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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.03 (1876) n.103, 23 aprile

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L'ECONOMISTA

G A Z Z E T T A SE T T I MANA L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno III - Voi. V

Domenica 23 aprile 1876

N. 103

SOCIETÀ ADAMO SMITH

Q u in ta c o n f e r e n z a p u b b lic a in to r n o a l r i s c a t t o e a l l ’ e s e rc iz io d e lle s t r a d e f e r r a t e t e n u t a in F i r e n z e i l 2 A p r ile 1876.

Tiene la presidenza il commendatore Ubaldino Peruzzi.

La seduta è aperta a ora 1 pomeridiana.

B i r a g h i — Domanderò innanzi tutto che mi si conceda benevola indulgenza perchè non ho l’abitu­ dine della parola all’improvviso, sebbene abbia 1’ a- bitudine di scrivere tutti i giorni.

L’onorevole Pareto ha fatta una esatta distinzione della questione del riscatto da quella dell" esercizio ferroviario; anzi ha indicata una soluzione diversa all’una e all’altra questione.

Colla separazione da lui nettamente determinata della questione del riscatto da quella dell’esercizio, egli mi ha preparata la via a presentare quella che pare a me sia la vera tesi per la soluzione finale del problema delle strade ferrate.

Da oltre cinque anni questa questione è innanzi al Parlamento, è studiata e trattata dai pubblicisti; da- 5 anni si è presentata una situazione la quale non ammette più indugi.

Noi dobbiamo liquidare il passato, dobbiamo dare un ordinamento nuovo a questo servizio, al quale si connettono i più vitali interessi del commercio, della industria, e della produzione. Questa, o signori, è la tesi che io mi propongo di svolgere.

Molti degli oratori hanno combattuto il riscatto e con ragioni che, considerate astrattamente, hanno molto peso. In astratto posta la questione : se lo Stato debba esser proprietario delle strade ferrate, nessuno economista, nessuno che segua i principj della liberici economica può esitare a rispondere che lo Stato non deve essere proprietario di strade ferrate e non deve ingerirsi al di là della linea segnata dalla sua mis­ sione di tutelare l’esercizio dei diritti dei cittadini della loro libera iniziativa, della loro spontanea at­ tività.

Ma la questione in Italia oggi non la possiamo più posare in astratto ; la questione si presenta sopra

un terreno ove l’economista e l’ uomo di Stato non hanno più libertà di scegliere un partito, ma devono subire le conseguenze di una serie di fatti.

Abbiamo dinanzi a noi la posizione della Società dèlie strade ferrate Romane; la Società delle Romane è già in via di espropriazione per consenso degli azionisti e per fatto del Parlamento. Nella legge del bilancio dell’anno passato è stata consentita la con­ versione delle azioni in rendita dello Stato.

D’ altra parte cinque o sei anni addietro, quando fu discussa ed approvata dal Parlamento la conven­ zione del 1868 per quella Società eravi forse ancora la possibilità di proporre ed adottare provvedimenti che avessero dato alla Società delle Romane una sufficiente vitalità, e le avessero dischiuso un nuovo avvenire. Ma le convenzioni del 1868, per le que­ stioni che agitarono il Parlamento nel 1868 e nel 1869, non furono approvate che nel 1870, vale a dire quando quei rimedi che colle Convenzioni stesse si volevano apprestare e che erano appena sufficienti nel 1868, non potevano più bastare a sanare mali divenuti più gravi e profondi nel 1870. Oggi si po­ trebbe aggiungere che del senno di poi son piene le fosse; oggi per quella Società trovar modo nuovo di riorganizzarla su basi stabili, su basi vitali, credo che sarebbe assunto lungo e difficilissimo per non dire impossibile.

D’altra parte lo Stato ha già per decisione e per fatto del Parlamento incominciata la espropriazione, ha già fatta la conversione delle obbligazioni di que­ sta società. Poteva forse lo Stato, poteva il Parla­ mento scegliere quella via che pur molti pubblicisti hanno indicata: il fallimento?

Il Governo, il Parlamento non potevano dimenti­ care la storia della costituzione di quella società, non potevano dimenticare che i gruppi toscani fu­ rono volenti o nolenti obbligati ad unirsi colla pri­ mitiva mal costituita Società delle Romane, la quale era già cadavere allorché colla legge del 1865 si volle effettuare la fusione delle linee Toscane colla rete delle Romane.

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il governo non poteva dimenticare che la fusione di questi gruppi era stata opera del parlamento e del governo, opera che dai fatti posteriori fu condannata, ma della quale la responsabilità risale sempre al go­ verno e al parlamento. Per la Società delle Romane m i pare che non resti altro che accettare il portato della logica dei fatti; la espropriazione è un fatto non dirò compiuto ma in via di compimento.

D’altra parte per la rete dell’Alta Italia il trattato di pace del 1866 coll’Austria obbligò il governo ita­ liano a devenire alla separazione amministrativa della rete italiana dalla austriaca, e questa separazione il governo ha riconosciuto che non si potrebbe effet­ tuare senza la completa separazione della gestione economica delle due reti. Ma l’ assoluta separazione di interessi dalla rete austriaca metterebbe in con­ dizioni molto difficili la rete italiana, imperciocché la rete italiana assai meno produttiva in confronto della rete austriaca, ha partecipato finora dei maggiori be­ nefizi, dei maggiori proventi della rete meridionale austriaca. Quando si dovette venire allo studio pra­ tico del modo di effettuare la clausula del trattato del 1866 si riconobbe che non vi era altro partito di adottare che una espropriazione per parte del go­ verno austriaco della sua r e te , e del governo ita­ liano della propria.

11 governo italiano ha dovuto fare altre considerazioni sulla rete dell’Alta Italia. Questa rete che abbraccia la valle del Po, la grande scacchiera strategica d’Italia si trova in condizioni anormali: io sono lontano da far questioni di nazionalità e di vani e ingiusti so­ spetti riguardo alle distinte persone che dirigono l’Am­ ministrazione e l’esercizio di quella rete. Ma non si può prescindere dal riflettere che una nazione la quale ha una scacchiera strategica della più alta importanza sul suo territorio, non può vedere con indifferenza che le linee ferrate di quella scacchiera siano in potere di una società che ha una direzione a Vienna e un’altra a Parigi.

Io sono lontano dall’ ammettere la ipotesi accennata dall’ onorevole Boselli il quale raccontava il fatto di mille vagoni concentrati all’improvviso a Nizza du­ rante la guerra del 1870, perchè credo che il fatto sia tutt’ altro che verosimile, anzi lo ritengo impos­ sibile. Ma in caso di difesa del territorio' nazionale è certo che la questione della padronanza assoluta delle ferrovie non è importante soltanto per non avere ingerenza di stranieri, o nel senso di escludere il pe­ ricolo di una scomparsa di materiale, ma anche sotto un altro punto di vista. Se un generale vuol prepa­ rare un movimento offensivo o difensivo, non lo può fare senza adunare grandi mezzi di trasporto in certi dati punti, perchè non potrà fare sbucare ad un tratto dei mezzi di offesa o di difesa in certi dati punti strategici come cannoni, munizioni ecc. Ora l’ essere un nemico informato tre o quattro giorni prima o

dopo di quei preparativi che rivelano una mossa strategica d’ alta importanza del generale, può essere, in caso di guerra, una ragione di un successo o di un insuccesso. E una battaglia vinta o perduta, oggi, può decidere e per molto tempo della vita e delle condizioni di una nazione.

È certo dunque che questa rete che ha un capo a Vienna e un’ altro a Parigi, e ha degli Amministratori padroni che sfuggono all’ autorità degli alti poteri del nostro Stato, è in una condizione anormale, della quale non potevamo e non dovevamo preoccuparci fino a quando le nostre condizioni finanziarie erano troppo meschine, ma oggi che la nazione cresce e sente il bisogno di esser padrona di sé e di tutte le sue forze, non può tollerare più a lungo una situa­ zione che in certe evenienze potrebbe esser pericolosa di troppo.

Da una parte dunque la necessità portata dal trat­ tato del 18 6 6 e dall’ altra la ragione strategica e po­ litica rendono inevitabile il riscatto e la espropria­ zione della rete dell’ Alta Italia. Dirò ancora, che nelle provincie stesse dell’ Alta Italia, appena si dif­ fuse la notizia della Convenzione di Basilea, e prima che se ne conoscessero i termini, da tutti i patriotti quella notizia fu accolta con molta sodisfazione come uno di quei fatti che sono necessari a compiere la emancipazione, e la indipendenza completa di una nazione.

Ammesso poi il riscatto della rete delle Romane e della rete dell’ Alta Italia, ne viene per inevitabile conseguenza anco quella delle Meridionali. Ma prima di parlare di questo mi interesse di accennare anco la ragione principale per cui credo che il riscatto sia una necessità fuori di questione.

Noi abbiamo bisogno di riordinare 1’ organizzazione del nostro sistema ferroviario perchè tra i molti er­ rori che la fretta, la inesperienza, le necessità poli­ tiche del momento ci hanno condotti a commettere negli anni passati in ordine alle strade ferrate, ci fu anco quello di aver male ordinati i gruppi ferroviari. Ora siccome un cambiamento nel nuovo assetto dei gruppi ferroviari non potrebbe esser fatto che dal Governo, è necessario che esso si renda padrone di tutte le reti per poter dare ad esse un nuovo ordinamento.

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e delle reti delle Romane, (per le quali da oltre tre anni è stata conclusa la convenzione di riscatto) non si poteva più evitare il riscatto delle Meridionali. Il riscatto delle Meridionali è la conseguenza necessa­ ria del riscatto delle altre due reti.

È poi vero quello che 1’ onorevole Ferrara dice­ va : ammesso il riscatto ne viene di necessità l’eser­ cizio governativo? Questo è quello che non ammetto, perchè non solo non credo alla necessità dell eser­ cizio governativo, e non ammetto un vincolo indis­ solubile tra questa questione e quella del riscatto; ma credo anzi che il riscatto apra la via ad una so­ luzione affatto nuova, a quel riordinamento nuovo dei gruppi ferroviari, al quale accennavo poc anzi. Io credo che l’onorevole prof. Ferrara non avrebbe af­ fermata in modo così assoluto e dogmatico la con­ nessione necessaria della questione dell’esercizio con quella del riscatto, e la dependenza assoluta di quella da questa, se avesse ben considerato qual differenza passa tra compagnie di esercizio e compagnie di co­

struzione. *

Le compagnie di costruzione hanno in Italia per­ corso un triste periodo, hanno fatta non buona prova. Si sono trovate a dover compiere le loro costruzioni in quegli anni in cui il credito dello Stato loro fi­ deiussore necessario ed obbligate era depresso, hanno dovuto accattare i capitali sul mercato all 8 al 9 al 10 e perfino all’11 per cento. Alcune di esse sono nate in quel periodo di tempo, nei periodi dei Pre- eire e dei Mirés ? tempi in cui vi erano grandi illu­ sioni nei grandi benefizi delle intraprese ferroviarie ; periodi nei quali i capitali delle società sfumavano fin dall’atto della creazione delle società stesse, come è avvenuto dell'antica società delle Romane. Hanno poi avuto a lottare contro altre infinite difficoltà, prima con la inesperienza del governo nostro, e colle esi­ genze eccessive, più tardi colla persecuzione orga­ nizzata dallo stesso governo, che negli ultimi anni parve dominato dal concetto e dal proposito di op­ p rim erle per abbatterle, di abbatterle per espro­ priarle.

Le compagnie di esercizio non sono esposte a tutti questi inconvenienti; per loro il capitale non si ri­ chiede in grandi proporzioni; il capitale per una com­ pagnia di affitto di strade ferrate è una garanzia di riserva più che altro. Esse non debbono correre 1 alea, i rischi della emissione di obbligazioni per accattare i capitali sul mercato; si possono costituire oggi in Italia sopra una base abbastanza sicura e definita, vale a dire si possono costituire calcolando prima, con elementi abbastanza fondati e positivi il costo del- l’ esercizio e il ricavo prebabile; hanno nelle statistiche compilate dalle Società esercenti, gli elementi della spe­ sa e dell’entrata. Quindi esse non debbono affrontare quei problemi oscuri, irti di incognite che dovettero affrontare le compagnie di costruzione. Di più una

Società di esercizio oggi si può costituire in Italia con persone edotte dalla esperienza, con persone che hanno fatta la loro prova e l’hanno fatta in un pe­ riodo ricco di insegnamenti e anco di amare delu­ sioni in Italia.

Se l’ onorevole prof. Ferrara avesse ponderata la differenza che passa tra le compagnie di esercizio e le compagnie di costruzione, io non credo che avrebbe esclusa la possibilità che accettato il riscatto si pos­ sono costituire compagnie di esercizio. Ma innanzi tutto perchè il Governo non potrà esercitare queste strade ferrate? Escludere affatto la possibilità che il Governo le eserciti sarebbe una tesi troppo spinta. Ma nessuno può ammettere che sia necessario nè conveniente l’ esercizio governativo quando rifletta quali sono i doveri e le funzioni del Governo e quali le condizioni amministrative del nostro regno d’Italia.

I difensori dell’esercizio governativo hanno ripe­ tuto (e lo ha svolto anco l’ on. Boselli) un ragiona­ mento che il Luzzati e il Virgilio hanno esposto e colorito in diverse pubblicazioni. Essi dicono: la strada ferrata è un monopolio naturale e artificiale, in quanto che sulla linea dove essa si esercita sopprime di ne­ cessità con la sua forza invadente ogni altro mezzo di trasporto, rende impossibile ogni concorrenza. Ora se è monopolio — concludono i sostenitori dell’ eser­ cizio governativo — piuttosto che lo eserciti un pri­ vato o un gruppo di privati, è meglio che lo eserciti il Governo nell’ interesse di tutti. La strada ferrata — soggiungono sempre i difensori dell’esercizio go­ vernativa — è un servizio pubblico inquantochè in­ teressa ogni ordine di cittadini, quindi è meglio lo eserciti il Governo anziché i privati cittadini; il potere governativo dello Stato lo eserciterà nell’in­ teresse di tutti.

La questione della concorrenza non mi pare che sia stata trattata completamente. L’onorevole Boselli e altri, parlarono della concorrenza che si può eser­ citare tra due linee parallele, ossia tra due linee eser­ citate tra due punti determinati. Essi dicono : se due linee di strada ferrata sono condotte tra due punti, si faranno da prima una rovinosa concorrenza, poi finiranno col mettersi d’ accordo e cresceranno le ta­ riffe a danno dei consumatori e di quelli che si val­ gono di questo mezzo di trasporto.

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da Firenze a Sesto, da Sesto a Prato, da Prato a Pistoia ecc.; su ciascuna di queste sezioni la fer­ rovia deve sopportare la concorrenza di ogni ge­ nere di mezzi di trasporto.

Mi ricordo di questo fatto : sulla linea di Bene- vento si ruppe un ponte alcuni anni or sono e la Società delle Meridionali dovette attivare un servizio di vetture per i trasbordi fra i due punti ove erasi formata l’ interruzione. In quel tempo si stabilì fra quei due punti, oltre quello organizzato dalla dire­ zione della strada ferrata, un servizio di altre vet­ ture. Ristabilita la circolazione nella strada ferrata, il servizio delle vetture non è cessato; e la Società delle Meridionali dovette studiar molto, e durar molta fatica per farlo cessare.

Le sezioni di ferrovie più vicine alle grandi città sono le più produttive. Nella linea Livornese le se­ zioni Livorno-Pisa, Empoli-Firenze daranno una media, considerate separatamente, più elevata che non dà tutta la intera linea. Su queste sezioni che sono le più produttive, le strade ferrate sopportano una concorrenza grandissima, continua. Sul tratto Firenze-Sesto vediamo quale quantità di omnibus, barocci e baroccini fanno concorrenza. Dunque ci è una concorrenza locale o, come dicono i fran­ cesi, della banlieu, che forma complessivamente una

concorrenza formidabile. Io mi ricordo, e anco l’on. Sacerdoti lo ricorderà che dalla valle del Liri, che ha importanti e numerose manifatture di carta, di panni e d’ altri prodotti, i carri e i barocci hanno fatta per molti anni una concorrenza formidabile alle ferrovie Romane (l’on. Sacerdoti fa segni d i a f­ fermazione) tanto che la Società dovette studiare

non poco e combattere per poterla vincere. Epppure, siccome i trasbordi si facevano dalle Manifatture della valle di Liri a Napoli, si trattava di una distanza di oltre 100 chilometri. Ci è dunque anche una con­ correnza che i mezzi ordinari più comuni di tra­ sporto sanno esercitare sovente anche sulle grandi distanze.

In Italia abbiamo infine un concorrente formida­ bile e quasi invicibile per le grandi distanze ed è il mare. Le nostre linee condotte in gran parte lungo le coste di una penisola che ha circa 4000 chilometri di spiaggie bagnate dal mare, hanno nel mare un concorrente formidabile. A Firenze più di una volta i negozianti si presentano alla Direzione della Società delle Romane per tenerle presso a poco questo discorso: Avrei questa mercanzia da mandare a Napoli; se la mando per mare da Li­ vorno spendo 5, ma non sono sicuro del giorno del- F arrivo ; se la mando a piccola velocità col mez­ zo delle strade ferrate romane spendo 10, ma so quando arriva; se mi venisse accordato di dividere la differenza tra il costo per mare e quello a ta­ riffa per la strada ferrata, io preferirei la strada

fer-rata. E di queste riduzioni negli anni passati se ne sono accordate frequentemente nell’ interesse del­ l’esercizio sociale della rete.

La Società delle strade ferrate meridionali non potè vincere, se non col ribasso delle tariffe, la concorrenza del mare per il trasporto dei grani, degli olj, delle frutta e dei vini delle Puglie ai mercati dell’ Alta Italia. Dunque il mare esercita una potentissima concor­ renza e principalmente in un paese della configura­ zione peninsulare quale l’ ha l’Italia. Di più qualunque sia la posizione della strada ferrata non può sottrarsi alla condizione degli altri servizi, vale a dire essa deve mettersi in equilibrio con le altre condizioni del mercato, perchè l’ utente trovi un rapporto tra il servigio che riceve e il prezzo che gli costa. Non si può ammettere che quando ne assumesse l’eser­ cizio il Governo, questo possa, imporsi e pretendere prezzi esorbitanti. Il Governo non potrebbe pretendere che per andare da Firenze a Napoli si pagassero 500 Lire, perchè allora si starebbe a casa e si rinun- zierehbe ad andare a Napoli. Molto meno una Società privata potrebbe innalzare senza suo danno le sue tariffe al di là del limite consentito dalle condizioni generali economiche, dalle condizioni del mercato. Anche per l’ industria ferroviaria la legge dell’equili­ brio tra l’ offerta e la domanda ha la massima efficacia. Dunque anche quello della strada ferrata è un servizio che è soggetto a tutte le condizioni dalle altre industrie, degli altri servizi ; può spingere le sue pre* tese fino all’ estremo limite del rapporto tra la do­ manda e l’offerta, ma deve subire per necessità il freno efficace della concorrenza.

Riguardo poi all’ordinamento amministrativo attuale dello Stato, lo stesso Ministero travolto dal voto del 18, nel presentare l'anno passato le convenzioni per il riscatto delle romane e delle meridionali, riconobbe esso stesso la impossibilità di coordinare l’ esercizio di 8 mila chilometri di strada ferrata con la macchina amministrativa attuale del nostro Stato. Qui per non dilungarmi in estese considerazioni ripeterò una osser­ vazione che ho fatto pochi giorni fa ad uno dei più distinti funzionari di strade ferrate. Io domandava a quel funzionario che da vari anni è alla testa di strade ferrate se avrebbe accettata la direzione di un grande esercizio di strade ferrate coll’onorario di 8 mila lire l’anno? mi rispose: No. — Ma io sog­ giunsi — il Direttore generale delle Poste ha forse un’ onorario maggiore ? Ha forse un servizio di minore importanza, di minore utilità per lo Stato e per il pubblico ?

B o selli — Questo esempio vale a dire che se il Direttore delle Poste ha 8 mila Lire e fa bene il suo dovere, un Direttore di strade ferrate con 8 mila Lire dovrebbe fare altrettanto.

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per-sonale tecnico di una capacità tutt’affatto speciale, e si potesse avere questo personale alle condizioni troppo modeste colle quali è trattato il personale della nostra amministrazione pubblica. Io non credo che sia possibile ottenere un servizio governativo di strade ferrate ben ordinato e bene amministrato, alle con­ dizioni colle quali sono trattati gli altri impiegati dello Stato.,,

Ma quando il servizio delle ferrovie fosse un ser­ vizio governativo e si fosse organizzato per esso un adatto personale tecnico che avesse stipendi molto magggiori di quelli fissati negli organici delle altre amministrazioni dello Stato, tutto il resto del perso­ nale addetto al servizio dello Stato vorrebbe allora rimanere nelle condizioni in cui si trova attual­ mente ?

11 Direttore delle Poste direbbe; perchè debbo avere uno stipendio molto minore al Direttore del tal tronco di strada ferrata, io che ogni giorno trattto dei milioni e molti, io che ho la responsabilità di un servizio molto più. geloso ed esteso? Vorrebbe rimanere nelle attuali condizioni?

Qualcuno osservò che quando il servizio delle strade ferrate fosse nelle mani dello Stato, comincerebbe in tutti gli ordini degli impiegati una tendenza a voler passare neH’amministrazione delle strade fer­ rate.

L’onorevole Spaventa aveva progettato di sostituire una amministrazione affatto separata e distinta da tutto il resto con un’organico e una scala di stipendi affatto speciale? Ma una volta che fosse creato que­ sto speciale ordinamento, tutti gli altri impiegati vor­ rebbero rimanere nelle condizioni attuali?

L’onorevole Spaventa quando in una lunga con­ ferenza ch’ebbi con lui qui a Firenze agli ultimi giorni dello scorso dicembre, io gli parlai delle Com­ pagnie di esercizio e gli esposi come organizzandosi le Compagnie di esercizio si potrebbe ordinarle in un modo affatto nuovo, disciplinarle con severi re­ golamenti, fissare basi normali e limiti per le tariffe, e al tempo stesso determinare secondo un concetto razionale il riordinamento delle linee, m i disse que­ ste parole: Questo era il mio ideale, ma fui com­ battuto e mi fu scartato. E quale era questo ideale? Lo esporrò a rapidi tratti all’adunanza qui racco'ta

e con questo chiuderò le mie povere considerazioni. V ideale da me formato era questo : che la rete

mal distribuita delle nostre ferrovie in Italia, di una parte delle quali si sarebbe potuto fare a meno, fosse divisa secondo la divisione stessa naturale, geografica d’Italia, in due grandi compagnie di esercizio, Cuna sul versante mediterraneo, l’altra sul versante adria- tico e meridionale, avendo ciascuna due grandi sboc­ chi della catena delle Alpi nell’ Alta Italia, 1’ una il Cenisio e il Gottardo 1’ altra il Brennero e la Pon- tebba.

Ciascuna di queste due grandi Società d’ esercizio con un sistema di linee ben distribuite dovrebbe a- vere tana linea facente capo a

Roma-I due grandi gruppi cosi formati dovrebbero farsi per necessità una concorrenza incessante, a vantag­ gio del commercio e dei cittadini. Il Governo po­ trebbe organizzare queste compagnie in modo da esercitare sopra di esse un sindacato ragionevole, ma altresì effettivo ed efficace. Colla creazione di que­ ste due grandi Società d’ esercizio sarebbe agevole provvedere più efficacemente all’ aumento dei mezzi di trazione, ora in gran parte deficenti tanto per il servizio delle m erci, quanto per i trasporti delle persone. Il Governo potrebbe obbligare queste com­ pagnie a provvedere le stazioni dei mezzi meccanici e dei manufatti che mancano, sì per i servigi del commercio come dei trasporti militari. Queste due Società noi oggi possiamo costituirle sopra un ter­ reno libero affatto, valendosi degli insegnamenti rac­ colti da una lunga e dura esperienza : possiamo di­ sciplinarli in modo da ristabilire 1’ armonia tra lo interesse dello Stato, quello della Compagnia e gli interessi dei cittadini nello esercizio delle strade fer­ rate, in guisa che le Società stesse prosperino e fac­ ciano prosperare il commercio, a benefizio dello Stato, proprio e della massa dei cittadini. Certamente il disegno enunciato così in modo sommario e appena abbozzato presenta ancora delle incognite. Perocché si dimanderà innanzi tutto chi creerebbe oggi, o come si costituirebbero queste compagnie nelle attuali con­ dizioni del mercato? Io credo che siccome a queste compagnie non si richiederebbero grandi capitali e siccome anco le loro incognite sarebbero minori as­ sai di quelle delle compagnie costruttrici, la loro formazione non sarebbe oggi una questione troppo irta di difficoltà. Certamente è necessario che uomini di credito, uomini autorevoli nelle sfere finanziarie assumano la iniziativa della creazione delle Società d’ esercizio e che 1’ opinione pubblica li secondi e non crei loro ad arte ostacoli coi sospetti chimerici coi quali altre volte si crearono gravissime difficoltà alla organizzazione di grandi intraprese finanziarie nel nostro paese.

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d’esercizio si possono ordinare in modo da dare, uno sviluppo ai traffici , alla industria ferroviaria e a tutte quelle altre industrie e ai tanti rami della pro­ duzione che a quell’ industria si connettono.

B oselli. — Le ultime discussioni eh’ ebbero luogo in quest’ assemblea si sono principalmente rivolte al- l’argomento del riscatto delle strade ferrate; e quasi tutti gli oratori furono concordi nell’affermare che, compito il riscatto, l’ esercizio governativo si presenta e s’ impone come una naturale conseguenza di esso così nell’ordine delle idee come nel campo della pratica.

Abuserei troppo della cortesia di quest’ adunanza se volessi rispondere partitamente a tutte le osser­ vazioni, alle obbiezioni tutte dei miei contradditori. Ma p arai eh’ esse si possano compendiare in alcuni punti principali.

Fu detto che il Governo Italiano procedette nel­ l’ ordinamento ferroviario del regno senza concetti saldi e chiari, con incertezza continua, con contrad­ dizioni frequenti, per guisa che ad esso si può dar colpa d’aver posto ostacolo allo svolgimento delle nostre strade ferrate. Nel 1863 si sono vendute a troppo buon prezzo le ferrovie dello Stato ed oggi si vuole a troppo caro prezzo riscattare tutte quelle che sono nel nostro paese; piena fiducia allora nella libertà dell'industria, cieca adesione oggi alle dottrine che conducono all’idolatria dell’ azione governativa.

Se le società ferroviarie in Italia ebbero sorti poco liete ed oggi si trovano in condizioni piene di danni e di pericoli, ogni loro male, ogni angustia loro è opera dello Stato. Errano coloro che nella storia fer­ roviaria dei nostri quindici anni di vita nazionale tro­ vano le prove d’ un esperimento fallito e le ragioni per accogliere un diverso ordinamento ferroviario; ciò eh’ è accaduto in Italia dimostra invece quanto sia perniciosa l’ ingerenza dello Stato nell’ industria delle strade ferrate e svela un concetto, lungamente maturato e seguito; secondo il quale si doveva pre­ parare, colle rovine delle società, l’usurpazione in­ dustriale e il predominio fiscale del Governo, per ciò fu da parte sua una guerra guerreggiata senza posa

contro le società e v’ è a temere che il riscatto sia stato prediposto in modo da apparire a chi guardi ben addentro nella verità delle cose un ricatto.

I riscatti che oggi si propongono non sono neces­ sari, non si appalesano utili ed opportuni.

La cosa non buona in se, diviene sempre più cat­ tiva e inaccettabile per le condizioni colle quali il Governo riscatta le ferrovie delle diverse società, condizioni svantaggiose per lo Slato, e dalle quali le finanze nazionali avranno in dono gravissimi pesi e nuove deficienze.

II riscatto delle ferrovie deve essere respinto in ogni caso perchè esso conduce all’ esercizio gover­

nativo eh’ è un’ eresia economica, una confusione am­ ministrativa, un pericolo politico.

Così mi pare si possano riassumere le conclusioni dei discorsi che abbiamo intesi. Concedetemi ora di ricercare brevemente se i fatti corrispondano a que­

ste sentenze.

Nel 1860 v’ erano in Italia 1 3 0 0 chilometri di fer­ rovie, dei quali soli 128 nelle Provincie Meridionali. Il Parlamento e il Governo si proposero un programma ardito ed urgente; si volle aver presto compiuta una rete ferroviaria di 8000 chilometri. E per essa oc­ correvano 1500 milioni. Ponderate questa cifra e ricordatevi le condizioni in cui erano allora le nostre finanze.

Sono oggi 7500 circa i chil. aperti all’ esercizio. I saerifizj furono grandi; ma i risultamenti ottenuti sono pari ai saerifizj ; l’ unità politica è così salda e profonda come se avesse il suggello dei secoli; il progresso economico del paese è notevole e non v ’ha ordine di ricchezze, non v ’ ha forma di vita civile che non abbia sentiti gl’ influssi d’ una grande e fe­ conda trasformazione.

Il senso politico e la preveggenza economica non fecero difetto ai nostri uomini di Stato nei primi anni del nuovo regno. Affermarono altamente il programma delle nuove ed estese costruzioni ferroviarie e vollero attuarlo.

Bisognava che la rigenerazione politica avesse una corrispondenza efficace e benefica nei fatti economici e sociali. Bisognava confondere in una sola vita d’af­ fetti e d’ interessi il Nord e il Mezzogiorno d’ Italia ; equilibrarne le condizioni; cancellare il passato diviso e diverso, creare un avvenire indissolubile e comune. Si sentì allora un ministro delle Finanze (il Sella) affermare che « nella costruzione delle ferrovie in Italia la celerità voleva essere considerata anche più del risparmio. »

Lo sviluppo dato alle ferrovie del nostro paese fu il massimo in Europa in ragione di ricchezza. L’ele­ mento politico affrettò l'opera economica; il pubblico erario fu largo di saerifizj per codesto grande fattore dell’ unità nazionale e talune volte fu rotta quella proporzione fra lo sviluppo delle reti e la situazione degl’ interessi esistenti, che si mantenne in altri paesi nei quali lo scopo delle ferrovie fu principalmente economico. Così il fatto delle ferrovie italiane sino dai primordj del regno fu in gran parte il prodotto artificiale della necessità politica. Conveniva far presto e molto e così si fece; ed ora accettiamo, senza vane argomentazioni, le conseguenze, per quanto siano lun­ ghe e complicate, che derivarono da quel programma, di buona politica e di savia economia.

Nè solamente fu mestieri dare opera sollecita ed ampia a nuove costruzioni, ma provvedere eziandio alle ferrovie che già esistevano, perchè mutata l’ iden­

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sformarsi alcune fra quelle opere che gli antichi Governi aveano fatte con intenti proprj e ristretti, senza tener conto alcuno degli Stati vicini, e che non erano perciò tali da poter corrispondere ai bisogni della vita nazionale, al movimento del nuovo ordine di cose. Correggere (così il Correnti) le deviazioni e gli errori, frutto delle idee separatiste, collegare fra loro le piccole società e costituire con esse delle com­ binazioni più solide e più vaste, incoraggiare la co­ struzione delle diramazioni secondarie col concorso degl’ interessi locali, preparare la formazione di grandi gruppi coordinati fra loro, compiere le linee normali sulle quali si possa attirare il commercio europeo e sopratutto aver riguardo alle necessità strategiche: ecco i principi vennero successivamente e co­ stantemente manifestandosi nei progetti di legge, nelle dichiarazioni del Governo.

Quale era precisamente l’andamento della costru­ zione delle ferrovie in Italia dopo la formazione del nuovo regno? Una parte delle ferrovie era costrutta direttamente dallo Stato per conto proprio ; in altre contrade d’Italia v ’erano Società con speciali sussidi e garanzie; iu alcune provincie non v’erano per le strade ferrate nè sussidi, nè garanzie ; in Toscana v ’erano Società le quali amministravano il danaro del Governo nella costruzione e nell’esercizio delle ferrovie senza avere la responsabilità corrispondente, o almeno senza dover osservare quelle rigorose for­ malità che sogliono accompagnare le pubbliche spese; e infine in talune regioni italiane nulla "vi era, non esistevano strade ferrate.

Nei primi anni del regno italiano molte conces­ sioni ferroviarie furono fatte. In assoluta necessità, giova ripeterlo, fu T istinto della nostra conserva­ zione che ci ha guidati. « Ma i tempi erano diffi­ cili per il credito, tristissime le condizioni del mer­ cato dei valori ; naturalmente le concessioni si fecero a condizioni gravose e come cose fatte d’ urgen­ za ebbero difetti. » Così Stefano Jacini il quale

più volte parlò e scrisse con grande valore iutorno allo svolgimento e alle vicende delle opere pubbli­ che nel nostro paese. Ed egli ancora soggiunge: « La nostra meravigliosa risoluzione dovea avere qualche contraccolpo. Esso si fece sentire in talune spese che abbiamo forse un po’ troppo anticipate, in talune concessioni ferroviarie eh’ ebbero difetti. Ma questo ci tolse dalle difficoltà d’ una grande rivoluzione. » Per le condizioni finanziarie in cui versava lo Stato non potè incaricarsi di fare esso stesso le fer­ rovie così rapidamente come era mestieri. Di qui

la necessità ed il sistema delle Società, di qui i le­ gami del Governo con esse, e le sovvenzioni e i favori e i contrasti e infine tutta la storia di quelle vicende ch’ebbero tanti periodi e che sarebbbe desi­ derabile avessero ornai fine.

Coll’ordinamento del 1865 si vollero trasformare,

coordinare le ferrovie esistenti in Italia, uniforman dole al concetto del nuovo stato unitario e condu­ cendole sopra una via per la quale si sperava che esse potessero pervenire alla graduale emancipazione dall’ ingerenza governativa.

Molteplici circostanze che a primo aspetto pa- reano formare un complesso insormontabile di diffi­ coltà persuasero il Parlamento ad accettare tutt’ in­ sieme i partiti proposti dal Governo e a considerarli « come tanti dati d’ un problema complicato che si avea da sciogliere per via di compensazione. »

Il Governo poteva fin d’allora abbandonare le So­ cietà al proprio destino e negare, come da taluno si proponeva, il credito dello Stato a chi non sapeva fare i propri affari. Invece intervenne e, con sacri­ fici rilevanti pel pubblico erario, le riordinò e intese ad afforzarle. Il lasciarle andare in rovina avrebbe prodotti effetti deplorabili pel credito; soccorrendo le Compagnie lo Stato in sostanza soccorreva se stesso; abbandonate non sarebbero scomparse sotto le proprie rovine, ma avrebbero trascinata una vita sempre peggiore recando allo Stato imbarazzi d’ogni maniera e nocumento ai pubblici interessi.

A queste considerazioni se ne aggiungevano molte altre d’ordine politico : bisognava attuare il programma ferroviario del nuovo regno, così per le nuove linee, come per la trasformazione e il compimento di quelle già esistenti.

S ’ intese a rinvigorire le Società, a provvedere alle nuove costruzioni, a riparare le deficienze della pubblica finanza.

È sorto allora l’ordinamento delle ferrovie in gruppi, sostituito all’azione spontanea degli interessi delle Compagnie e alle fusioni che avrebbero potuto derivarne e determinato dai tre concetti seguenti: la costituzione di grandi Compagnie; la loro costitu­ zione in modo che abbracciassero un certo com ­ plesso d’ interessi omogenei; l’ordinamento di questi gruppi in forma tale che fosse esclusa la possibilità di un monopolio assoluto e fosse lasciato, mercè gli opportuni sbocchi, libero il campo alla concorrenza. L’esperienza di tutta Europa parea dimostrasse che solo le grandi Compagnie hanno sicure condi­ zioni di vita; esse sole in grado di fare un buon servizio e a buon mercato; d’ identificare i loro in­ teressi con quelli d’ un’ intiera regione, di trovar danaro nel caso di crisi finanziaria perchè i loro titoli sono conosciuti sui grandi mercati e quelli delle piccole Compagnie vi sono ignorati. Nel 1865 si cre­ deva eziandio che le grandi Compagnie avrebbero emancipata l’ industria ferroviaria dall’ ingerenza del Governo; e per questa parte il concetto di quell’or­ dinamento è al tutto fallito.

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venzioni chilometriche; e nel 1867 i ministri Scia- loja e Jacini dapprima e poi i ministri Ferrara e Giovanola mettevano innanzi la soluzione del riscatto, proponendo l’acquisto dei diritti delle Società dando in correspcttivo titoli di credito dello Stato portanti l’ interesse del 3 0|0- La Camera dei deputati si di­ chiarò contraria a quella proposta, non respingendo l’ idea del riscatto in se stesso, ma quel riscatto in­ condizionato che i ministri Giovanola e Ferrara chie­ devano d’essere autorizzati a compiere sottraendo all’approvazione del Parlamento i patti che si sareb­ bero stipulati colle varie Società; nè pareva allora opportuna e si temeva invece che la creazione di un ingente massa di titoli perturbasse profondamente in quel momento il credito dello Stato.

Seguirono le Convenzioni del 1870 la eui unità di concetto consiste in un vincolo di giustizia ripa­ ratrice, che è a tutte comune. Esse ebbero pure lo scopo di liquidare un recente passato che ingom­ brava perfino gli studi, e la ricerca di quello che restava a fare nell’avvenire. I gruppi creati nel 1865 non si trovavano tutti del pari in condizione vigorosa e sana; si volle nel 1870 dare quella più ferma e sicura base che si poteva ad interessi eh’erano parte identici con quelli dello Stato, parte aveano influenza grandissima sopra questi. Colle convenzioni del 1870 lo Stato mostrò di tener fede alle sue promesse e fece prova di singolare tenacità nel proposito di com­ pensare alle Società i pesi coi benefizi. Si provvide ad un tempo alle costruzioni nuove; giustizia e uti­ lità richiedevano che si eseguissero le ferrovie del mezzogiorno, nell’ interesse stesso del settentrione d’ Italia, per diffondere la salute fra tutte le membra della nazione italiana, per stabilire 1’ uguaglianza dei carichi e dei beni.

Neppure e sse r le convenzioni del 1870 consegui­ rono il loro intento, rispetto alla condizione finanzia­ ria delle Società. Nè convien mai dimenticare che lo Stato è intimamente legato con esse non sola­ mente per le considerazioni del credito, non so]aT mente perchè si riferiscono ad un pubblico servigio, che non deve essere nè abbandonato, nè interrotto, ma eziandio perchè colle sovvenzioni chilometriche e coi patti che lo legano alle società, il Governo è diret­ tamente interessato nelle loro vicende. L’ industria ferroviaria non è in Italia abbandonata a se stessa. Lo Stato e la pubblica finanza debbono sempre in­ tervenire, e il quesito si limita a ricercare in qual modo questo intervento debba aver luogo con minor peso pei contribuenti e maggiore vantaggio per la prosperità nazionale.

L’ ordinamento del 1865 fu a mano a roano pro­ fondamente mutato. Lo Stato venne in possesso delle Calabro-Sicule, della ferrovia di Savona, d’ una no­ tevole parte della rete delle Romane.

Le recenti convenzioni di riscatto, intorno alle

quali, stiamo qui discorrendo, sono la logica conse­ guenza e la migliore soluzione pratica, d’un seguito di vicende e d’uno stato di cose, che non dipendono da alcuna teoria generale, ma furono 1’ effetto d’un complesso di fatti intrecciati variamente alla storia po­ litica e finanziaria degli ultimi quindici anni.

L’Italia non sceglie fra diversi sistemi quello del riscatto ; ma nella condizione in cui si trovano le nostre società ferroviarie, non ve n’è alcun altro che sia del pari utile ed opportuno, vuoi per definire le lun­ ghe e complicate vertenze che esistono fra il Governo e le Società, vuoi per sciogliere un sistema di re­ lazioni e di vincoli fra le società e il Governo che è ornai condannato dall’esperienza ed è evidentemente dannoso al pubblico interesse; vuoi perchè sotto il rispetto finanziario ed a tutela dei contribuenti non v ’è alcun altro partito che si dimostri preferibile.

Accennati così frettolosamente i periodi principali della nostra storia ferroviaria, mi sia lecito ora ri­ volgere alcune parole a coloro che discorrono delle colpe e delle contraddizioni dello Stato italiano.

Lo Stato italiano sentì che le ferrovie sono una delle più forti passioni della civiltà moderna. Fece egli per avventura troppo, fece troppo presto? Chi ignora la produttività dei capitali impiegati nelle fer­ rovie? Il conte di Cavour ebbe ad affermare che il danaro impiegato nelle strade ferrate frutta il 50 0[0; ed uno dei nostri uomini di Stato, eh’è pure mate­ matico valente, calcolò che si ritrae il 4 0 0[0 da quello impiegato nella costruzione delle strade ordi­ narie. Nè penso vi sia alcuno che possa rimprove­ rare ciò che si è fatto o voglia sospendere le costruzioni che ancora rimangono a fare. Se taluno vi fosse di questo parere, io temerei fortemente ch’egli, senz’av­ vedersene, ci condurrebbe ad avere due Italie, a mettere di fronte 1’ une contro le altre le diverse re­ gioni italiane. Non sarebbe buona economia, sarebbe ingiusta ed assurda politica il non compiere solleci­ tamente le ferrovie nelle Provincie Meridionali e quelle tanto sospirate nell’isola di Sardegna.

Ma la vendita delle ferrovie dello Stato nel 4865 non fu ispirata da principi del tutto opposti a quelli che oggi s’invocano per rendere lo Stato proprieta­ rio di oltre 8000 chilometri di strade ferrate?

Già abbiamo avvertito che se il Governo si asso­ ciò nella grande opera delle ferrovie l’industria dei privati, fu principalmente per l’impossibilità in cui trovavasi l’erario pubblico di fornire le migliaia di milioni che occorrevano per siffatte imprese.

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hi-sogni; già si erano venduti i beni demaniali; fu mestieri far assegnamento anche sopra questa parte del patrimonio dello Stato, ed è a meravigliare a dir vero non che le ferrovie si siano allora vendute, ma che tanto siasi in quelli anni aspettato ad alie­ narle.

Ma si cercherebbero invano nei documenti e nelle discussioni parlamentari, dichiarazioni di principio contro la proprietà e 1’ esercizio governativo delle ferrovie.

Al contrario il Ministro dei Lavori Pubblici conce­ piva un buon esercizio fatto dallo Stato, e ricono­ sceva che ciò si verifica in parecchi paesi d'Europa. Ma soggiungeva che lo Stato deve costruire od eser­ citare tutte le ferrovie, oppure alcune linee principali dalle quali si diramino quelle appartenenti all’indu­ stria privata. In Italia invece lo Stato possedeva ed esercitava ferrovie in una sola regione; n è Fazione sua si limitava sempre alle sole ferrovie principali. Perciò quella vendita non distruggeva un sistema, faceva scomparire Un’eccezione, nè allora si avevano le forze per far sì che l’eccezione divenisáe l’ ordi­ namento generale.

Il ministro delle finanze ricordava d’ innanzi alla camera dei deputati le ferrovie costrutte magnifica­ mente dallo Stato in Piemonte e relativamente par­ lando con molta economia. Per queste costruzioni era colà sorta una scuola di valenti ingegneri ed appaltatori di costruzioni di ferrovie. Ed egli aveva, 1’ on. ministro, la convinzione profonda che le fer­ rovie italiane si sarebbero costrutte dallo stato con bastante celerità e sopratutto con utile del progresso economico e tecnico del paese. Ma convenne piega­ re alla necessità finanziaria.

E nella tornata del 30 marzo 1 8 6 3 ,1 ’ attuale pre­ sidente del consiglio dei ministri, 1’ on. Depretis, va­ gheggiava F idea di conservare una delle ferrovie allo Stato, per esempio una grande linea longitudi­ nale.

Siamo adunque ben lontani dalle idee di coloro che Combattendo il riscatto credono di trovare un argomento in loro favore nella vendita delle ferrovie fatta nel 1863.

Del rimanente il relatore della commissione par­ lamentare diceva « assai bene immaginato il sistema cui si era avviato il Piemonte, sull’ esempio del Bel­ gio. » E la reta governativa del Piemonte era do­ dici anni or sono meglio provvista di materiale mo­ bile di quello che ora non lo sia la società dell’Alta Italia.

E quando mai nel regno d’Italia si potè e si volle stabilire e dove esiste oggi fra noi l’ industria ve­ ramente libera delle ferrovie?

« Il Governo rimane sem pre, pel nostro diritto amministrativo, il vero proprietario delle strade fer­ rate . . . . la loro direzione è in sua mano; e se

egli accetta il concorso dell' industria privata, è prin. cipalmente per attirare i capitali necessari a queste grandi costruzioni. » Così il Correnti. E piacciavi rammentare il titolo Y della legge sui lavori pub­ blici e tutte quelle disposizioni che 1’ on. Genala ci ha riferite con sì chiara e faconda parola, le quali collocano l’ industria ferroviaria sotto la continua sorveglianza ed ingerenza del governo. E ditemi, di grazia, quale vendita è mai quella nella quale dopo aver venduta la cosa nostra garantiamo in più d’un iliodo il frutto della cosa da noi venduta ? È turbato il concetto stesso della vendita quando il venditore conserva il diritto di sorvegliare 1’ amministrazione di chi comprò, acciocché il compratore continui ad ottenere dall’ oggetto venduto almeno lo stesso frutto che ne ricavava il venditore. E ben a ragione, nella tornata del 6 aprile 1863, 1’ on. dep. G. B. Michelini, inesorabile nella sua fede economica, protestava con­ tro una vendita nella quale si prescriveva il modo di coltivare la cosa venduta !

« La libertà delle società industriali sia rispettata diceva nel 1863 Fon. Depretis, quando lo Stato vi è estraneo, ma quando lo stato le sostiene con un sussidio io non la capisco più. »

Soggiungeva come nel vecchio Piemonte fosse quasi organizzata un’ onesta persecuzione per modo che molte volte le società erano costrette a capito­ lare col governo ; ciò era un estremo, ma era anche un antidoto, perchè si dovettero sempre incontrare molte opposizioni per mantenere i diritti dello Stato. « L’ ondata degli interessi è cosi forte, è sempre il Depretis che parla, che vi fa traballare in certi casi se non tenete fermo. »

E a vari oratori parea strana cosa che taluno po­ tesse parlare di libertà, mentre si sanciva il mono­ polio, ed è industria nella quale non è possibile la concorrenza.

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polio, una forma superlativa di concorrenza quella che si vuol ritrovare nel fatto che gli uomini e i pro­ dotti possono non giovarsi di questo validissimo stru­ mento d’educazione, di ricchezza e di circolazione.

Conviene ora sommariamente ricercare quali siano state le opere del Governo verso le diverse società, quali le opere delle società stesse, e le cagioni e le conseguenze dei riscatti oggi divisati.

La Società delle ferrovie romane è sorta, mercè l’ordinamento sanzionato nel 1863, dalla fusione di quattro società minori: le strade ferrate romane, le livornesi, la centrale toscana e la maremmana. Essa doveva abbracciare quella massa d’interessi omoge­ nei che si trovano sul versante occidentale degli Apennini ; s’estendeva a tutto il versante del tirreno da Napoli al confine francese, con sbocchi ad An­ cona, e da Parma alla Spezia, da Savona a Torino, vicino così all’ingresso d’uno dei passaggi delle Alpi.

Perchè lo Stato non abbandonò allora le strade fer­ rate romane alla propria sorte ed è intervenuto a soccorrerle?

Non mancavano coloro cui già fin d’allora pareva preferibile lasciarle fallire e se si voleva scegliere simile partito quello era davvero il momento oppor­ tuno; più tardi i nuovi impegni contratti dal Go­ verno mutarono la situazione delle cose. L’onorevole Toscanelli fu preceduto, dieci anni or sono, dagli on. Bonghi e Boggio nell’idee che ci ha espresse, colia sua arguta parola, relativamente alle ferrovie romane.

Ma le strade ferrate romane in momenti difficili aveano compiuti importanti lavori con grande cele­ rità. L’abbandonarle nel 1863 voleva dire sospendere una parte di nuove costruzioni. 11 credito dello Stato avrebbe sofferto per simile abbandono, che sarebbe pur stato un errore politico. Erano necessari i col- legamenti tra le linee toscane e dell’ Umbria e le linee napoletane e per compierli era mestieri passare sul territorio pontificio; la maremmana, il cui capitale era a carico del Governo, doveva essere collegata colle romane a Civitavecchia, e per dare alla senese uno scopo conveniva collegare Orte a Roma. L’ in­ tervento della Società delle romane era necessario. Perciò lo Stato le porse una mano soccorrevole che la ajutasse a liberarsi dall’infesta eredità del passato.

Era eziandio mestieri provvedere alla fusione delle società ferroviarie toscane, la cui storia il Correnti, nella tornata della Camera dei Deputati del 3 apri­ le 1863, compendiava con queste parole: « tempo perduto, combinazioni fallite, riscatti, ricompre, sus­ sidi, fusioni. »

Certo egli è che la situazione di quelle società ferroviarie richiedeva pronti provvedimenti; la mag­ gior parte dei loro titoli era scesa cosi al basso da deprimere il corso della rendita pubblica; esse erano impotenti a contentare le popolazioni o in contraddi­

zione diretta coi loro interessi e desiderj; avevano tariffe diverse, amministrazioni speciali ; si trovavano fra loro in continue e meschine lotte d’interessi sia nell’esercizio delle diverse ferrovie, sia sul mercato del credito Europeo; e vivevano in continua lotta col Governo, il quale trovavasi legato con ciascuna di esse a condizioni diverse e alcune volte affatto sconvenienti, le quali o non davano alla società ab­ bastanza forza, o non lasciavano sufficiente ingerenza al Governo o toglievano la maggior parte di quelli stimoli che sono proprj dell’industria privata. « Le società toscane, anche quelle che fino allora s’e- rano governate con lode d’accortezza e favore di fortuna si sentivano rimpicciolite d’innanzi ai nuovi destini del loro paese e fermate a mezzo del loro sviluppo nel momento stesso che avrebbero avuto bisogno di forza raddoppiata e di una seconda gio­ ventù. »

La storia di talune di quelle società è bellissima storia di savia amministrazione e di utili iniziative. Ma la forza delle cose ha vinte in definitiva l’energia e l’abilità di quelle amministrazioni.

Le ferrovie livornesi, nate esse pure da un ante­ cedente rimpasto di società minori, rette da un uomo il cui ingegno e la cui perizia sono grandissimi, ave­ vano una situazione economica assai prospera, ma non così che la Società potesse bastare a se stessa.

La centrale Toscana condusse abilmente i proprj affari in mezzo a grandissime difficoltà. Essa supe­ rando molti ostacoli costrusse opere grandiose, spen­ dendo L, 414,000 al chilometro. Ebbe favorevoli i tempi, a buon prezzo il denaro, amministratori so­ lerti e le arrise perfino la generosità di due cittadini, il conte Pieri e il senatore D e-G ori, i quali non dubitarono d’ipotecare i loro patrimoni per alcuni milioni affinchè la Società potesse trovar denaro. Eppure il concorso, benché scarso, del Governo fu necessario e non si diedero interessi alle azioni e da ultimo mancarono i mezzi per condurre a fine l’im ­ presa. Cosi la Società meglio e più avvedutamente governata fra quelle che si conoscono finiva anch’essa non diremo a subire gravi perdite, ma a scadere in uno stato di scoraggiamento e d’apatia. »

Le vicende delle società toscane dimostrarono che in Italia lo Stato deve intervenire con mano soccor­ revole nelle ferrovie; altrimenti o le imprese sono abbandonate o le società cadono in rovina. E il fatto delle fusioni confermò anche qui le osservazioni tratte dalla storia degli altri paesi.

Dove, adunque, potrà riuscire l’esperimento delle piccole società, della libera industria e della concor­ renza se non è riuscito nella patria di Sallustio Ban­ dini?

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Le Leopoldine che non hanno mai avuto garanzia governativa hanno sempre dato il 6 0[0, e ci sono i bilanci che lo provano.

B o s e lli — Metterò le livornesi insieme con la Centrale . . . . sono esempi piuttosto unici che rari . . .

P e r u z z i — Per la Centrale è diversa, è nata e ha dovuto fare con meno capitale.

B o s e lli — Allora vuol dire che qui vi erano ele­ menti straordinarj di riuscita. . . . .

P e r u z z i — E questo le spiega il perchè della no­ stra tenacità.

B o s e lli. — Sono lieto di quest’ interruzione; cosi è manifesta la ragione filosofica e storica di questo movimento economico contro il riscatto. Ma torniamo alle Romane. Io sarò molto mite verso di esse; ne farò anche la difesa.

P e r u z z i . — Ne hanno bisogno.

B o s e lli. — Quale fu la guerra guerreggiata dal

governo contro le ferrovie romane ?

Questa società non ebbe un giorno solo di vita si­ cura, trasse sempre un’esistenza faticosa e stentata, non pagò mai ai suoi azionisti alcun interesse all’ in­ fuori delle somme guarentite dallo Stato; ed ebbe sempre necessità degli ajuti del pubblico tesoro.

Poco tempo era trascorso dalla sua costituzione e già non era più in grado di adempiere coi proprj mezzi gli obblighi assunti per la costruzione di nuove linee ; per la crisi finanziaria generale non potè emet­ tere obbligazioni; dovette soggiacere a prestiti molto onerosi. Nel 1866 già era imminente il pericolo del fallimento.

Lo Stato anticipò alla Società ingenti somme: le concesse di ritardare il pagamento degl’interessi ri­ portandoli per alcuni anni in aumento di capitale; assunse per essa la costruzione della ferrovia Ligure: e, poi per migliorarne le condizioni, comperò da essa la linea Firenze-Massa ed accettò la retrocessione della Ligure.

Tutto fu vano. Nel 1873 la Società sospese il paga­ mento degl’ interessi delle obbligazioni.

Per verità le illusioni intorno e questa Società non erano state grandi. Il relatore delle Convenzioni del 1863 diceva: « Lo Stato dà poco, i carichi della So­ cietà sono troppo più gravi di quelli che a ragione aritmetica portino le rendite sicure di essa . . . . Ma la vita provvede alla vita; e colla vita V è sempre la speranza. » E il relatore delle Convenzioni del 1870: « La Società è secondo ogni verosimiglianza assicu­ rata di vivere. Ma è un giudizio dedotto da probabilità e perciò soggetto a più o meno incertezza, come ogni giudizio che si riferisce a qualunque avvenire. » Fu soverchia indulgenza quella del governo italiano? non si può dire soverchia un’ indulgenza della quale è impossibile fare a meno.

La Società delle Romane fu senza colpe ? noi potrà

affermare certamente chi ricorda i scialacqui consta­ tati de’ primi suoi tempi e quel periodo rispetto al quale non si potè accertare alcun conto e in cui l’ am­ ministrazione era in tanto disordine che non tenne scrittura di sorta.

Vi fu un'epoca nella quale l’ amministrazione di Parigi assorbiva di quando in quando tutti gli utili di questa Società, la quale ebbe successivamente sede e amministrazione italiana ed acquistò una unità intima, organica e tutta nazionale. Il governo intervenne con un buon numero di suoi rappresentanti nel Consiglio d’ Amministrazione della Società. E negli ultimi anni l’ Amministrazione stessa amministrò la sostanza so­ ciale col concorso del governo e sotto strettissimo sindacato.

Le cagioni di tanti guai sono molteplici. F u diffi­ cile l’amalgamazione di diverse società fatte per essere indipendenti; molti furono i lavori necessarj per la fusione materiale delle varie ferrovie. Non bastarono più le stazioni, nè l’ armamento di linee costrutte per bisogni limitati di traffico e di velocità. Scarsi i mezzi, insufficienti i lavori, la Società si trovò con un cu­ mulo d’ opere da eseguire, circondala da imbarazzi finanziari, e non potè così mai raggiungere buone condizioni. Unificando, la Società dovette impiegare il personale di tutte le reti adattando i posti alle per­ sone ; e nel personale inferiore lasciò venir meno la disciplina e la solerzia.

Arroge le controversie col Governo Pontificio il quale sospese il pagamento delle somme che doveva come garanzie e non volle sostituire un’ annua sov­ venzione fissa alla garanzia variabile secondo i prodotti.

Il permanente disavanzo ordinario e il debito gal­ leggiante assorbirono la maggior parte delle risorse straordinarie ; fu impossibile fare i nuovi tronchi e così mentre il traffico non aumentò nelle proporzioni sperate sulle linee che la Società aprì all’ esercizio, le mancò pure lo sperato aumento nella somma delle garanzie chilometriche.

Nè essa poteva emettere obbligazioni a condizioni convenienti sia per la situazione del mercato finan­ ziario aggravata allora dalla crisi politica, sia per lo stato finanziario della Società medesima.

Tale la genesi delle presenti, e non nuove miserie, delle ferrovie romane. Ad esse conviene riparare. Si ha per avventura a far nascere in luogo di questa un’ altra società? 0 si debbono imporre nuovi sacri- fizj alle finanze dello Stato per far rivivere la Società delle romane? o si deve preferire il fallimento al riscatto ?

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