Esso dovrebbe impedire che l’attività svolta privatamente possa andare a detrimento di quella per il Servizio e dovrebbe invece incen­ tivare l’attività « associata », che riduce i costi e razionalizza le presen­ ze dei sanitari.

La ridefinizione dei trattamenti nelle direzioni appena indicate sembra essere consentita dalle nuove deleghe, nelle quali è prescritto che siano indicate le modalità di integrazione dei medici generici e dei pediatri nell’ organizzazione distrettuale, legando ai programmi di di­ stretto la quota variabile del loro compenso correlata ai livelli di spesa previsti.

8. In conclusione, il cammino sinora percorso sulla via delle ri­ forme deve essere valutato positivamente, anche se esso è parziale e insufficiente. L ’aspetto critico più rilevante riguarda l’attribuzione di una piena responsabilità alle Regioni. Qui l’impostazione seguita ap­ pare ampiamente insoddisfacente, non in grado di ottenere il venir meno dei disavanzi delle Regioni.

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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, LV II, 3, I, 358-372 (1998)

ALLA RICERCA D ELL’EQUITÀ TRIBUTARIA: DALLE SCRITTURE AI PROBLEMI ATTUALI (*)

di Gilberto Muraro

Università degli Studi di Padova

So m m a r io: 1. I tributi nel Vecchio Testamento. — 2. L ’equità tributaria nella finan­ za liberale. — 3. L ’avvio della progressività nei sistemi tributari contemporanei. — 4. La parabola della progressività tributaria e dello Stato sociale nel secondo dopoguerra. — 5. La globalizzazione dell’economia e la minaccia di regressività tributaria. — 6. Osservazioni conclusive.

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orizzontale, si tratta di definire come debba variare l’imposta al cre­ scere dell’imponibile.

In questa breve nota ci si limita a presentare alcune riflessioni in tema di equità verticale, omettendo peraltro ogni analisi quantitativa e quindi trattando il tema in termini di scelta tra tipi di relazione — proporzionale o meno che proporzionale cioè regressiva o più che pro­ porzionale cioè progressiva — tra capacità economica del contribuen­ te e carico fiscale: una questione affrontata dapprima nel contesto dottrinario delle Sacre Scritture e poi nel contesto economico attuale.

1. I tributi nel Vecchio Testamento.

Nel primo libro dei Re (8:11-17) Samuele enuncia al popolo i di­ ritti che dovrà riconoscere al re che esso invoca e che troverà personi­ ficazione iniziale in Saul: il re potrà pretendere dai sudditi prestazioni personali in guerra e in pace, imponendo il servizio obbligatorio di guerrieri e di lavoratori; potrà avocare a sé una parte del patrimonio dei sudditi, prendendo quota dei vigneti e degli oliveti e delle greggi; potrà chiedere la decima parte dei raccolti.

Il tributo che per secoli è stato associato alla civiltà rurale, la de­ cima, è quindi il fondamentale tributo ordinario che si incontra nel Vecchio Testamento nel rapporto tra cittadini e potere statale.

Altri tributi si trovano poi nella legislazione imposta dai domina­ tori stranieri, e precisamente dai persiani nel periodo della schiavitù babilonese e poi dai romani. Nell’epoca della dominazione romana, ad esempio, si trovano anche l’imposta sul suolo (tributum soli), il testati­ co o imposta capitaria (tributum capitis), cioè l’imposta in somma fissa per individuo, nonché la tassa di transito per le merci e il pedaggio per l’attraversamento di ponti e per l’uso di strade speciali. Ma si tratta, appunto, di oneri imposti dai dominatori, cui non viene data legittimazione etica e a cui è lecito tentare di sottrarsi (1).

Nel contesto della originaria legge ebraica c ’è solo un altro tribu­ to da menzionare, ed è il testatico per il tempio. Secondo il testo bibli­ co (Esodo, 30:11-16), il Signore disse a Mosé: « quando farai il censi­ mento dei figli di Israele, tutti quelli così numerati, da vent’anni in su, pagheranno al Signore il prezzo della loro vita: mezzo siclo, pari a dieci oboli; e non vi sarà piaga su di essi quando siano stati così

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siti. ...Il ricco non darà più di mezzo siclo ed il povero non darà me­ no ». Un’imposta in somma fissa, come si diceva, e quindi formalmen­ te regressiva, ma con un onere sufficientemente basso da eliminare di fatto ogni discriminazione in base alla ricchezza; e pertanto un tributo di straordinaria suggestione nella sua capacità di rendere tutti uguali di fronte al Signore, di dare quindi a ciascuno il senso dell’apparte­ nenza ad un medesimo popolo in condizioni di pari dignità. Però un’imposta di ben scarso gettito, anche una volta divenuta, in tempi successivi, un tributo ordinario.

Considerando-quindi il nocciolo del rapporto tributario, come rapporto obbligatorio che impone al singolo di concorrere al finanzia­ mento della spesa pubblica, si può dire in buona sostanza che la legge ebraica era basata sulla « decima ». Ad essa facevano da complemento, come si è detto, le prestazioni personali e le entrate patrimoniali del re, che sono elementi diventati irrilevanti nella finanza pubblica con­ temporanea. Pertanto, se per comodità di analisi comparativa ci si li­ mita a considerare il vero e proprio tributo, si ottiene un’indicazione che, tradotta con larga approssimazione nel linguaggio moderno, suo­ na così: la spesa pubblica sia pari o di poco superiore al 10% del Pro­ dotto interno lordo (Pii) e sia finanziata prelevando da ciascun contri­ buente una percentuale del suo valore aggiunto pari o di poco supe­ riore al 10% (2).

Calato nel contesto attuale, di contribuenti costituiti anche e so­ prattutto da individui e non solo da imprese, si può affermare che il precetto ebraico si ispira a ben vedere all’idea di una tassazione pro­ porzionale al reddito. E questa è la parte del precetto che appare più pregnante e stabile, dato che essa permane anche nell’importante

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sodio di Giuseppe ove invece raddoppia la misura del prelievo a favo­ re del Faraone (Genesi, 41). Si tratta, come è noto, della politica sug­ gerita e attuata da Giuseppe in previsione del ciclo di 7 anni di ab­ bondanza e di successivi 7 anni di carestia: prelevare un quinto e non più soltanto un decimo del raccolto nei primi anni, per distribuire al popolo il grano così ammassato nel secondo periodo. È una politica economica e tributaria di vago sapore keynesiano, sotto due profili: l’equilibrio della finanza pubblica viene spostato dall’anno al ciclo pluriennale, e l’operatore pubblico, con un maggiore intervento nell’e­ conomia, diventa garante delle condizioni di vita della popolazione. Il successo di tale politica modifica in permanenza il rapporto tributa­ rio, dato che, si legge nelle Genesi (47:26), « da quel tempo insino ad oggi in tutto l’Egitto si paga al re la quinta parte della raccolta, ed è ormai divenuta una legge ». La vicenda riguarda il popolo egiziano e non dà origine a norme fatte proprie dalla comunità ebraica. Ma il comportamento di Giuseppe è visto con favore nella Bibbia, non solo per l’identità del personaggio ma anche per la intrinseca saggezza del­ le misure adottate, sicché appare legittimo dedurne una conferma in­ diretta della regola ebraica della tassazione proporzionale.

2. L ’equità tributaria nella finanza liberale.

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proporzione al reddito, così come appare efficiente che la spesa pub­ blica (che in molti casi si ha ragione di stimare a posteriori non supe­ riore al 10% del Pii) si arresti idealmente al punto in cui la sua utilità marginale per il beneficiario mediano è pari alla correlata disutilità marginale del prelievo tributario (3).

In questa costruzione non c’è posto per una grande opera statale di ridistribuzione del reddito tra classi: c’è un problema di assistenza agli emarginati, che è ben altra cosa sia per la dimensione che per la qualità dell’azione pubblica, tanto più che il problema può essere ri­ dotto agli occhi dello Stato liberale dalla presenza di attività assisten­ ziali religiose e private all’insegna del volontarismo.

Nemmeno nell’Antico Testamento si ravvisano norme sulla ridi­ stribuzione dei redditi né si va oltre la preoccupazione per chi può ri­ sultare privo del sostegno famigliare: ma perché la struttura produt­ tiva e sociale e gli ordinamenti giuridici di base assicuravano che il problema non si poneva. Era un mondo di famiglie tendenzialmente uguali, ciascuna con i propri armenti o « all’ombra della propria vite e del proprio fico » (3° Re, 4:25), senza altro padrone all’infuori di Dio (4). Uno scenario, quindi, ben diverso da quello formatosi nei se­ coli successivi nel nostro mondo, all’insegna della crescente divarica­ zione nelle condizioni di vita tra proprietari terrieri e servi della gleba nelle campagne e tra commercianti e plebe urbana nelle città mercan­ tili; e soprattutto uno scenario ben diverso da quello della società pro­ toindustriale e urbana dell’Ottocento, in cui la rapida crescita della produzione prò capite veniva pagata con lo sradicamento degli

indi-(3) Il principio del beneficio come criterio di equità e di benessere collettivo non trovava ostacoli alla propria applicazione sul piano dell’ efficienza economica, do­ ve l’obiettivo strumentale si configurava, seguendo Adam Smith, in termini di neutra­ lità fiscale: l’imposta non doveva alterare i « rapporti » tra settori, imprese, sìngoli con­ tribuenti. Infatti, la neutralità portava immediatamente alla imposta proporzionale e generale sul reddito, che diminuisce le differenze assolute tra redditi imponibili ma ne lascia inalterati i rapporti. Che poi la dottrina finanziaria successiva abbia sfatato il mito della neutralità di tale imposta in un realistico scenario economico caratterizzato da livelli non uniformi di monopolio, incertezza, ecc. (come ben dimostrato in St e v e

S., Lezioni di scienza delle finanze, Cedam, Padova, 1981), è irrilevante ai fini della comprensione delle scelte politiche ed economiche del periodo storico in esame.

(4) Per approfondimenti, si veda Ja e g e r N., Il diritto nella Bibbia, Edizioni

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vidui dalla larga famiglia agricola e la privazione di ogni nucleo di di­ fesa per chiunque fosse espulso dal processo produttivo.

3. L ’avvio della progressività nei sistemi tributari contemporanei.

In un mondo del genere la tassazione proporzionale all’insegna della controprestazione tra Stato e contribuenti viene sottoposta a cri­ tiche crescenti anche da parte di chi crede nella validità delle regole del mercato capitalistico; anzi specialmente da questi, poiché coloro che, da Marx in avanti, sono radicalmente contrari ad esse operano per un mutamento della struttura dei diritti di proprietà e dei rappor­ ti di produzione più che per la modifica della normativa tributaria. L ’atteggiamento dei riformatori era rafforzato dalla consapevo­ lezza che i sistemi tributari erano di fatto fortemente regressivi, a di­ spetto della conclamata fede, nell’imposta generale e proporzionale sul reddito. Occorre infatti ricordare che le trasformazioni strutturali in atto — da economia agraria nei villaggi rurali a economia industriale nelle città — comportavano inevitabilmente, nonostante la predomi­ nante cultura politica a favore del mercato, una crescita della spesa pubblica, non solo in assoluto ma anche come quota sul Pii (5); e tale crescita spingeva a mantenere o addirittura a rafforzare la presenza della tassazione indiretta anche su beni di prima necessità, come è be­ ne illustrato per il nostro Paese dalla vicenda della tassa sul macinato. Sul piano tecnico, il nuovo riferimento diventa il principio della capacità contributiva al posto del principio del beneficio: la spesa pubblica, in ammontare e composizione, viene definita separatamente dall entrata, e il prelievo necessario a finanziarla deve considerare quello che ciascuno può dare al paniere comune e non ciò che riceve dalla spesa stessa. Sulla base di ipotesi politicamente convincenti an­ che se scientificamente non rigorose, in particolare assumendo una co­ mune funzione di utilità del reddito valida per l’intera popolazione e assumendo un’utilità marginale decrescente del reddito stesso, il prin­ cipio in esame conduce all’imposta progressiva.

Sono battaglie prevalentemente del pensiero laico — dei radicali, ossia dei liberali riformatori, e dei cosiddetti socialisti della cattedra ma non manca il contributo del pensiero cristiano. Si osservi

inci-(5) Si tratta della nota « legge di Wagner », dal nome dell’economista tedesco A d olf Wagner che la formulò verso il 1880. Cfr. Brosio G., Economia e finanza pubbli­

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