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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.03 (1876) n.100, 2 aprile

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L'ECONOMISTA

G A Z Z E T T A S E T T I M A N A L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE. INTERESSI PRIVATI

Anno III - Yol. V

Domenici 2 aprile 1876

N. 100

¡L PORTO DI GENOVA

Ora che il voto del Consiglio Comunale di Geno­ va è venuto a spingere verso un pratico sciogli mento la quistione del porto, ci pare sia interessante riassumere brevemente la storia di siffatta quistione e le ragioni che hanno indotto quel consesso citta­ dino ad esprimere un parere favorevole all’ orienta­ zione a levante della apertura dei nuovi moli, che s’ intende costruire.

Ne induce ad uno studio di questa natura il pen­ siero, che la sistemazione del porto di Genova è tal fatto, che riguarda non solo quell’ ultimo lembo della Costa Italiana, ma tocca al vivo e interessa tutto il paese, il quale si attende e ben a ragione dai lavori, che lo Stato e la munificenza d’un pa­ trizio Genovese vanno ad intraprendere una larga sorgente di lucri, uno sviluppo dell’ attività Nazio­ nale, un rinascimento di quella potenza commerciale che pur troppo la nostra penisola è venuta, in que­ sti ultimi secoli, grado a grado perdendo.

1.

Dal giorno in cui l’ arte dell’ Ingegnere aperse 1’ ali a voli più audaci si accinse a scavare nuove vie ai mari e ad abbattere le frontiere montane, che avevano sin qui isolati in certo qual modo l’uno dall’ altro i popoli del continente, chiunque avea fior di senno cominciò a travedere che le correnti commerciali determinate dalla scoperta del passo alle Indie pel capo di Buona Speranza avrebbero potuto quando che sia modificarsi profondamente ed il bacino del Mediterraneo tornare un’ altra volta alla sua antica prosperità commerciale. Naturalmente Genova diede allora un pensiero al suo porto, ne indagò le condizioni nautiche, la posizione come scalo di transito, per vedere se fosse a tale da non temere la concorrenza straniera, e da presentare quei vantaggi e quei comodi, che soli poteano valere ad attirare ad essa il commercio fra 1’ Oriente ed i mercati dell’ Europa Centrale.

La risposta a queste domande non poteva che riuscire scoraggiante. Infatti il porto di Genova, quale esisteva or fanno trent’ anni e quale, da poche modificazioni all’ infuori esiste oggi giorno, è tutt’al­

tro che adatto a soddisfare le esigenze del commer­ cio come è esercitato oggi giorno dai piroscafi in ferro e dalle grandi navi della marina mercantile. Formato dal circuito delle colline che si staccano dal capo del faro volgendo verso l’ altipiano di Cari- guano e che in qualche punto scendono quasi a picco nel mare, il porto di Genova, mancava allora di larghe calate, di magazzini di scali, di vasti spazii per il movimento dei vagoni e dei carri, e per di più era mal difeso dai venti di mezzogiorno libeccio che dominano buona parte dell’ anno, sicché potea dirsi non presentasse nè sicurezza d’ancoraggio, nè mezzi acconci, al trasbordo delle mercanzie, opera­ zione principale in uno scalo di transito, quale si credeva potesse diventar Genova col taglio dell’istmo ed il traforo deile Alpi.

Avvisato il male si cercò di apportarvi quei ri­ medii superficiali, che erano consentiti dallo stato tutf altro che florido del bilancio nazionale, e fino dal 1857 si tentò col prolungamento del molo nuovo di rendere se non altro più tranquille le acque, mentre si dava opera allo ampliamento delle calate perimetrali, per facilitare l’ approdo alle navi, ed agevolare per conseguenza il movimento delle merci.

Un qualche vantaggio tenne dietro all’ esecuzione di queste opere secondarie, ma fu di breve durata, giac­ ché la costruzione d’ un ampia via littoranea, la quale staccandosi dalla punta delle Grazie, fuori del molo vecchio come in linea retta fino alla punta di S. Margherita, colmando il vasto seno di Giano, e la formazione di grandi calate dinanzi ai Magazzini Generali vennero a rendere sempre peggiori le con­ dizioni nautiche di quel porto.

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navi tra loro, la rottura delle gomene nei giorni di fortunale e mille altri inconvenienti da riuscire pre­ giudizievoli alla buona riputazione del porto. — D’al­ tra parte la costruzione di calate e banchine in quasi tutta la periferia del porto, non dava quei soddisfacenti risultati che se ne attendevano da prin­ cipio. — È vero che col loro mezzo più comodo di­ veniva il movimento delle mercanzie e il loro tras­ bordo dalle navi al vagone di strada ferrata, ma la mancanza assoluta di tettoie sulle calate stesse, l’in­ completo servizio dei binarii, il difetto di scambi fre­ quenti, e poi la deficenza di scali, di bacini, di opi- fizii pel raddobbo delle navi, d’ aree per il deposito di legnami, di ferro, di litantrace, neutralizzavano i vantaggi derivanti da quelle opere dispendiose, e mantenevano il porto di Genova, in uno stato d’in­ feriorità evidente di fronte a quelli di Marsiglia e

di Trieste.

Il problema pertanto che si presentava allora, cioè all’ aprirsi d’ un’èra novella di speranze e di lusin­ ghe per i porti mediterranei e che si presenta oggi ancora, quantunque alcune di quelle speranze ab. biano cominciato a dileguarsi, era doppio, ottenere cioè una maggiore tranquillità di acque, e provve­ dere in modo acconcio ai comodi del commercio.

Taluni nemici per sistema dei grandi progetti, e paurosi che dalle novità potesse derivare uno sposta­ mento qualunque del centro commerciale, mostra­ vano è vero di non credere assolutamente neces­ sario lo assicurare maggiormente la tranquillità delle acque, o si limitavano a provvedervi con nuovi pro­ lungamenti del molo occidentale; ma per la grande maggioranza, il bisogno, lo ripetiamo, era di doppia natura.

A soddisfare radicalmente al primo di questi bi­ sogni, furono in questi ultimi quindici anni formu­ lati numerosi progetti che la Rivista Marittima ha avuto cura di pubblicare, e che possono riunirsi in tre gruppi, secondo che propongono la orientazione della nuova bocca del porto a levante, o a ponente, od accettando un sistema misto, disegnano una diga con apertura orientale ed occidentale.

Ma gli studii di tutti questi compilatori di pro­ getti più o meno pratici e più o meno soddisfacenti allo scopo, sarebbero probabilmente rimasti ancora per lunghi anni allo stato di studii teorici, se non fosse stata la generosità senza esempio del Duca di Galliera, che sovvenendo con venti milioni il paese, spronò il Governo a prendere un partito decisivo ed a fare finalmente qualche cosa per Genova, che le sventure commerciali e l’ insipienza burocratica avevano gettato in uno stato di sconforto e di de­ cadenza economica.

Tra le condizioni che lo splendido patrizio pose al suo dono regale vi era pur quella che s’ avesse ad interrogare la rappresentanza comunale di Genova,

prima di decidersi per un progetto piuttosto che per un altro. Il Consiglio Municipale di quella illustre città si è quindi trovato in questi giorni dinanzi ai- fi arduo problema di scegliere tra venti o trenta pro­ getti il migliore, tra le dottrine più opposte, quella che avesse più sicure basi di verità e di solidi argo­ menti scientifici, ha dovuto trovare in sè stesso la forza per resistere alle varie correnti, che si anda­ vano manifestando nella pubblica opinione, determi­ nate da spirito di parte, da convincimenti profondi, o da privati interessi.

D’ altronde agli occhi di taluno poteva parere che da parte del Municipio la quistione fosse in certo qual modo risoluta, od almeno pregiudicata colla sen­ tenza emessa dagli ingegneri Cialdi, Gioia e Fran­ colini, che allo studio dell’ ampliamento e sistema­ zione del porto si erano accinti appunto per incarico della Giunta, e che fino dal Dicembre scorso aveano presentata la loro relazione, nella quale si conchiu­ deva : doversi escludere assolutamente i progetti con bocca a Levante, ed accettare invece fi idea d’ un grande antiporto formato dal molo vecchio, dalle mura della Cava e protetto dallo scirocco mediante un lunghissimo molo che, staccandosi dalla punta della stella e descrivendo una curva molto sensibile, venisse ed incrociarsi col molo nuovo, alquanto pro­ lungato. — Ma a chi ben rifletta, questa osservazione era più speciosa che vera, giacché i tre illustri Com- missarii ripetevano il loro mandato dalla Giunta e non dal Consiglio, e poi sul loro parere, nè Consi­ glio nè Giunta, si erano ancora nè punto, nè poco pronunziati.

L’ Amministrazione Comunale poteva dunque senza idee preconcette prendere ad esame i tre tipi di porto proposti, ed infatti nella sua seduta del 27 Decem- bre 1875, il Consiglio nominò una Commissione composta della Giunta, di sei Consiglieri e di quattro membri della Camera di Commercio, con incarico di studiare specialmente il progetto compilato dalla Com­ missione Governativa del 1874 con bocca a Levante, quello con bocca a Ponente proposto dal Cialdi e dagli altri componenti la Commissione Municipale, e final­ mente quello dell’Ing. Amilhau con due Bocche. — Esaminiamo brevemente il risultato di questi studi coscienziosi e profondi.

L’ idea di una diga che, sbarrando ad una certa distanza nel mare fi apertura attuale del porto, ne vietasse fi entrata diretta, costringendo le Navi a pe­ netrarvi dalle due nuove bocche che venivano ad aprirsi tra l’estremità della diga stessa ed i moli e- sistenti, è stata dettata senz’ altro all’ Ing. Amilhau dal desiderio di ottenere una assoluta tranquillità di acque nel porto.

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2 aprile 1876 L’ E C O N O M IS T A 391 Ma d’ altra parte conviene riflettere che con la

diga non si riuscirebbe ad ampliare realmente il porto giacché i tratti di mare prossimi alle due bocche sarebbero troppo mal sicuri per tentarci l’ancoraggio delle navi e lo sbarco delle mercanzie, nè la zona contigua alla parte centrale dell’ antemurale sodisfa­ rebbe meglio a questo scopo, staccata come si trova dalla terra, dalla ferrovia, da ogni mezzo di comu­ nicazione , isolata in mezzo al mare e ridotta per necessità delle cose ad una striscia larga pochi me­ tri e quindi non suscettibile di tettoie, di magazzini o di vaste aree per il deposito almeno dei materiali da costruzione.

A questo si aggiunga, che colla diga proposta dall’ Ing. Amilhau, diga munita alle sue estremità di penelli, i quali hanno il loro riscontro in altri simili staccantisi dai moli oggi esistenti, si viene a ristringere talmente le due bocche d’ entrata, che lo ingresso nel porto diventa difficilissimo in tempi di calma e quando il vento tace, ma quasi impossibile od almeno estremamente pericoloso quando imper­ versa il libeccio, od il scirocco.

Non è quindi a maravigliarsi se i componenti la Commissione, uditi uomini tecnici, ingegneri, pro­ fessori e marinai si pronunziarono contro il sistema della diga, sistema che ottenne un solo voto, deter­ minato piuttosto dal timore che la bocca di levante o quella di ponente non assicurino la tranquillità delle acque, che da vero favore per la proposta A- milhau, quale venne presentata allo studio della Com­ missione.

Eliminata così l’ idea di conciliazione, rappresen­ tata dalle due bocche e dalla diga Amilhau, resta­ vano soli a contendersi il terreno due progetti, quello di Cialdi e 1’ altro Governativo, di cui il primo o- rientato in modo da aprire la bocca del porto verso il Ponente, ed il secondo coll’ entrata verso il Le­ vante.

Il progetto Cialdi, caldeggiato da tutti coloro, che credono la sicurezza del porto di Genova dipenda dall’ escludere il vento scirocco, e che quindi vo­ gliono la bocca del porto sia aperta verso il Ponente, consiste, come abbiamo accennato più avanti, nel prolungamento dell’attuale Molo nuovo, e di quarantena, e nella costruzione di un altro grande molo (il Molo Lucedio) che staccandosi da una di quelle numerose punte rocciose che presenta la costa di Genova nello spazio che corre tra le Grazie e la foce del Bisagno e descritta una curva nel m are, venisse ad incro­ ciarsi colla punta del Molo nuovo ad una distanza di 700 metri lineari che tanta appunto sarebbe l’a­ pertura della bocca. Delle grandi calate, con non meno di sei ponti sporgenti, occuperebbero il fondo di questo antiporto, costeggiando la parte orientale della città, dalla penisola del Molo vecchio, fino al­ l’incontro del Molo Lucedio, ed un molo disegnato

in forma di un 4 coricato costituirebbe un piccolo bacino a ridosso dello stesso Molo vecchio e difeso ostinatamente dai venti tanto del 2° che del 3° qua­ drante. Finalmente lungo la periferia dell’ attuale porto verrebbero costrutti altri ponti sporgenti con tettoie, binarii, con tutto quello insomma che oc­ corre per rendere facili e spedite le operazioni del commercio.

Coloro che più impensieriti dallo imperversare del libeccio che non da quello dello scirocco, propen­ devano e propendono per 1’ orientazione a levante della nuova bocca del porto, contrapponevano al pro­ getto Cialdi, come il migliore tra tutti quelli del medesimo tipo, il progetto adottato dalla Commis­ sione governativa presieduta dall’onorevole Ribotty. Secondo questo progetto, un nuovo molo si stac­ cherebbe perpendicolarmente dalla punta dell’attuale molo di quarantena e dopo aver corso buon tratto di linea retta, piegherebbe fino a costituire due an­ goli ottusi, rimanendo colla sua testata alla distanza di 800 metri dalla costiera della Cava. Un piccolo molo formato da tre bracci si staccherebbe dal seno delle Grazie posto sulla costa orientale di Genova e spingendosi incontro all’ultima punta del Molo nuovo verrebbe a costituire un ampio bacino orientale per­ fettamente protetto dai venti di scirocco, come da quelli di mezzogiorno e libeccio. Anche in questo pro­ getto poi, si provvederebbe alla sistemazione interna ed alla creazione dei comodi occorrenti, mediante ponti di sbarco, e nuove calate maestrevolmente disegnate dagli autori, e che evidentemente dovrebbero mi­ gliorare le condizioni commerciali del porto.

Apertasi la discussione sopra questi due progetti, i pareri si rivelarono subito discordi, e le forze dei contendenti quasi pari, almeno numericamente par­ lando, sicché in seno alla Commissione non tarda­ rono a formarsi due partiti, dei Levcmtisti e dei Ponentisti, partiti che in breve si estesero anche fuori e giunsero a dividere momentaneamente tutta Genova, occupata come era a seguire gli studi e le discussioni importantissime della Commissione stessa.

I ponentisti, patrocinatori appassionati di quel pro­ getto redatto dai signori Cialdi, Francolini, e Gioia, del quale ci siamo studiati di porgere più sopra un sommario concetto, fondavano le loro convinzioni, sostenevano le loro opinioni coi seguenti argomenti.

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e cessati affatto dopo che quell opera fu compiuta. Con essa il vento di libeccio trovasi escluso com­ pletamente dal porto, e se in giornata le acque non vi sono tranquille, e 1’ ancoraggio non vi è sempre completamente sicuro, ciò lo si deve alla risacca prodotta dai mari sciroccali, sia nella loro azione diretta, che in quella di rimando e riflessa dell’ at­ tigua costiera, della Cava e delle Grazie. Ora, essi proseguono, se si orienti la nuova bocca del porto a levante, l’inconveniente lamentato non verrà meno di certo, ma sarà anzi aumentato dai lavori interni che non si ometterebbe di fare, e verrà così a man­ care uno dei principali scopi che si propone Genova coi suoi lavori del porto, quello cioè di ottenere una piena sicurezza e tranquillità d’acque nel bacino di operazioni.

A questa prima ragione colla quale i ponentisti sostengono i loro progetti, e che essi conlortano di molti dati e di molte osservazioni, due altre ne ag­ giungono, tratte dallo studio delle correnti Marine, e dalla Nautica.

Tre sono le correnti che possono in date circostanze esercitare una influenza nel porto di Genova, le cor­ renti che dall’interno tendono all’esterno del porto, le correnti mediterranee, e finalmente le correnti prodotte dall’agitazione del mare.

Delle prime non occorre trattare dettagliatamente, giacche derivando esse dalla immissione di rivi nel porto e da cagioni termiche, se possono influire sullo stato igenico delle acque, non hanno certo un gran peso nelle condizioni Nautiche del porto medesimo. Delle correnti Mediterranee si è molto parlato e in seno alla Commissione e fuori, attribuendo a queste una potenza sufficiente per determinare un interri­ mento del porto, nel caso se ne orientasse a levante la bocca. — Questa corrente mediterranea, che ra­ sentando le Coste, cammina da Levante a ponente con una velocità valutata di un quarto di miglio per ora, incontrando oggi la punta della Cava nella quale si urta, piega necessariamente per legge fi­ sica, e cansando il porto, oltrepassa la punta del Molo nuovo per spingersi verso Sestri, Pegli, e gli altri borghi della Riviera occidentale continuando così il suo viaggio littoraneo. Ora, colla bocca del porto orientata a levante, continuano i ponentisti, questa corrente, che nella sua deviazione passava fuori la testata del Molo nuovo, incontrerà necessariamente il nuovo braccio di questo stesso molo, che si in­ tende costrurre perpendicolarmente all attuale, e non avrà altro mozzo che quello, di entrare nel porto, trascinando seco le terre e i detriti che la foce del vicino Bisagno travolge nel mare ad ogni piena, de­ terminando così un interrimento sufficiente ad ostruire in breve la bocca del nuovo e costoso bacino.

Nè meno funesta all’avvenire del porto, rincalzano i fautori del tipo Cialdi, sarebbero le correnti del

terzo ordine, quelle cioè determinate dall agitazione del mare. È noto a tutti, essi dicono, che mentre l’onda nel mare profondo ha un moto verticale de­ terminato dalla forza di gravità e dal peso atmosfe­ rico, appena sente l’azione d’un minor fondo muta

il suo moto in orizzontale, insacca, come dicono i marinai, e collo spostamento della massa acquea che ne deriva, crea una corrente, che sarebbe pericolo­ sissima, se la bocca del nuovo porto fosse voltata a Levante, cioè verso la costa, anziché verso il mare largo e libero da influenze di questo genere.

Non paghi a tutti questi argomenti, tratti dalle lezioni dei Geografi-fisici, i ponentisti chiedono an­ cora altri aiuti alla Nautica. Con una bocca di porto aperta a Levante, essi dicono, l’ingresso sarebbe dif­ ficile alle Navi, sia che giungessero con vento in poppa da scirocco, perchè un tal modo di navigare negli approcci d’una rada presenta dei pericoli a cagione delle traversate, sia che giungessero con vento di libeccio, perchè ricevendolo nel fianco, sa­ rebbero spinte sulla costa della Cava, che l’esperienza dei marinai qualifica di insidiosa.

Queste erano in succinto le considerazioni, poste innanzi da coloro che seguendo le orme dei signori Cialdi, Francolini, e Gioia avversavano l’ apertura della bocca pel nuovo porto a Levante, accettando invece il tipo proposto dagli stessi ingegneri, d’un porto con bocca a ponente.

Alla loro volta i Iwantisti rispondevano. Sarà ve­ rissimo che il vento regnante è lo scirocco e più propriamente il mezzogiorno scirocco, vale a dii e i venti del secondo quadrante, ma quelli prevalenti per intensità, quelli che determinano sempre le vere tempeste sono per Genova i venti del terzo quadrante, che spirano tra mezzogiorno, libeccio e ponente li­ beccio. — È quindi prudenza elementare il difendere

anzitutto il nuovo porto da questi venti atti a pro­ durre tempeste e quindi danni incalcolabili, anziché da quelli che sebbene più frequenti e regnanti pure sono innocui alle Navi ormeggiate nel porto. — Il progetto governativo pertanto che fonda un largo molo a proteggere 1’ antiporto dai venti del terzo quadrante, obbedendo così al canone stabilito dagli uomini più competenti, di doversi cioè difendere il porto dal sopravento, è preferibile all altro del Cialdi che spalanca la bocca appunto in faccia a questi venti apportatori di procelle funeste.

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2 aprile 1876 L’ E C O N O M IS T A 393 nuovo vi spezzano enormi macigni, e si innalzereb­

bero inevitabilmente di diversi metri se invece di quella gettata incontrassero una superficie perpen­ dicolare. — All’ incontro le ondate di mezzogiorno scirocco partite dalla Sicilia spezzate nelle isole e nei bassi fondi dell’ Arcipelago Toscano non arrivano al molo vecchio, il molo fondato nel 1138 dall’ing. Ma­ rino Boccanegra, che fiacche e senza forza, — Vo­ lete una prova, aggiungono i Levantisti, della verità di questo fenomeno? Ebbene, eccovela e palpabile. La scogliera del molo vecchio esposta ai colpi della mareggiata sciroccale non esige rifiorimento che a grandi intervalli di tempo, mentre quella del molo di quarantena ad ogni imperversare del libeccio do­ manda urgenti rinnovazioni. — Ora il progetto Gialdi colla sua bocca schiusa alla traversia, esporrebbe il bacino interno a tutte le commozioni d’un mare a- perto, a tutti i pericoli, a sfuggire i quali, i porti sono appunto creati; mentre all'incontro il progetto governativo che evita questo pericolo, che salva dalle ondate funeste del libeccio il bacino del porto, prov­ vede assai meglio alla sicurezza dell’ancoraggio. È vero che esso non impedisce se non in parte e col molo che si stacca dalle Grazie, l’entrata in porto delle ondate sciroccali, od almeno della loro rifles­ sione, ma l’esperienza insegna che queste non sono a temersi e possono al contrario rendere un impor­ tante servizio, se è vero ciò che dice Minard che V agi ation est necessaire pour conserver la p ro - fondeur.

All’argomento delle correnti, e dei conseguenti interrimenti, del quale si fan forti i ponentisti per sostenere il tipo di porto proposto dal Gialdi, rispon­ dono senza ambagi i Levantisti.

La corrente littoranea è troppo lenta nel golfo di Genova, per poter produrre modificazione delle spiag- gie ed interrimenti di porti, e solo vi riuscirebbe, se fosse aiutato dal movimento dei flutti; ma i venti del 3° quadrante essendo per la loro forza e fre­ quenza capaci di un lavoro complessivo maggiore di quello dei venti del 2° quadrante, ne deriva che il mo­ vimento dei flutti ha luogo da ponente verso levante e quindi in contrasto colla corrente Mediterranea, che ne rimane paralizzata e distrutta.— A questo si aggiunga, che la Costa Orientale di Genova fino a Ghiavari è rocciosa e di natura tale da dare scarso tributo di detriti al Mediterraneo, mentre quella di ponente ha numerosi corsi d’ acqua e vallate ricche di terreno vegetale, che in caso di piena può venire travolto nel mare. — Il Bisagno, questo innocuo torrente, che vien convertito d’un tratto in un nemico che aspetti di poter interrire il porto di Genova, rare volte arriva gonfio alla foce, nè da tanti anni dac­ ché è rinchiuso in così modesti confini, accennò mai a velleità di trasformazioni, alla creazione d’ un Delta, testimonio della sua facoltà di interrire.

Che più? anche qui l’esperienza conferma la teoria giacché se esploriamo la riviera Occidentale incon­ treremo frequentissimi dei pennelli che si protendono in mare perpendicolarmente alle spiaggie. La storia di tutti questi pennelli, dice T Ing. C. Parodi, il re­ latore dei Levantisti, dimostra che per bonificare un tratto di spiaggia che era in corrosione, si immaginò e si costrusse un pennello all’ estremità orientale del tratto stesso, onde trattenere le sabbie che arrivano da ponente. I risultati corrisposero alle previsioni, e gli interrimenti si formarono appunto contro la prominenza soggiacente.

I pericoli pertanto, ai quali accennavano i fautori del progetto Gialdi non esistono affatto; la bocca del porto aperta incontro al Levante non può dar luogo ai danni che si prevedono, a meno che si invertano le leggi fisiche determinanti i fenomeni che si è cre­ duto di dover ricordare.

Anche alle obbiezioni sulla maggiore, o minore facilità di entrata nel porto, quando questo abbia la sua bocca orientata al levante, rispondono i fautori del progetto Governativo:

Un bastimento che arrivi dall’alto mare, con tra­ versia di libeccio drizza sempre la prora su Porto­ fino (ultima punta orientale del golfo di Genova) e di là, valendosi del vento che in vicinanza a quella costa si rivolge verso Scirocco, fa vela diretta ed en­ tra in Genova, se la bocca del porto è orientata a Levante, mentre colla bocca a ponente dovrebbe da Portofino navigare su Sampierdarena, ivi giunto, virare di bordo ed entrare, seppure non lo cogliesse un momento di calma od un salto di vento, fre­ quenti fenomeni di quei paraggi, o una tardata ma­ novra non lo cacciasse contro il capo del Faro come più d’ una volta è accaduto, in tempi non molto remoti.

Noi non insisteremo maggiormente, nè entreremo in più ampi dettagli intorno a questa discussione alla quale porgevano argomenti le risposte dei marini, dei negozianti e degli ingegneri che la Commissione ha creduto di dovere interrogare, onde decidere con una piena e completa cognizione dì causa. Ci è ba­ stato accennare ai punti principali di discrepanza prima di dire che raccolti i voti se ne ebbero: 12 favo­ revoli al progetto Governativo, 9 pel quello di Cialdi, ed I per la Diga.

Portata la pratica al Consiglio Comunale, le discus­ sioni si rinnovarono, ma il voto non cangiò natura, giac­ ché nella sera del 4 Marzo essendosi finalmente prò* ceduto alla votazione risultò che il progetto Governativo avea ottennio 28 voti favorevoli, mentre quello di Cialdi non ne avea che 23 e 2 quello della Diga.

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che hanno passata la loro vita nelle osservazioni e negli studii dei fenomeni fisici, marinai che hanno corso molti anni e che all’ esperienza seppero con­ giungere il corredo d’ una educazione scientifica, in­ gegneri, che come il Parodi hanno una autorità in­ contestabile. — Questo ci sembra, debba tranquillare coloro che per convincimento salutarono come una sventura il voto del 4 Marzo, giacche un progetto diporto, che ha l’adesione d’ uomini competenti co­ me quelli, non può assolutamente presentare gli sconci che si mostra di paventare, ma dal lato tecnico riu­ nirà senza dubbio tutte le condizioni di sicurezza e di navigabilità che si possono desiderare.

Noi, da nostra parte, lo dichiariamo, siamo favore­ voli alla bocca a Levante, perchè crediamo innanzi tutto che il supremo bisogno per Genova sia quello di difendersi dai venti e dalle mareggiate del terzo quadrante, e poi per le ragioni di sistemazione in­ terna, e di interessi economici, che andiamo a svol­ gere brevemente.

II

Coloro che attentamente studiarono le necessità interne del porto di Genova, hanno tutti concorso nell’opinione, che a provvedere acconciamente ai bisoo-ni del commercio e della Marina occorrono dai 6 a f 7 mila metri lineari di calate nell’ interno del bacino perfettamente tranquillo, e che queste calate debbono avere alle spalle uno spazio vasto abbastanza per potervi impiantare tettoie, scali di radobbo e armamento, cantieri per legnami, argani e stabili­ menti industriali per le riparazioni dei piroscafi in ferro e delle loro macchine, e finalmente doppi e tripli binari pel movimento dei vagoni e delle merc¡. _ È in gran parte per la mancanza di que­ ste comodità interne, che il traffico nel porto di Genova è andato sensibilmente diminuendo in questi ultimi anni, e chiunque ha frequentato quella piazza, sa quanto disturbo e quanto danno le arrechi, il dover spedire a Livorno o a Marsiglia i piroscafi, ai quali occorrono dei restauri., e di quante spese sia ca­ cone la mancanza di acconcie calate, e quindi la necessità di valersi di zattere o liuti pel trasporto da bordo al vagone delle mercanzie in arrivo nel ^ Ora noi domandiamo a noi stessi, se i ponentisti

avessero trionfato, se il Consiglio Comunale avesse fortificato col suo voto il parere degli Ingegneri ca­ pitanati dal Cialdi, forse che si sarebbe ottenuto di convenientemente provvedere alla soddisfazione dei bisogni ai quali acccenniamo? A noi pare che la risposta non possa essere che negativa.

Creato colla costruzione del molo Lucedio, un vasto antiporto volto al ponente, si sarebbe a costo di enormi dispendi! ottenuta una calata che rasen­ tando la dirupata ed alta scogliera della Cava sa­

rebbe corsa dall’attuale base del molo vecchio alla punta della stella, calata che si sarebbe anche cer­ cato di completare con diversi punti sporgenti o di sbarco, ma che, come tutte quelle che col sacrificio dello specchio d'acqua si sono create nel porto at­ tuale, non avrebbe servito che incompletamente al commercio. — Per giustificare questa nostra affer­ mazione, che a taluno meno esperto di cose commer- ciaìi può parere affatto gratuita, o quanto meno ar- rischiata, dobbiamo entrare qui in qualche dettaglio, che però cercheremo limitare in modesti confini, non protrarre di troppo questo già lungo lavoro sul porto di Genova.

Sono ben poche le merci, che possono senza in­ convenienti trasbordarsi direttamente dalla nave al vagone, e per le quali quindi è ottimo quel porto che ha calate costruite in un fondo d’acqua suffi­ ciente per cui le navi stesse possono ormeggiarsi al loro fianco in modo da eseguirsi il trasbordo col­ l’opera d’ un semplice congegno meccanico, ed anzi noi non sapremmo indicare tra questi che i carboni, i minerali, i ferri ed i legni da costruzione, merci d’ altronde che non aumenteranno nel porto di Ge­ nova, quando sarà aperta la linea del Gottardo, non potendo esse ragionevolmente formare soggetto di scambio per le regioni alle quali la nuova strada di ferro deve metter capo.

Per tutte le altre mercanzie, come zuccheri, co­ toni, caffè, lane, droghe, pelli ecc. il trasbordo diretto dalla nave al vagone è letteralmente impos­ sibile giacché essendo nella più parte dei casi indi­ rizzate a persone, o ditte diverse, occorre nello sbar­ carle potere anzi tutto verificare pesi e marche, onde consegnare a ciascun destinatario ciò che gli spetta e non altro, occorre riparare i guasti avve­ nuti nell’ imballaggio, e finalmente se durante la traversata si incontrò la più leggera avarìa, occorre aprire le balle, o le casse, onde i periti constatino il danno e liquidino l’ indennità a carico delle Com­ pagnie assicuratrici.

Nella pluralità dei casi pertanto, il vantaggio di avere la nave ormeggiata di fianco al vagone di­ venta illusorio, se tra la nave e il vagone stesso non corre un largo spazio, protetto dalle intemperie e sul quale potere spiegare tutte le merci che il pi­ roscafo, o la nave si è affrettata di mettere a teira, uno spazio nel quale compiere tutte le operazioni indicate, e che pure è indispensabile precedano la caricazione sul veicolo della strada ferrata.

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2 aprile 1876 L ’ E C O N O M IS T A

395 gni di noleggiatore, e dove la merce ancora non è

gravata da spese di trasporti terrestri — Ecco quindi la necessità d’avere alle portate di queste calate, nu­ merosi e comodi magazzini accessibili ai carri delle ferrovie e disposti da modo da fornire facile e sicuro ricovero alle merci stesse — Non è così facile come può sembrarlo a prima vista il provvedere ad un bisogno siffatto, e per convicersene basta il riflettere, che tutti i grandi magazzini generali costrutti con tanto dispendio, sono appena sufficienti ad accogliere 20,000 balle di cotone Americano, mentre già a gior­ nate ne arrivano al porto di Genova 61,000 balle, e questi arrivi dovranno triplicarsi almeno, quando il nuovo tunnel Alpino avrà avvicinato a quello scalo le fabbriche svizzere e tedesche.

Quello che diciamo del cotone ripetiamo dei ce­ reali In giornate il deposito a Genova si valuta di 600,000 Ettolitri, deposito che richiede un area di 60,000 metri quadrati di magazzino, i quali ne­ cessariamente e in un porto ben ordinato dovrebbero essere collocati a breve distanza e dal punto di sbarco e dal binario della strada ferrata — Ripetiamo que­ sti calcoli per le stoffe, i coloniali, i metalli, le dro­ ghe, teniamo conto del prevedibile aumento e noi vediemo quale immenso servizio di magazzini si ri­ chiede, seppure vuoisi avere un porto che a buone condizioni di ancoraggio riunisca tutti i caratteri di un grande emporio commerciale.

Nè con questo abbiamo fluita T annoverazione dei bisogni urgenti a cui devesi provvedere con una ra­ zionale sistemazione del porto di Genova, giacché ol­ tre al comodo movimento della merce, occorre di dare anche un pensiero agli eventuali bisogni delle navi, e più ancora a quelli dei piroscafi che se non erriamo saranno i mezzi più frequenti di trasporto per il commercio fra l’Oriente e la Germania a cagione dei venti periodici che contrastano spesso ai velieri il passo del Canale di Suez. In oggi uno scalo di pochissima importanza addossato al molo vecchio, un bacino nella darsena ed un bacino galleggiante co­ stituiscono tutto il corredo col quale a Genova si provvede ai bisogni delle navi, ma ivi non sono sta­ bilimenti mettallurgici per le riparazioni delle mac­ chine, o delle lamiere, non scali di raddobbo per le navi in legno, non numerosi e vasti bacini per i grandi navigli, nessuno insomma di quei vantaggi che presenta il porto di Marsiglia, coi suoi doks, e colle sue officine, dove un piroscafi*che arriva dalle Indie, in due, o tre giorni ripulisce la carena, rimette le lamiere guaste dai marosi dell’Oceano, ripara la mac­ china e parte tranquillo per un nuovo viaggio.

Ora noi domandiamo ancora una volta, dati tutti questi bisogni, di calate, con tettoie e magazzini, di bacini, di scali e di opifici, come vi potrebbe prov­ vedere il porto proposto dall’ ingegnere Gialdi colle calate alle Grazie ed il gigantesco molo Lucedio? Co­

me conquistare lo spazio in quella località rocciosa dove non è spiaggia, non pianura ma una collina alta venti o trenta metri e tagliata a picco sul ma­ re? — A furia di milioni riusciremo a fondarci una calata di cento metri di larghezza, ma che cosa sono questi cento metri, di fronte ai bisogni pur dianzi indicati, mentre alle sue spalle non avremo facili ac­ cessi, non magazzini, non stabilimenti, non pronti e comodi raccordi colle strade ferrate transapennine?

Ma giunti a questo punto ci pare d’intender sen­ z’altro, i fautori della bocca a ponente opporci trion­ fanti la domanda, e forse che il porto quale fu ideato negli uffici governativi con la bocca a Levante, pre­ senterà tutti questi vantaggi, supplirà a questo scopo meglio e più efficacemente di quello proposto dal Cialdi? — A questa domanda una franca risposta: noi non Io crediamo, od almeno stimiamo che l’unico punto di vantaggio per esso consista nella maggiore vicinanza e facilità di raccordo tra i binarii che cor­ reranno lungo il nuovo molo e la stazione di Sam- pierdarena considerata oggi come testa delle linee piemontesi e lombarde. — Ma la ragione che a noi persuase di patrocinare il progetto governativo oltre a quelle d’ ordine tecnico, che ci siamo sforzati di riassumere in principio, è quella che con questo pro­ getto diventa facile, ed anzi diverrà necessaria, la creazione d’un vasto bacino a ponente al di là del capo di Faro e che racchiuda la spiaggia di Sam- pierdarena. — Questa idea formulata già da qualche tempo, ma venuta soltanto in discussione dopo che l’ onorevole De Amezaga ne ebbe fatto argomento d’una lettera al giornale la Nazione, è chiamata inevitabilmente a fare il suo cammino, e noi crediamo per conseguenza sia unico progetto di porto accet­ tabile quello, che si raccorda all’attuazione di quella idea, che la rende possibile, o come meglio dissi ne­ cessaria.

Sampierdarena ricco borgo che conta più di 18,000 abitanti, con una larga e comodissima spiaggia, con un numero infinito di fabbriche d’ogni natura, siede come è noto alle porte di Genova, dalla quale sol­ tanto la divida il capo del faro. Si tratterebbe quindi di incorporare questa operosa borgata alla città di Genova, e creare davanti ad essa dei grandi bacini affatto simili a quelli di cui !’ impero ha dotato Marsiglia, bacini ai quali si accederebbe mediante una Locca da aprirsi nel molo nuovo, e che quindi necessariamente resterebbero tributarii de! porto di Genova.

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poi si avrebbero le calate vastissime, i magazzini ampii, comodi e numerosi, tutta Sampierdarena es­ sendo già collegata alla spiaggia con binari che si incrociano, in ogni senso; e poi spazi adattatissimi per cantieri di costruzione e raddobbo , e per scali d’alaggio, confinanti con uno dei più importanti sta­ bilimenti meccanici dell’Italia; e finalmente si avrebbe tutto il comodo di ampliare la stazione ferroviaria fino a renderla una delle più vaste delle antiche provincie.

Malgrado tutti questi vantaggi però, la grande mag­ gioranza di Genova è contraria all’ annessione di Sampierdarena ed alla costruzione di questo bacino, il quale, come già accennammo, sarebbe identico a quelli che hanno arricchito Marsiglia.

La causa di questa avversione, della quale gran parte dalla stampa locale, non ha cercato di lare un mistero è un malinteso timore, un idea gretta e me­ schina ; la maggioranza infatti paventa colla creazione del porto a Sampierdarena di veder disertate le vie di Genova a favore del nuovo sestiere che si costi­ tuirebbe, di veder rinviliti gli stabili, le botteghe, gli uffici a profitto di quelli della borgata che si proporrebbe di annettere.

Abbiamo un bel negarlo, ma sotto la corteccia dell’italiano l’idea municipale pullula sempre, e queste gare di campanile, se scompaiono dinanzi all inte­ resse generale della nazione, risorgono però sempre quando questo interesse non è che in seconda linea.

Del resto entrando nelle idee di questa maggio­ ranza, e sposando per un momento le sue gelosie municipali, noi non possiamo ammettere chela creazione del bacino di Sampierdarena rechi reale detrimento ai vecchi quartieri di Genova, giacché il commercio non diserterà piazza Banchi, o la Borsa, per le ven­ tose piazze poste alla periferia della nuova città che verrebbe così a costruirsi, ed il centro, l’anima e la vita di Genova sarebbero sempre dove sono i palazzi e le case adatte ai bisogni di agiate famiglie, dove sono tribunali, municipio, posta, telegrafo. A Sam­ pierdarena tutto al più si impianterebbe quella classe numerosa di manuali, braccianti e facchini che vive ' nel porto e del porto e che oggi popola le ville cir­

costanti a Genova; ma questa emigrazione nemmeno riuscirebbe a detrimento delle civiche finanze, dal momento che contemporanea alla fondazione del nuovo bacino, avrebbe ad essere 1’ aggregazione di Sampierdarena.

Marsiglia creando i nuovi bacini abbastanza lon­ tani dal vecchio centro, non ha visto spostato il com­ mercio, e la antica città non ha sofferto nè punto nè poco da quell’ ingrandimento, che aumentando 1 im­ portanza della piazza ne accrebbe anzi il movimento e le rendite.

Non è dunque da credere che la attuazione del­ l’idea patrocinata dall’on. De Amezngn, possa trovare

un serio ostacolo nei materiali interessi offesi. Di primo acchito essa può avere impressionato gli a- nirni, ingenerato un allarme, ma a lungo andare, e quando i lavori del molo che devesi congiungere a quello di quarantena andranno avanzando, mani­ festa apparirà la convenienza di accettare intero il progetto governativo e di creare il vasto bacino di­ nanzi a Sampierdarena.

Allora il porto di Genova protetto dallo scirocco mediante il piccolo molo che si staccherà dall’attuale via di circonvallazione a m are, sicuro dai venti e dalle mareggiate di libeccio, mercè il poligono otte­ nuto colla prolungazione del mòlo nuovo, fornito di un vasto bacino perfettamente tranquillo, con calate, binarii, magazzini e scali di • alaggio, sarà senza con­ trasto uno dei primi porti del mondo, e 1 opera alla quale il principe di Lucedio consacra la sua fortuna, sarà pari agli alti destini che l’avvenire risalva a Genova, come a scalo naturale del traffico tra 1 Oriente e l’Europa centrale.

I TRATTATI DI COMMERCIO

Letteiia I.

A l Chiarissimo sig. Direttore dell’Economista Firenze. Mi son pervenuti gl’inviti per le pubbliche confe­ renze tenute dalla Società Adamo Smith, e sono al­ quanto dispiacente di non aver potuto assistere per­ sonalmente alle sapienti discussioni che vi si sono fatte, perchè trattenuto qui non soltanto dal dovere dell’insegnamento, bensì per la stagione invernale che accresce per noi isolani le difficoltà di recarci sulla terra ferma.

Ho letto nel suo pregiato periodico le stupende conferenze intorno ai trattati di commercio, ed Ella potrà facilmente comprendere come io sia lieto della scelta di questo tema che intendeva provocare coi miei articoli pubblicati nei numeri 38, 39, 43, del- 1’ Economista col titolo L a libertà del commercio c il dazio consumo.

Io allora cominciava i miei articoli con le seguenti parole :

« Presento un quesito agli economisti della scuola » liberale per discutere, se il principio, ormai assi- » curato della libertà del commercio possa conci- » liarsi coll’esistenza« del dazio consumo, il quale » prende ognora delle proporzioni smisurate ed » enormi che aggravano ed attristano la condizione » dei popoli. »

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2 aprile 1876 L’ E C O N O M IS T A 397 Ed io fui indotto a trattare questo argomento, è

già un anno, (in febbraio 1873;) in seguito al di­ scorso dell’onorevole ministro Minghelti del 23 gen­ naio di quell’anno, con cui egli manifestava di avere disdetto il trattato di commercio colla Francia, nella fiducia che quella Nazione, non che l’ Austria e la Svizzera avrebbero aderito al desiderio del Governo italiano di negoziare nuovi trattati nel più breve tempo possibile.

Perlochè nel mio ultimo articolo io soggiungeva; « dovendosi rivedere i trattati commerciali, e mo- » dificare le tariffe giusta le mire del Governo, » non si potrebbe adottare una base più scientifica » e più fiscale minuendo, o aumentando, secondo » i casi le tasse in guisa da ottenere un prodotto » assai maggiore di quello che prevede il ministro, » e tale da permettere, se non l’abolizione totale, una » sensibile riduzione nel dazio consumo?

» Io credo che anche senza toccare le tariffe, nello » stato attuale, con migliori metodi di riscossione, » o con una vigilanza meglio organizzata, si potrebbe » ricavare una maggiore rendita dalle dogane. »

Dopo un anno l’argomento da me toccato divenne più opportuno, e le conferenze della Sociètà Adamo Smith ne confermano l’importanza.

10 mi permetto adunque sebbene da lunge di en­ trare nella discussione per sottomettere alcune mie riflessioni agli onorevoli membri di cotesto illustre Consesso e a quelli precipuamente che presero parte nella discussione di siffatto argomento.

Procurerò di seguire, fin dove mi sarà possibile l’ordine dei temi proposti per le conferenze di cote- sta Società, come atto di omaggio verso la mede­ sima.

11 primo tema è questo: Se si debbano o no sti­ pulare trattati di commercio.

Su questo tema io sono dolente di non potermi trovare di accordo con l’egregio ed antico mio amico prof. Ferrara, il quale colla solita sua dottrina svolge le ragioni più incisive e i fatti più segnalati per di­ mostrare che la migliore politica commerciale sia quella di adottare decisamente i principi del libero cambio, anziché quella delle convenzioni internazio­ nali, anche mirandosi con esse all’attuazione graduale e successiva del regime di libertà commerciale. Que­ sta opinione, egli è vero, è conforme a quella dei più eminenti economisti e sarebbe da preferirsi, se tutti gli Stati o dirò meglio, se tutti i governi, che vanno al potere in tempi diversi, si trovassero sem­ pre convinti della necessità o della utilità di proce­ dere costantemente verso il regime dalla libertà.

Nello stato attuale avviene altrimenti. Le più co­ spicue nazioni sottostanno a un sistema di tariffe doganali, che per un certo pudore si dicono fiscali, ma che spesso riescono ad essere protezioniste.

I bisogni finanziari della più parte delle nazioni

non sembrano pervenuti al loro limite. Anzi coll’a t­ tuale andazzo di accrescere le attribuzioni e le ingerenze dello Stato, considerato come cooperatore della civiltà, codesti bisogni reali e fittizi tendono ad aumentarsi; e quindi i bilanci pubblici nella ge­ neralità degli stati minacciano di ingrossarsi.

Da questo lato adunque sembrami esservi poco da sperare in una riduzione di balzelli ; i crescenti bisogni invece spingeranno i governi a cercare do­ vunque delle risorse, e siccome il sentimentalismo umanitario s’ insinua di questi tempi troppo facil­ mente nelle riforme legislative, è da temersi cbe nell’ intento forse lodevole, di schivare quei'gravami che esacerbano la condizione del popolo, si ricorra con minore ritrosia ai dazi di confine, dichiarandoli fiscali.

Se tutti i governi fossero animati da una fede ar­ dente nel liberismo economico, si potrebbe certa­ mente cominciare in qualche paese ad usare una politica generosa sminuendo gradatamente le imposte doganali, senza cercare di ottenere per via di trat­ tati le stesse agevolezze in altri stati.

Si potrebbe allora sperare che l’esempio della liberalità di un Governo inducesse gli altri a seguirlo.

Ma quando vediamo, giusto in questo momento in cui si negozia pella rinnovazione dei trattati, miran­ dosi a favori reciproci, che alcuni stati, come 1’ A- stria e la Baviera parteggiano per una elevazione di tariffe che si aecosta al regime protettore ; e quando altri stati non si mostrano decisamente convinti della convenienza di adottare una tariffa più liberale; si può se non altro, sollevare il dubbio se l’Italia per esempio debba procedere generosamente verso la via della libertà, senza richiedere, ad altri paesi i me­ desimi vantaggi che noi accordiamo.

Io debbo certamente convenire che qualunque ri­ duzione daziaria, da qualunque parte si faccia, giova ad un tempo al paese che la fa come agli altri che ne profittano; ma se noi vogliamo attenuare il dazio sui tessuti inglesi, per nostro vantaggio non sarà cen­ surabile se cercassimo di ottenere in ricambio una riduzione ai dazi sugli olj, sui vini o su’ zolfi ita­ liani che si mandano in Inghilterra.

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» sempre un vantaggio per la Sicilia e per la Gran » Brettagna, nell’aumento rispettivo del consumo o » della produzione.

» Talché la rappresaglia è una punizione tanto al » paese che ha bisogno di comprare, come a quello » che a bisogno di vendere. *)

Posto ciò io debbo respingere quello spirito di reazione che fa persistere in un sistema erroneo , solo perchè altri stati ricevono i nostri prodotti con disfavore. Ma se volendo adottare una tariffa più consentanea ai principi del libero cambio, potessimo conseguire la reciprocanza; non sarebbe da conside­ rarsi affatto inutile la via delle convenzioni inter­ nazionali.

E però coteste convenzioni, dicono illustri eco­ nomisti, vincolano la libertà di azione delle parti con­ traenti, e quindi impediscono per tutto il tempo in cui dura il patto, qualunque riforma necessaria e urgente.

Questa obbiezione sembra di grave importanza ; ma io credo potersi di contrapposto osservare le se­ guenti cose.

Primieramente il vincolo alla libertà non è da un lato soltanto, ma si estende a tutte le parti contraenti. Questo vincolo sotto il profilo della stabilità delle tariffe, è un vantaggio non sempre immaginario o illusorio.

Difatti la Gazzetta d’ Italia che nel gennaio ul­ timo con stupendi articoli combattè vigorosamente il sistema dei trattati commerciali, nella questione della stabilità scriveva queste parole: finché ci si dica che il commercio ha bisogno di una tal quale peri manenza nei dati su cui le sue speculazioni si fon­ dano nulla avremo a ridire ; ma la questione è di sapere se abbia bisogno di quei 10 o 12 anni fino ai quali la durata delle convenzioni si estende.

La questione sarebbe così ristretta alla durata dei trattati; se 10 anni, è un tempo assai lungo, nulla si oppone che la durata fosse convenuta per un pe­ riodo più breve. Ma una certa stabilità la crediamo- assai utile nell’ interesse del traffico e dell’industria. E se il dotto articolista della Gazzetta d'Italia ri­ conosce che i Governi i più assoluti volendo rifor­ mare le tariffe han dovuto accettare il canone di un preavviso al commercio, onde non generare grandi perturbazioni; a me pare che un Governo impo­ nendo a se stesso un vincolo per riguardo al com­ mercio e all’industria nazionale certamente non farà opera inutile se potrà estendere questo vincolo, an­ che ai Governi stranieri, i quali colle loro riforme tanto nel senso protettivo come in quello liberale possono riuscire di nocumento all’ attività commer­ ciale o industriale di un altro paese.

l) Bruno — La scienza dell’ordinamento sociale — Palermo 1859. — Voi. 1. Lezione XX.

Ed io potrei addurre l’esempio delle filande di cotone in Sicilia le quali per certi numeri di filato sostenevano la concorrenza con quegl’inglesi finché l’ Inghilterra riceveva il cotone americano con dazio d’ importazione un po’ grave. Più tardi questo bal­ zello fu ridotto sensibilmente, e allora costando meno la materia prima, il filato inglese ribassò di prezzo, e le filande siciliane non potendo resistere alla con­ correnza furono costrette a chiudersi con la rovina di capitali ingenti.

Simili fatti che han potuto ripetersi altrove, ver­ rebbero in sostegno del principio della stabilità per un tempo più o meno lungo.

D’altronde io non posso comprendere come utile la frequenza delle riforme doganali, sulla quale fon­ dasi il bisogno della libertà di azione; i paesi più convinti delle libertà economiche non possono trasan­ dare di tener conto delle moderate e prudenti tran­ sizioni affine di evitare disastri all’industria e al commercio, che in tutti i paesi per effetto dei vecchi sistemi proibitivi e protettori, si trovano tuttavia col­ locati sovra basi, non sempre solide e naturali per sottostare a scosse troppo vicine e a trattamenti poco blandi ed improvvisi.

Ed io vedo che il ministro francese di agricoltura e commercio, sig. G. De Meaux, di accordo col mag­ gior numero delle rappresentanze commerciali della Francia ha reso omaggio a questo principio. Egli ha detto nel suo rapporto del 9 febbraio ultimo al Pre­ sidente della Repubblica: « les traitós sont pour l’ in­ dustrie, aussi bien à l’intérieur qu’au dehors, une garantie de stabilite, et la stabilite est une condition nécessaire de développement et de progrès. »

Anzi soggiunge il ministro che le camere di com­ mercio francesi hanno elevato delle obiezioni per quella clausola per la quale ciascuna potenza con­ traente stipula a suo profitto di essere trattata come ta nazione più favorita, e ciò perchè questa clausola, secondo il parere delle camere commerciali francesi, può compromettere la stabilità delle tariffe, princi­ pale vantaggio delle convenzioni internazionali.

Ora se la stabilità delle tariffe, dentro un periodo ragionevole di anni è un vincolo alla libertà di azione di uno Stato, questo vincolo è bilaterale; e pertanto racchiude tutti gli sconci e i vantaggi dei patti che obbligano ugualmente le due parti che contraggono. Un vantaggio però è incontrastabile ed è questo: Se nulla ha da temere un paese dalla libertà di azione del suo Governo, se anche possa aver fiducia che questa libertà non si eserciti che a vantaggio dell’in­ dustria e del commercio nazionale, ci è sempre da temere di qnesta medesima libertà di azione della quale possono usare a loro profitto tutti gli Stati che non sono obbligati da alcuna stipulazione.

(11)

2 aprile 1876 L ’ E C O N O M IS T A 399 e non abbastanza ponderate possono arrecar nocu­

mento ai paesi stranieri spostando l’industria dalla sua naturale direzione, o il commercio dal suo av­ viamento esterno.

E dappoi chi ci guarentisce che ricusando la via dei trattati per ottenere reciproche concessioni e adot­ tando generosamente un regime sempre più liberale, le altre nazioni ne seguiranno l’esempio, senza es­ servi astrette da un’apposita convenzione.

Non è forse il dubbio sulla velleità dei governi, e sulla difformità dei criteri, e delle opinioni degli uomini che li costituiscono, ciò che fortifica preci­ puamente il principio della libertà oppositrice dell’in­ tervento dello Stato?

Finché la Francia fu dominata dalla volontà di Napoleone III. credente nel libero cambio, potè sti­ pularsi un trattato anglo-francese affidato a due emi­ nenti liberisti il Cobden e lo Chevalier; e di con­ seguenza a questo trattato, che servì di modello, se ne stipularono altri cinquanta o sessanta, nei quali le tariffe dell’Europa sono state ridotte di circa il cinquanta per cento.

Senza questo trattato, quando pure l’imperatore avesse imposto alla Francia una tariffa liberale, l’uo­ mo che prese le redini della repubblica, A. Thiers, avrebbe reagito su quella tariffa per rimettere la Francia sulle basi della protezione, la quale avrebbe danneggiato tutti gli Stati che fanno con essa un commercio attivo.

L'Inghilterra egli è vero non deve la sua riforma liberale all’opera dei trattati; essi vennero più tardi dei grandi uomini politici, come gli Huskisson, i Peel, ed i Cobden, i quali ispirati alle dottrine della scienza economica liberale, seppero adottare un regime di libero cambio. Ma l’ Inghilterra che avea dato l’esem­ pio di questa politica generosa, nen vide troppo af­ frettarsi le altre nazioni a seguire la medesima espe­ rienza. Dalla riforma di Peel al trattato colla Francia erano scorsi 15 anni senza che si fosse fatta nei grandi Stati di Europa una riduzione importante nelle tariffe doganali.

E l’Inghilterra stessa, malgrado le sue riforme, anche dopo il trattato, persiste tuttavia nei dritti protettori e differenziali sui vini e su T alcool a dispetto delle rimostranze amichevoli dei Governi stranieri; locchè, al dire del Bunsen e del Visconte di Figanièr nelle loro corrispondenze al comitato del Cobden-CIub, ha ritardato il progresso del libero scam­ bio, e scoraggiati i partigiani di questa riforma.

Mi piace di riportare sul proposito alcune parole pronunziate dall’ illustre Chevalier nel toast del ban­ chetto del Cóbden-Club. « Sei trattati commerciali,egli « disse, che si sono succeduti di anno in anno dopo la « segnatura di quello del 1860 fra l’Inghilterra e « la Francia fossero rimontati ad una data più an- « tica; se il regime commerciale eh’ essi hanno

in-« stituito avesse funzionato da venti anni, anziché « da cinque o sei, in media, l’orribile guerra del * 1870 fra la Francia e l’Alemagna avrebbe potuto « très probablement être conjurée. »

Nè tampoco si può contare sulla stabilità della legislazione presso i Governi popolari, dove la pub­ blica opinione dovrebbe avere un predominio de­ ciso e potente. Sappiamo tutti che gli Stati Uniti nei primordi della loro indipendenza confidarono nel regime del libero commercio. E non ostante che per esso si fosse sviluppato rapidamente la loro po­ tenza industriale, pure nel 1842 formatasi una opi­ nione opposta alle idee costitutive di Franklin e di Iefferson, si decretò una tariffa doganale che scon- tentò il commercio delle nazioni straniere. Nel 1846 si trovò necessario di recedere alcun poco dal sistema di protezione, il quale si è rimesso più tardi sovra basi anche più rigorose che dominano tuttavia, tanto che il sig. David A. Wells, l’infaticabile difensore delle dottrine liberiste negli Stati Uniti, in una lettera al Cobden-CIub, parla soltanto di una opinione che va gradatamente formandosi in favore della libertà, limitandosi a sperare che si approssimi l’ora in cui il popolo degli Stati Uniti dimostrerà coll’azione legislativa eh’ esso è convinto della sterilità della dot­ trina opposta.

Da tutto ciò parmi potersi conchiudere che res­ pingendo la via dei trattati, e adottando una politica commerciale generosa e liberale non si può esser sicuri nè si può troppo sperare che gli Stati stra­ nieri per convinzione o per pudore si adagino al medesimo regime.

Questa verità è stata anche prima riconosciuta dall’illustre Ferrara, e sir James Montgomery Stuart nella sua lettera da Roma al Cobden-CIub sur Vavenir du libre-èchange en Italie scriveva esservi molto di vero nell’osservazione annunziata dal Fer­ rara nel suo opuscolo I I GermaniSmo in Italia, cioè che gli ammiratori dello Stato dimenticano che non vi è uno Stato ideale e che lo Stato attuale è ciò che sono gli uomini che lo governano. La Francia è socialista allorché Louis Blanc la dirige, essa di­ viene liberista sotto l’ influenza delle idee economi­ che di Napoleone III; e governata da Thiers- essa ritorna allo stato primitivo di protezione.

Ciò non pertanto, se io ho fiducia nel sistema dei trattati di commercio, non posso averla se non quando essi si fondano sul principio di un’assoluta re- ciprocanza, e allorquando, mercè coteste convenzioni, gli Stati procedono sempre nella via del libero scam­ bio, o almeno in quella di una moderazione nel re­ gime tributario indiretto.

(12)

scelta dei negoziatori, la pubblicità dei criterii, le inchieste precedenti, le discussioni della stampa e delle assemblee, e se fosse possibile anche la con­ temporaneità delle stipulazioni per non ledere il benefizio della stabilità, coerentemente al voto di molte rappresentanze commerciali della Francia, sono delle condizioni che vorrei vedere adottate in sif­ fatte convenzioni onde spogliarle da quei vizii che ne infirmano 1’ utilità e l’ importanza.

Sarebbe anche da studiarsi il pensiero di Roma- gnosi sull’ arbitrato internazionale pella cessazione dei trattati. Forse un tale espediente potrebbe con­ ciliare il principio della libertà di azione di cias- ! cuno Stato, colla stabilità delle tariffe nell’ inte­ resse dell’ industria e del commercio delle nazioni. Ed ora per non sorpassare di troppo i limiti di una lettera mi fermo dichiarandomi

Palermo 13 marzo 1876

Suo devot.

Pro f. Giovanni Bruno

Sul riscatto ed esercizio delle Ferrovie italiane

LO STATO E LE FERROVIE

Il Ministero dei Lavori Pubblici, poco prima della caduta dell’amministrazione presieduta dall’on. Min- ghetti ha pubblicato due scritti aventi i titoli qui sopra indicati. Noi ci proponiamo di far conoscere ai nostri lettori i punti principali di queste pub­ blicazioni, sia per l’ alta importanza della que­ stione di fronte all’ avvenire del nostro paese, sia per ragione di imparzialità. Limitandoci pertanto ad una semplice esposizione senza alcuna critica, ci ri­ serviamo di tornare per conto nostro sull’argomento, tenendo a calcolo questi nuovi ed elaborati lavori.

L’ordinamentodatoalla rete ferroviaria italiana colla Legge 44 maggio 4865 partiva, si dice, dal concetto che le Società private potessero meglio dello Stato provvedere direttamente alla costruzione e all’esercizio delle ferrovie. Si volle dunque costituire delle Società abbastanza potenti e comporre le cose in modo che per una parte almeno potessero pel grande traffico farsi concorrenza fra loro, togliendo il pericolo di un assoluto monopolio. A questi fini si provvide costi­ tuendo da una parte i due grandi gruppi delle ferrovie dell’ Alta Italia e delle Romane e modificando quello delle meridionali, e dall’altra assegnando a ciascuno certe linee che rendessero possibile la voluta concorrenza. Il sistema poi delle sovvenzioni chilometriche adottato per le Romane e per le Meridionali aveva per scopo d’interessare quelle società allo sviluppo del traffico e di ridurre mano a mano gli oneri del Governo.

Ma presto comparve un disequilibrio fra i mezzi delle Società e i loro obblighi. A ciò contribuiva una

grande ineguaglianza di condizioni fra i vari gruppi, talché le Società dovettero risentire in proporzioni molto diverse gli effetti della crisi finanziaria, che si manifestò anche prima della guerra del 4866, e da cui venne singolarmente aggravata.

Si anticiparono col consenso del Parlamento le pattuite sovvenzioni chilometriche, e così i lavori poterono proseguirsi, ma erano espedienti temporanei. Ilministero Ricasolialloranella tornata31 gennaio 1867 chiese al Parlamento con apposito progetto di legge la facoltà «di trattare colle Società di opere pubbliche, a cui fu per legge accordata una sovvenzione od una garanzia, e di stipulare, salva l’approvazione del Par­ lamento, contratti per l’acquisto delle obbligazioni ed azioni loro, e per la cessione dei loro diritti ed averi, mediante titoli di credito dello Stato portanti l’inte­ resse del 3 per cento. » Il 43 giugno 1867 il mi­ nistero Rattazzi chiedeva la facoltà di acquistare i diritti delle Società concessionarie delle ferrovie Ro­ mane, Meridionali, Calabro-Sicule, Sarde e di Savo­ na, dando in correspettivo titoli di crodito dello Stato portanti l’interesse del 3 per cento. Le proposte di riscatto non sono dunque nuove. L’Alta Italia era esclusa, perchè si credeva avesse elementi di vita­ lità; quanto all’ esercizio s’ intendeva provvedervi, dandolo in appalto per non più di 12 anni con prezzo determinato o con partecipazione negli utili. J)al 1868 in poi e in forza di varie disposizioni appartiene allo Stato pressoché la quarta parte della nostra rete ferroviaria (1966 chilometri, di cui 341 soltanto in costruzione). I riscatti operati furono approvati pres­ soché unanimamente dal Parlamento, e lo Stato eve­ nuto in possesso delle Calabro-Sicule, della ferrovia di Savona, di una notevole porzione della rete delle Romane, e ha stipulato contratti temporari di eser­ cizio per le ferrovie di cui lo Stato ha acquistato la proprietà. Ora si tratta di riscattare altri tre vasti gruppi, che renderebbero lo Stato proprietario di 8,094 chilometri di vie ferrate, di cui 413 in costruzione e 231 in progetto, restando all’ industria privata le ferrovie Sarde ed altre linee secondarie sul Conti­ nente.

Il principio del riscatto è formalmente stabilito e regolato dalla legge organica sui lavori pubblici e sanzionato dalle decisioni del Parlamento. È dunque tutta questione di opportunità.

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