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La legge 57 del 5/3/2001 e la valutazione medico-legale della inabilità temporanea.

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La legge 57 del 5/3/2001 e la valutazione medico-legale della inabilità temporanea.

Dr. Luigi Mastroroberto

Una lesione traumatica all’integrità psico-fisica (dando in questo caso al termine “trauma” la sua più vasta accezione) per essere considerata tale deve determinare un perturbamento dell’equilibrio psico-fisico posseduto dallo soggetto nel momento in cui egli rimane vittima dell’evento, modificando questo equilibrio in senso peggiorativo ed innescando così una serie di processi biologici che poi evolvono nel tempo. E’ dunque evidente il riferimento, come scrivono Morini e Mangili1, è allo “stato morboso nella sua evoluzione, per certi versi equiparabile a uel concetto di malattia così come definito in ambito penale”. Soprattutto risulta ancora attuale e maggiormente pertinente all’ambito della responsabilità civile la definizione di lesione/malattia data dal Gerin2: “... modificazione peggiorativa dello stato anteriore, avente carattere dinamico, estrinsecantesi in un disordine funzionale apprezzabile di una parte o di tutto l’organismo, che si ripercuote sulla vita organica e soprattutto di relazione e che necessita di un intervento terapeutico, per quanto modesto”.

La lesione dunque, una volta realizzatasi, per il carattere di evolutività che necessariamente la contraddistingue, si correlerà per un certo lasso di tempo a delle manifestazioni che sono, inizialmente, l’espressione del nocumento direttamente determinato dal trauma e, successivamente, salvo il caso in cui la lesione iniziale sia di entità tale da determinare la morte, dei processi che l’organismo, grazie anche alla cure impiegate, mette in atto per riparare tale nocumento. Quando questi processi terminano (e sempre che nel frattempo non si sia verificata la morte), si giunge o alla guarigione completa (a quella condizione cioè in cui non vi è più traccia di danno tale da determinare una percepibile, in senso soggettivo ed oggettivo, ripercussione funzionale) o alla “stabilizzazione”, ossia a quella condizione in cui il danno iniziale ed i processi riparativi che ad esso hanno fatto seguito

Medico Legale, Consulente di Direzione dell’Unipol – Bologna

1 MORINI-MANGILI In tema di danno biologico temporaneo Arch. Med Leg Ass 16: 171-178, 1994

2 GERIN Lesione personale, Nota a sentenza, Zacchia, 27, 49, 1952

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cessano, ma con il residuare di una condizione di equilibrio anatomo- funzionale e psico-fisico diversa (in senso peggiorativo) da quella in cui versava il soggetto leso al momento del trauma.

Il parametro definito inabilità temporanea rappresenta dunque, in ambito di Responsabilità Civile, quella “conseguenza” di un fatto antigiuridico che il medico-legale deve accertare in relazione a ciò che le manifestazioni evolutive della lesione hanno comportato.

Ed è evidente che se la conseguenza da valutare è quella che deriva dalle manifestazioni evolutive, i due termini, “conseguenza” da un lato e “manifestazioni evolutive” dall’altro, esprimono concetti diversi e non necessariamente fra loro sovrapponibili o coincidenti. In questa distinzione va, infatti, ricercata la significativa differenza, nei rispetti della fase evolutiva di una determinata lesione, fra la natura del giudizio clinico e quella del giudizio medico-legale, ossia fra il concetto che esprimono i termini “prognosi clinica” e “inabilità temporanea”, il primo proprio della medicina di diagnosi e cura, il secondo proprio della medicina legale.

Un conto è, infatti, identificare e quantificare il periodo durante il quale i processi biologici innescati da una lesione seguono il loro corso fino alla guarigione completa o fino al momento della loro stabilizzazione in una condizione di danno permanente (prognosi clinica), altro è invece identificare e quantificare il periodo in cui queste stesse manifestazioni hanno reso il soggetto totalmente o parzialmente incapace di svolgere gli atti propri della sua vita quotidiana (inabilità temporanea).

La frattura di un dito di una mano richiederà, a parità di lesione iniziale e di trattamento medico, un determinato tempo per giungere alla sua guarigione anatomica e funzionale, tempo che, se riferito alla durata dei processi biologici che ne caratterizzano la evoluzione, sarà evidentemente lo stesso, indipendentemente dal tipo di lavoro e di abitudini di vita del soggetto che la ha riportata. Altrettanto evidentemente però, saranno sensibilmente diverse le conseguenze rispetto al tipo di lavoro o di abitudini di vita, a seconda che il soggetto leso sia, ad esempio, un acrobata o un orafo, piuttosto che uno studente o un pensionato.

Ancora, se si tiene conto di quanto appena scritto e di quanto si è detto sopra circa la necessità di assoggettare il giudizio medico legale alla specifica normativa cui lo stesso giudizio deve fare riferimento, appare evidente che nei confronti del parametro inabilità temporanea, a fronte dello stesso soggetto leso vi potranno essere differenze, a volte

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anche significative, a seconda che la quantificazione sia formulata, ad esempio, in ambito penalistico, in ambito di infortunistica sul lavoro, in ambito di polizza privata infortuni, ai fini della tutela fornita dall’INPS, ecc..3.

Nell’ambito della valutazione del danno alla persona in responsabilità civile, rispetto al parametro “inabilità temporanea”, compito del medico legale è dunque quello di quantificare il periodo in cui, per effetto delle conseguenze del fatto lesivo che lo ha colpito, il soggetto è stato temporaneamente incapace di espletare gli atti, sia lavorativi, sia extralavorativi, che caratterizzavano la sua vita prima che il fatto lesivo si verificasse.

E, sempre nel rispetto dell’attuale concezione giuridica, va considerato che anche le conseguenze temporanee di una determinata lesione, per essere risarcite, devono avere come presupposto anzitutto un nocumento al bene salute del leso. Solo successivamente, e laddove ne ricorrano gli estremi, andrà verificato se questo temporaneo nocumento alla salute del leso ha determinato anche un pregiudizio alle specifiche attività, attraverso le quali lo stesso soggetto è produttore di utilità economicamente rilevanti.

Di qui quindi la differenziazione del giudizio in inabilità temporanea biologica e inabilità temporanea lavorativa, differenziazione che in verità la Dottrina ha sempre dato per scontata (anche se ciò non ha mai avuto particolare risalto ed ha troppo spesso avuto una non corretta applicazione nella pratica peritale), ma che con la legge n. 57 del 2001 ha trovato la sua definitiva legittimazione allorquando, premettendo che il risarcimento del danno biologico è indipendente dalla ripercussioni patrimonialistiche del fatto colposo, al comma 2 paragrafo b ha testualmente sancito:

“… a titolo di danno biologico temporaneo è liquidato un importo di lire 70.000 per ogni giorno di inabilità assoluta, in caso di inabilità temporanea inferiore al 100%, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno…”.

Non solo quindi il Legislatore ha (per la prima volta) ammesso formalmente la legittimità di risarcire in maniera autonoma (rispetto ai

3 BRUNO-CATTINELLI-CORTIVO-FARNETI-FIORI-MASTROROBERTO Guida alla valutazione del danno in ambito dell’infortunistica privata, Milano, 1998, 34-35

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nocumenti patrimonialistici propriamente detti) anche le conseguenze temporanee della lesione del bene salute, ma ha anche fissato un valore economico del risarcimento da corrispondere per ogni giorno di

“inabilità assoluta”, nonché quello da riconoscere quando la inabilità determinata dal danno alla persona non è assoluta, quando cioè è

“parziale”.

Ma vediamo ora in che modo il medico-legale deve comportarsi per valutare la inabilità temporanea biologica, rispettando le indicazioni dottrinarie ed ora anche legislative.

Ricordando fra le altre la definizione data dal Bargagna4, il danno alla salute rappresenta la “compromissione” dell’intero modo di essere della persona e cioè del suo stato di benessere, delle sue consuete attività lavorative ed extralavorative, comprese quelle del tempo libero e di svago e quindi quei nocumenti alla vita sessuale, all’integrità dell’aspetto esteriore e più in generale ai rapporti sociali”.

Ed è a ciò che il medico legale deve anzitutto fare riferimento anche nel quantificare la durata dell’inabilità temporanea biologica, dovendo stabilire per quanto tempo ed in che misura un soggetto leso è stato impossibilitato a svolgere gli atti comuni della sua vita quotidiana.

Il giudizio deve dunque basarsi su di un’analisi dettagliata da un lato del tipo di lesione riportata dal soggetto e del decorso che la stessa ha avuto, e dall’altro del tipo di vita che quel soggetto svolgeva prima che la lesione si verificasse.

Conseguenze quali la durata del ricovero ospedaliero, il periodo in cui il soggetto è stato portatore di presidi ortopedici immobilizzanti o durante il quale si è dovuto sottoporre a cure mediche e fisiche, la durata dell’assenza dal lavoro ecc., non potranno da sole essere sufficienti per un tale giudizio, ma dovranno essere considerate tutte congiuntamente.

Ai fini, infatti, della quantificazione di questo parametro, appare evidente che una frattura di polso sinistro in soggetto destrimane ed una frattura di piatto tibiale ad un ginocchio, anche se dovessero richiedere un ricovero ospedaliero di analoga durata, una analoga durata di immobilizzazione in gesso, e, successivamente, un analogo periodo di cure riabilitative, nel loro decorso determinerebbero comunque un diverso grado di impedimento all’espletamento delle ordinarie attività del soggetto che le ha riportate. Il trattamento di una frattura di piatto

4 BARGAGNA Le tabelle nella valutazione delle invalidità permanenti con particolare riguardo al danno alla salute in La valutazione del danno alla persona da invalidità permanente, Milano, 1990

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tibiale, rispetto a quello reso necessario da una frattura di polso, comporta una differenza sostanziale, ossia la necessità, almeno per un primo periodo, di non caricare sull’arto leso, il che determina se non la totale abolizione, almeno una grave limitazione di una funzione essenziale, quale quella di deambulare autonomamente. Durante il periodo iniziale dunque, il soggetto che ha riportato la lesione al polso sn, diversamente da quello che ha riportato la frattura al ginocchio, verserà in una condizione di impedimento ad espletare le ordinarie occupazioni decisamente minore; sarà ad esempio in grado di uscire da casa, sarà in grado autonomamente di provvedere alla quasi totalità delle incombenze legate alla cura della sua persona, adempiere a tutti quei compiti, magari anche lavorativi, che non richiedano l’uso dell’arto superiore sn. Sarà in sostanza in grado di effettuare un numero di attività decisamente maggiori rispetto a chi, per la lesione subita, è invece costretto a letto o a spostarsi per brevi tratti mediante l’uso di due bastoni d’appoggio e ad aver necessità di assistenza anche per l’espletamento dei più elementari bisogni fisiologici.

Nell’un caso e nell’altro quindi, anche se complessivamente il tempo necessario per giungere ad una guarigione clinica delle lesioni o comunque ad una stabilizzazione dei loro postumi permanenti risulterà alla fine non dissimile, sarà affatto diversa la condizione di temporaneo impedimento che queste lesioni hanno rispettivamente determinato durante il loro decorso.

Una corretta determinazione della inabilità temporanea biologica dovrà dunque tenere conto di tutto ciò e stabilire concretamente quanta parte delle comuni attività di vita del soggetto leso è risultata impedita durante il periodo di evoluzione delle lesioni, fino alla loro stabilizzazione. E se anche, rispetto alle due diverse lesioni prese ad esempio, il decorso clinico ed anatomo-funzionale delle stesse abbia avuto alla fine una durata sostanzialmente analoga, compito del medico legale sarà dunque quello di stabilire, per ciascuna di esse, per quanto tempo il soggetto ha avuto un totale impedimento ad espletare le sue abituali attività e per quanto invece questo impedimento è stato solo parziale.

Benché a tutt’oggi non esista ancora in dottrina un criterio univoco, che stabilisca in che modo debba essere quantificata la inabilità temporanea biologica, contributi recenti5 concordano nel ritenere che il periodo da indicare come “totale” debba essere riferito

5 MORINI-MANGILI In tema di danno biologico temporaneo, cit.; MANGILI-MORINI-CANDOTTI Il giudizio medico legale di invalidità temporanea nel risarcimento da fatto illecito, RCP, 1730-1737, 1999

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solo a quelle condizioni che impediscano la maggior parte delle più comuni condizioni di vita del soggetto leso, come si verifica ad esempio durante un ricovero ospedaliero o in quelle condizioni che comunque costringano il soggetto a letto o che, come si verifica in traumi che determinano fratture plurime, comportino la temporanea perdita funzionale di più arti o di funzioni essenziali.

Si dovrebbe invece parlare di temporanea biologica parziale quando la condizione anatomica e funzionale (anche quella iniziale e non solo quella successiva, relativa alla fase evolutiva delle lesioni) consente l’espletamento, almeno in parte, della abituali attività.

Ovviamente, nel tradurre queste considerazioni in termini applicabili in concreto nella pratica peritale quotidiana, appare subito evidente la improponibilità di un criterio di giudizio che, al pari della valutazione del danno permanente biologico, calcoli la inabilità temporanea parziale riferendosi a frazioni eccessivamente parcellizzate.

Da più parti recentemente è stato suggerito di effettuare il computo della inabilità temporanea biologica parziale ricorrendo a

“fasce di invalidità temporanea rapportandole al grado di limitazione, alla soggettività algico-disfunzionale, e alle altre ripercussioni che la malattia ha sulla cenestesi del leso6”, soluzione che personalmente condivido, risultando la più ragionevole e la più facile da standardizzare in modo da consentire una applicazione omogenea del criterio su tutto il territorio nazionale, ma anche quella che, allo stesso tempo, consente più di altre di rispettare quanto dicono la dottrina del danno biologico e, più recentemente, la legge 57 del marzo 2001.

Restano però ancora da fissare dei parametri omogenei per stabilire quale dovrebbe essere il grado di impedimento che legittima la indicazione di una inabilità temporanea assoluta e quale invece quello che consente di indicare una fascia piuttosto che l’altra, e questo credo dovrà essere, nell’immediato futuro, oggetto di specifici contributi e dibattiti, fino a raggiungere, se possibile, una metodologia che abbia su di sé il più vasto consenso possibile.

*Dr Luigi Mastroroberto.Medico Legale.Consulente di Direzione Unipol.Bologna

6 MANGILI-MORINI-CANDOTTI Il giudizio, cit.

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