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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.03 (1876) n.111, 18 giugno

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L'ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE. INTERESSI PRIVATI

Anno Ili - Voi. V

Domenica 18 giugno 1876

N. I li

La nuova legge sui contraiti di Borsa

Quando, non è molto tempo, togliendo occasione dalle deliberazioni prese in proposito nell’ultimo Con­ gresso delle Camere di Commercio, ci facemmo ad esporre quali a mente nostra fossero i più gravi di­ fetti della Legge IO Giugno 1874 sui Contratti di Borsa, e quali le riforme da introdursi in questa parte della nostra legislazione, eravamo ben lungi dal lusingarci di vedere oggi, dopo così breve tempo, quasi completamente esauditi i nostri desiderii.

Infatti per quanto gravi dovessero sembrare le imperfezioni di quella legge, per quanto esorbitante ed ingiustificato fosse il fiscalismo che la informava, sarebbe stato davvero troppo ottimismo il credere che il passato ministero, autore della medesima e paladino ad oltranza dei diritti fiscali dello Stato, volesse riconoscere il proprio errore, e farne am­ menda completa in omaggio ai conculcati diritti della libertà individuale. — Nè ci ingannavamo; poiché, malgrado i voti delle Camere di Commercio e i re­ clami che gli giungevano da ogni parte, l’ on. Finali erasi limitato a presentare negli ultimi giorni della sua ammintstrazione un progetto contenente modifi­ cazioni così insignificanti che senza contentare nes­ suno avrebbero lasciato le cose, poco più poco meno, nello stato di prima.

Fortunamente le idee dell’attuale ministro d’agri­ coltura e commercio, su questo, come sopra molti altri argomenti sono affatto opposte, e lo provano i fatti ; dacché una delle prime questioni a cui volle prov­ vedere l’on. Majorana-Calatabiano fu appunto quella della tassa sui Contratti di Borsa, non già con po­ che e timide modificazioni, alla legge del 1874 sib- bene, col presentare un nuovo progetto sostanzial­ mente diverso da sostituirsi alla medesima.

Questo progetto, approvato già dalla Camera dei deputati nella tornata del 31 maggio decorso, è da sperarsi possa incontrare eguale favore presso il Se­ nato, onde gli operatori di Borsa siano tolti al più presto dalla intollerabile condizione in cui erano per la legge attuale, con tanto danno della pubblica morale e dei più vitali interessi di quel ramo im­ portantissimo di commercio, che ha per oggetto i fondi pubblici e i titoli al portatore.

Crediamo frattanto debito nostro poiché altra volta ci siamo occupati di questo argomento, Q di tor­ narci sopra ancora una volta onde prendere breve­ mente in esame le nuove disposizioni legislative, ed esprimere francamente la nostra opinione intorno alle medesime.

Ecco dunque cosa stabilisce il progetto di che ci occupiamo. — Le compre e vendite e qualunque altro Contratto conforme alle consuetudini Commer­ ciali avente per oggetto titoli di debito pubblico, obbligazioni al portatore, azioni industriali ecc. in qualunque luogo siano poste in essere sono assog­ gettate ed una tassa fissa di bollo, di cent. 50 se il Contratto è a contanti, e di lire 2 se il Contratto è a termine. Questa stessa tassa colpisce le compre­ vendite a termine di merci e derrate contrattate in Borsa; e come ogni tassa ordinaria di bollo deve in ambedue i casi percipersi, mediante l’uso obbliga­ torio di foglietti bollati da 50 cent, e da 2 lire, che saranno posti in vendila dalla amministrazione finan­ ziaria solamente per i Contratti stipulati col mini­ stero di un pubblico mediatore. Onde non colpire due volte un unico contratto, si farà uso di speciali foglietti a madre e figlia, bollati per la metà della tassa, le cui madri, rimarranno in mano del pub­ blico mediatore, e le figlie saranno consegnate ai singoli contraenti, appunto come si suole praticare coi bordereaux ordinarli. Il pagamento di questa tassa attribuisce efficacia giuridica, anche ai Contratti d if­ ferenziali.

È stabilito inoltre che quando il pubblico media­ tore, intervenendo al Contratto non manifesti reci­ procamente il nome dei contraenti rimane obbligato in proprio per l’esecuzione del Contratto. Ad assicurare poi i diritti del fisco, viene comminata in caso di infrazione alla legge la multa fino a 200 lire per i singoli contraenti e la stessa pena estendibile a 500 lire ed anche la sospensione dall’ufficio per i pub­ blici mediatori: finalmente si dichiarano espressamente esenti da qualsiasi tassa di registro i Contratti ac­ cennati di sopra, e si affida al potere esecutivo l’in­ carico di determinare con speciale regolamento i modi

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di esercitare la vigilanza sui pubblici mediatori, e di assicurare l’esecuzione della legge.

Queste essendo le disposizioni della nuova legge crediamo che ogni giudizio intorno alle medesime sarebbe per parte nostra superfluo; dacché se ¡nostri lettori ricordano le cose da noi dette altra volta po­ tranno di leggieri riscontrare come tutte, o quasi, le riforme da noi caldeggiate, abbiano ora, per buona sorte, incontrato il favore del Ministero e della Camera.

Infatti, la tassa ridotta ad una misura mitissima, e stabilita in una quota fissa, non sarà più di ag­ gravio, e d’ imbarazzo per i contraenti. — Nè al pagamento di quella, verrà più, contro ogni princi­ pio di equità e di diritto, subordinata la efficacia giuridica di contratti d’ altronde pienamente validi. L ’ intervento del pubblico mediatore, rilasciato in piena facoltà dei contraenti, ancora quando venga richiesto, non produrrà mai raddoppiamento d’ im­ posta, nè renderà impossibile il segreto delle con­ trattazioni. Unica pena alle contravvenzioni dei con­ traenti, la multa ! Nè questo è tutto. La tassa, come ora s’intende stabilirla, non è già una nuova e maggiore gravezza imposta ai contraenti, ma sib- bene una misura tendente a mitigare quegli oneri fiscali cui per le leggi generali di registro e bollo sa­ rebbero soggetti, e in questo senso non solo è tale da applaudirsi, ma da desiderare che segni il primo passo di una riforma più generale applicabile a tutte indistintamente le contrattazioni commerciali.

Ridotta in questi termini la tassa sui contratti di borsa utile agli operatori potrà entrare, ne abbiamo intera fiducia, senza troppe difficoltà nelle abitudini del commercio, tanto che il numero dei contravven­ tori, che ora costituisce la quasi totalità dei con­ traenti si renderà fra non molto tempo quasi insi­ gnificante. — Così i proventi che per questa parte si promette l’erario, piccoli di fronte a ciascun con­ tratto potranno nella loro totalità ascendere ad una somma assai più ragguardevole certo di quanto non si preveda. E, voglia il cielo, sia questo un esempio che serva a far comprendere come tutte le tasse, ma specialmente poi quelle che colpiscono il com­ mercio in tanto sono largamente proficue in quanto si applichino in una misura mitissima.

Con ciò non intendiamo dire peraltro che la legge di che ci occupiamo, sia una legge perfetta e tale da non ammettere alcuna ulteriore modificazione.— Siamo anzi tanto convinti del contrario che crediamo debito nostro di segnalare quei pochi difetti che secondo noi in quella si riscontrano onde, perchè vi è sempre tempo di farlo, si cerchi di porvi riparo.

Prim a ancora che fosse dall’on. Majorana posto mano a riformare la legge 10 giugno 1874 noi avevamo fra le imperfezioni di quella, segnalata

l’assenza di qualunque disposizione che determinasse il modo di assoggettare alla tassa i contratti stipu­ lati fra assenti per lettera o per telegramma. Ora

con nostra sorpresa vediamo che non si è provve­ duto affatto a colmare questa lacuna, non vi si è provveduto malgrado che Ton. Plebano nella discus­ sione generale, avesse indirettamente richiamato in­ torno alla medesima, l’attenzione della Camera.

Certo che sotto la legge del 1874 la quale su­ bordinava la efficacia giuridica di tutte indistinta­ mente le contrattazioni a termine, al pagamento della tassa, la cosa era assai più grave. Ma anche adesso, sebbene più circoscritto l’ inconveniente accennato persiste tale e quale per i contratti differenziali i quali, se sono posti in essere fra assenti, non si sa in che modo possano rendersi validi, giacché lo ab- | biamo detto altra volta, ammettere che per questi si debba effettuare la reciproca trasmissione dei bor- dereaux bollati da piazza a piazza è lo stesso che accordare ai contraenti di mala fede, tempo più che sufficiente a conoscere se l’alea sarà ad essi con­ traria e quindi a recedere senza perdita dal con­ tratto.

Di più, anche per quei contratti che importano reale trasmissione di titoli rimane sempre dubbio, quando siano stipulati fra assenti a quale tassa, o per meglio dire, a quale penale vadano soggetti ove si dovessero produrre in giudizio.

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tassa 1 ). A questo per altro è facile rispondere se­ guitando lo stesso esempio dell’ on. Maurogonato, che quando il mio corrispondente di Napoli vende a me allo scoperto la rendita che non possiede e quando per eseguire il contratto si rivolge ad altro com­ merciante che è in grado di fornirgliela i contratti di compra e vendita posti in essere sono due: uno a termine fra me e il mio corrispondente, 1’ altro fra questi e il suo concittadino; eppure la tassa colpirebbe un solo contratto ! Che se poi si imma­ gina il caso che il corrispondente possedesse fino dal primo momento la rendita nella sua cassa forte, o che tanto io quanto lui intendessimo di porre in essere un contratto puramente aleatorio sulle differenze di prezzo; come si dovrebbe e potrebbe applicare la legge? Eppure questi contratti per telegramma sono tanto frequenti che costituiscono quasi il più impor­ tante cespite di entrata per le amministrazioni te- legafiche dei vari Stati.

Un altro difetto che non sapremmo tacere, si ri­ scontra per noi nella disposizione contenuta nel­ l’alinea ultimo dell’art. I. che suona esclusione dalla tassa per i recapiti di cambio. Questa esenzione in­ fatti che a prima vista può sembrare giustissima per la considerazione che gli effetti cambiari sono già assoggettati ad una gravosa tassa di bollo, cessa di essere tale per il modo troppo generale con cui è stabilita.

Niun v ’ha che ignori come in tutte le borse, si facciano giornalmente importantissime contrattazioni a termine sugli effetti cambiari, le quali non essendo altro che una speculazione, sull’ aumento, o sul ri­ basso del corso dei cambi, si liquidano il più delle volte col pagamento delle differenze alla pari di quelle, che hanno per oggetto titoli al portatore. Ora ciò posto, per quale ragione non si è voluto estendere anche a quelle, il disposto della nuova legge ? Perchè esentarle dalla tassa? perchè precludere la via a rendere giuridicamente efficaci, i contratti differen­ ziali, sul corso dei cambi? — A queste dimande, non ci sembra facile trovare una soddisfacente ri­ sposta; ma ciò basta a provare come la legge, in questa parte meriti di essere seriamente modificata.

Anche 1’ aver voluto comprendere nella legge le contrattazioni a termine di merci e derrate, fatte in borsa potrebbe fornire argomento di censura ; come giustamente osservava il Congresso delle Camere di Commercio. Ma se si considera che tale disposizione può essere ispirata anche dal desiderio, di fare una esperienza, onde vedere in seguito se si potesse con vantaggio dell’erario esentare dalla tassa di registro tutti i contratti commerciali sostituendo a quella una

*) Vedi Atti parlamentari. Tornata del 31 maggio 1876 pag. 1165.

mitissima tassa di bollo, crediamo che invece di cen­ surarla vi sia ragione di chiamarsene contenti.

Più grave invece deve sembrare l’altra disposizione, che subordina, l’efficacia dei contratti differenziali, al pagamento della tassa. — Qui in sostanza siamo sempre di fronte al principio della nullità degli atti non registrati sebbene ridotti ai minimi termini: e questo basterebbe per desiderarne l’abrogazione. Se nonché come giustamente osservava 1’ on. Ministro di Agricoltura e Commercio, la legge che ora si in­ tende attuare non è una legge creata ex novo ma una legge fatta quando la quistione era già tanto gravemente compromessa quando cioè non essendo più da sperarsi l’ottimo, era mestieri contentarsi del meno male possibile. — Del resto il riconoscimento giuridico incondizionato di contratti puramenti alea­ tori è misura cosi grave che anche coloro i quali possano ritenerla opportuna, debbono convenire come essa dovrèbbe introdursi nella nostra legislazione non già in modo indiretto e quasi di contrabbando, ma solo in seguito di maturi studi, e mediante una completa riforma delle nostre leggi civili e commerciali. —

Giunti cosi al termine delle nostre osservazioni, ci sembra di poter concludere : che la nuova legge sui contratti di Borsa infinitamente superiore dalla precedente anche considerata in se stessa è degna di ogni maggiore encomio ; che solo dovrebbero in- trodurvisi alcune facili modificazioni atte a renderla migliore, che finalmente essa segna un notevole pro­ gresso nella nostra legislazione commerciale progresso il quale è sperabile, sarà foriero di ulteriori e più radicali innovazioni. Dopo ciò altro a noi non rimane se nonché tributarne i meritati elogi all’ on. Majorana, ed a quanti cooperarono con lui in questa riforma tanto necessaria, primo frai quali fu certo l’on. Branca, attuale segretario generale del Ministero di agricol­ tura che lino dallo scorso anno ne aveva dimostrata alla Camera la opportunità, facendosi interprete dei reclami di tutto il ceto bancario italiano. A Ini e all’ on. Ministro spetta ora compiere l’opera, ad essi spetta specialmente dettare quel regolamento che sarà loro commesso dal potere legislativo. Essi, non ne dubitiamo, sapranno eseguire il mandato in modo da evitare quelle severe censure suscitate dai loro predecessori.

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dovizia pietre preziose e strati auriferi, nonditnanco la ricchezza di quel paese si fonda principalmente sul- l’agricoltura, alla quale perciò sono rivolti i maggiori sforzi per farla progredire.

Prima però di dare un cenno dei prodotti che nella agricoltura brasiliana tengono il posto più rag­ guardevole, non saranno fuori di proposito alcune parole intorno al modo di coltivare il terreno.

Là dove immense foreste vergini ed una vegeta­ zione naturale rigogliosa ricoprono in grande parte il suolo, l’opra deH’uoino deve essere rivolta a ri­ trarre la natura dalle secolari sue vie perchè dia vita a nuove piante o faccia fruttare con ordine le esistenti. L’uomo perviene a dominare la natura assecondandola, ebbe a dire Bacone, e se nel primo stadio dell’industria agricola vedesi che fa più il suolo per l’uomo che questi per quello, ciò devesi in grande parte ascrivere all’ andamento naturale per cui in ogni tempo si videro gli scarsi coltivatori di estese regioni darsi dapprima più che ad una col­ tura intensiva ad una estensiva, per la quale il primo fattore della produzione è la natura.

Vario è nel Brasile il metodo di preparare il suolo a cultura secondo che questa s’ intraprenda nelle regioni poste fra la cordigliera delle coste e il mare 0 nell’interiore del paese. Dominando siccità all’ in­ terno e umidità verso il mare, ne vennero due flore distinte, l’una caratterizzata dai campi scoperti [eam- pos abertos) nelle regioni entro terra, 1 altra delle foreste. Ma con ciò non si viene a dire che una linea assoluta separi queste due flore, imperocché 1 corsi dei fiumi fanno riprodurre in molte contrade interne la stessa vegetazione delle coste.

Per quello che sia dei campos abertos l’agricoltura è poca cosa, perchè vi è scarso il numero degli abitanti e non si semina che quello che è di stretto bisogno al nudrimento. Colla zappa si rompe un po’il terreno e lo si sbarazza dalle radici e dalle erbe; ma nes­ sun altro strumento e nessun ingrasso vengono ado­ perati. L ’allevamento del bestiame costituisce quivi la principale ricchezza come nelle pam pas delle repubbliche della Piata, ma esso si fa con metodi ancora primitivi e che pure nella loro semplicità sono fonte di gran guadagno. Ciò fa ricorrere alla nostra mente quanto Cicerone, (De Offìciis) racconta di Catone, il quale richiesto di qual fosse il miglior modo per rapidamente arricchire coll’ agricoltura, rispose : col ben allevar il bestiame ; ed essendogli pur domandato qual era quello che veniva dopo, rispose coll’allevar mediocremente il bestiame, ed insistendo l’interrogatore per conoscere il terzo ebbe per risposta: coll’allevarlo male. Ben è vero che gli stessi scrittori antichi, riferendo questo aneddoto non parlano dell’ultimo modo, ovvero escludono che Catone avesse detto tale corbelleria, ma il fatto si è che nell’America meridionale allevando male il

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bestiame si ricava ancora una grande ricchezza. Che sarebbe poi se si allevasse bene? È fuor di dubbio che quelle pianure immense dell'interno del Brasile se andassero soggette a cultura maggiore, i campi i più fertili si presterebbero perfettamente alla cultura del cotone e della manioca e si forme­ rebbero buone praterie dove sarebbe certo sbandito l’attuale uso degli incendi. Al fuoco ora si ricorre pel motivo che, essendo scarsa la popolazione, si assegna al bestiame una vasta superficie strabocche­ volmente sproporzionata, quindi l’erbe crescono oltre il bisogno e allora è minor fatica bruciare i campos onde distruggere gli arbusti inariditi , che sterparli coi mezzi ordinari. Però in tal maniera le zolle im- magriscono, s’impoverisce il suolo e l’incendio non arreca altro vantaggio che quello di distruggere gli insetti parassiti.

Nei campos abertos tutta l’opera dell uomo nella cultura della terra si riduce dunque a pochi colpi di zappa e all’abbruciamento.

Sui terreni ricoperti da lussuriosa vegetazione, il dissodamento incontra maggiori difficoltà, perchè de­ vesi conquistare il terreno sulla foresta. Il sistema che si usa si riduce il più delle volte ad abbatter» una parte di bosco, a sgombrare il terreno bruciando le piante atterrate, a muovere la terra con la vanga o con la zappa, e a farvi le piantagioni. La cura ulteriore consiste nel distruggere ad intervalli me­ diante la zappa, le erbe e gli Ùrboscelli che tendono a rinascere e liberare il campo dalle liane o dall» altre piante parassite. Ma dopo quindici o venti anni ogni cultura deperisce soffocata dal rigoglio delle male erbe e dagli arboscelli ehe ripullulano, e al­ lora si abbandona quel terreno, salvo poi a ribru­ ciarlo di bel nuovo, e si abbatte altra parte di fo­ resta. Non è mestieri che diciamo come ogni regola ha la sua eccezione e che perciò accanto a codesto sistema primitivo se ne incontrino altri più razionali ma quello menzionato è il più in uso e, come è naturale, ha per effetto di diboscare soverchiamente il paese e di distruggere non solo moltissime piante di grande valore, ma anche di influire sul clima e di isterilire la sommità delle colline. Il Brasile possiede apcora grandi foreste vergini, veri monu­ menti stupendi della natura che a distruggere senza regola sarebbe barbarie non minore della devasta­ zione dei monumenti artistici. Già delle foreste se ne distrussero anche troppe e quali ne fossero le tristi conseguenze l’Europa sa per esperienza. Dei danni del diboscamento non v’è alcuno più che dubiti e tanto se ne scrisse che dovrebbero almeno approfittarne coloro che sono ancora in tempo poiché se la civiltà ponendo piede in un paese, dirada le foreste, pro­ gredendo, di nuovo le crea e le coltiva.

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l’ ordinario alla zappa e alla vanga perchè si appro­ fitta della vigoria del terreno vergine, e l’ aratro male si potrebbe usare nella prima piantagione. Però l’ aratro si è introdotto in parecchie provincie e bisognerà pure che entri nella pratica comune se si vorranno ottenere stabili progressi nell’ agricoltura. Allora si continueranno a coltivare i campi una volta diboscati e, adottando gli ingrassi e le colture alterne, si otterranno risultati ben maggiori di quelli che oggidì si hanno. La zappa e la vanga avranno anche al Brasile la p u n ta d’oro, per usare della espressione nostra volgare, in quelle colture dove si richiede molta attenzione ed un minuto lavorio del terreno, ma la grande produzione non si otterrà che cogli strumenti perfezionati e con le macchine già in uso nell’ agricoltura progredita.

Veduto cosi fugacemente con quale sistema il ter­ ritorio brasiliano è coltivato, passiamo in rapida rassegna i prodotti principali.

In rapporto ai prodotti, si può dividere quel vasto impero in tre grandi regioni. La prima, che si di­ stende dalla Guyana fino a Bahia e lunghesso i grandi fiumi, ha di speciale contrassegno gli agresti prodotti delle foreste, come gomma elastica (6or- racha), cacao, vaniglia, salsapariglia e una varietà infinita di piante medicinali e di resine. La seconda regione, che si estende da Bahia fino a Santa Cat- terina è quella del caffè. La terza da Santa Catterina a Rio Grande è quella dei cereali cui si aggiunge l’ allevamento del bestiame. Codeste tre regioni sono poi accumunate dai seguenti prodotti: cotone, zuc­ chero, tabacco e mais, che più o meno vengono ben in tutte le provincie.

Per lungo tempo la canna di zucchero tenne il primato nella agricoltura del Brasile, ma da alcuni anni cedette il posto al caffè la cui produzione prese tale sviluppo da doversi ritenere che più della metà del caffè consumato nel mondo proviene dal Brasile. Ma succede pel caffè brasiliano quello che interviene a moltissimi dei nostri prodotti che sul mercato non appajono col loro nome d’ origine, ma ne pigliano a prestito uno qualunque più in voga; ed il caffè del Brasile ci vien dato col nome di lava, di Moka o di Martinicca, senza che noi pensiamo per poco che se fosse tutto caffè di codeste regioni quello ciie è venduto per tale, esse dovrebbero essere le cento o le mille volte più estese di quello che sono. Secondo un calcolo approssimativo, la Martinicca produce annualmente circa 40,000 chilogrammi di caffè; la Guadalupa, il cui caffè è venduto sotto il nome dell’ isola vicina, ne produce circa 360,000 chilo­ grammi. Poco più ne dà l’isola di Borbone. Nel Brasile invece dal 1° luglio 1874 al 30 giugno 1873 si erano raccolte 3,400,000 saccas *)di caffè

corri-■) La sacca corrisponde a 60 chilogrammi.

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spondenti a 204,000,000 chilogrammi e ne rimaneva ancora da raccogliere circa 60 milioni di chilogram­ mi, dando così per quell’ anno un complessivo di 264,000,000 di chilogrammi. Secondo notizie che attingiamo da buona fonte, anche quest’ anno il rac­ colto supererà i 200 milioni di chilogrammi. E per vedere come codesta cultura si sviluppò rapidamente basti il dire che nel 1840-1841 non si raccoglievano più di 73 milioni di chilogrammi.

Nell’ esportazione del 1874-75 il caffè figura per 3,206,567 saccas di cui 1,110,301 per l’Europa, 2,041,995 per gli Stati-Uniti ed il rimanente per altri paesi. — Quanto al prezzo, il caffè del Brasile sui mercati europei costa da 96 ai 104 franchi ogni 50 chilogrammi, cioè una media di 2 franchi ; ma per il coltivatore, dedotte le spese, il valore si riduce ad una lira per chilogrammo.

Come ognuno può accorgersi facilmente, per la quantità di questo prodotto il Brasile non ha nulla da invidiare agli altri paesi produttori, ma l’inferiorità sua sta nel lavoro. Anzitutto il sistema di cultura è quello già accennato che consiste nel diboscamento, in secondo luogo le braccia sono scarse e perciò la produzione non è quale potrebbe essere e i campi riescono imperfettamente coltivati.

Nelle colonie inglesi, francesi ed olandesi ogni pianta di caffè dista dall’ altra di 2 o 3 metri. Così, se la piantagione è in quadrato e la distanza è di 2 metri, si hanno 2888 piante per ettaro, se è in tr7¿ angolo se ne hanno 2,500. Colla distanza di 3 metri, il numero delle piante è di 1,283 nel primo caso e di 1 nel secondo. Negli stessi paesi la produzione media è di 1000 chilogrammi per ettaro, e il numero delle persone impiegate nella coltivazione e nella raccolta è di 5 per due ettari, oltre un animale da soma.

Ora nel Brasile risulta che la cultura del caffè occupa una estensione di 650,000 ettari con circa 600 milioni di piante; per cui si hanno 907 piante per ettaro, cioè meno della metà della media degli altri paesi. E la quantità del raccolto serebbe pari- menti di soli 400 chilogrammi per ettaro, mentre oltrove, come si è detto, è di mille. Attesa poi la scarsità della popolazione, vi è un solo uomo, in media a coltivare un ettaro di terreno, lavoro senza dubbio insufficiente. Noi però qui parliamo di cifre medie, mentre nella realtà vi sono piantagioni (fa- zende) in alcune provincie e principalmente in quella di Rio di Janeiro in cui il prodotto raggiunge anche 2000 chilogrammi per ettaro, a seconda della bontà del terreno.

La coltura della canna di zucchero che nel Brasile risale a tempo remoto è un altro ramo principale dell’ industria agricola di quel paese e, se non tiene più il primo luogo, ha però sempre grande impor­ tanza. Quasi tutto il suolo brasiliano, dalle Amazzoni

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fino a S. Paolo si presta alla coltura della canna dì zucchero, ma è più sviluppata nelle provincie di Fer­ nambuco, di Bahia e di Rio di Janeiro. Sul margine di parecchi fiumi codesta canna cresce tanto rigogliosa che talvolta è necessario sterparla come un’ erba malvagia, per ¡sbarazzarne il suolo. E tanta è la spontaneità della sua vegetazione che vi sono canneti estesissimi che da ben 40 anni si riproducono na­ turalmente. Non è quindi a maravigliare se la pro­ duzione dello zucchero sviluppossi rapidamente, e ne è prova il seguente specchietto comparativo della esportazione :

Quantità Valore

1860-61 . . 65,387,901 chil. 30,956,000 fr.

1870-71 . . 141,994,693 > 74,628,384 »

E nel 1874-751’esportazione totalefu dil54,815,129 chilogrammi.

Ma questo prodotto deve ora sostenere una con­ correnza che nuoce non poco al Brasile. Lasciando pur da parte la concorrenza naturale che deriva dalla cultura della canna di zucchero in altri paesi, e dallo zucchero di barbabietole che aumentò gran­ demente sul mercato europeo, vi è un altro ele­ mento di concorrenza che attinge la sua forza dalle condizioni poco favorevoli in cui versa 1’ industria della fabbricazione dello zucchero nel Brasile. Mentre da un lato vi è una produzione che quasi si po­ trebbe aumentare fin dove può giungere la volontà, dall’altro stanno macchine e congegni antiquati che disperdono o preparano male la materia zuccherina. Una recente inchiesta sulle condizioni del lavoro provò che sono a centinaia le piccole fabbriche di zucchero, ma così imperfette che, mentre nella provincia di Bahia, nel 1872-73, ve ne erano ben 893, produ­ centi circa 57 milioni di chilogrammi di zucchero, in Egitto 22 stabilimenti centrali ne davano nello

stesso anno 146,250,000 chilogrammi.

Era dunque mestieri che il Brasile adottasse egli pure i nuovi sistemi di fabbricazione che, perfezio­ nando il prodotto lo rendevano più accetto sul mer­ cato, e infatti leggiamo come nelle tre provincie sopra menzionate, dove la cultura dello zucchero è molto estesa, si pose mano ad erigere grandi stabi- menti centrali ( engenlios centraes) che, se verranno estesi anche alle altre provincie, concorreranno gran­ demente a dare sviluppo ad una produzione la quale per essere'più profittevole non richiede che un ausilio maggiore dall’industria.

Altro prodotto di grande importanza è il cotone. La pianta del cotone fu sempre coltivata al Bra­ sile, specialmente nelle provincie del Nord, ma detta cultura fu per lungo tempo ristretta di molto a ca­ gione del prezzo sul mercato che non compensava le spese. Il rialzo cagionato per la guerra degli Stati- Uniti e la costruzione di alcune ferrovie diedero un ! nuovo impulso e allora la cultura si estese rapida- 1

mente in tutto l’ Impero. Provincie come quella di S. Paolo, dove non si era mai piantato il cotone, altre, come quelle di Alagòas, Parahyba e Cearà dove se ne era abbandonata la cultura, cominciarono a produrre in tale quantità che per trasportarlo in Europa vennero allora stabilite due linee di vapori fra Liverpool e Rio di Janeiro. Quando poi nel 1867 vi fu l’Esposizione universale di Parigi si concedette un premio eccezionale al Brasile per aver reso il mercato del cotone indipendente dal monopolio an­ teriore degli Stati-Uniti.

Però si grande sviluppo essendo derivato da cause eccezionali dovessi arrestare al cessare di queste, e la produzione restringersi entro i limiti segnati dalla concorrenza e dalle spese di produzione.

Le vicende cui andò soggetto codesto prodotto si possono rilevare dal confronto fra la esportazione anteriore alla guerra d’ America e quella posteriore. Nell’anno economico 1861-62 1’ esportazione fu di 9,854,933 chilogrammi e nel 1871-72 l’esportazione salì ad 83,543,317 chilogrammi. Però dobbiamo notare che l’esportazione del 1871-72 fu la mag­ giore che siasi raggiunta e d’ allora in poi è stata minore. Così nel 1872-73 1’ esportazione toccò ap­ pena i 44,618,060chilogrammidi cotone.A54,474,126 crebbe nel 1873-74 e sopra uguale quantità s’aggirò pure l’esportazione del 1874-75. Le vicende del valore del cotone non furono meno importanti di quelle della esportazione. Nel 1864-65 il prezzo medio fu di lire 3.54 il chilogrammo e poi, oscillando sempre, discese fino alla media di 1 lira ed 8 centesimi nel 1873-74.

È fuor di dubbio che il cotone è ora uno dei precipui elementi della ricchezza del Brasile, ma pur qui dobbiamo ripetere che sì importante cultura non acquistò quei perfezionamenti che altrove furono conseguiti e ciò pel difetto di braccia, di vie rotabili nell’interno del paese, e di un buon sistema di la­ voro. Ora il Brasile ha poderosi concorrenti molti dei quali hanno il vantaggio di essere più vicini al mercato europeo, come gli Stati-Uniti dell’America settentrionale e l’Egitto. Di guisa che molto savia­ mente si insiste nei più autorevoli periodici di quell’impero per restringere la cultura del cotone alle qualità per maggior valore e destinare molti terreni alla cultura di altri prodotti non meno importanti ó proffitevoli.

Un ettaro di terreno coltivato bene a cotone può contenere 4,545 piante che possono dare un pro­ dotto di circa 2000 chilogrammi di cotone. E cal­ colando il prezzo di ogni chilogrammo in 35 centesimi che è il minimo, il coltivatore ricaverebbe all’ anno un reddito netto di 700 lire.

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di Bahia, Minas-Geraes, San Paolo, Para e Rio di Janeiro, ma si va estendendo anche nelle altre, perchè è tal prodotto il cui consumo aumenta ogni anno. Nel 1860-61 il Brasile esportò per 4,608,907 chilogrammi di tabacco pel valore di 6,748,976 fr. ; ma undici anni appresso, cioè nel 1871-72 l’espor­ tazione era salita a 12,835,126 chilogrammi del

valore di 19,164,320 franchi.

Detto così de’principali prodotti del Brasile, merita pure che diamo un rapido cenno di altri che non figurano fra gli ultimi nella esportazione. Questi per la maggior parte vengono spontaneamente dal suolo e l’uomo non deve fare altro sforzo che raccoglierli, ed essi sono così numerosi che ad accennarli sarebbe mestieri formarne una tabella a guisa di quelle che si inseriscono nei trattati di botanica. Ne indiche­ remo pochi come il cacao, la tapioca, la gomma elastica e alcuni altri.

Il cacao è prodotto indigeno del Brasile e cresce rigoglioso e spontaneo nelle grandi valli delle Amazzoni e del Tocanlins, ma si comincia a coltivare nelle provincie di Bahia e Cearà. La pianta rassomiglia ad un ciliegio di mezzana grandezza ed il suo frutto ad una grossa mandorla scompartita al! interno in cinque cellette. Delle varie specie di cacao il Brasile ne coltiva quattro delle principali ed in un ettaro di terreno così coltivato si raccoglie in media 150 chil. di frutta. Il raccolto però si fa ordinariamente in modo assai trascurato e non di rado succede che sul mercato perde il suo pregio a motivo del coltivatore che volendo guadagnare sul peso non du­ bita di inumidire la merce. Si ritiene da parecchi che la cultura del cacao sia molto più vantaggiosa di quella della canna di zucchero, non perchè produca di più, ma perchè meno dispendiosa stando quella

a questa come 1 a 20. ;

Nella esportazione il cacao tiene T ottavo posto e nel 1 8 7 1 -7 2 fu rappresentato da 5,181,471 chilo­ grammi del valore di 4,286,412 franchi.

Un prodotto che ora va insinuandosi anche nelle abitudini europee e che nel Brasile costituisce la base dell’ alimentazione è la tapioca. A noi che si presenta sotto 1’ aspetto di farina parrebbe dovesse provenire da un cereale macinato, ma la tapioca in­ vece è ricavata dalle radici della manioca di cui il Brasile conta ben trenta varietà. Essa consiste nella materia pulverolenta che quelle radici, raschiate, de­ pongono allorquando sono tenute per alcun tempo nell’ acqua. La pianta della manioca cresce prospe rosa in tutte le regioni intertropicali e temperate, ma preferisce i terreni secchi e sabbiosi. La sua cultura è una di quelle che relativamente esige meno sforzi e meno cure e, per un paese che difetta ancora di strumenti agrari, è quello chesi può desiderare di più. Venne calcolato che uno spazio di quattro ettari nel municipio di Campos (provincia di Rio di Janeiro)

può ricevere 40,009 piante di manioca produttrici di 36,720 chilogrammi di tapioca. Calcolato il prezzo in 35 centesimi il chilogrammo si avrebbe un red­ dito di 12,592 franchi, somma molto ragguardevole e che vuoisi considerare come massima anche per un podere-modello.

L’ esportazione della tapioca si fa quasi solo dalle provincie di Maranhào e di Para, essendo la produ­ zione quasi assorbita per intero dal consumo interno. Nel 186 0 -6 1 codesta esportazione fu di 3,269,963 litri pel valore di franchi 291,952; nel 1871-72 si elevò a 7,087,620 litri pel valore di 1,017,089 fran­ chi. Ci mancano dati più recenti.

Il The è pure coltivato al Brasile, ma non quanto una pianta denominata thè del Paragany o mate. La pianta del mate cresce per lo più spontanea nelle provincie meridionali dell’ impero e la bevanda che si prepara colle sue foglie entrò si fattamente nel- 1’ uso che nella provincia del Paranà se ne consuma annualmente per 4 milioni di chilogrammi e 15 mi­ lioni nella provincia di Rio Grande do Sul. Anche nel commercio di esportazione tiene un posto non indifferente, giacché nel 1860-61 se ne esporta­ rono 6,803,056 chilogrammi del valore di 4,060,548 franchi, e, nel 1871-72,1’ esportazione fu di 9,507,086 chilogrammi del valore di 6,270,720 franchi.

Prodotto affatto spontaneo, e che l’ uomo ottiene con fatica ancora minore che pei prodotti finora enumerati è quello della gomma elastica che si estrae specialmente dalla pianta denominata Siphonia ela­ stica. L’ agricoltura non si è ancora impadronita di questa pianta per regolarne la produzione, ma così allo stato suo naturale il prodotto che da è gran­ dissimo. La gomma elastica (caoutchouc) proviene in grande parte dalle valli delle provincie del Parà e delle Amazzoni dove la Siphonia cresce spontanea dal litorale fino a tremila chilometri entro terra. Per ottenere il prodotto non si fa che incidere a spira la corteccia riunendo le incisioni mediante pic­ cole scanalature che fanno colare il liquido entro un vaso postovi sotto. Quel liquido è la gomma ela­ stica, che in quello stato ha un colore giallo oscuro. Quando la Siphonia e le altre piante che danno le gomme elastiche saranno coltivate regolarmente è probabile che altri prodotti saranno lasciati da parte per dedicarsi a questo che richiede poca fatica, spesa minore e che pure si vende caro. Le seguenti cifre della esportazione col relativo valore stanno a prova dell’ importanza di tal produzione. Nel 1860-61 l’ esportazione fu di 2,412,612 chilogrammi valutata a 8,133,476 franchi, e nel 1 8 7 1 -7 2 l’ esportazione fù di 4,798,921 chilogrammi rappresentanti un va­ lore di 21,326,950 franchi.

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mercio brasiliano e vengono affatto spontanei dal suolo. Però nonostante codesto predominio della na­ tura sul lavoro umano non mancano tentativi di nuove culture e principali fra esse quelle del gelso e della vite. Il gelso vien beue nelle provincie me­ ridionali e dà ogni anno uno sviluppo maggiore alla bachieultura. La cultura della vite da pure buoni risultati nelle provincie di S. Paolo e di Rio Grande do Sul con vitigni ordinariamente americani. Ma essa è ancora incipiente ed il prodotto è consumato nelle provincie dove si raccoglie. Si calcola che nel 1872 la produzione fosse di 320,000 litri e, pur ammettendo che d’allora in poi siasi fatta maggiore, la quantità è ancora inferiore di molto ai bisogni locali. E questa scarsità del vino è cosa più im­ portante di quello che non appaia per i contadini che dal! Europa meridionale vanno colà. Costoro, abituati almeno nel di di festa ad obliare nelle li­ bazioni i disagi della settimana, male sanno rasse­ gnarsi a bere in iscambio altri liquidi spiritosi ed aromatici che abbondano al Brasile. Però sarà que­ sta stessa loro abitudine che indurrà gli emigranti, pratici di questa cultura, a dare ad essa maggiore impulso.

Forse taluno, non vedendo in sì lunga enumera­ zione dei prodotti, fatto cenno dei cereali potrà du­ bitare che il suolo del Brasile non vi sia adatto. No; il suolo risponderebbe bene anche a questa cultura, ma è 1’ uomo che ancora non vi si è dato di lena. In quei paesi d’ oltremare, sia pel cattivo indirizzo lasciatovi dal regime coloniale, sia per la naturale tendenza a trarre profitto in prima da quello che la natura spontaneamente mette innanzi, il fatto si è che i cereali tengono nell’ agricoltura brasiliana l’ul­ timo grado. La cultura dei cereali richiedendo un lavoro intenso, ed esso male può dedicarsi una po­ polazione ancora insufficiente e che trova facile so­ stentamento in altri prodotti. Se il grano non è sgom­ berato dalle male erbe, se 1’ aratro non rompe le zolle e se non vi è un razionale avvicendamento in­ sieme agli ingrassi, torna meglio lasciare il grano da parte e attenersi alla cultura di quei prodotti che non richiedono molto lavoro. Verrà il suo giorno anche pei cereali, e non è lontano imperocché già in alcune provincie dove 1’ emigrazione europea è maggior già vi comincia il classico biondeggiare delle messi. La provincia del Paranà è una di quelle e abbiamo letto come nella Esposizione nazionale te­ nuta a Rio di Janeiro sul finire del 1873, essa si è fatta notare per lo sviluppo dato alla cultura dei ce­ reali. E fu la medesima provincia che nella stessa occasione mise in mostra ben 148 qualità di fagiuoli, oltre a parecchi altri prodotti farinacei e leguminosi.

Da una pnbblicazione importante rileviamo inoltre come nel Brasile il mais rende il 150 per 1, i fa­ giuoli l’80, e 1000 il riso. Ciò ci dimostra come

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anche il suolo brasiliano potrà essere arricchito fra non molto da parecchi prodotti che vennero lasciati in disparte per la ragione che, fino ad un certo tempo, è più vantaggioso coltivar male una grande estensione di terreno che coltivarne bene una ri­ stretta. Ma perchè ciò avvenga è mestieri che l’a­ gricoltura si trasformi da es'ensiva in intensiva, cioè che sulla forza della natura predominino il capitale ed il lavoro.

Da questi scarsi appunti sull’agricultura del Bra­ sile noi possiamo dunque scorgere che v’abbondano più quei mezzi che il Roscher appella di goditnento ehe quelli di acquisizione. Ma ciò non è senza danno imperocché succede non di rado che per cogliere più facilmente il prodotto che dà la natura si tra­ scura affatto l’industria agricola, la sola che può fornire uno Stato di una robusta popolazione. In un’inchiesta che si fece nel 1874 sulla condizione del Lavoro ( 0 Estato da Lavoura), alcuni municipj della provincia del Parà hanno esposto chiaramente che la decadenza dell’ agricoltura era dovuta non solo alla mancanza di iniziativa, ma alla ignoranza della popolazione, « rivolta solo a cogliere quello che la Provvidenza prodiga magnanimamente » Il mu­ nicipio poi, di Porto de Mos si espresse nei seguenti termini : « Gli abitanti menano qui una vita ambu­ lante, vivendo sei mesi in un luogo e sei mesi in altro.... È di necessità estrema trovare un mezzo che ritragga la popolazione da cotal sistema di vita per ricondurla all’ agricoltura ; perchè la fabbrica della gomma elastica è un elemento cancrenoso che progressivamente va distruggendo il credito e gli abitanti dell’interno della provincia. » Questo brano ci fa sovvenire di quanto scrisse il Roscher « che i paradisi terrestri dove il pane stesso è colto come frutto snervano i loro abitanti quasi come i deserti ghiacciati del polo tormentano l’uomo » Non è l’alr- bondanza estrema dei prò lotti spontanei quella che più giova alla civiltà, anzi le potrebbe essere di danno al pari della mancanza assoluta. Paesi meno provveduti di mezzi di godimento e dotati più ric­

camente di mezzi di acquisizione furono sempre quelli che progredirono maggiormente nella civiltà e nel benessere. Atene primeggiò nell’antico tempo quantunque l’Attica fosse suolo sterile, e nei tempi moderni non mancano paesi che conseguirono uguale prosperità lottando contro la natura dei terreni e la inclemenza del clima.

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ranno regolale dall’ industria agricola ; strumenti per­ fezionati surrogheranno quelli antiquati che sono in uso; il suolo perduta la vigoria primitiva abbisognerà di ingrassi e avvicendamenti. Così per la necessità stessa delle cose, l’agricoltura dovrà svilupparsi e prosperare. Non altrimenti si favoleggia (ma con grande verità) essere avvenuto negli antichi tempi. Quande Iside nell’Egitto e Cerere e Tritolemo nella Grecia, scoprirono i mezzi artificiali della cultura del grano, le popolazioni infino allora erranti in cerca di precaria sussistenza, presero stabile dimora e la civiltà ebbe nascimento coll’agricoltura. I mali dun­ que che vennero lamentati nell’inchiesta più sopra menzionata, finiranno ben presto col naturale suc­ cedersi degli avvenimenti, ma anzitutto fa duopo di una maggiore energia individuale. Non è dire cosa nuova se notiamo anche nel Brasile un soverchio assegnamento sul concorso governativo. Troppo s’as­ petta da! governo e, come è naturale, questo non fa mai abbastanza. Il governo dispensa denari e di re­ cente assegnò all’ agricoltura una sovvenzione di 1,200,000 lire, ma non è per questi eccitamenti che un’ industria, e l’agricola in ¡special modo, potrà pro­ sperare. E notisi che nel Brasile non vi è neppure l’ imposta fondiaria a dimezzare i profitti dei pro­ prietari. Sicché il languire dell’agricoltura, in grande parte del territorio brasiliano, dipende proprio, più che da altre cause, dalla mancanza di iniziativa in­ dividuale. Fu alludendo a tale stato di cose che nel Parlamento brasiliano il Ministro di agricoltura e commercio fece nel 1871 un caloroso appello all’at­ tività delle popolazioni raccomandando ai deputati, che sollecitavano l’ intervento dello Stato, che piut­ tosto persuadessero di fare assegnamento sull’energia individuale e sullo spirito di associazione. E ne aveva ben ragione.

Il governo però, oltre ai sussidi, va giovando al- l’ agricoltura colla fondazione di istituti agricoli.

Nella capitale vi è lTm perial-lnstituto-Flum inense de Agricoltura cui è annesso un podere modello for­ nito dei migliori strumenti agrari. Da questo Istituto prese vita un asilo agricolo pei fanciulli poveri e abbandonati, dove costoro apprendono a riuscire buoni fa tto ri per le fa zen d e. A Rio di Janeiro si è pure formata da pochi anni una Società di accli­ matazione che già diede buoni risultati.

Altri Istituti agricoli furono fondati nelle provin- cie di Bahia, Fernambuco, Rio Grande do, Sul Ser- gipe ed altre. Ma per quanto siamo disposti a ricono­ scere i vantaggi che possano derivare da codesti islituti posti nelle città, nulladimeno sappiamo per l’esperienza nostra che l’insegnamento agricolo deve, per tornare veramente efficace, assumere forme più popolari e alla mano di tutti. In ¡special modo

deve

diffondersi nelle classi elevate quell’amore ai campi che fece dire nell’antico tempo: Beata» Ule qui

procul negotiis, ut prisca gens morlalium, p aterna rura bobus exercet suis. Ben inteso che non è della vita campestre, dipinta nelle egloghe o cantata nel­ l’Arcadia che intendiamo parlare, ma di quella che fa stringere i rapporti fra il proprietario ed il colono, che invoglia i capitali e con essi il lavoro a rendere feraci regioni dapprima sterili e a portare la vita dove prima era la morte.

L’agricoltura è grande madre di civiltà. « Non è il solo pane (scrisse il Jacini) che esce dalla terra col- , tivata, bensì un’ intera civiltà; perchè presso di quella si sviluppano spontanee molte delle istituzioni e delle consuetudini destinate a perfezionarsi nel pro­ cesso delle tradizioni per costituire il più saldo ce­ mento del carattere di un popolo, mentre sembrano tendere unicamente ad appagare i suoi interessi ma­ teriali. ’) »

Favorito di tutti i doni della natura, il Brasile ha innanzi a sè un prospero avvenire, fatto sicuro da quella stabilità di governo tanto necessaria ad ogni sviluppo economico. Ha però bisogno dell'opera più intensa dell’ individuo, poiché la ricchezza prin­ cipale di uno Stato e la condizione della medesima sono gli stessi uomini colla loro energia. « Gli Dei, scrisse Senofonte, vendono tutti i loro beni in scambio del lavoro. »

*) Jacini. La Proprietà fondiaria in Lombardia, pag. 11.

IL RISCATTO DELLE FERROVIE IN ITALIA

(Continuazione, V. N. 110)

II

Quando si esamina la questione delle ferrovie in Italia, non bisogna dimenticare quale è stata la sto­ ria di questo paese da 17 anni a questa parte. Le strade ferrate italiane per nascere e per vivere non hanno solamente a lottare contro certi ostacoli na­ turali che segnalammo al principio di questo studio, cioè la vicinanza del mare e la sua pericolosa con­ correnza ; un terreno frastagliato da montagne, che esige delle opere costose e lunghe; e ovunque delle popolazioni poco attive, poco ricche e molto indietro dal punto di vista economico. Ma esse hanno dovuto urtare altresì contro difficoltà anche più gravi, es­ sendo sorte nel momento in cui compivasi l’opera di unificazione della nazione italiana e cresciute in mezzo a guerre, agitazioni e commozioni incessanti e profonde provocate da questa crisi permanente, una delle più grandi crisi, delle più straordinarie trasformazioni di questo secolo.

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l’opera di unificazione politica bisognava che anche in queste l’unità succedesse al frazionamento : era uno dei bisogni più urgenti per il nuovo regno. Si cominciò col colmare sollecitamente alcune lagune, col decretare nuove linee e eoH’allacciare, per mezzo di branche, i tronchi sparsi in un fascio riunito. E siccome si esigeva molto dalle Società, così fu ne­ cessario aiutarle con terreni gratuiti, con lavori, con sovvenzioni, con garanzie. Si improvvisò in questa maniera una rete molto imperfetta, ma si trattava anzi tutto di far presto, perchè dal 1859 in poi si era sempre in uno stato di rivoluzione. Ben tosto però si sentì il bisogno di mettere un poco di ordine in questo caos, e ciò fu l’oggetto del riordinamento del 1861 e del 1865 e della legge del 14 maggio di quest’ ultimo anno che fu la carta, la costituzione delle ferrovie italiane. La loro organizzazione non comincia che da questa data. Le concessioni molte­ plici e di origine diversa furono fuse in un piccolo numero di gruppi omogenei e quindi i rapporti fra 10 Stato e le Compagnie furono determinati e rego­ lati. Ma il riordinamento non pose fine agli imba­ razzi e agli errori. Una crisi finanziaria, che gli av­ venimenti politici resero più complicata, non tardò a scoppiare, e da essa prese vita l’era dei disastri. 11 credito dello Stato e quello delle Compagnie, di­ venuti solidali si nuocevano a vicenda. Il ribasso della rendita italiana trascinava al ribasso i titoli delle ferrovie e il Governo dal canto suo rimpro­ verava a questi valori di pesare sui proprii conso­ lidati e per conseguenza sul mercato. Frattanto le Società non potevano pretestare mancanza di risorse e quindi fu necessario che il Parlamento con la legge del 28 giugno 1866 autorizzasse nuove con­ venzioni, in cui il Governo abbia cura di farsi ac­ cordare un aumento di vantaggi. Ciò non fu d’al­ tronde che un palliativo impotente: la situazione delle Società era ben lungi dal migliorare.

Nel 1867 il Governo credè venuto il momento di prendere un gran partito e di realizzare il progetto, da lungo tempo accarezzato, del riscatto. Ci si in­ gannerebbe infatti se si supponesse che essa fosse un’ idea recente, nata dagli ultimi disastri e che si fosse afferrata questa combinazione unicamente per­ chè costretti dalla necessità. Era lungo tempo che la si desiderava, per non dire che la si preparava. Il 31 gennaio dello stesso 1867, il ministro dei la­ vori pubblici, signor Farmi, di concerto col ministro delle finanze, signor Scialoia, presentava una legge tendente all’acquisto per parte del Governo delle obbligazioni e azioni di Società di lavori pubblici sussidiate o garantite dallo Stato. Si trattava sem­ plicemente di approfittare della rovina delle Com­ pagnie per fare un buon affare. La parola non è nostra, ma la si rileva dalla esposizione dei motivi che conteneva in proposito, dichiarazioni fatte con

una compiacenza e ingenuità singolari. La nuova misura, vi era detto, renderebbe allo Stato questa preziosa proprietà, già pervenuta in quel periodo di godimento produttivo, senza assumere contem­ poraneamente i pesi e le noie della maggior parte

delle costruzioni; e più sotto: È in facoltà dello Stato di rendersi padrone di p iù migliaia d i chilometri d i ferrovie a un prezzo molto inferiore a quello che gli stessi lavori che oggi vengono in sua proprietà, costerebbero a chi attualmente, è non solo nell’impossibilità di ricusarsi a cederli sotto pena d i un danno evidentemente p iù grande, ma di doverli cedere eziandio con riconoscenza. La combinazione svanì, ma siccome la si voleva, si ebbe cura di ritornarvi il giorno in cui in presenza di una Società rovinata, si comprese la necessità di cercare con una soluzione generale e duratura e non con espedienti effimeri il termine a questo ma­ lessere cronico da cui fino dall’origine con grave danno del paese, erano travagliate le imprese fer­ roviarie in Italia.

Ili

Abbiamo insistito nel richiamare alla memoria questa storia di fatti già molto lontani, perchè essa spiega meglio la situazione presente e ci permette di con­ siderare, sotto un punto di vista più completo e più giusto, le ragioni che invocano a vicenda i parti­ giani e gli avversarli del riscatto. Di queste ragioni buona parte ha un carattere del tutto generale. Esse derivano dalla natura delle cose e delle leggi che regolano in ogni tempo e in ciascun luogo i feno­ meni economici e non appartengono più all’Italia, che alla Germania, che a qualunque altro Stato, ove si presentassero gli stessi problemi. Ma esse ri­ vestono, a seconda del paese, forme differenti che derivano da varie circostanze e da un complesso di dettagli e di fatti speciali. È sotto questo punto di vista che noi le esamineremo con la scorta dei- fi opuscolo della Società A dam o Sm ith, il quale è un vero arsenale di argomenti e quasi un piccolo museo di armi diverse, con cui combattono, tanto in Italia come in Germania, i dialettici dei due campi. Cominciamo dalla tesi del riscatto.

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m eri? L’Ita lia fa rà da sè, qui come altrove. Se scoppia una guerra, quale sarà la nostra situazione, allorché le linee che danno accesso alla Penisola apparterranno a cittadini francesi e austriaci, quando le teste di queste linee sono Parigi e Vienna? La dignità del paese e la sua sicurezza esigono che le ferrovie appartengano allo Stato.

E non è allo Stato che deve naturalmente ritor­ nare il loro possesso ? Ci si ripete che lo Stato è un cattivo industriale : ma si tratta propriamente di un’ industria? Singolare industria, in ogni caso e ben differente dalle altre, perchè esclude l’iniziativa industriale, non vive che per mezzo di Società ano­ nime e non si esercita che per mezzo di funzionari e di impiegati; un’ industria in sostanza senza li­ bertà perchè lo Stato spesso la sussidia e sempre la sorveglia ; un’ industria da cui dipende la sorte di tante altre, un’ industria infine senza concorrenza, perchè in sostanza le strade ferrate non sono che dei monopolii: monopolio privato se esercitato da Società; un servizio pubblico se posseduto dallo Stato. Quale vai meglio? Nel primo caso l’esercizio si fa sotto il punto di vista dell’ interesse degli azio­ nisti e di quelli che vi traggono la loro esistenza, e spesso avviene che questo interesse è diametral­ mente opposto a quello pubblico. Si sa allora qual è la parte del Governo: il suo intervento, spesso riesce impotente e non contenta nessuno. Ma se esso stesso ne dirige l’esercizio, il suo interesse è quello di tutti, l’interesse della nazione.

Del resto abbiamo noi il potere di ricusarci? ab­ biamo forse libertà di scelta? Il riscatto ci viene imposto dalla cattiva situazione delle società. Non solo occorre una soluzione, ma bisogna che sia pra­ tica. Dovremo tentare di rialzare le società, d’infon­ der loro una nuova vita, e di dar loro dellegrucce perchè possano camminare? Chi può assicurarci che esse non ricadranno. Piuttosto che impegnarsi nell’opera dubbia ed ingrata di togliere alla morte degli esseri condannati, preferiamo il riscatto che ci si presenta a condizioni cosi favorevoli. E il riscatto suppone l’esercizio, perchè il concedere le linee a nuove so­ cietà sarebbe il ricominciare la serie degli imba­ razzi, degli errori, dei disinganni, e forse dei peri­ coli. D’altronde lo Stato non può suscitare timori, avendo fatto le sue prove. Nelle ferrovie Piemontesi che esercitò per qualche tempo, non lasciò cattiva memoria. Abbiamo di più degli esempi all’estero, come nel Belgio. E si conchiude dicendo: Queste grandi intraprese devono contenere necessariamente una parte di eventi buoni e cattivi se : lo stato le rafforza cosa accadrà? I.e perdite in fin dei conti onderanno a carico dello Stato, mentre i profitti ridonderanno a favore delle Società. La questione è di sapere se si preferisce riservarsi gli uni per in­ terdirsi qualunque pretesa sulle altre.

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IV.

Ecco la tesi dei partigiani del riscatto. Ascoltiamo adesso il liguaggio che tengono gli altri. E da prima come rispondono essi all’ argomento del pericolo nazionale? Voi temete, essi dicono, 1’ eventualità di una guerra, ed esagerate eccessivamente il pericolo di lasciare il passaggio delle Alpi in potere di una compagnia straniera.

Ma che siete forse in balia di esse? La legge del 20 marzo in due dei suoi articoli (gli articoli 280, e 281), prevedendo il caso in cui il Governo abbia bisogno del materiale, non gli permette forse di re­ quisire tutto, di disporre di tutte le linee liberamente e di sospendere l’esercizio se lo crede vantaggioso? Questa è la legge. Volete dei fatti? Come va che tali scrupoli non vi vennero punto uel 1863 allorché alla vigilia della guerra si concedevano queste linee strategiche ad una compagnia straniera ? E si aveva ragione di non tem ere: la guerra scoppiò e preci­ samente con l’Austria: ma vi fu alcun motivo di lagnanza contro questa Società mezzo austriaca ? No perchè in quella circostanza ben critica, il servizio della Società fu meritevole di ogni elogio, e i m i­ nistri di allora lo riconobbero altamente. Ma dicono i partigiani del riscatto, non siamo noi che abbiamo creato la situazione è dessa che ci si impone. E s­ sendo concesso che le Società non fanno bene i loro affari che languono e vanno a perire e che occorra qualcheduno che eserciti le loro linee lo Stato si trova costretto a incaricarsene. È su questo punto che gli avversari del riscatto rinforzano i loro rimproveri contro la condotta dello Stato. Lo Stato, dicono essi, è forse estraneo a questo disordine delle Società? Non è esso al contrario per una gran parte l’autore di questa situazione? Esso si lamenta dell’ impossibilità d’avere buoni rapporti con le Società, ma la loro diffidenza e la loro ostilità sono abbastanza fondate. Esso ha abusato in mille modi, per mezzo di un’ ingerenza vessatoria, dei diritti considerevoli che si era fatto accordare. Quanto all’ interesse dell’ unità nazionale, lo Stato non è esso armato di poteri più che sufficienti, per proteggerlo? E se si considerano le ferrovie non come un’ industria, ma come un pubblico servizio, lo Stato non è forse in grado di tutelare il pubblico contro i traviamenti della Società?

Qual è dunque la vera ragione che spinge il Go­ verno al riscatto? Lo spirito di centralizzazione a oltranza, il desiderio insaziabile di moltiplicare le proprie attribuzioni e di estendere la cerchia della sua potenza. La burocrazia prosegue la sua opera di distruzione contro le ferrovie accerchiando cia­ scuna Società con un vero stato d’ assedio. In In­ ghilterra pure è la burocrazia che si dà il maggior movimento per raggiungere il riscatto delle ferrovie. La burocrazia obbedisce a quell’ istinto che la spinge

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a sviluppare la propria esistenza a danno di altri esseri. Ragioni tìlosofiche, dite voi? In questa que­ stione del riscatto bisogna cercare le vere ragioni più in alto che in quelle messe avanti dagli uomini di affari. Dopo Sadowa, dopo Sédan, lo Stato cerca di allargarsi a spese della iniziativa individuale, o della libera associazione. Lo Stato autoritario, come 10 Stato socialista, desidera l’onnipotenza in tutto. Non dimenticate di qual forza può disporre quello Stato che esercita le proprie ferrovie ! qual’arme andate a concedergli, arme pericolosa per le pubbli­ che libertà! Quanti impiegati, quanti candidati agli impieghi dipenderanno dal Governo !

Ma vi è di più: vi è una verità incontestabile ed è che il movimento economico di un paese di­ pende strettamente dalle ferrovie. Chi le esercita può arbitrariamente disporre delle sorti del com­ mercio. Non è da temersi che il Governo un bel giorno sia spinto ad abusare di un simile mezzo di azione? Prendiamo un esempio. Yi sono delle regioni che si dedicano a un ramo speciale di pro­ duzione: Massa al marmo, la Sicilia allo zolfo, ecc. Eccoci alle elezioni : se il Ministero minaccia di alzare le tariffe in queste materie, nel caso in cui 11 suo candidato non riuscisse eletto, quale sarà la situazione di questi elettori ? Attualmente le Società possono essere tenute a freno dallo Stato, ma quando lo Stato si sarà sostituito alle Società ove sarà il controllo, il freno regolatore ? Nel Parlamento, nella stampa, nella pubblica opinione ? Sono essi una garanzia sufficiente? Non diamo tutto in balia dello Stato: più che gli date e più esso vi domanderà. Oggi egli reclama le vostre ferrovie, domani non potrà esso pretendere le grandi linee di navigazione marittima, che sono esse pure dei pubblici servizi? Ove si ar­ resterà questa mania di invasione?

A queste considerazioni politiche tengono dietro argomenti economici e di finanza. Il riscatto si dice è il mezzo: l’esercizio è il fine. Lo Stato vuole eser­ citarle ; ma lo Stato è un cattivo industriale. Si dice che una Società di commercio non guadagna molto ad essere troppo estesa; si cita una Società di fer­ rovie di un paese vicino, alla quale si rimprovera di abbracciare una rete troppo vasta, per poterla esercitare con vantaggio. Ma cosa avverrà quando lo Stato centralizzerà tutte le ferrovie della Penisola ? Quante difficoltà nell’applicazione ! quante questioni spinose ! quella delle forniture, per esempio. Per comprare il carbone bisogna tener dietro alle va­ riazioni del mercato, bisogna avere qualità commer­ ciali. Le avrebbero forse gli impiegati dello Staio? Saranno essi più intelligenti, e più economi degli agenti delle Società ? Nulla lo dimostra e abbondano invece le prove in contrario. La linea Calabro-Si- cula, per esempio, ove lo Stato si è palesato cattivo costruttore e le saline, ove si comporta tanto da

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inetto commerciante, quanto da industriale poco av­ veduto. Si dice: lo Stato non dà dividendi. Sia pure: ma esso non avrà più le imposte che vengono oggi pagate dalle Società. Si aggiunge anche che lo Stato non sarà più obbligato a iscrivere nel suo bi­ lancio il prezzo delle sovvenzioni, delle garanzie, ecc. Verissimo: ma dovrà iscrivervi le annualità del ri­ scatto: questo peso vale l’altro. E su questo parti­ colare entriamo anzi in un terreno sconosciuto. Quanto potrà valere questo esperimento dell’eserci­ zio da parte dello Stato? A qual somma ascenderà il riscatto ? P er le ferrovie Romane che si sono fatte, o lasciate cadere così in basso, occorre che lo Stato iscriva nel suo bilancio un peso di 6,500,000 lire (cifra tonda). Quale sarà per le ferrovie del­ l’Alta Italia? dieci milioni almeno. E voi volete get­ tare il paese nelle avventure, nel momento in cui le sue finanze non sono ancora assestate, quando le transazioni sono sempre soggette al regime del corso forzato, quando finalmente i contribuenti sono sem­ pre aggravatissimi d’imposte?

Tali sono nei loro punti essenziali le due tesi che l’una e le altre delle due parti strenuamente propugnano. Noi ci siamo limitati a presentarne un riassunto, evitando scrupolosamente di prendervi parte. In ambedue le parti abbiamo riscontrato ragioni molto concludenti, e tali da mettere in im ­ barazzo. Tale è stata la prima impressione prodotta nel pubblico. Si è creduto qualche tempo favorevole al principio del riscatto; ma oggi alcuni osservatori competenti ci scrivono che l’ opinione pubblica, è molto cambiata e che non si desidera lanciarsi in imprese azzardate. Ciò che è certo si è che l’idea del riscatto ha perduto con l’ultimo Ministero il suo migliore appoggio. La nuova amministrazione ha afferrato il potere animata da uno spirito affatto di­ verso e il Parlamento, con la scelta dei membri della Commissione incaricata di esaminare il progetto, manifesta chiaramente le sue ripugnanze.

Non evvi oggi in Italia, come in Germania, lo ascendente di un uomo e la sua volontà di ferro per infrangere tutti gli ostacoli. La loro situazione d’altronde, malgrado diverse analogie apparenti, dif­ ferisce sensibilmente. L’opera della unificazione è molto più avanzata in Italia e per conseguenza la necessità di centralizzare è minore. In Germania la rete ferroviaria era sminuzzata in un gran numero di Società : sembrava quasi un mosaico. In Italia al contrario vi è maggior coesione, essendo tutte le linee riunite in pochi gruppi omogenei. Finalmente in Germania, lo stato delle finanze le permetteva di tentare alcuni esperimenti : ciò che è affatto interdetto in Italia. È vero peraltro che le condizioni delle So­ cietàitaliane sono talmente critiche che urge prendervi rimedio. Bisogna scegliere un rimedio, ma quale? Il Governo e un partito numeroso proponevano il

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