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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1950, Anno 9, N.3, settembre

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SETTEMBRE 1950 P u b b licazion e trim estrale Anno IX - N. 3 S p ed izion e in a b b on a m en to postale - G ru p p o IV

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E

(e

RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)

D I R E Z I O N E :

L U I G I E I N A U D I

Membro onorario

ACHILLE D. GIANNINI BENVENUTO GRIZIOTTI

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Pubblicazione sotto gli auspici

detta C a m e r a di C o m m e r c i o di P a v i a

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Redazione corrispondente in Roma presso Prof. Cesare Cosciani, Via Cesare Battisti 121, p. I li, Boma e presso Prof. Ginn Antonio Micheli, Via del Ba­ buino 89, Roma.

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M A U R O F A S I A N I

Eravamo, un po’ alla lontana, parenti. Una sorella di mio nonno materno era andata sposa in Garessio, culto luogo dell alta valle del Tanaro in provincia di Cuneo, finitimo alla Liguria e noto per i suoi boschi di castagni e per i celebrati frutti che se ne ideavano, un tempo, innanzi che gli uomini immattissero in guerra, assai apprezzati sui mercati nord-americani. Da mio nonno attraverso una sola generazio­ ne, discesi io ; dalla sua sorella, tramezzo a due generazioni, Mauro Fasiani. Ma, nonostante che le donne delle due famiglie intrattenes­ sero fra di loro rapporti di affetto, io conobbi praticamente Mauro solo al momento della preparazione della dissertazione di laurea, che fu con poche altre (Cesare Jaracli, Gino Borgatta, Piero Sraffa, Aldo Mautino) la rivelazione improvvisa di singolarissime attitudini di stu­ dioso teorico. ; fi. il : i I à l h..mÌMÌÉéMìM

Fasiani invero era tipicamente un teorico; di quelli per i quali vale in primo luogo e, si può dire, quasi esclusivamente, il saper porre esattamente il problema indagato. La « dimostrazione » della « tesi » è un di più, che deriva necessariamente dalla definizione dei termini usati nel discorso, dalle ipotesi poste al discorrere e dai limiti delle definizioni e delle ipotesi. Leggendo le sue pagine serrate — serrate anche nei « Principii », quando si estesero per talune centinaia di pa- gine — e sovratutto discorrendo con lui, si sentiva il disprezzo pro­ fondo, a stento nascosto sotto un sorriso scarsamente indulgente, ver­ so i confusionari che rimescolano nello scrivere premesse molteplici e, senza accorgersene, traggono conclusioni da premesse mal poste, incer­ tamente definite e contradditorie. Perciò egli visse quasi esclusiva- mente nella compagnia dei pochi i quali coltivano la scienza pura, priva di addentellati diretti con la realtà vivente. Troppi anelli man­ cano alla catena lunghissima di ipotesi, teoremi e corollari attraverso i quali si deve passare per trascorrere dalla prima approssimazione astratta al fatto brutto, grosso che invece noi ci troviamo di fronte nella realtà. Tuttavia, fra i tanti giovani economisti che si travaglia­ no per comprendere la realtà contemporanea, non so chi uguagli Fasiani nella attitudine a costruire gli strumenti all’uopo adatti.

Oggi, a cagion d’esempio, è di moda riconoscere l’inutilità di ri­ cercare gli effetti dell’operare in un « lungo » periodo di tempo di fat­ tori detti permanenti o fondamentali, perchè il lungo tempo non esiste. I fattori a breve termine non hanno ancora esaurito il loro

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potere che già nuovi elementi o fattori altrettanto brevi si affermano ed agiscono ; sicché invano si spera di osservare gli effetti che alla lunga i primi fattori avrebbero esercitato, essendo essi troppo presto cancellati e sostituiti da nuove circostanze, a volte incalzate da altre cause di variazione. Se non è difficile immaginare un mondo econo­ mico perpetuamente trapassante, dall’uno all’altro equilibrio tempo­ raneo ; è difficile tuttavia mettere un po’ d’ordine nel caos temporale in cui si sostanzia il succedersi indefinito di quei transeunti equilibri provvisori.

Questa forse fu l’ambizione intellettuale più alta di Fasiani; lo sforzo maggiore dei « Principii » e degli scritti suoi impropriamente detti minori, parendomi invero quello di mettere un po’ d’ordine nel disordine apparente degli equilibrii temporanei perpetuamente succe- dentesi. Chi in avvenire vorrà leggere qualcosa di meditato in quel capitolo arduo della teoria economica pura che si intitola alla trasla­ zione delle imposte non potrà non rifarsi su questo punto agli scritti di Fasiani.

Oltrecchè sulla traslazione egli meditò anche sulle « illusioni » delle imposte, che già Amilcare Puviani aveva minutamente analizzato e classificato. Qui non eravamo più nel campo della teoria pura, dove si pongono ipotesi, che sono sempre arbitrarie, dove si fanno ragio­ namenti, dei quali un occhio acutissimo come il suo vedeva immedia­ tamente il vizio logico. Le illusioni sono proprie degli uomini in­ teri, i quali, consapevolmente o non, ingannano e vogliono essere in­ gannati. Istinti, passioni, comandamenti morali, egoismi dei pochi o dei molti, contrasti di ceti sociali, di popoli, di razze e di religioni dominano il mondo concreto delle imposte che i governanti decidono ed i contribuenti sono chiamati a pagare. Anche qui, la necessità di mettere ordine nel disordine dei fatti spinse Fasiani a servirsi di stru­ menti semplificati di indagine che a lui parvero dare la possibilità di premesse rigorose. Fasiani vide i sistemi di imposte voluti dalla « classe politica » di Mosca, dalla « élites » di Pareto, e non reputò compito suo di studioso indugiarsi sul valore morale permanente del­ l’opera tributaria di quelle classi ed élites. In amichevoli discussioni verbali e scritte egli, con ampia e diversa esposizione, antepose Pareto a Le Play e negò che, al di là delle élites di tempo in tempo dom i­ nanti, le istituzioni storiche finanziarie fossero determinate anche dai legislatore il quale all’ombra della quercia amministra il decalogo eter­ no. Non che egli negasse il valore delle parole eterne ; non le poteva negare lui, che aveva avuto due fratelli morti nella prima guerra mon­ diale in difesa dell’idea italiana ; ma aveva il pudore dello scienziato puro nel discorrere e trattare di cose che stanno al di là dei con­ cetti esattamente definibili e delle ipotesi chiaramente poste.

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spiegano il valore del contributo da lui dato alla storia delle dottrine economiche. Scrisse di Francesco Fuoco, ma avrebbe potuto scrivere di altri dimenticati, di cui e su cui aveva, con la fortuna propria di chi sa ricercare, raccolto preziosi manipoli di scritti rari. Perciò non si dilungò sulla vita e sui tempi di Fuoco, nò sulle scuole o tendenze alle quali si potrebbe dire che questi si fosse ascritto ; ma scrisse su quel che di proprio, di anticipatorio disse Fuoco, dimostrando, col­ l’esempio, che di storia della nostra scienza ve n’è una sola, quella la quale sistematicamente espone il progressivo costruirsi e raffinarsi del corpo di verità che oggi va sotto il nome di « economica ».

Fasiani ebbe alcuni pochi valorosi allievi ; ed ancor più numerati amici con i quali poter discorrere di premesse, di teoremi, di corollari e degli errori dei maestri e dei colleghi. Per lo più, salvo nei congressi, gli studiosi di economica non amano continuare nelle horae subsecivae le discussioni e le meditazioni condotte nella solitudine dello studio. I più di noi inclinano, eccetto vi siano costretti dai doveri di ufficio, a concedere a se stessi gradito riposo dalle discussioni professionali ad occasione di incontri con i cultori della propria disciplina ; sicché, quando una volta mi accadde di trovarmi a colazione con Pigou, sen­ tii, con sollievo, di essere d’accordo nella antipatia verso conversazioni post-prandium di indole dottrinale. Fasiani fece eccezione — proba­ bilmente unica — verso un amico a lui congeniale. Forse il tempo più felice della sua vita scientifica furono infatti i mesi trascorsi in To­ rino nella primavera e nella state del 1933, quando vi capitò, gra­ zie ad una borsa Rockefeller, Rosenstein-Kodan. In casa, lungo gli om­ brosi viali torinesi e, quando più imperversava il caldo, nei locali sotterranei del cinematografo Ambrosio, dove quei due avevano sco­ perto un impianto di aria fresca condizionata, Fasiani e itosenstein discussero a perdifiato, sino alle ore piccole, quando i camerieri si decidevano a cacciarli fuori in malo modo. Se di quelle conversazioni si fosse tenuto verbale, noi possederemmo un documento di interesse grande sul modo di ragionare e sui pensamenti di due fra i più vividi e pronti e rigorosi ingegni, i quali abbiano onorato ed onorino la let­ teratura economica contemporanea.

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GLI SCRITTI DI MAURO CASTANE

Troppo recente, e troppo dolorosamente immatura e improvvisa è stata la scomparsa di Mauro Fagiani, perchè chi ha avuto l'im ­ meritato privilegio di starGli per quasi quindici anni vicino possa scrivere della Sua opera un’analisi critica che sia sufficientemente motivata e circostanziata da non far credere dettati dalla commo­ zione giudizi e valutazioni, che pure sarebbero rigorosamente obiet­ tivi e ponderati.

Le pagine seguenti, perciò, hanno — nei limiti in cui è pratica- mente possibile — uno scopo prevalentemente informativo, di trac­ ciare cioè un quadro schematico, ma relativamente completo della Sua opera ; per il resto, esse rinviano a una prossima occasione, nella quale chi scrive spera di poter compiere in modo meno inadeguato la più ampia analisi suaccennata.

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Tali saggi (incluse le Appendici ai Principii, e i varii scritti a questi successivi) possono a grandi linee classificarsi in quattro grup­ pi, vertenti rispettivamente su: 1) problemi generali della finanza; 2) effetti dei tributi: 3) problemi di teoria e politica economica; 4) sto­ ria delle dottrine.

Del primo gruppo è particolarmente notevole lo studio in cui si esaminano le interpretazioni dei fenomeni finanziarii date dal Oraziani, dall’Einaudi e dal Paviani, rispettivamente mediante la teoria dell’utilità finale del reddito, il principio dell’esenzione del risparmio dall’imposta, e la tendenza allo sfruttamento delle illu­ sioni, e si sostiene che, da sola, nessuna di esse spiega tutta la realtà finanziaria; tale saggio (Schemi teorici) (1) contiene invero una no­ tevole anticipazione della futura impostazione dei Principii. Ad esso, s’aggiunge uno scritto polemico (D i alcuni connotati) sui caratteri del gruppo pubblico, e, per certi aspetti, l’analisi dei contributi del Pareto alla scienza delle finanze (Contributi di Pareto), la quale diede occasione al F. di sottolineare indirettamente alcuni suoi prin­ cipii metodologici, specie riguardo al valore scientifico delle propo­ sizioni precettive.

Gli scritti sugli effetti dei tributi comprendono grosso modo — chè gli studi ricordati sub h ed i trattano anche altri argomenti — :

a) una determinazione dei casi in cui, nella teoria degli effetti

dei tributi, è ammissibile l’ipotesi dell’imposta grandine (che il Fa- siani in via di principio respingeva: Sulla legittimità e A proposito

di un recente volume);

b) una teoria — del tutto nuova — della ripercussione d’un’im-

posta speciale in regime di concentrazione industriale (La trasla­

zione dell’imposta) ;

c) una profonda e per vari aspetti innovatrice analisi del si­

gnificato delle ipotesi di offerta a costi costanti e a costi decrescenti nella teoria della traslazione in condizioni di libera concorrenza

(Appendice I dei « Principii di scienza delle finanze ») ;

d) una determinazione, estremamente complessa ed elaborata —

e che non ha precedenti degni di nota — della durata del processo traslativo (Elementi per una teoria, Materials), nonché analoghe ri­ cerche — non meno nuove e raffinate della prima sui caratteri

(1) I saggi del Fasiani si indicano qui con la parte iniziale del titolo

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delle posizioni intermedie nel passaggio da un equilibrio a un altro

('Velocità nelle variazioni e D i un fenomeno);

c) un gruppo di chiarificatrici analisi di questioni controverse intorno agli effetti delle imposte sui profitti (Contributo ad alcuni

punti), e alla tassazione dei redditi supernormali (A proposito di una divergenza) e degli incrementi di valore (L’imposizione degl’incre­ menti) ;

f) una finissima critica della teoria corrente sugli effetti del­

l’imposta sull’offerta di lavoro (Appunti critici): mentre tradizional­ mente si considera un problema a due sole variabili indipendenti (ore di lavoro e quantità di reddito), eliminando con una tacita clau­ sola di caeteris paribus le altre variabili operanti sul lavoratore, il F. dimostra l’inammissibilità di tale clausola, e tien conto delle molteplici variabili in cui si scinde l’abituale concetto di « quantità di lavoro » ;

g) un minuto esame della pressione comparata dell’imposta sul

consumo e dell’imposta sul reddito (Di un particolare aspetto) e una determinazione delle limitazioni cui in seconda approssimazione è soggetta la tesi corrente dell’equivalenza fra imposte sui redditi (de­ rivanti da proprietà) e imposte di successione (Sull’ equivalenza) ;

h) un’ininterrotta serie di ricerche sul problema della doppia

tassazione del risparmio (Sulla teoria dell’esenzione, Sulla doppia

tassazione, D i u<n elementare problema, Appendice V II dei « Prin|

cipii », Della teoria della produttività) fra le quali assai notevole è la terza di quelle citate, che dà alla vexata quaestio una nuova im­ postazione, riferita al beneficio di cui godrebbe un soggetto con periodo economico limitato in una collettività di soggetti a periodi illimitati ;

i) un’analisi — unica nella letteratura per la profondità della

trattazione e l’esauriente molteplicità degli aspetti considerati ■— dei vari rapporti intercorrenti fra fenomeni tributari e rischio (Im­

posta e rischio).

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o, <1, f, h. Ma Egli ha inoltre studiato ex professo in modo partico­

larmente approfondito ed equilibrato la teoria delle fluttuazioni eco­ nomiche e la possibilità delle economie controllate di ridurle e atte­ nuarle, dandoci dell’argomento una sintesi (Principii generali; vedi anche Fluttuazioni economiche) che è fra le più meditate e felici, ed enunciando un personalissimo ed elaborato disegno della politica — specie monetaria —- di piena occupazione da seguirsi appunto nelle economie controllate (Potenziale di lavoro).

Gli scritti, infine, di storia delle dottrine e di critica riguar­ dano sia dottrine classiche o preclassiche, sia dottrine contemporanee. I primi trattano anzitutto (Precedenti di alcune teorie) d’una for­ mulazione settecentesca (da parte del De Chastellux) di alcuni ele­ menti della moderna teoria del debito pubblico, d’un’esposizione del moderno problema del valuta-dumping fatta dal Corniani, d’una vec­ chia formulazione del principio produttivistico dell’imposta, e d’una anticipazione da parte del Messedaglia della moderna tesi della ne­ cessità di considerare la spesa pubblica nella teoria della trasla­ zione; e consistono inoltre d’un eruditissimo e ricostruttivo studio sull’opera economica di Francesco Fuoco (Note sui saggi). I secondi consistono principalmente d’un’ampia e approfondita storia critica della letteratura finanziaria italiana nel periodo approssimativamente compreso fra il 1888 e il 1932 (D er gegenwärtige Stand), accanto alla quale va inoltre segnalato il saggio sul pensiero finanziario del Pa­ reto, che per molti ha rappresentato certamente una vera scoperta.

Non v’è alcun dubbio che, anche soltanto lasciandoci questi saggi dei quali via via abbiamo schematicamente accennato il conte­ nuto, Mauro Fasiani meriterebbe pienamente — per le ragioni indi­ cate in principio — un posto di primo piano nella storia della scienza delle finanze.

Ma — almeno a sommesso, ma lungamente meditato parere di chi scrive — è assai probabile che, coi Principii di scienza delle finan­

ze, Egli venga a meritare non già semplicemente un posto di primo

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e contradditorio — il Fasiani — svolgendo e applicando sistemati­ camente il felice criterio metodologico già da Lui sommariamente enunciato una diecina d’anni prima (in Schemi teorici), e confer­ mando in una ricerca di amplissimo respiro il raro equilibrio tra capacità critica e capacità costruttiva dimostrato nei saggi — dà al proprio corso un’impostazione tale che, da un lato, in essa una parte notevole delle contrastanti dottrine emesse in precedenza (2) risulta in realtà svolgimento d’altrettanti casi limite d’un’unica pre­ messa rigorosamente conforme alla verità sperimentale, e dall’altro lato in essa sono poste le condizioni per la considerazione di casi limite ancora trascurati, e per approssimare ulteriormente la teoria di quelli già studiati. E perciò i Principii del Fasiani — a prescin­ dere dai contributi fondamentali che in essi vengono apportati ad ogni sorta di problemi speciali, non d’impostazione generale — ap­ paiono da un lato una sintesi e una conciliazione — in parte reali, in parte virtuali — di quanto v’era di durevole e di conciliabile nella letteratura precedente, e dall’altro lato un modello per con­ durre ricerche ulteriori senza cadere in equivoci e in polemiche che, se furono caratteristiche d’un’altra epoca della scienza delle finanze, e se allora non furono inutili, attualmente sarebbero certamente dannose.

Le linee principali del sistema teorico svolto in tale opera sem­ brano le seguenti.

Il fenomeno finanziario è un fenomeno politico, e perciò una formulazione esatta delle leggi generali delle variazioni finanziarie sarebbe solo possibile ove si conoscessero le leggi generali delle va­ riazioni politiche: « L a Mecca della Scienza delle Finanze è nella Sociologia ». Ma « la Sociologia è una nebulosa in formazione, se pure il processo formativo esiste realmente » ; è quindi per il mo­ mento impossibile « una determinazione esatta e minuta delle leggi che regolano l’attività finanziaria ». Non è tuttavia impossibile una qualche approssimazione ad esse, mediante la considerazione d’un momento statico della vita politica, e la ricerca delle uniformità finanziarie ad esso relative.

Sembra al Fasiani che tale ricerca meriti d'essere eseguita ri­ spetto a tre tipi di momenti statici della vita politica :

(2) Specie di quelle legate all'indirizzo politico-sociologico, e di quelle

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a) quello nel quale un ’élite dominante esercita il potere nel pro­

prio esclusivo interesse, senza preoccuparsi degl’interessi dei do­ minati ;

b) quello nel quale l’élite dirigente esercita il potere nell’inte­

resse di tutti gli appartenenti al gruppo, ma avendo di mira gl’inte­ ressi particolari di ciascuno, o almeno della maggioranza;

c) quello nel quale l’élite esercita il potere nella preoccupazione

degl’interessi del gruppo, considerato come un’unità (3).

Tali tipi — denominati rispettivamente a) Stato Monopolista,

b) Stato Cooperativo, c) Stato Moderno — sono ipotesi astratte, non

aventi di regola compieta corrispondenza con la concreta vita poli­ tica delle varie epoche, sia perchè questa non è quasi mai del tutto statica, sia perchè (piasi mai in concreto la classe dirigente s’ispira esclusivamente e rigorosamente al criterio che d’ogni tipo è carat­ teristico: «T uttavia ogni Stato, in ogn’istante storico, tende ad av- « vicinarsi più o meno a uno dei tre tipi teorici ipotizzati. Essi rap- « presentano, in sostanza, i tre casi-limite entro i quali si racchiude « la mutevole realtà » (I, 52) (4).

La determinazione delle uniformità finanziarie relative ad ognuno di essi costituisce l’oggetto dell’opera del Fasiani, ritenendo egli che « soltanto negli ulteriori stadii di evoluzione della Scienza sarà pos- « sibile allontanarsi dal limite, per analizzare i casi intermedi ». In realtà, tuttavia, la parte pubblicata dei Principii contiene purtroppo soltanto la teoria della finanza ordinaria dello Stato Monopolista e di quella dello Stato Cooperativo; non conosceremo invece forse mai la teoria della finanza ordinaria dello Stato Moderno, nè quella della finanza straordinaria di tutt’e tre i tipi di Stato (per la quale Egli intendeva probabilmente svolgere una trattazione unica, in quanto a Suo parere « le esigenze stra'ordinarie modificano in gran « parte i criteri a cui di norma s’ispirano lo Stato Monopolista e lo « Stato Cooperativo, costringendoli ad avvicinarsi di molto alla vita « economico-politica dello Stato Moderno » (I, o&).

(3) In tutt’e tre le ipotesi si assume inoltre che siano riconosciute la libertà e l’integrità personale e la proprietà privata (restano quindi esclusi, tra l’altro, il caso d’una società schiavista da un lato e d’una società collettivista dall’altro). La differenza fra il caso 6 e il caso c può enunciarsi anche di­ cendo che « in un’organizzazione del tipo ò l’attività finanziaria è rivolta a raggiungere un massimo di utilità per la collettività, mentre in un’organiz­ zazione del tipo c, è rivolta a raggiungere un massimo di utilità della collet­ tività » (I, 46).

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Se il criterio fondamentale della classe dominante dello Stato Monopolista è di esercitare il potere nel proprio esclusivo interesse, senza preoccuparsi degli interessi dei dominati, « questi bisogni e « questi interessi sono da essa presi in considerazione solo in quanto « ciò sia necessario per conservare il potere e per raggiungere i pro- « pri scopi : e vengono soddisfatti solo nella misura a ciò necessaria. « I limiti entro cui essi hanno rilievo sono pertanto segnati dal rap- « porto di ‘ fo r te ’ a ‘ debole’ tra le classi socia li» [...].

« In tali circostanze, senza deliberato proposito, senza un pro- « gramma prestabilito nei suoi dettagli, la classe eletta tende a muo- « versi lungo ‘ le linee di minor resistenza ’ adottando quei provve- « dimenti che attenuano o addirittura annullano la reazione dei do- « minati [...] Perciò, tanto nella scelta dei servizi da dichiararsi pub- « blici, quanto nella ripartizione dei costi, la classe eletta, movendosi « per via non logica, lungo le linee di minor resistenza, tende a « realizzare quei provvedimenti che determinano un massimo d’ il- « lusioni » (I, 63-8).

E pertanto la tendenza fondamentale e caratteristica che si ma­ nifesta nella finanza dello Stato Monopolista è quella verso un mas­ simo d’illusioni: sicché l’illusione finanziaria che il Puviani presen­ tava quasi come un carattere normale o necessario d’ogni fenomeno finanziario, e i suoi critici ritenevano invece un’eccezione, un fatto marginale, appare un fenomeno che può manifestarsi in ogni tipo di Stato, ma si manifesta normalmente e necessariamente soltanto in quello Monopolista, dove raggiunge l’intensità massima.

Il Fasiani analizza perciò ampiamente — giovandosi della pre­ cedente ricerca del Puviani, il valore scientifico della quale risulta in tal modo meglio determinato — le principali categorie d’illusioni — sia relative alle spese pubbliche, sia relative alle entrate — delle quali la' classe dominante sistematicamente, ma per via non logica (5), si vale per esercitare la propria azione di sfruttamento; e ricerca in qual modo l’utilizzazione d’ognuna di esse tenda a configurare il

si-(5) Nel senso che, secondo il F., nello Stato Monopolista l’utilizzazione

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stema finanziario dello Stato Monopolista. Contrariamente a quanto il Puviani sembrava ritenere, tuttavia, ogni illusione può essere sfrut­ tata solo entro certi limiti, che il Fasiani determina in relazione ad un’ampia casistica : oltre tali limiti « l’effetto illusorio svanisce per dar luogo, sovente, ad illusioni in senso inverso ». E cioè la classe do­ minante « potrà ben nascondere una parte del fardello che pesa sui « dominati, e potrà ben giungere, per via non logica, a sfruttare tutto « lo sfruttabile, nel campo delle illusioni. Ma quel che può fare per « questa via, non è troppo. Giungerà pur sempre il momento in cui « le illusioni si esauriscono. Allora il fardello cessa di essere occulto, « e non v’è modo di sfruttare i dominati, senza procedere a requisirne « palesemente la ricchezza ».

« Rimangono allora da stabilire i limiti fino ai quali è possibile « arrivare nell’aperto sfruttamento.

« Questi limiti riflettono gli effetti economici delle imposte ; e « sono di due tipi. Da un lato, non basta che la classe eletta voglia « prelevar determinati tributi sui dominati : bisogna anche vedere se « essi rimangono effettivamente a carico di coloro che si vorrebbe tas- « sare, o non siano invece rimbalzati su terzi, e, in qualche misura, « sulla stessa classe eletta. D all’altro lato occorre vedere se, e in che « misura, i redditi tassati vengono ancora prodotti ; poiché una loro « restrizione potrebbe importare una limitazione nella quantità di «ricchezza che può essere attinta [...].

« Lo studio degli effetti delle imposte [...] così si incastra nella « teoria della finanza pubblica dello Stato Monopolista [...] » (1 ,173-4).

Nello svolgere tale studio, il Fasiani utilizza e coordina con im­ portanti e ampi contributi personali parte notevole della dottrina tradizionale sugli effetti dei tributi — specie di quelli speciali — dottrina che, com’è noto, era stata enunciata di massima — eccetto che dal De V iti — senza alcun specifico riferimento all’ipotesi d’un tipo di Stato piuttosto che d’un altro. Il F., invece, istituisce il col- legamento logico della parte da lui utilizzata con la specifica ipotesi dello Stato Monopolistico mediante una serie di argomentazioni, in parte implicite, che ci sembra possano così ricostruirsi.

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« In queste condizioni, il parlare d’un’imposta che abbia i caratteri « dell’universalità e dell’uniformità è uu non senso » (I, 258). Dal­ l’altro lato, invece, nello Stato Cooperativo « è [...] norma che ad ogni « incremento di spesa pubblica si faccia fronte con imposte o incre- « menti d’imposte generali che colpiscono, cioè, vasti settori dell’eco- « nomia, e, al limite, tutti i settori » (II, 129). Quindi, sembra affer­ mare il F., caratteristica dello Stato Monopolista è l’imposta speciale — intesa come quella percuotente limitati settori dell’economia — , e caratteristica dello Stato Cooperativo è l’imposta generale — intesa come quella percuotente in misura uniforme tutti i settori.

E perciò nella finanza dello Stato Monopolista trova sistemazio­ ne la teoria classica delle imposte speciali; nè essa, per essere gene­ ralmente riferita all’ipotesi dell’imposta grandine, richiede per tale motivo una revisione, in quanto il F. — pur sostenendo la necessità generica di tener conto, nello studio degli effetti dei tributi, della spesa del gettito rispettivo — ammette che da tale necessità si possa e convenga di solito prescindere nell’ipotesi di imposte speciali.

Nell’esposizione della teoria il Fasiani — il quale adotta, per motivi che ampiamente illustra, lo schema dell’equilibrio parziale — esamina distintamente e ampiamente la traslazione in avanti in con­ dizioni di monopolio e di libera concorrenza (6) e la traslazione all’in- dietro, e successivamente compie — giovandosi dei suoi già menzio­ nati studi precedenti — una determinazione del tempo occorrente all’esplicazione dei vari processi traslativi, che resterà legata al suo nome come un difficile e decisivo miglioramento della dottrina tra­ dizionale.

Analizzati gli effetti delle imposte speciali, e sebbene nello Stato Monopolista sia assurdo parlare d’un’imposta generale nel senso di « un’imposta che abbia i caratteri dell’universalità e dell’uniformità », resta pur sempre il « caso in cui venga introdotto un tributo, o un insieme di tributi, percuotenti vasti settori dell’economia. Nello stu­ dio degli effetti d’un tributo simile, il F. si vale in prima approssi­ mazione d’alcuni elementi della teoria del De V iti sugli effetti di un’imposta generale sul reddito, integrandoli con un’analisi — par­ ticolarmente raffinata e personale nei riguardi del fattore lavoro — delle ripercussioni che la diminuita rimunerazione ha sull’offerta dei

(6) Dedicandovi due capitoli dei quali si disse autorevolmente che « sono

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vari fattori produttivi, e quindi sulla quantità del reddito prodotto. Gli effetti delle imposte speciali, e quelli d’un tributo a vasta percussione, determinano i confini entro i quali — superata la fase dello sfruttamento mascherato — può esercitarsi lo sfruttamento pa­ lese dei dominati da parte dell’élite : giacché gli effetti traslativi delle imposte speciali « non consentono che i tributi rimangano sicura­ mente a carico dei contribuenti de jure », mentre gli « effetti di un insieme d’imposte, percuotenti vasti settori dell’economia [...] con­ tengono le possibilità d’accrescere la pressione tributaria ».

In tal modo si conchiude la teoria della finanza dello Stato Mo­ nopolista.

Poiché, come s’è detto, carattere fondamentale dello Stato Coo­ perativo è che l’élite dirigente esercita il potere « nell’interesse di tutti « gli appartenenti al gruppo pubblico, ma avendo di mira gl’interessi « particolari di ciascuno, [in] un’organizzazione siffatta l’attività fi- « nanziaria in tanto appare giustificata e viene perseguita, in quanto « valga ad accrescere il benessere individuale della totalità dei con- « sociati o almeno della maggioranza di essi ». In una simile situa­ zione « l’attività finanziaria dello Stato si palesa grosso modo come « un’attività economica cooperativa », alla quale — se si svolgesse in un gruppo piuttosto piccolo di uomini — potrebbe applicarsi senza altro gran parte degli schemi del De Viti, fondati appunto su un’ana­ logia coll’ipotesi della produzione cooperativa.

Poiché, invece, i gruppi pubblici reali sono normalmente molto numerosi, alla classe dirigente dello Stato Cooperativo si presentano problemi assai più complessi di quelli propri della produzione coope­ rativa nel senso comune del termine. Essi possono sintetizzarsi nei seguenti: « la scelta qualitativa dei servizi da dichiararsi pubblici; « la determinazione del quantum della loro produzione, e la riparti- « zione del loro costo ».

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A tale regola si fa però eccezione per quei servizi la produzione privata dei quali metterebbe in pericolo l’esistenza stessa della forma cooperativa di Stato (difesa, polizia, ecc.), ovvero determinerebbe la costituzione di monopoli economici (ferrovie, telegrafi, ecc.): ambe­ due tali tipi di servizi « sono dichiarati pubblici indipendentemente dal costo che si sopporta nel produrli » (II, 9) (7).

Sempre dal carattere fondamentale dello Stato Cooperativo il Fasiani deduce poi che il~problema della determinazione delle quan­ tità da prodursi di ogni singolo servizio avviene nei seguenti diversi modi secondo si tratti di:

1) servizi divisibili: la quantità è determinata dalla curva di domanda formantesi sul mercato, congiuntamente con la condizione che lo Stato tende a produrre al più basso costo possibile, e ad ap­ plicare un prezzo uguale al costo ;

2) servizi indivisibili per consolidamento : la quantità è quella « necessaria perchè il bisogno continui indefinitamente a rimanere consolidato » ;

3) servizi indivisibili per la notevole numerosità del gruppo pub­ blico (la quale impedisce la determinazione del vantaggio di ciascun consociato, approssimativamente possibile invece, in pratica, in un gruppo ristretto): la quantità è determinata approssimativamente argomentando dalle reazioni dei contribuenti a successivi incrementi della pressione tributaria, secondo un procedimento già descritto dal Barone per un’ipotesi lievemente diversa (Principii di ec. fin., pp. 11-15);

4) servizi parzialmente divisibili: « i l problema del quantum [è] risolto cogli stessi criteri che si adottano nel caso di servizi intera­ mente divisibili ».

Dal carattere fondamentale dello Stato Cooperativo il F. deduce infine che il criterio seguito nella soluzione del problema della ripar­ tizione del costo di produzione dei servizi pubblici è « che, nei limiti del possibile, la contribuzione d’ognuuo sia proporzionata al vantag­ gio tratto dal servizio [stesso] » (II, 33). La coesistenza, però, di ser­ vizi divisibili, indivisibili e parzialmente divisibili comporta che tale

(7) Tutti i servizi da dichiararsi pubblici — sia conformemente alla re­

(17)

213 —

criterio sia attuato in forme varie, dando luogo all’applicazione d’una varietà di prezzi e di tributi, che — seguendo con qualche modifica l’Einaudi — sono dal Fasiani così classificati: prezzi privati, quasi privati, pubblici, politici, contributi e diritti erariali, imposte.

Risolti, nei modi descritti, i tre problemi fondamentali, resta quello della ripartizione delle imposte.

Premesso che normalmente le imposte possono prelevarsi soltanto dal reddito netto, tale problema presenta « un triplice aspetto che « possiamo chiamare : giuridico, tecnico ed economico. Si tratta [anzi- « tutto] di stabilire, in via pregiudiziale, il principio generale a cui « si vuole informare la distribuzione dei tributi (ripartizione giuri- « dica delle imposte ». Stabilito il principio, occorrerà vedere in che « modo si possa tecnicamente attuare (ripartizione tecnica delle im- « poste). Infine occorrerà vedere quali siano le ripercussioni econo- « miche del sistema di tributi, con cui si cerca di attuare il principio «generale (ripartizione economica delle im poste)» (II, 55/6).

Riguardo al primo aspetto, il F. deduce anzitutto dal carattere fondamentale dello Stato Cooperativo, che la classe dirigente è por­ tata ad applicare il principio del sacrificio proporzionale, e trae da ciò — e dal postulato cli’essa grosso modo ritiene l’utilità marginale decrescente più che proporzionalmente al crescere del reddito — la conseguenza che probabilmente essa tende ad applicare, su redditi qualitativamente ma non quantitativamente uguali, imposte progres­ sive. Dallo stesso carattere fondamentale, e dalla sua già menzionata teoria sul significato dell’ugual tassazione di redditi di diversa du­ rata, Egli deduce inoltre che la classe dirigente tende ad esentare il risparmio presunto del normale percettore di redditi temporanei, mediante l’applicazione d’una diversa imposta su redditi quantitati­ vamente, ma non qualitativamente uguali. Riguardo all’aspetto tecni­ co del problema, discute in qual misura diverse combinazioni d’impo­ ste alla sorgente, o alla persona, o all’erogazione consentano in pra­ tica l’attuazione delle due tendenze fondamentali accennate, e discute qualche questione tecnica minore.

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— 214

La teoria della finanza cooperativa importa ancora la determi­ nazione delle ripercussioni dell’imposta.

Poiché, per le ragioni già dette, caratteristica dello Stato Coope­ rativo è l’imposta generale, il Fasiani svolge anzitutto una personale analisi delle ripercussioni d’un simile tributo applicato alla persona, respingendo l’impostazione tradizionale secondo cui esso « non può entrare nel prezzo », e distinguendo ed esaminando un’importante ca­ sistica ; e mostra successivamente come la stessa analisi possa appli­ carsi, con lievi modifiche, alle ripercussioni d’un’imposta generale alla sorgente. Dimostra poi come, per i casi possibili ma relativamente eccezionali (dovuti principalmente a necessità tecniche) d’imposte spe­ ciali, possa applicarsi la teoria dei relativi effetti svolta nell ipo­ tesi della finanza Monopolista.

La teoria della finanza cooperativa si conclude coll’esame di al­ cuni ostacoli che impediscono la piena attuazione concreta dei prin- cipii generali che siam venuti indicando. « La finanza cooperativa, « adunque, non presenta uno svolgimento rigorosamente conforme ai « principii generali che caratterizzano tale caso-limite ; ma, al pari « della finanza Monopolistica, rivela una tendenza generale dalla quale « numerose necessità ambientali impongono deviazioni continue » (II, 176).

Sarebbe assurdo raffermare — e il Fasiani stesso sarebbe stato il primo a sorriderne — che tutto nei Suoi Principii sia assolutamente incontrovertibile: non v’è opera umana che a tanto possa aspiiaie.

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— 215 —

Anche chi non dividesse l’opinione di chi scrive — anche chi, cioè, ritenesse probabile che i migliori studiosi di domani tenderanno ad adottare impostazioni diverse da quella del Fasiani — non potrà negare che, se essi vorranno procedere con ponderazione ed equani­ mità, dovranno motivare esaurientemente tale loro deviazione, e, per farlo, dovranno compiere uno sforzo critico eccezionale, adeguato all’eccezionale rigore sistematico della Sua opera.

E tanto basta per giustificare la posizione preminente che al Fasiani crediamo debba essere attribuita.

Gravissima e irreparabile è senza dubbio per la scienza la per­ dita di tutto ciò che la Sua mente, nel pieno della maturità, avrebbe potuto ancora produrre; ma Egli aveva già dato quanto bastava per assicurarsi la gloria.

Se gli scritti hanno assicurato a Mauro Fasiani un posto ben alto nella storia del pensiero, le Sue doti umane hanno lasciato una traccia incancellabile nel cuore e nello spirito di quanti hanno avuto la fortuna di conoscerla) e di esserGli vicini.

In Lui, l’abitudine alla logica rigorosa, all’osservazione e all’in­ terpretazione obiettiva e quasi si direbbe spietata della realtà, non aveva soffocato, ma anzi affinato la sensibilità umana, ch’Egli aveva ricchissima e nobilissima.

Era insegnante di rara efficacia ed abnegazione nell’aula e nel laboratorio; ed era Maestro indimenticabile, che educava al pensiero con delicatezza impareggiabile, lasciando all’allievo l’illusione della conquista autonoma del sapere, ma seguendo le sue fatiche con atten­ zione illuminata e fraterna.

Aveva un rispetto profondo della personalità di chiunque, umile od alto, capace o incapace, rispetto che dava alla Sua squisita e inal­ terabile cortesia l’impronta d’un’autentica naturalezza.

Schivo delle frasi e dei facili atteggiamenti moraleggianti, dava quotidianamente un altissimo esempio morale colla Sua condotta, e colla Sua appassionata dedizione alla ricerca scientifica.

E, infine ma prima di tutto, era d’una bontà inesauribile e raffi­ nata, illuminata da una intelligenza che ne centuplicava gli effetti benefici, e unita ad una discrezione che rendeva lieve la gratitudine.

Del Suo genio ci resta un perenne monumento nelle Sue classiche pagine; del Suo grande cuore resta un perenne ricordo in coloro che Lo hanno conosciuto.

Settembre 1950.

Anno Sc o t t o

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B IB L IO G R A F IA D I MAURO F A S IA N I

Sulla teoria dell’esenzione del risparmio dall’imposta, in « Memorie della

R. Accademia delle Scienze di Torino », Serie II, Tomo LXVI (1926), in estratto p. 38.

Sulla doppia tassazione del risparmio, in « Riforma sociale », marzo-

aprile (3-4), 1928, pp. 123-40.

Riflessioni su di un punto della teoria dell’illusione finanziaria, in « Atti

della R, Accademia delle Scienze di Torino », voi. LXIV, 1929, pp. 333-45.

Di alcuni effetti dell’estinzione del debito pubblico mediante un’imposta sul capitale, in « Riforma sociale » maggio-giugno (5-6), 1929, .

pp. 213-24.

Elementi per una teoria della durata del processo traslativo dell’im­ posta in- una società statica, in « Giornale degli Economisti », ago­

sto 1929, pp. 557-83 e settembre 1929, pp. 687-714.

Di un particolare aspetto delle imposte sul consumo, in «Riforma so­

ciale », gennaio-febbraio (1-2), 1930, pp. 1-20.

Contributo ad alcuni punti della teoria della traslazione delle imposte sui « profitti » e sui « redditi », in « Studi Sassaresi », voi. IX,

fase. I l i , pp. 173-207, e voi. X, fase. I, pp. 1-51 (1931).

A proposito di una divergenza di opinioni fra alcuni scrittori di finanza,

in « Rivista di Politica Economica », fase. VI, giugno 1931, pp. 677-88.

A proposito degli effetti dell’esenzione dall’imposta delle case di nuova costruzione, in « Riforma sociale », luglio-agosto (7-8), 1931, pp. 337-63. Contributo alla teoria dell’« uomo corporativo », in « Studi Sassaresi »,

fase. IV, voi. X, 1932, pp. 317-35.

Di un fenomeno di attrito, in « Rivista Italiana di Statistica, Economia

e Finanza », giugno (2), 1932, pp. 248-81.

Schemi teorici ed « exponibilia » finanziari, in «Riforma sociale», lu­

glio-agosto (4), 1932, pp. 481-514.

Velocità nelle variazioni della domanda e dell’offerta e punti di equi­ librio stabile e instabile, in « Atti della R. Accademia delle Scienze

di Torino», voi. LXVII (1932), pp. 383-425 (pili nove diagrammi fuori testo).

Der gegenwärtige Stand der reine Theorie dér Finanzwissenschaft in Italien, parti I, II e III, in « Zeitschrift für Nationalökonomie »,

Band III, Heft 5°, pp. 651-91; Band IV, Heft 1°, pp. 79-107 ; Band IV, Heft 3°, pp. 357-88 (1932-33).

Prefazione alla traduzione italiana di « The economics of welfare » di

(21)

— 217 —

Fluttuazioni economiche ed economia corporativa, in « Annali di Stati­

stica e di Economia » della Facoltà di Economia e Commercio di Genova, anno II, voi. I l i (1935), pp. 1-70.

Materials for a theory of thè duration of thè process of tax shifting, in

« Keview of Economie Studies », February 1934, pp. 81-101, e Fe- bruary 1935, pp. 122-37 (è una traduzione, con qualche abbreviazione e qualche variante, di Elementi per una teoria della dui ala ecc.).

Problemi tributarii inglesi, in «Annali di Economia» dell’ Università

Bocconi (1935), voi. X, n. 2 (luglio), pp. 333-65.

Imposta e rischio, in « Studi in onore del prof. Salvatore Oi'tu Car­

boni », Boma, 1935, Tipografia del Senato, pp. 139-202.

Di un elementare problema di tempo e di alcune sue applicazioni finan­ ziarie, in « Annali di Statistica e di Economia » anno II I (1936),

voi. IV, pp. 67-114.

Precedenti di alcune recenti teorie finanziarie, in « Annali di Statistica

e di Economia », anno III (1936), voi. IV, pp. 195-240.

Sanzioni, in « Annali di Statistica e di Economia », anno III (1936),

voi. IV, pp. 125-37.

Principi generali e politiche delle crisi, in « Annali d’Economia » del­

l’Università Bocconi, voi. XII, n. 1-2 (1937), pp. 25-108.

Note sui « Saggi economici » di Francesco Fuoco, in « Annali di Stati­

stica e di Economia », anno IV (1937), voi. V, pp. 1-131.

Buoni del Tesoro, in «Nuovo Digesto Italiana», 1938, pp. 7.

Autarchia economica, in « Annali di Statistica e di Economia », anno IV,

voi. VI (1939), pp. 1-52.

A proposito di un recente volume sull’incidenza delle imposte, in «G ior­

nale degli Economisti », gennaio-febbraio 1940, pp. 1-23.

A proposito dei recenti provvedimenti tributarii italiani, in « Annali

di Statistica e di Economia », anno VI, voi. V II-V III, 1941, pp. 209-35.

Appunti presi alle lezioni tenute dal prof. M. Fasiani dalla Cattedra di Scienza delle Finanze, Sezione editoriale del GUF, Genova, 1940,

di pagg. 278 (litografato).

Principi di Scienza delle Finanze, Giappichelli, Torino, 1941, due volumi

di pagg. XV + 303 e 319. Le pagine da 179 a 304 del II volume con­ tengono le seguenti Appendici:

I. Sul significato delle ipotesi di offerta a costi costanti, crescenti e

decrescenti nella teoria della traslazione di un’imposta speciale, nell’ipotesi di libera concorrenza (pp. 181-220)

II. Sulla teoria della traslazione di un’imposta per unità di merce

venduta, in caso di monopolio, nell’ipotesi di costi crescenti e de­ crescenti (pp. 221-226)

III. Sulla ripercussione di un’imposta fissa (pp. 227-230).

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— 218 —

Y. Sulla costruzione e sul significato delle curve d’indifferenza di Pa­

reto (pp. 259-266)

VI. Sulla formazione dei prezzi pubblici e dei prezzi politici (pp. 267-273). VII. Sul problema della doppia tassazione del risparmio (pp. 275-304).

Dei Principii è imminente una seconda edizione, riveduta e aumen­ tata dall’A. per la parte contenuta nel I volume.

La traslazione dell’imposta in regime di concentrazione industriale, in

« Studi economici finanziari corporativi » dell’Università di Napoli, (2-3) aprile-settembre 1942, pp. 200-25.

Potenziale di lavoro e moneta, in « Annali di Statistica e di Economia »,

anno VII, 1942, voi. IX-X, pp. 65-137.

Appunti critici sulla teoria degli effetti dell’imposta sull’offerta indivi­ duale di lavoro, in « Annali di Statistica e di Economia », anno VII

(1942), voli. IX X, pp. 139-223.

Della teoria della produttività dell’imposta, del concetto di « stato fat­ tore della produzione » e del teorema della doppia tassazione del risparmio, in « Giornale degli Economisti », novembre-dicembre 1942,

pp. 491-511.

Sulla legittimità dell’ipotesi di un’imposta-grandine nello studio della ripercussione dei tributi, in « Studi in memoria di Gugliemo Masei »,

Giuffrè, Milano, 1943, voi. I, pp. 261-279.

Di alcuni connotati del gruppo pubblico e di una definizione dei bisogni pubblici, in « Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze »,

giugno 1943, parte I, pp. 62-83.

Postilla a « L. Einaudi, Discutendo con Fasiani e Griziotti di connotati

dello Stato e di catasto e imposta fondiaria », in « Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze », sett.-dic. 1943, parte I, pp. 190-1.

L’imposizione degli incrementi patrimoniali, in «Rapporto della Com­

missione Economica del Ministero per la Costituente », Roma, Isti­ tuto Poligrafico dello Stato, 1946, voi. V (Finanza), appendice, pp. 429-51.

Emanuele Sella, in «Economia Internazionale», febbraio 1949, pp. 50-67. Contributi di Pareto alla Scienza delle Finanze, in « Giornale degli Eco­

nomisti», marzo-aprile 1949, pp. 129-73; ristampato in Vilfredo Pa­

reto, l’economista e il sociologo, scritti per il centenario della nascita,

Malfasi, Milano, 1949.

La distribuzione dell’imposta e la « legge di Pareto » in una recente in­ dagine teorica, in « Economia Internaz. », maggio 1949, pp. 299-321. Sull’equivalenza tra imposte sui redditi e imposte di successione, in « Fi­

nanza pubblica contemporanea» (Studi in onore di Jacopo Tiva- roni), Bari, Laterza, 1950, pp. 155-90.

(23)

A PROPOSITO D E I « M EZZI D ELL’A T T IV IT À ’ ECONOMICA E M EZZI DELL’A T T IV IT À ’ F IN A N Z IA R IA »

D I BENVENUTO G R IZIO TTI

In tempi relativamente recenti, se pur ormai non recentissimi, uno dei più valorosi cultori della « scienm delle finanze » e del di­ ritto « finanziario » in Italia, ha tentato di elaborare una netta di­ stinzione tra l’attività economica e l’attività finanziaria in relazione ai « mezzi » diversi, per grado e per qualità, che, secondo il citato studioso (1) sono proprii di ciascuna attività.

La preoccupazione più immediata ed evidente del Nostro è, nel saggio, quella di dimostrare, con l’ausilio della distinzione sopra ri­ chiamata, l’autonomia della « scienza delle finanze » nei confronti della « scienza economica » : il tentativo ha quindi un interesse epi­ stemologico e metodologico generale, che crediamo valga a giustifi­ care l’intervento, nella discussione, anche di chi, come l’autore di queste note, non ha speciali qualifiche, professionali od accademiche, per entrare negli horti conclusi della scienza finanziaria.

A maggior giustificazione per un tale intervento, giova richia­ mare il fatto che, nel tentativo in esame, la distinzione dei mezzi è, almeno in parte, basata dall’autore su una distinzione dei « fini », e che, tra tali fini, è annoverato dall’autore, il fine « politico », come l’elemento « costitutivo » accanto all’elemento « economico », a quello « giuridico » e a quello « tecnico », ed anzi « preminente » dell'atti­ vità finanziaria, di cui sarebbe soggetto lo Stato.

Se si dovesse arrischiare un giudizio d’insieme, si potrebbe af­ fermare che il valore del saggio sta soprattutto in ciò, che esso mette in moto le idee, e stimola a verificare la validità di certe distinzioni, le quali, per essere — nel linguaggio comune — abbastanza chiare e pacifiche, divengono, se approfondite criticamente, motivo di spinosi dubbii e di infinite controversie.

(1) Cfr. B. Grazi o t t i, Mezzi dell’attività, economica e mezzi dell’attività

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Le scienze sociali sono il campo tipico di quelle che un pubbli­ cista insigne, il Kelsen, chiamava argutamente le « regolamentazioni dei confini)) tra i varii oggetti di considerazione, e tra i varii modi di considerare tali oggetti. Orbene, la distinzione, per dir così più naturale, tra le varie scienze in genere, e tra quelle dette « sociali » o « umane », o « storiche », o « morali », o « dello spirito », o « della cultura » in ispecie, è parso a molti che dovesse poggiare suH’oppetto di tali scienze, assai più che non sul modo di considerazione, sull’an­ golo visuale da esse adottato nello studio di quegli oggetti: e pre­ cisamente dal riferimento all’oggetto ha tratto origine la maggior parte delle denominazioni sopra ricordate.

A d una tale distinzione ci sembra tenga fede, soprattutto, anche il Nostro, nel saggio in esame.

220

MEZZI DELL’ATTIVITÀ ECONOMICA E MEZZI DELL’ATTIVITÀ’ FINANZIAKIA (*)

«L a finanza è strumento per il raggiungimento diretto e indiretto dei fini dello Stato; questi naturalmente sono comprensivi anche di fini individuali, sociali e collettivi d’interesse pubblico. La finanza è stru­ mento diretto rispetto ai fini da soddisfare, quando essa più che fiscali ha scopi immediati d’altra natura, come economici, demografici e sociali; è invece strumento indiretto, quando essa è rivolta esclusivamente a pro­ curare entrate da destinare a spese necessarie pel conseguimento dei fini statali.

I fini dello Stato si presentano di una certa natura e dimensione, sia perchè sono consequenziali a quelli raggiunti nel passato, sia perchè preludono a quelli che si vorrebbero soddisfatti nell’avvenire.

Parimenti i mezzi si concatenano al passato e al futuro nella vita dello Stato, che si riallaccia ai tempi remoti e alla previsione dei tempi futuri, in misura molto maggiore di quanto non sia pensabile per la vita delle persone e anche degli enti privati. Percorriamo la romana via Emilia, abitiamo città formatesi e accresciutesi nei secoli, veri veicoli di benessere e di civiltà millenaria, moventisi nel tempo sui binari posti dallo Stato. Spese del passato fruttano ancora al presente. Fini rag­ giunti nel passato sono premesse al conseguimento di fini presenti e futuri. Beni patrimoniali demaniali rappresentanti il sacrifizio finan­

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ziario di generazioni remote alimentano spese ordinarie e straordina rie nostre.

A queste naturalmente provvediamo anche e soprattutto con il sa­ crificio finanziario nostro.

Ma il presente si proietta nella vita dello Stato verso l’avvenire con spese, di cui noi sentiamo il sacrificio, ma non il beneficio, perchè esse daranno il loro frutto dopo una o più generazioni, e con altre, di cui al contrario ci avvantagiamo per nulla o in tutto o in parte e la sciamo ai discendenti il carico, mediante debiti da rimborsare con tri­ buti o da annullare con le svalutazioni monetarie e le bancarotte che rappresentano folli o disperate spogliazioni pubbliche.

Demani, controprestazioni, tassazioni, imposizioni, dazi, monopoli fiscali, confische, anticipazioni, emissioni di carta moneta, sono i diversi procedimenti finanziari, con i quali i mezzi affluiscono allo Stato, mercè il sacrificio di generazioni passate e presenti o lo sconto del sacrificio di quelle future.

Vi è per queste fonti di entrate un’elasticità quasi illimitata sia per la possibilità del concorso del passato, del presente e del futuro, sia per la varietà di procedimenti usati. Infatti, oltre che a tutti i modi di pro­ cacciamento di entrate possibili per i privati, lo Stato può ricorrere, mediante la coazione e soprattutto in vista della supremazia dell’inte­ resse pubblico (1) su ogni altro, a entrate, che sarebbero vietate ai pri­ vati dalla morale prima ancora che dalle leggi, e che permettono di ren­ dere praticamente illimitata sotto l’aspetto quantitativo, temporale e qualitativo la sorgente dei mezzi finanziari.

Queste affermazioni non autorizzano nè la opinione che la finanza abbia a sua disposizione fonti inesauribili di ricchezza, nè angherie, nè arbitri] nel prelevamento e nell’uso delle pubbliche entrate, ma stabili­ scono un netto divario tra mezzi economici e mezzi finanziari sia sotto l’aspetto quantitativo sia di quello qualitativo.

I mezzi relativamente scarsi dell’economia sono quelli individuali, poiché essi sono strumentali al conseguimento di fini quasi sempre par­ ziali e singolari come possono essere quelli del produttore (o del consu­ matore) del capitalista (o del salariato) dell’imprenditore (o del pro­ prietario) e di fini molto limitati nel tempo e nello spazio. Le famiglie e gli enti collettivi privati cercano di sopperire con la propria costitu­ zione a questa limitatezza temporale e quantitativa delle forze economi­ che individuali, ma per lo più hanno una durata e un raggio d’azione

221

(1) La supremazia dell’interesse pubblico su ogni altro è giustificata dal­ l’ipotesi che essa sia rivolta al conseguimento del bene morale e materiale, presente o futuro, dello Stato e manca di fondamento etico e politico quando l’interesse pubblico non è soddisfatto, perchè la coazione dello Stato è stru­ mento abusivo di spogliazioni della collettività o dei singoli a favore di parti­ colari gruppi parassitari.

(26)

2-22

non comparabile con quelli dello Stato o delle Unioni di Stati. Ma sono rare le famiglie che hanno il ricordo di lontani ascendenti e ancora più rare quelle che hanno ereditato posizioni economiche conservate ininter­ rottamente nel tempo. La sincope economica o demografica spezza spesso il filo della continuità nelle famiglie. Inoltre per gli enti, quando essi superano certe proporzioni, nascono spesso le condizioni favorevoli per la loro trasformazione in enti pubblici.

(27)

tribuenti attuali e a profittto di generazioni future, e il calcolo di na­ tura politica per lo Stato torna, se il giudizio comparativo risulta favo­ revole.

Il ragguaglio fra perdite attuali e vantaggi futuri può essere fatto col confronto di elementi traducibili in moneta, ma non sempre è costi­ tuito su basi così semplici e omogenee, in termini quantitavi compara­ bili perchè della stessa qualità.

Il giudizio della Stato può avvenire — e avviene di solito in realtà e da un punto di vista filosofico, necessariamente e sempre — fra ele­ menti di qualità diverse. Il sacrificio di contribuenti attuali può essere sottovalutato (o sopravalutato) da un punto di vista qualitativo e il contrario può avvenire per il vantaggio futuro, perchè criteri sociali, culturali, razziali, religiosi, storici possono stabilire delle differenze fra le classi sacrificate oggi e le generazioni beneficate domani oppure per­ chè si è disposti oggi a concentrare tutti i sacrifici per rialzare di molto le sorti future dello Stato e della Nazione, considerati unitariamente nel loro sviluppo storico. L’Italia di domani sarà diversa dal lato quanti­ tativo e qualitativo dall’Italia d’oggi. Per il bene dell’Italia di domani lo Stato può perciò fare compiere sacrifici praticamente illimitati.

• Ovvero può avvenire il contrario: preparare un avvenire di crisi generale a un popolo per mancanza di spirito di sacrificio negli uomini d’oggi, ovvero restare colle mani in mano nella tranquillità che le si­ tuazioni rimarranno invariabili. In ogni caso non si addiviene a una decisione fondata soltanto su criteri economici.

Il giudizio è politico, più complesso; ed è da rivedere sotto il punto di vista della politica.

I mezzi in finanza non sono relativamente scarsi ma praticamente abbondanti. Invero i debiti perpetui consentono di anticipare lo sfrut­ tamento di capacità contributive future molto lontane, per virtù delle imposte che lo Stato potrà porre in tutti i tempi futuri; e le spese pub­ bliche coperte dai debiti possono a molto lungo andare, quando noi saremo scomparsi anche da più generazioni, per virtù delle opere e dei servizi, cui provvidero, essere fonte generosa di benefici nell’ampia e varia (cioè non solo economica) sfera della vita nello Stato e oltre lo Stato.

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224 —

sumi, sui redditi e sui patrimoni. Essi infine possono essere tratti da tutte le riserve accumulate nei secoli passati.

Lo Stato può infine con la coazione sollevare il peso, che altrimenti graverebbe la finanza, mediante l’obbligo delle prestazioni di beni (con requisizioni, espropriazioni, confische) o di opere e servigi (militare, giudiziario, civile, politico, sociale) a titolo gratuito o a prezzo d’impero. Anche nell’economia non mancano analoghe fonti sussidiarie di mezzi, ma anche in questo campo lo Stato per ragione dell’interesse pubblico giunge a procurarsene di più, praticamente quasi senza confini se non in quelli strettamente materiali, quando le esigenze suggeriscano op­ portuno il ricorso alla coazione fino agli estremi limiti. Si hanno per­ tanto in finanza ricche fonti di proventi non paragonabili colle pos­ sibilità dell’economia. Quindi il punto di partenza dell’attività finan­ ziaria non è quello dell’attività, posta a premessa della scienza econo­ mica, la scelta tra mezzi relativamente scarsi per il raggiungimento di determinati fini.

In finanza, dove soggetto è lo Stato, la natura dei fini è così etero­ genea; la finanza è attività strumentale e distributiva nell’ambito dello Stato; i fini dello Stato sono così complessi; lo Stato si vale della coa­ zione, per la cui produzione trae ragione la sua esistenza, per far preva­ lere l ’interesse dello Stato (ossia la risultante organica e permanente nel tempo e nello spazio di interessi contingenti) su ogni altro, che l’ade­ guare mezzi relativamente abbondanti ai fini pubblici dello Stato è com­ piere operazione squisitamente di natura politica sotto l’aspetto quan­ titativo e qualitativo e del tutto divergente per caratteristiche da un'o­ perazione economica.

Nè si giuochi sulle parole vantando la necessaria economicità della politica, perchè la discussione sì chiude definitivamente con la dimo­ strazione che la politica dirige la finanza; riaprendola, si dovrebbe ac­ crescere la lotta delle parole affermando la politicità della economicità della politica, per stabilire che non v’è limitazione di mezzi nè criterio unico, cioè economico, per la scelta di mezzi al raggiungimento dei fini, per la complessità dei fini e la connessione coessenziale dei fini ai mezzi e di essi ai soggetti. In altri termini, se lo Stato segue una via che porti a un’erosione del reddito, pur sapendo che questo avviene necessaria­ mente pel conseguimento dei propri fini, esso deve non ascoltare l’eco­ nomista ma il politico nella scelta dei suoi fini, poiché il politico con una analisi e sintesi di fattori, più grandi di quelle dell’economista, saprà valutare se il raggiungimento dei fini valga il costo economico dell’ero­ sione dei redditi, oltre che l’ammontare e la natura della spesa e della rispettiva entrata. Dunque i mezzi finanziari, sotto l’aspetto quan­ titativo e qualitativo, sono diversi dai mezzi economici.

Parimenti l’attività finanziaria è diversa dall’attività economica per differenze, che segnano fra esse una discontinuità, perchè i soggetti, i fini, i mezzi sono profondamente diversi dal lato quantitativo e qua­ litativo.

(29)

fanno sempre più frequenti ai nostri tempi fra finanza ed economia, per­ chè il considerare rapporti di coesistenza fra l’una e l’altra vale solo a stabilire rapporti di complementarità, di strumentalita o d’altra na­ tura, secondo i singoli casi da eliminare. Quindi la scienza economica non domina la scienza finanziaria nè questa è un’applicazione o un ca­ pitolo di quella.

Si può invece dire che la scienza delle finanze, che trae la sua auto­ nomia dalla conoscenza degli elementi costitutivi delle entrate (il po­

litico, per le direttive o il criterio di scelta delle entrate, l’economico,

per la funzione esercitata dall’entrata; il giuridico, per il titolo che giu­ stifica il rapporto finanziario; il tecnico, per l’operazione che attua l’en­ trata), studia un’attività che è priore su quella economica. E’ infatti lo Stato, in qualsivoglia costituzione o combinazione politica, che per pri­ mo fissa gli orientamenti generali della vita e dell’economia nazionale, le pubbliche spese e le entrate; in conseguenza di questa prima e supe­ riore decisione ogni economia fa i calcoli di convenienza per scegliere le proprie direttive nella produzione, tenuto conto dei servigi resi dallo Stato e degli oneri imposti e decide i propri consumi e risparmi attua­ bili con il residuo reddito per soddisfare alle esigenze della vita non as­ sicurate dai servigi pubblici.

Raccogliendo le riflessioni sulle divergenze fra i mezzi dell’attività economica e i mezzi dell’attività finanziaria si può dunque scrivere:

1) i mezzi dell’attività finanziaria sono caratterizzati dai fini, cui si riferiscono, e dal soggetto di essa, ossia lo Stato (e i suoi enti ausi­ liari);

2) essi differiscono qualitativamente e quantitativamente dai mezzi dell’attività economica, per la profonda diversità tra la natura e la du­ rata dello Stato e dei suoi fini e quelle dei soggetti e dei fini dell’atti­ vità economica, nonché per la diversità e la molteplicità dei procedi­ menti, di cui si vale lo Stato in confronto dei privati: per cui molto più varie, ricche, facili e riferentisi a epoche anche remote nel passato e nel futuro sono le disponibilità pubbliche rispetto a quelle private;

3) i mezzi dell’attività finanziaria sono praticamente abbondanti di fronte a fini talora — cioè in certi ordinamenti e periodi storici, nei quali lo Stato non espande la propria attività per ragioni pratiche, po­ litiche, filosofiche — relativamente limitati (2); mentre quelli

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