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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.03 (1876) n.113, 2 luglio

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L’EOON ((MISTA

G A Z Z E T T A SETTI MANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE. INTERESSI PRIVATI

Anno III - Yol. VI

Domenica 2 luglio 1876

N. 118

LA R ELA ZIO N E D E L L ’O NO REVO LE PUCCINI

SULLA

CONVENZIONE DI BASILEA

Allorché si cominciò a dire ehe le trattative in­ tavolate fra il Governo italiano e la Società del­ l’Alta Italia erano giunte a una conclusione, noi ci affrettammo a manifestare la nostra opinione. La quale in sostanza era questa. Pochi milioni di dif­ ferenza non potevano, a senso nostro, render buono un affare di per sé stesso cattivo; ma aggiunge­ vamo che se ragioni a noi peranco ignote potevano rendere necessario il riscatto, la responsabilità risa­ liva a coloro che avevano fatta la Convenzione di Basilea, non a coloro che ne avevano raccolta la eredità. Del resto se non si poteva sfuggire a sì grave peso per l’ erario, ci auguravamo almeno che fosse scongiurato il pericolo dell’esercizio go­ vernativo.

Ora dobbiamo confessare che queste nostre spe­ ranze non sono state confermate quando abbiamo avuto notizia del risultato ottenuto, nè la relazione dell’ onorevole Puccini potè mutare le nostre impres­ sioni. Al momento in cui scriviamo, la Camera ha approvato la Convenzione di Basilea, modificata dal­ l’atto addizionale di Parigi; e potrebbe apparire inu­ tile tornare sull’argomento. Nondimeno in cosa di tanta importanza può sempre essere opportuno mi­ surarne le conseguenze e accennarne i pericoli, ai quali si va incontro tanto più facilmente quanto più si chiudono gli occhi e non cerca prevenirli in j tempo. Ci riserbiamo di tornare sulla discussione avvenuta alla Camera, discussione la quale ha pre­ sentato una singolare importanza per la qua­ lità degli oratori che vi hanno preso parte, e ci limitiamo per ora a prendere in esame la relazione dell’onorevole Puccini. Il quale, stretto come si ca­ pisce dal tempo, ha dovuto procedere rapido e con­ ciso. Egli ha cercato di raccogliere gli argomenti ormai tanto discussi contro il riscatto e contro lo esercizio governativo, e ciò in modo disinvolto se si eccettui qualche frase che, noi lo confessiamo, avremmo amato meglio veder lasciata da parte.

Dopo poche parole all’indirizzo del Ministero Min- ghetti, che affrontò troppo leggermente lo spinoso problema del riscatto e dell’esercizio delle ferrovie — dopo aver detto che la Commissione aveva cre­ duto di tener conto delle proposte di quel Ministero su cui si era tanto discusso dopo aver detto infine che si riputava opportuno mantenere separato l’esa­ me della Convenzione di Basilea e dell’atto addizio­ nale di Parigi per non confondere i biasimi e le lodi e perchè il giudizio emesso sulla prima non turbasse gli apprezzamenti sulle modificazioni intro­ dottevi dal secondo, dopo queste osservazioni pre­ liminari l’onorevole relatore incomincia dall’esami- nare la Convenzione di Basilea dal lato internazio­ nale, e si domanda se la nostra dignità e la nostra buona fede ne anderebbero di mezzo ove quel ri­ scatto non venisse approvato. E qui mette in sodo che non è esatto che tale soluzione scaturisca dal trattato di pace del 1866 quasi una sua inevitabile conseguenza, ed osserva che col trattato del 29 feb­ braio decorso i plenipotenziari riconobbero il riscatto « non già come un evento, cui fossero da attri­ buirsi caratteri internazionali, ma unicamente come uno dei modi escogitabili, a seconda dei quali sarebbesi effettuata la separazione delle due reti appartenenti all’ identica Società. »

Aggiunge che alla maggioranza dei commissari non parve pienamente giustificata la necessità di un vero e proprio trattato, mentre poteva forse bastare una nota diplomatica. A ogni modo la forma non deve vincerla sulla sostanza nè si deve dare al semplice ricono­ scimento di un fatto l’aspetto di un vincolo obbli­ gatorio. Era del resto un contratto sottoposto a con­ dizione sospensiva, dovendo venire approvato dalla Assemblea generale della Società e dai poteri legi­ slativi. La Commissione poteva dunque senza preoc­ cupazioni di sorta per questo lato, indagare se non si chiedesse al paese un sacrifizio troppo grave.

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a base il prezzo di costo, anzi aggiunge che sarebbe cosa incredibile se non fosse vera; biasima che si sia accolta la cifra del capitale sociale, desumendola senza emende e senza contrasti dai conti sommini­ strati dalla Società. Ricorda come in conto capitale si siano messi dividendi e interessi delle obbliga­ zioni pei primi anni e le spese di riparazione, ac­ cenna ai pesi accessorii certi e a quelli che potreb­ bero dirsi ignoti e quindi tanto più temibili, e con­ clude che se i calcoli fatti dalla Commissione potranno oppugnarsi, non così facilmente verranno sconfessati dall’esperienza.

L’onor. relatore viene poi a parlare dell’ esercizio governativo e lo combatte con molta copia di argo­ menti, sebbene rapidamente esposti, ma non senza efficacia. Per tal modo la Commissione si chiariva assolutamente contraria alla Convenzione di Basilea.

Ma dopo tutto questo l’onorevole relatore, passando a parlare dell’atto addizionale di Parigi, ricorda che il Ministero Depretis si dichiarò bensì contrario alla Convenzione di Basilea, ma pronto al riscatto, se avesse potuto migliorarne le condizioni. Di qui le trattative e l’atto addizionale che la Commissione approva perchè toglie il pericolo dell esercizio go­ vernativo, perchè si ottengono 12 milioni di com­ penso, perchè sono apprezzabili le concessioni fatte sul modo di pagamento, sebbene tutto questo non basti a ristabilire l’eguaglianza fra le parti che sti­ pularono a Basilea. Osserva poi che ricomprata la concessione, manca la ragione delle penose liti pen­ denti fra il Governo e la Società. Dice infine che il Governo era impegnato dal contratto stipulato colla Società dell’ Alta Italia e che non era lecito metterlo in non cale o impedirne l’esecuzione.

« Noi fummo di opinione che la stessa cedevo­ lezza, per quanto minima, del venditore imponesse ali’ Italia compratrice il dovere di piegare e non di trarne argomento a nuove e maggiori pretese. »

Se l’onorevole relatore nell’esame della Conven­ zione di Basilea, ha proceduto rapido, qui si direbbe che il terreno gli scottasse sotto i piedi, tanto è vero che egli all'erma più di dimostrare.

Non mettiamo in dubbio nè l’ingegno, nè la lealtà dell’onorevole relatore, ma egli ha forse subito la pressione di circostanze politiche e parlamentari più forti della sua volontà.

Comunque sia noi non possiamo, in ossequio alla verità, passare sotto silenzio le contradizioni nelle quali a parer nostro è caduta la Commissione. Non abbiamo alcun biasimo da infliggerle per avere r i ­ presa in esame la Convenzione modificata dopo averla respinta; ma per conto nostro glielo diamo per averne proposta l’approvazione.

Come abbiamo veduto l’onorevole relatore nella prima parte del suo rapporto dimostra che nessuno obbligo internazionale costringeva l’Italia al riscatto.

E su questo punto non si contraddice nella seconda parte, anzi afferma che la maggioranza dei commis­ sari non seppe capacitarsi delle necessità che con­ sigliarono di legare un contratto contenente private convenzioni ad un solenne trattato diplomatico. Dun­ que la questione stava fra il Governo italiano e la Società dell’Alta Italia.

Ed allora dove sono queste ragioni politiche, a cui sembrava fosse necessità piegare? Dov’ è il sup­ posto pericolo di urtare le suscettibilità dell indu­ stria. Ma, dice il relatore, pel nostro paese era que­ stione d’onore. Noi siamo teneri quanto la Commis­ sione dell’onore del paese, ma in verità non sapremmo sottoscrivere alle argomentazioni di lei.

« La impersonalità del Governo imponeva con­ dizioni da cui una pubblica amministrazione non può decentemente e impunemente allontanarsi. »

Rispondiamo che quando un Ministero cade per avere stipulato una convenzione, gli uomini che lo hanno rovesciato e gli succedono al potere non hanno che l’obbligo di presentarla al Parlamento.

Ma noi concediamo di più. Il riscatto era que­ stione di finanza e non questione di principio, po­ teva dunque, a senso di alcuni, accettarsi, purché se ne mutassero le condizioni. E il Governo aveva non il dovere, ma il diritto di fare questo tentativo se tali erano le sue convinzioni. Ma sostenere che la stessa cedevolezza, per quanto minima, del ven­ ditore imponesse all’ Italia compratrice il dovere di piegare e non di trarne argomento a nuove e mag­ giori pretese, ci pare una teoria, diciamo la parola, enorme. Come? Un bel giorno a un ministero e ai suoi amici sorride l’ idea di fare una convenzione. Il Parlamento rovescia il Ministero perchè questa convenzione non gli va a sangue, e i principali au­ tori di questa vittoria salgono al potere. Ed essi saranno obbligati a riprendere le trattative e vio­ lerebbero l’onore del paese se pretendessero qual­ cosa di più di quel che all’altra parte piacesse di concedere. Paragonare per questo lato una conven­ zione fra privati già sottoscritta e poi modificata, a una convenzione stipulata fra un Governo ed una Società non sta nè punto ne poco; nel primo caso i due contraenti si sono obbligati in modo assoluto, nel secondo è un Ministero che stipula sotto condi­ zione dell’approvazione del Parlamento. Dunque questo argomento non è solido, e tutto stava m ciò se i miglioramenti erano tali da fare accettare la convenzione.

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un tribunale di arbitri. È sempre vero che in conto capitale si sono messi dividendi e interessi dei primi anni e spese di riparazione. È sempre vero che ci sono i milioni del Gottardo e del porto di Genova e le spese di costruzione di alcune linee da co­ struirsi. È sempre vero che non si sa quel che co­ sterà il completare o riattare le linee e il materiale mobile. Dodici milioni più o meno in un affare di tanta importanza non ne mutano la natura e non portano una diminuzione sensibile nell’aggravio an­ nuo che viene a pesare sul bilancio. Qualche mi­ glioramento può invero risentirsi dalle facilitazioni accordate pel modo di pagamento, ma anche qui il benefizio è tutto relativo. Le cambiali su Parigi a su Londra non sono carta fittizia e bisogna anche saper comprare, e ignoriamo se ciò avverrà tanto facilmente, mentre il Governo non è certo il mi­ glior banchiere di questo mondo. Quanto al po­ tere pagare in oro quello che doveva pagarsi in rendita, si può osservare che se per procurarsi quel- l’ oro il Governo emetterà della rendita, la farà ri­ bassare e perderà da una parte quello che credeva di acquistare dall’ altra. La Convenzione, dunque, nonostante l’atto addizionale, rimane una cattiva operazione finanziaria é per quanto importanti po­ tessero essere le ragioni politiche che ne persuades­ sero l’approvazione, queste non erano per noi tali da permettere che il paese venisse tanto aggravato nel momento stesso in cui aveva toccata la riva sospirata del pareggio, quando era giunto il tempo di mantenere la solenne promessa di riordinare i tributi e di scemare gli aggravi dei contribuenti. Non solo si accrescono i pesi dell’erario, ma si va con somma imprevidenza incontro ai pericoli del- l’ ignoto.

L’argomento principale su cui insiste l’ on. rela­ tore, si è che è scongiurato il pericolo dell’esercizio governativo. Noi non siamo a questo proposito tanto tranquilli, nè crediamo molto all’importanza dell’art. 4, che è piuttosto una dichiarazione di principii, che una solida garanzia per l’avvenire.

Il riscatto si capiva quando doveva riuscire al­ l’esercizio governativo; si sarebbe capito quando fatto a condizioni eque avesse servito a riordinare razionalmente le linee, ma per questo bisognava avere in pronto le società di esercizio. Ün esercizio temporaneo per parte dello Stato si sarebbe mutato in definitivo. Ma, si dice, il Governo non lo avrà nemmeno per un istante; tanto à vero che lo as­ sume la società e nel 1877 sarà definitivamente con­ cesso aH’industria privata.

Parliamoci franchi. Riscattate le linee, la Società è disinteressata ; essa ha consentito ad assumere temporaneamente l’esercizio; ma il centro de' suoi interessi è a Vienna, ed essa non ha interesse a un

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aumento di traffico chè anderebbe quasi complieta- mente a benefizio del Governo.

Tanto è ciò vero che il Governo si riserva il di­ ritto di nominare il Direttore generale, sentita, la Società. Dal Direttore generale dipenderanno gl’im­ piegati, egli provvederà agli acquisti e sarà respon­ sabile di fronte al Governo. L’Amministrazione pren­ derà necessariamente un carattere governativo.

Verrà il termine dei sei mesi ; verrà la fine del 1877 e il Governo cederà l’esercizio a una pri­ vata Società. Adagio un poco. In quale posizione si è posto il Governo ? Dichiarandosi inetto ad eserci­ tare le ferrovie e vincolandosi coll’Art. 4, ha co­ minciate) a screditare la propria merce. È vano cre­ dere a una concorrenza di Società serie; sarà molto se se ne formerà una. Ma questa profitterà natural­ mente, hè vi sarà ragione per fargliene un carico, della situazione del Governo, per imporgli delle con­ dizioni onerose. E allora il Governo le accetterà e nè proporrà l’approvazione al Parlamento ? E se lo facesse, il Parlamento darà il suo assenso? E s e non 10 desse, il Governo non si troverebbe costretto ad assumere l’ esercizio delle ferrovie, mantenendo il suo Direttore generale? Ora 1’ esercizio temporaneo per parte del Governo finirebbe col diventare per­ petuo. E si aggiunga che c’ è anche il pericolo che i partigiani dell’esercizio governativo tornino al potere. Ma anco senza questo, lo ripetiamo, il peri­ colo è evidente. L’on. Sella e i suoi amici debbono essere assai soddisfatti.

Ci duole di dover tenere questo linguaggio, ma stimiamo sacro dovere dire apertamente quella che a noi pare la verità. Avversi al riscatto non in teoria, ma perchè oneroso e perchè non conducente allo scopo vagheggiato del riordinamento delle no­ stre linee ; avversi recisamente all’esercizio governa­ tivo sotto qualunque forma, non possiamo che de­ plorare le conclusioni della Commissione e pur troppo 11 voto della Camera, non possiamo che deplorare che coloro i quali dividono le nostre opinioni abbiano troppo facilmente ceduto.

SITUAZIONE DEGLI ISTITUTI DI CREDITO

al 29 febbraio 1876

Dal Ministero di agricoltura e commercio abbiamo ricevuto soltanto in questi giorni il bollettino della situazione dei conti degli Istituti di credito alla fine del mese di febbraio del corrente anno. Più volte abbiamo accennato all’ importanza di questa pubbli­

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L’ E C O N O M IS T A 2 luglio 1876

oggi di osservare che una simile pubblicazione perde una buona parte della sua importanza quando con­ tinui a giungere tanto in ritardo come pur troppo si è verificato pei bollettini del 187b. Raccoman­ diamo perciò una maggiore sollecitudine nelle pub­ blicazioni dei successivi bollettini ; e frattanto rias­ sumeremo, secondo il consueto, le cifre dei princi­ pali titoli delle situazioni del mese di febbraio per ciascuna specie di Istituti ponendole altresì in con­ fronto con quelle corrispondenti alla fine del prece­ dente mese di gennaio.

Banche popolari. — Al 29 febbraio 1876 vi erano in Italia 109 Banche di credito popolare. Du­ rante il mese di febbraio si è sciolta la Banca

po-Capitale nominale . Capitale versato. . Numerario in cassa Portafoglio . . . Anticipazioni . . . Titoli dello Stato . Conti correnti attivi. Effetti in sofferenza. Conti cori-, passivi. Depositi a risparmio Riserva . . . . Boni in circolazione. Movimento generale. L. Febbraio 37,819,090 35,252,044 7,114,961 87,509,042 12,521,990 21,352,470 20,482,153 753,803 70,888,602 49,883,472 9,287,396 587,697 L. 209,302,584

Esaminando queste cifre si scorge una lieve di­ minuzione nel capitale nominale delle Banche po­ polari ed un aumento di 415 mila lire in quello effettivamente versato. Nelle operazioni di sconto la differenza in meno nel gennaio è così lieve che non merita alcuna seria considerazione; all’ incontro le anticipazioni segnano la notevole diminuzione di ol­ tre 5 milioni di lire.

Anche nei titoli dello Stato abbiamo un minore impiego di capitali di oltre un milione di lire. Nei conti correnti passivi la differenza in meno sarebbe indicata per quasi 16 milioni di lire, mentre nei depositi a risparmio si avrebbe un aumento di oltre 18 milioni di lire.

A proposito delle differenze che si riscontrano in queste due partite nel bollettino si osserva che i depositi a risparmio furono separati dai conti cor­ renti ad interesse e raccolti sotto una rubrica spe­ ciale soltanto nel gennaio 1876 e che nel primo mese questo stralcio dei conti correnti a interesse a favore dei depositi a risparmio non potò essere operato da tutte assolutamente le Banche, le quali si occupano dei depositi a risparmio.

La circolazione dei biglietti fiduciari era ridotta

a proporzioni minime alla fine del mese di febbraio e non rimanevano oramai a ritirarsi che lire 287 mila di buoni di cassa. Nel movimento generale delle Banche popolari si riscontra nel febbraio una differenza in meno di oltre 2 milioni di lire in con­ fronto al precedente mese di gennaio.

Società di credito ordinario. — Questi Istituti di credito erano 113 alla fine di febbraio 1876. In detto mese cessò di funzionare la Banca Italo- Svizzera, con sede in Genova e che aveva un ca­ pitale nominale di 4 milioni di lire. Ecco le cifre principali delle situazioni delle Società di (¡redito ordinario alla fine de’ due mesi in esame, cioè al 29 febbraio e al 31 gennaio 1876:

cifre princi- Febbraio Gennaio

alla fine dei Capitale nominale. L. 460,554,565 L. 469,754,565 le seguenti: Capitale versato . » 259.198,622 » 263,112,848 C a s s a ... » 19,085,757 » 39,331,019 Gennaio

Portafoglio . . . » 158,941,345 » 156,534,513 37,819,380 Anticipazioni . . » 24,428,279 » 19,945,427

35,139,195 Azioni senza

gua-7,304,022 rentigia. . . . > 122,105,132 » 123,896,962 87,628,075 Conti corr. attivi . » 114,092,249 » 122,085,691 17,787,646 Debitori senza

clas-22,833,505 sificazione. . . » 142,299,040 » 192,957,554 20,451,314 Effetti in sofferenza > 1,502,229 » 1,578,628 712,681 Conti corr. passivi. » 293,198,606 » 305,599,290 87,183,113 Depositi a risparmio » 7,918,942 » 4,201,451 31,869,634 Riserva . . . . * 32,149,204 » 32,282,172 9,152,762 Boni in circolaz. » 1,223,514 » 1,896,219 707,129 Movimento gener. > 992,157,913 » 1,051,980,447

Queste cifre presentano, nella maggior parte, una diminuzione nel febbraio in confronto del precedente mese di gennaio. Per ciò che riguarda il capitale la differenza in meno è dovuta principalmente alla cessazione della Società sopraindicata. Tuttavia me­ ritano di esser notati l’aumento di oltre 2 milioni e mezzo di lire che si riscontra nel portafoglio di questi istituti e quello di 4 milioni e mezzo circa nelle anticipazioni. I conti correnti passivi diminui­ rono invece per quasi dodici milioni di lire, men­ tre l’aumento nei depositi a risparmio si limita a poco più di 3 milioni e mezzo. A questo movimento si deve principalmente la diminuzione di oltre 20 milioni che si riscontrò nella Gassa di quest Istituti.

Credito agrario. — Alla fine di febbraio 1876 vi erano nei regno 14 Istituti legalmente abilitati ad eseguire operazioni di credito agrario secondo la legge 21 giugno 1869. Due però all’epoca suddetta non avevano incominciate le operazioni.

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2 luglio 1876 L’ E C O N O M IS T A 5 Febbraio Gennaio Capitale nominale . . L. 16,350,000 L. 16,350,000 Capitale versato . . » 9,514,685 » 9,499,940 C a s s a ... » 3,089,627 > 3,049,263 Portafoglio . . . . » 16,907,510 > 17,048,972 Anticipazioni. . . . > 1,447,067 » 1,439,658 Boni agrari . . . . » 4,718,870 > 4,687,210 Biglietti a vista. . . » 172,596 » 355,970 Conti correnti passivi. » 9,297,375 > 9,002,637 Movimento generale > 33,442,206 > 34,118,674 Come si scorge da queste cifre il credito agrario durante il mese di febbraio non ha fatto alcun passo meritevole di attenzione. Merita soltanto di essere osservato il ritiro di lire 185 mila di biglietti a vi­ sta effettuato durante il mese di febbraio, e così la circolazione fiduciaria di questi Istituti era ridotta alla fine del mese stesso a poco più di 170,000 lire.

Credito fondiario. — Le operazioni di credito fondiario sono fatte da otto Istituti, i quali funzio­ navano tutti regolarmente alla fine di febbraio 1875. Le seguenti cifre riassumono le situazioni di questi Istituti al chiudersi dei due mesi in esame.

Febbraio Gennaio

Prestiti ipotecari . . L. 134,884,713 L. 133,339,322 Cartelle fond. in ciré. » 134,836,500 » 133,680,500 » in deposito . » 5,657,542 » 5,400,242 Le operazioni fondiarie hanno raggiunto una ci­ fra piuttosto notevole ed ogni mese si riscontra un aumento che nel decorso febbraio ascese nei pre­ stiti ipotecari a l oltre un milione e mezzo di lire.

Banche d’emissione. — Le situazioni delle sei Banche d’Emissione alla fine dei mesi di febbraio e gennaio 1876 si riassumono nelle cifre seguenti:

Febbraio Gennaio

Cassa e riserva . L. 280,381,761 L. 288,304,353 Portafoglio . . . » 314,768,028 » 302,935,113 Anticipazioni . . » 82,761,142 » 87,284,495 Circolaz:one. . . » 1,545,569,539 » 1,562,213,963 Nel mese di febbraio il portafoglio delle Banche di emissione aumentò di quasi 12 milioni di lire, mentre le anticipazioni diminuirono di 4 milioni e mezzo. La cassa e riserva diminuì di circa 8 mi­ lioni di lire e la circolazione presenta pure una di­ minuzione di oltre 16 milioni e mezzo di lire.

Società di Economia politica di Parigi

Adunanza del 5 Giugno 1876

Presidenza del Sig. G. Garnier segretario perpetuo.

I l Centenario della Ricchezza delle N azioni ed il Club di Economia politica d i Londra. L ’inse­ gnamento dell'economìa politica.

La seduta principia colla presentazione di varii

opuscoli, fra i quali un rapporto alla Società di economia politica di Lione del S. Laney sopra i Katheder socialisten et M. Laveleye, ed un opuscolo del signor Cernuschi col titolo I I signor M. Chevalier e il bimetallismo, quindi vien letta una lettera del signor De W allenberg statista ed economista svedese che informa la Società dell’ adozione fatta dalla Svezia del sistema metrico francese. Detto signore narra la storia di tale questione nel suo paese, ove dovettero trascorrere 23 anni prima di giungere al risultato ottenuto. Si è in gennaio 1879 che si cominceranno ad usar le nuove misure nella con­ tabilità dello Stato; i cittadini potranno continuare j a servirsi delle antiche a tutto il 1889.

Il presidente fa notare la presenza alla riunione del signor Leone Say ministro delle finanze di ri­ torno da Londra, ove celebravasi dall’economia po- lica inglese la festa centenaria in onore del suo fondatore Adamo Smith.

Il signor L. Say comunica interessanti dettagli sulla festa alla quale prese parte e sul Club di economia politica di Londra al quale è affatto estranea la po­ litica. 11 Club di economia politica che alcuni giorni sono celebrava il centenario della pubblicazione della grande opera di A. Smith sulla ricchezza delle na­ zioni, è una società di 40 membri. Ogni volta che qualcuno di essi diventa ministro, ciò che non è molto raro, egli è considerato provvisoriamente come dimissionario, ed il club provvede al suo rimpiazzo il che non impedisce che, quando lasciano il potere, gli ex-ministri abbiano il diritto di ritornare a se­ dere fra i loro confratelli.

L’effettivo del club oltrepassa in tal modo il nu­ mero regolamentare di tante unità, quanti sono i ministri scelti fra i suoi membri dalla corona. Al cen­ tenario erano presenti tutti i membri del Club, e gli inviti inndirizzati a parecchi personaggi inglesi e stranieri, avevano elevato ad un centinaio il nu ­ mero dei convitati. Yi fu un gran pranzo e dopo il dessert, gli speeches e le discussioni cominciarono. Il sig. Say ha pronunziato un discorso già pubbli­ cato dai giornali, nel quale pur rendendo l’omaggio dovuto al genio di A. Sm ith, ha rivendicato agli economisti francesi e particolarmente al suo illustre avo G. B. Say la parte di gloria che loro spetta nella creazione e nello sviluppo della scienza. Uno dei membri del club il sig. Lowe rappresentante dell’Università di Londra dopo aver reso conto dei lavori di A. S m ith , formulò incidentalmente una critica assai viva del sistema dei trattati di com­ mercio come mezzo per stabilire la libertà degli scambi. Il sig. L. Say ne prese la difesa.

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6 L’ E C O N O M IS T A 2 luglio 1876

malgrado sii sforzi dei nostri economisti l’educazione economica del più gran numero si è fatta molto più per mezzo dei fatti, che per mezzo dei prin­ cipi. Non è raro di incontrare persone che esprimono conclusioni appoggiandole vere sopra ragionamenti assolutamente falsi. Generalmente per esempio, si ragiona dal punto di vista del produttore ed il punto di vista del consumatore, è assolutamente negletto. Non solo nel presente noi abbiamo dunque a tener conto di questa disposizione degli spiriti, ma dob­ biamo anche preoccuparci sino ad un certo punto dell’avvenire di alcune idee economiche....

Le classi operaie o almeno gli uomini che pare abbiano influenza su di loro non sono generalmente favorevoli alla libertà del lavoro come l’intendono gli economisti. Essi possono essere conseguentemente indotti a far rivivere con più o meno estensione le idee del sistema protettore, perchè tra la libertà del lavoro e quella del commercio esistono dei le­ gami di solidarietà che niuno può disconoscere. I punti di vista di fatto non devono dunque essere trascurati, e possono dominare in una data misura i punti di vista teorici, quando ci si domandi se bisogni in materia di libero scambio procedere o no per via di trattati. »

Il club di economia politica di Londra è assai più antico della società parigina; esso fu fondato nel 1819. 11 sig. Norman, uno dei suoi fondatori, vive ancora ed è vegetissimo, ed assisteva al ban­ chetto.

Nell’ultima riunione il Garnier, aveva interrogato i signori Wilson e Menier deputati membri della commissione del bilancio, sulle disposizioni della Camera stessa, riguardo ad un credito da aprirsi al ministro dell’istruzione pubblica per la creazione di cattedre di economia politica. Il sig. Garnier ritorna alla carica. Conviene precisare, egli dice, in qual modo il ministro potrà far penetrare l’economia politica nell’Università. Il sig. Wilson rinnova le assicura­ zioni già date da lui e dal suo collèga, delle di­ sposizioni favorevoli della commissione. Non è la buona volontà che manchi, non è questione fi­ nanziaria, il ministro lo può confermare, essendo il credito modestissimo. La sola difficoltà consiste nello stabilire come s’istituirà l’insegnamento eco­ nomico. Su questo punto il sig. Wilson desidera conoscere l’opinione dei membri della Società per trasmetterla ai suoi colleghi !

S’impegna la discussione sull’insegnamento dell’e­ conomia politica. Tutti lo vogliono, chiaro, abbon­ dante, serio; ciascuno ne fa lo scopo di un progresso desiderabile, quello di formare amministratori ca­ paci, legislatori che sappiano ciò che vogliono e per­ chè; uomini di stato veramente utili al paese.

Le discrepanze riguardano la specie d’insegnamento del quale dovrà far parte volendo alcuni che l’Eco­

nomia debba essere insegnata nelle scuole di diritto, altri osservando che per essere professori bisogna essere dottori e aggregati, affermano che questi in­ dividui non sanno ne si curano d’imparare ed in­ segnare l’ economia politica, nè di vedere aggiunta una cattedra di più alle già esistenti.

Il Sig. F. Passy soggiunge, che se il ministro non può nominare un professore sprovveduto di diplomi regolamentari, può però incaricare di un insegna­ mento, chi gli pare. Nulla gli impedisce di affidare le cattedre di economia politica ad economisti che non siano nè dottori nè aggregati se fra questi ultimi non trovi un sufficiente numero di economisti. È ciò che è stato fatto a Bordeaux ove il sig. Lescarret che non è nè aggregato nè dottore in legge professa con successo l’ economia politica come incaricato di questo corso presso la facoltà di legge.

Obiettano alcuni oratori che questo non basta. L’ economia politica non farà realmente e seriamente parte dell’insegnamento, fino quando essa non figu­ rerà nel programma degli esami. Ora se un profes­ sore incaricato di fare il corso, può insegnare, manca del titolo per interrogare e gli aventi questo titolo cioè gli aggregati, non hanno la competenza. Uscite di questo circolo vizioso se potete.

E perchè dunque domandano i sigg. M. Chevalier, Clamageran ed altri, perchè il professore non inter­ rogherebbe sulla sua specialità senza entrare nelle attribuzioni dei suoi colleghi? simil cosa si pratica nella facoltà di lettere e scienze, nelle accademie, alla scuola politecnica senza difficoltà alcuna. Ma quest’ ar­ gomento lascia sussistere dubbi ed esitazioni in alcuni.

Il Sia;. Lavollée fa osservare che la creazione di nuove cattedre non ha nulla d’ insolito, e che perciò non è necessaria una legge speciale. La commissione del bilancio avendo proposto e le Camere avendo votato il credito necessario, senza violare alcun ar- golamento, senza derogare ad alcun uso, senza intac­ care qualsiasi prerogativa, — ciò che il sig. Lavollée non consiglierebbe perchè è sempre ai suoi occhi cosa cattiva — il ministro potrebbe istituire nelle scuole di diritto dei corsi che sarebbero, se così si vuole, aggiunti; egli deciderebbe che in un tempo dato — due o tre anni — un concorso venisse aperto per una cattedra normale di economia politica, dovendo d’altronde i candidati riunire le condizioni ordinarie. La prospettiva della cattedra da coprirsi diventerebbe allora uno stimolo che condurrebbe ai corsi degli uditori assidui ed in due o tre anni, il personale insegnante sarebbe completo. Questa com­ binazione pare al sig. Lavollée tanto più pratica che egli non crede necessario di creare dappertutto l’ in­ segnamento economico al tempo stesso.

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2 luglio 1876 L’ E C O N O M IS T A 7

questo grado, duo corsi della facoltà di lettere. Questo regolamento, od uso non è generalmente seguito ma si potrebbe renderlo obbligatorio almeno per un corso, specificando che questo dovesse essere un corso di economia politica. Vero è che il corso di cui si tratta non esiste nella facoltà di lettere ; ma qui non vi sono gli stessi ostacoli alla sua crea­ zione come nella facoltà di legge, ed il personale insegnante si recluterebbe facilmente fra i professori dell’università, specialmente fra i professori di filo­ sofia, dei quali molti hanno fatto studii di economia

politica, ed entrerebbero volentieri nella nuova car­ riera che loro verrebbe aperta.

Y’ha di meglio, osserva il sig. M oulard. Il Ministro dell’istruzione pubblica può conferire il titolo di dottore a chi gli pare, dispensando il candidato da ogni prova preventiva tranne la tesi. Egli può inoltre creare nelle facoltà delle cattedre nuove, e la scelta dei titolari dipende ancora in questo caso dalla sua libera iniziativa. Si fabbricano pertanto quasi a pia­ cere, delle difficoltà immaginarie, quando per rag­ giungere lo scopo, basterebbe di volerlo fermamente. Il sig. Chamageran considera come assai impor­ t a ^ — e non è il solo di questo parere — che l’insegnamento economico sia introdotto nella Facoltà di legge, nella quale si forma la maggior parte degli uomini che debbono prender parte un giorno alla direzione degli affari pubblici, ed egli vuole che questo insegnamento abbia per sanzione delle prove serie. Egli stima pure che questo scopo, sarà rag­ giunto assai legalmente e senza difficoltà dal punto che il ministro dell’istruzione, pubblica metterà al servizio di questa causa, intenzioni che non siano platoniche.

Il sig. Hervieux tratta la questione metodicamente, dividendola in 3 punti: l.° Occorre del danaro, che è il nerbo dell’insegnamento come della guerra: in ciò tutti sono d’ accordo e le buone disposizioni dei rappresentanti della nazione, levano ogni ostacolo. 2.° Quale sarà la Facoltà incaricata dell’insegna­ mento economico? Non può essere, a detta del signor Hervieux nè quella di letteratura nè quella di scienze. Rimane quella di legge. Egli non intende si tocchi ai regolamenti ed agli usi tradizionali che reggono queste facoltà introducendovi professori che non siano nè dottori nè aggregati. Ma che? È egli poi tanto difficile per un giureconsulto il diventare economista! Che cosa è l’economia politica? Uno smembramento della scienza giuridica: questa è la base, il punto di partenza di quella. Il diritto è una scienza primordiale, è il principio della sapienza, non spetta che a quelli che vi sono iniziati e che l’ in­ segnano di insegnare l’ economia politica perohè la posseggono — in potenza:— es«i sono economisti; solo- alcuni sono economisti senza saperlo. 5,° Come

svilupperassi la scienza economica nello spiritc della gioventù? Ecco ciò che ci condurrà lontano !

Il Presidente fa osservare al sig. Hervieux che questo 3° punto potrà essere trattato un’ altra volta. Tuttavia il sig. W ilson che aveva modestamente domandato per se e colleghi della commissione, di essere illuminato dagli economisti, osserva che quanto si disse non gli fornisce indicazioni sulla procedura legislativa, vero nodo del problema.. Fortunatamente il sig. Ministro delle finanze riporta la questione sul suo vero terreno. Il sig. S a y non si pronuncia sulla questione del luogo d’ insegnamento e della scelta dei professori, questo riguardando il ministro d’ istru­ zione pubblica, le cui disposizioni garantisce eccellenti. Egli fa solo osservare in proposito che pare ci si preoccupi esclusivamente di introdurre l’insegnamento deH’Economia politica nelle Facoltà e che si trascuri troppo di farlo penetrare nei licei e nelle semplici scuole secondarie ove sarebbe tuttavia molto util­ mente e bene collocato. Quanto alla questione legale il sig. Say dichiara che come ministro di finanze» si opporrà, a che sotto pretesto del bilancio siano introdotte delle misure riguardanti l’ istruzione pub­ blica o qualsiasi altra materia, nella legge di finanze, Questo modo di procedere gli pare contrario a tutte le regole di una buona amministrazione. Se si giu­ dica che l’intervento del potere legislativo sia neces­ sario per autorizzare la creazione delle cattedre di economia politica, è con una legge distinta, che questo intervento deve effettuarsi.

Il sig. Wilson approva il modo di vedere del sig. Say. La commissione del bilancio non ha che ad intendersi col ministro dell’ istruzione pubblica per iscrivere in bilancio la somma che sarà riputata necessaria. Non trattandosi che di 30,000 lire, non ne sarà certo compromesso T equilibrio delle finanze.

Questo resoconto sarebbe incompleto, se non si accennasse ad una opinione espressa durante la di­ scussione dal sig. Cernuschi. Egli accusò in passato l’economia politica di aver generato il socialismo, (il quale precedette di qualche secolo l’ economia politica) quindi il monometallismo. Ora egli scopre un terzo errore, l’idea d’ introdurre nell’ insegna- dei diritto, quello dell’economia politica, un piccol corpo dentro uno grande. Ravvisandosi in seguito acconsente dopo tutto che si annetta il primo al secondo per questa ragione; perchè sono antagonisti ed irreconciliabili epperciò una volta accoppiati, im­ pegneranno una lotta a morte uno contro l’altro, e nella lotta il diritto divorerà l’ economia politica. Il diritto è la verità, la ragione suprema, l’ economia politica l’opposto; essa soccomberà perciò infallibil­ mente.

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ricono-8 L’ E C O N O M IS T A 2 luglio 1876

scendo la supremazia del diritto, accorda all’ economia politica di assidersi presso di lui, il sig. Chevalier non scorge incompatibilità di sorta fra il diritto e l’ economia politica, nel modo stesso che non ne esiste alcuna fra la fisica e la chimica, fra l ’ algebra e la geometria.

Il sig. Notelle non nega assolutamente l’ antago­ nismo denunziato dal sig. Cernuschi ma crede che se la lotta dovesse impegnarsi fra il diritto e l’ econo­ mia politica , non è il diritto che ne uscirebbe vincitore. Che cosa é infatti il diritto romano ? Esso è l’ opera di una società in decadenza. L’ eco­ nomia politica all’ opposto è il nuovo diritto che si svolge da se dallo sviluppo delle forze sociali.

Havvi un fondo di verità in ciò che dice il signor Notelle e pare insostenibile l’ opinione de! signor Cernuschi. Che il diritto, cioè la legislazione, sia in più di un punto in disaccordo coll’economia politica, è incontestabile. Che su questi punti la ragione e la logica siano dal lato dell’ economia politica è egual­ mente certo, e ne è semplice la spiegazione. Se il diritto e l’ economia politica, fossero due scienze nel senso proprio della parola, sarebbe assurdo il dire che fra l’una e l’ altra vi possa essere lotta o con­ traddizione, perchè una scienza essendo la ricerca di un dato ordine di verità, ed una verità non po­ tendo essere opposta ad un altra, non vi può essere fra le scienze, qualunque esse siano, che distinzione, separazione se vuoisi, mai antagonismo. Ma quando si designa il diritto, la giurisprudenza sotto il nome di scienza evidentemente non si impiega questa parola nel suo vero significato, la giurisprudenza non è altro che la conoscenza ragionata delle leggi umane le quali possono essere buone o cattive, giuste od in­ giuste liberali o tiranniche secondo i tempi ed i luoghi. L’ economia politica all’ opposto è una scienza pro­ priamente detta, è la ricerca di un assieme determi­ nato di fenomeni sociali e di leggi naturali che li regolano. Si può dunque dire che essa è, o piuttosto dovrebbe essere, riguardo alle leggi civili ciò che la fisiologia e l’igiene, sono rispetto alla salute pubblica. Non è la scienza economica che deve ricevere lezioni dalla giurisprudenza, ma è dovere del legislatore di seguire gli insegnamenti, e di osservare i precetti della scienza economica.

RIVISTA BIBLIOGRAFICA

Ba e r. — I socialisti della Cattedra in Germania. — Nuova Antologia, maggio, 1876.

È un notevole articolo, in cui il chiarissimo au­ tore trae occasione dalla nota pubblicazione del professor Cusumano per dimostrare che fra la scuola

dei socialisti della cattedra e la scuola che ebbe Smith a suo fondatore, non è possibile alcun accordo e che coloro i quali come il Cossa, il Lampertico, il Luzzatti perseguono un tale scopo fanno non solo opera vana, ma altamente dannosa.

Riassumiamo brevemente le considerazioni dell’A., a cui ci associamo pienamente, tranne qualche ec­ cezione, che non mancheremo di indicare.

Secondo la scuola smithiana esistono delle leggi naturali che l’ Economia ha scoperte e la Scienza moderna confermate; leggi che non possono mu­ tarsi, ma che soltanto ci si può studiare di rivol­ gere a vantaggio comune. La questione sociale, se non sparirà mai dal mondo, potrà divenire meno dura e micidiale, a patto di non rinnegare quelle leggi, ma cercando anzi diuniformarvisi e di allontanare gli ostacoli che si oppongono alla loro libera azione. In secondo luogo il miglioramento sociale non può derivare che da quello degli indivdui, appunto per­ chè conviene che ciascuno operi senza impedimento nel campo che naturalmente gli spetta.

Il Socialismo della Cattedra in fin dei conti nega le leggi naturali nel mondo economico e riduce tutto alla storia, ma non lo dice apertamente. Ora si ri­ para dietro la relatività, senza pensare che le forze fisiche e morali operano con energia diversa nelle diverse fasi della Società e che questo svolgimento storico invece di provare la non esistenza di quelle leggi, serve anzi a confermarle. E la storia appunto ci insegna che il progresso ci conduce all’espansione della libertà.

Altri va dicendo che le leggi naturali scoperte dall’economia sono incomplete, perchè si è trascu­ rato l’ elemento etico, a cui bisogna subordinare quello economico. A questo proposito convien do­ mandarsi che cosa si intende per elemento etico? Invero l’ interesse personale secondo la scuola di Smith non è l’egoismo; è l’interesse permanente, illuminato dalla ragione e frenato dalla responsabi­ lità; e poche scienze sociali hanno quanto l’Econo­ mia tenute in conto le leggi dell’ordine morale e ne han favorito l’osservanza, consigliando il risparmio, la previdenza, la continenza, diffondendo le idee di amicizia e di solidarietà fra i popoli.

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2 luglio 1876

In fin dei conti fra il socialismo puro e quello della Cattedra c’ è la sola differenza che il primo è più logico del secondo, il quale poi in sostanza accoglie più o meno apertamente le dottrine di Marx e di Lassalle e non si accorge del pericolo che que­ sto intervento continuo dello Stato può portare con sè e dimentica che l’interesse generale non può ri­ sultare che dalla somma degli interessi individuali.

Il concetto dello Stato che i socialisti cattedratici si formano è molto diverso da quello che ne ab­ biamo noi. Le condizioni politiche della Germania ci spiegano questo fenomeno. L ’ impero sostituito agli avanzi feudali è un progresso per quel paese, ma sarebbe follia una imitazione in questo senso dove quella evoluzione storica è stata compiuta. Si noti infine che non abbiamo a fare con uno Stato ideale, ma con un Governo composto di uomini coi loro difetti e le loro passioni.

Qui 1’ A. accenna alle funzioni dello Stato secondo la scuola liberale ed ammette il suo intervento nei casi in cui niuno fra i seguaci di questa scuola lo nega. Trova questo intervento giustificato in mate­ ria forestale, di miniere e di tutela dei fanciulli, e su questo punto non dividiamo l’opinione del chiaris­ simo autore.

Egli ha bensì ragione di dire che pur convenendo in ciò col Cossa, col Lampertico e col Luzzatti, c’è fra lui ed essi una differenza essenziale, il principio da cui partono. Altro è muovere dal concetto che le leggi naturali devono essere rispettate e solo pos­ sono in certi casi venire limitate nell’applicazione per ragione di un altro ordine, altro è accettare anche in parte le idee dei socialisti della Cattedra intorno allo Stato e correre il rischio di legittimare qualunque intervento. E termina esortando quei chiari scrittori a rompere addirittura ogni legame col socialismo della Cattedra. Il che ci augureremmo di cuore, ma non osiamo sperare, particolarmente pel Lampertico, che ci sembra legato ad essa più strettamente dei suoi colleghi.

L a nuova scuola economica tedesca detta socialismo della Cottedra e la sua introduzione in Italia del Prof. Antonio Cicoone. Napoli 1876.

Anche il chiarissimo prof. Ciccone ha trattato in modo più esteso lo stesso argomento del Baer in questo libro che è recentemente venuto alla luce.

Egli incomincia dal notare che da un mezzo se­ colo in qua vi è stato un grande aumento di ric­ chezza. Il salario è aumentato, ma essendosi anche in generale elevati i perzzi particolarmente dei. pro­ dotti di prima necessità, la condizione del lavoro volgare, che gl’inglesi chiamano unstrilled è rimasta immutata. Il che è naturale dal momento che un

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salario oltre il bisogno tende ad aumentare la po­ polazione lavoratrice e quindi l’offerta delle braccia per modo che questo accrescimento fa poi di nuovo ribassare il salario. Al contrario le condizioni del lavoro abile (strilled) vanno migliorando col crescere della civiltà.

Però l’accumulazione dei capitali rende vieppiù sensibile la distanza fra il capitalista e 1’ operaio e suscita sotto nuova forma una questione sociale; sotto nuova forma, perchè in verità anco nei secoli scorsi e in tutte le Società essa si è manifestata in cento guise diverse. La libertà politica più o meno avanzata e l’agglomerazione degli operai nei grandi centri ne ha agevolata a’di nostri la manifestazione.

Il chiarissimo autore con solida dottrina espone le idee dei socialisti intorno all’ argomento e con molta ‘perspicacia accenna le ragioni per le quali il socialismo francese è sedizioso, e quello germa­ nico governativo, in generale almeno, perchè il so­ cialismo di Marx non è tale. Yi è di questa dif­ ferenza una ragione politica che consiste nel lusso dis­ sipatore della Corte e nella sconsolata miseria della plebe nei tempi passati da una parte, e nella vita modesta delle case sovrane e nella relativa agiatezza dei volghi dall’altra. Si aggiunga che la scienza economica in Francia fino da Vauban e Boisquil- lebert sorse come una censura, mentre in Germania costituiva una sezione della scienza camerale.

È per questo che mentre nell’Europa occidentale la scienza nostra procede sciolta dall’arnministrazione e tende a emancipare. 1’ economia dallo Stalo, in Germania rimane ancora più o meno legata all’am- ministrazione e invoca più che non convenga l’au­ torità dello Stato nella economia della Nazione.

Nota l’autore come il Sismondi possa riguardarsi come il più illustre fra i predecessori dei Socialisti della cattedra, ma per i principii soltanto da cui non osò trarre le logiche conseguenze; come pure possono figurare fra quelli due socialisti ascetici, il Yilleneuvc-Bargemont e il Périn. Noi non segui­ remo il chiarissimo autore nella esposizione delle ’'arie fasi per cui il socialiasmo è passato, non senza osservare che questa parte offre sommo in te ­ resse.

Bene a ragione osserva che all’Economia intesa alla maniera di Smith e accolta dai maggiori eco­ nomisti tedeschi, come Rau, Solg, ‘Soden, Thunen, Herman, le prime offese vennero da Müller e da List.

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io

L’ E C O N O M IS T A 2 luglio 1876

stenne la bontà del sistema protettore nel periodo intermedio fra le origini e lo sviluppo massimo.

Sorse poi la scuola storica basata sul principio della relatività, espresso dall’Arnold in quelle ormai note parole: « Nella nostra scienza tutto è relativo e solamente il relativo è l’assoluto. » Ne furono so­ stenitori Roscher, Knies, Hildebrand, Kantz, Schon ed altri. Nondimeno la scuola storica non attacca la dottrina di Smith ne’ suoi principii fondamentali.

Osserva l’autore come gli attacchi più vivi con­ tro questa partissero dai socialisti, e particolarmente dal Lassalle e da Marx, la cui teorica del valore cosi ingegnosa ed assurda esamina e confuta, a pater nostro, felicemente. I socialisti della cattedra non hanno accettato tntti i principii di Marx e di Lassalle, i cui seguaci formano piuttosto dei partiti sociali e politici che delle scuole economiche. Non­ dimeno accettano in gran parte principii sìmili, e mentre non rinnegano il libero scambio, si pro­ pongono di sciogliere la questione sociale per mezzo di un largo intervento dello Stato negli affari eco­ nomici. Sebbene questa parola sia ancora in for­ mazione, pure i molteplici scritti comparsi alla luce in questi ubimi anni permettono di giudicarla.

A questo punto l’autore distingue nello stato le funzioni essenziali e le funzioni accessorie, e trova riguardo a queste che gli economisti, soprattutto francesi, le restringono troppo, mentre la nuova scuola tedesca le esagera. Cita l’ on. Luzzatti, il quale scriveva che la nuova scuola non considera mai lo Stato al pari dei fautori del diritto naturale e della scuola degli economisti Smithiani come un male necessario che si debba restringere il più pos­ sibile, osservando giustamente che certe espressioni come quella del male necessario, non vanno prese in modo assoluto. Lo Stato opera colla forza e le leggi sono una indispensabile costrizione dei nostri istinti e delle nostre passioni, e in questo senso sono un male, ma un male necessario per conse­ guire la giustizia e l’ordine.

Siccome poi a senso della nuova scuola Smithiano vuol dire un economista che crede il governo un male necessario e non vuole attribuirgli altro officio all’ infuori di quello della sicurezza ininterna ed esterna delle persone e delle cose, cita opportuna­ mente un noto .passo di Smith, che riconosce nello Stato il dovere di fondare e mantenere certe opere pubbliche e certe pubbliche istituzioni ; principio espressamente accolto da G. B. Say.

Dopo aver difesa l’economia dall’accusa d'immo­ ralità, dopo aver notato che nessuno sostiene che si abbiano a trattare le questioni economiche senza tenere alcun conto dei principii della morale, dice che si possono trattare le questioni economiche coi principii economici d’accordo coi principii della mo­ rale, ovvero trattare le questioni economiche coi prin­

cipii economici nella scienza pura e riannodarli ai principii della morale nella pratica applicazione. —■ E dimostra che il primo modo riesce a fondare l’economia esclusivamente sopra i principii di mo­ rale, facendone un capitolo di un trattato di mo­ rale. Partendo da questo concetto il comuniSmo e il socialismo sarebbero giustificati. L’economia e la morale sono scienze distinte, che spesso si incon­ trano e servono di riprova l’una all’altra, ma sarebbe fatale il confonderle. Sarebbe funesto se l’economia in luogo di indagare quelle leggi naturali che essa non crea, si lasciasse trascinare da considerazioni di un altro ordine, che potrebbero farla fuorviare e questa verità, ammessa anche dal Cossa, e dal Lampertico, il chiarissimo autore ampiamente illustra e conforta con esempi opportuni, ricordando come Gneist esprimesse una opinione simile nel 1° Con­ gresso di Eisenach.

Dal diverso concetto che si ha dello Stato e delle relazioni fra la morale e la economia deriva la di­ versa idea dell’intervento del governo negli affari economici. Quando si parla d’ingerenza governativa bisogna escludere i due estremi della impotenza e della onnipotenza del governo negli affari economici. Alcuni economisti esagerarono nel primo senso, ma a loro scusa bisogna ricordare le condizioni nelle quali scrissero. Venendo ora a cercare le differenze che passano fra quelle che egli chiama le pretese due scuole economiche in Italia dice che è questione di quantità, del più o del meno, perchè tutti ac­ cettano l’ingerenza governativa dentro confini più o meno ristretti.

A provare la sua tesi cita Scialoia, il quale non ha apertamente contradette le sue vecchie opinioni liberiste, il Lampertico, il Cossa, il Luzzatti, che, a senso dell’autore, pare che chiegga troppo nei ge­ nerali, ma è discreto quando scende ai particolari. E dopo questo egli dice : « Ove è dunque la diffe­ renza fra le due scuole? Perchè combattono come avversari quelli che potrebbero abbracciarsi come amici? È, a mio avviso, perchè non si intendono e si frantendono: essi credono di essere in campi di­ versi, e non si avveggono che sono in punti diversi del medesimo campo: essi si attribuiscono scambie­ volmente a tutti le opinioni estreme di alcuni e le combattono vivamente e ne riportano facilmente vit­ toria , e non si avveggono che sono avanguardia e retroguardia del medesimo esercito e che in mezzo a loro sta tutto il nerbo e il corpo dell’esercito: essi si credono separati da un abisso, e non si av- veggouo che sono congiunti insieme da una catena di pochi anelli; essi credono la ingerenza come una questione di affermazione e di negazioue, e l’intervento dello Stato, come giustamente osserva Max Hirsch, è una questione di metodo e di misura. »

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2 Indio 1876 L’ E C O N O M I S T A l i

come quelle in cui si compendiano le opinioni di uno scrittore così autorevole intorno alla presente disputa economica nel nostro paese. Ci riserbiamo di tornarvi sopra più tardi.

Intanto, prosegue l’A., bisogna cercare questa mi­ sura, proseguendo il lavoro incominciato dal Mill, che spesso rasenta ed anche sconfina nel socialismo. Vi sono nel Governo delle funzioni assolute; ve ne sono altre relative, che si possono trascurare o di cui si può affidare ad altri l’ esercizio senza m eno­ mare la sovranità dello Stato, e sono i provvedi­ menti di salute pubblica, i monopolii fiscali ed i servizi pubblici. I primi sono molteplici e svariati; i secondi sono forme d’ imposta da non confondersi colla ingerenza ; gli ultimi sono l’anello di congiun­ zione fra le funzioni facoltative e l’ingerenza. L ’in­ gerenza del Governo nei negozi privati piglia poi varie forme, impedimenti e divieti, prescrizioni e comandi, opere e intraprese, eccitamenti e favori, facilitazioni e invili, informazioni e consigli. Con­ clude che la ingerenza governativa è un atto facol­ tativo del Governo che risguarda gli interessi pri­ vati e riesce utile o nocivo secondochè è o no giu­ stificato dalla necessità o dalla pubblica utilità. E così ogni discussione generica deve cessare e restare solo intatte le questioni speciali, su cui potrà es­ servi discussione fra coloro che appartengono alla medesima scuola.

Il chiarissimo A. termina coll’ enumerare i prin­ cipali articoli del credo della scuola dei socialisti cattedratici di fronte a quelli dell’antica scuola, notando che l’ accordo è impossibile. E dice: « Se a questa stregua si vuol misurare il terreno dalla nuova scuola economica tedesca guadagnato in Italia, si troverà infinitamente ristretto: a quei 10 articoli, tranne forse il solo Cusumano, niuno degli econo­ misti italiani avrà il coraggio di sottoscrivere. »

Noi abbiamo così riferito brevemente i principali con­ cetti che il chiarissimo prof. Ciccone svolge nel suo libro, che per i molti pregi e per l’argomento di cui tratta, raccomandiamo all’ attenzione degli studiosi. Non è facile trovare in appena 200 pagine tanta acconcia erudizione, tanta dottrina, tanta temperanza.

Ci si permetta bensì di esprimere alcuni dubbi e di notare alcuni punti, nei quali, non sapremmo convenire coll’ egregio professore. Egli intende pro­ varne che due scuole in Italia non esistono, ma vi riesce completamente? Ed egli stesso qualche volta non rasenta la china ?

In verità ci pare che il Lampertico sia andato un poco troppo in là, e questo dubbio venne pure, sebbene velatamente, espresso dal Cossa, il quale si domandava se per avventura egli non avesse con­ cesso un po’ troppo ai riformisti. I 1 Cossa è invero il più temperato e per noi il più chiaro ed il più acuto della scuola di Milano, sebbene egli pure

qualche volta sembri allontanarsi dalle opinioni che noi professiamo e alle quali ci par soverchio il bia­ simo inflitto dall’ onorevole Luzzatti. Ma lasciamo andar tutto questo. È, ci dice il chiarissimo A., questione di m isura. E sia, ma quando professan­ dosi devoti alla libertà, si chiede a ogni momento l’ingerenza del Governo, per integrare T individua­ lità del cittadino, non si giunge per altra via al medesimo scopo? Parlate di miniere e sono per la concessione governativa; parlate di questioni fra ca­ pitale e lavoro, e taluno fra loro, se la- memoria non c’ inganna, non respingerebbe nemmeno la fis­ sazione della giornata normale del lavoro per gli adulti.

E poi vero che quando il Governo non s’intro­ mette nei negozi dei privati, non c’è ingerenza ? Noi non contrastiamo l’ opportunità dei provvedimenti di sicurezza pubblica. Ma quanto ai monopoli fiscali non ci pare che si possano discutere col solo c ri­ terio della finanza, meno il caso che si tratti della salute della repubblica, perchè il chiudere una via all’attività dei privati ci sembra un menomare il loro diritto, il che non deve farsi che per ragioni di suprema necessità. Riguardo poi ai servizi pub­ blici, il chiarissimo A. trova che anche le ferrovie lo sono, e possono quindi essere esercitate dallo Stato.

Ma, a parte ogni discussione teorica, quando lo Stalo interviene a ogni momento con atti che il pro­ fessor Ciccone chiama di Governo, non viene in realtà a porre spesso impedimenti, a dispensare fa­ vori e, nel caso delle ferrovie, a conseguenze anche più gravi? Per noi, lo ripetiamo, la questione di­ venta di parole.

Non diciamo in modo assoluto che gli scrittori italiani più volte citati siano veri e propri sociali­ sti della cattedra, nè sarebbe conveniente, poiché essi ricusano quel titolo. Ma non è sconveniente ricordare che il Lampertico respinge il nome come non adatto alla scuola di cui bensì tesse le lodi, e del resto è chiaro che quando si aocettano i prin- cipii, la logica vi porta poi alle conseguenze. Onde trovammo che il Baer aveva ragione di invitare quegli scrittori a rompere ogni legame col sociali­ smo cattedratico. E noi aggiungeremo che questo non basta ; che bisogna non venire all’atto pratico a chiedere ad ogni momento lo intervento del Go­ verno.

(12)

12 L’ E C O N O M I S T A 2 M i o 1876

Le ferrovie e la difesa dello Stato

("Vedi n . \ \ \ )

IV

Che per i trasporti militari, nel caso di

una mobilitazione completa dell’esercito, oc­

corra un secondo valico ferroviario dell’Ap-

pennino Toscano è cosa indubbia e che facil­

mente può dimostrarsi. Già ebbi a notare che

attualmente la Porrettana dovrebbe servire

a gettare nella valle del Po le guarnigioni

tutte della Toscana, dell’Umbria, della pro­

vincia di Roma e delle provincie napoletane

del versante meridionale dell’Appennino. A

rendersi conto dell’impossibilità in cui tro­

vasi questa linea di sodisfare prontamente a

tali esigenze conviene esaminare e calcolare

approssimativamente la forza delle suindicate

guarnigioni.

A tal uopo basta riassumere i dati che si

desumono dalle tabelle indicanti le stanze

dei corpi sul piede normale di pace. Vi tro­

veremo :

In Toscana sette reggimenti di fanteria e

bersaglieri; un reggimento di artiglieria da

campagna con dieci batterie, un reggimento

di cavalleria.

Nell’Umbria: due reggimenti di fanteria,

uno di cavalleria, uno di artiglieria da cam­

pagna.

Nella provincia di Roma: sette reggimenti

di fanteria e uno di cavalleria.

Nelle provincie napoletane poste sul ver­

sante del Mediterraneo; tredici reggimenti

di fanteria e bersaglieri, tre reggimenti di

cavalleria e due di artiglieria da campagna.

Totale approssimativo delle truppe da tra­

sportare: 87 battaglioni, 36 squadroni e 40

batterie da campagna.

Quanto tempo occorrerà per effettuare un

tale trasporto?

Risponde a questa domanda un distinto

ufficiale dell’esercito nostro, il maggiore

Carlo Aymonino, il quale in un opuscolo

pubblicato nel 1873 sulle ferrovie italiane

esaminate e studiate attentamente le condi­

zioni possibili del trasporto sulla ferrovia

Porrettana viene a stabilire prima di tutto

che a motivo della gran pendenza della linea

(questa pendenza in qualche punto fra Prac-

chia e Capostrada arriva persino al 25 oiOO)

anche valendosi di locomotiva a gran potenza

il carico dei treni militari dovrà in quella

linea ridursi alla metà del carico ordinario

che può usarsi nelle ferrovie ordinarie di

pianura. E ne induce quindi con bene appro­

priati calcoli e ragionamenti che non è da

ritenersi di poter portare da Pistoia a Bolo­

gna più di quattro battaglioni, uno squadrone

e una batteria al giorno. Talché il complesso

delle forze che abbiamo sopra specificate do­

vrà arrestarsi a Firenze o a Pistoia e impie­

gherà almeno 25 giorni per arrrivare al di

là dell’Appennino a Bologna. Anche ammet­

tendo di poter caricare i treni un poco più

di quello che supponga l’Àymonino non è

certamente ammissibile che il passaggio si

compia in meno di 20 giorni.

Questo ritardo, di fronte alle urgenze della

mobilitazione, è enorme ed inammissibile. Ha

preoccupato seriamente tutti i militari intel­

ligenti che vollero studiare a fondo la que­

stione al punto da farli persuasi del come

meglio convenga — nello stato attuale delle

cose — fare scendere a Firenze dai treni

ferroviari la massima parte dell’artiglieria e

tutta la cavalleria onde avviarle a Bologna

per le strade rotabili della Porretta e delle

Filigare. Con che si giungerebbe certamente

a guadagnar tempo anche tenuto conto del

grave inconveniente che presentano lo scen­

dere e il risalire rispettivo in ferrovia delle

truppe di artiglieria e cavalleria nelle loca­

lità di Firenze e di Bologna.

Nè a molto gioverebbe il non far venire a

Firenze le guarnigioni dell’Umbria ed il far

loro oltrepassare T Appennino al colle di Fos­

sato sulla trasversale Foligno-Falconara. Im­

perocché questa strada, benché abbia una

pendenza un poco minore della Porrettana

(al massimo 22 per 1000) è di costruzione

ancora più difettosa della prima. E perchè

poi ha il grave inconveniente di sboccare

sulla linea littoranea ferroviaria dell’Adria­

tico, della quale non è possibile l’abusare pel

trasporto di truppe, visto che è troppo esposta

al tiro delle navi nemiche.

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