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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.28 (1901) n.1404, 31 marzo

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L’ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

in # H r a i -v m . U H I

Firenze, 31 Marze 1 »

». 1404

I P R O G E T T I DI S G R A V IO

e la Commissione Parlamentare

La Commissione che esamina i disegni di legge presentati dal Ministro delle Finanze pol­ la riforma del dazio consumo ha respinto il pro­ getto ministeriale quasi alla unanimità; e non vi è da meravigliarsene subitochè i partiti poli­ tici, con manifesto errore di tattica parlamentare, hanno stabilito' di dar battaglia al Ministero sulle sue proposte di riforma del dazio consumo. Diciamo che è un manifesto errore di tat­ tica parlamentare, perchè sempre più il paese, che attende da tanto tempo qualche inizio di ri­ forma, entrerà nella persuasione che questo succe­ dersi di progetti, destinati ad essere seppelliti negli archivi della Camera, sia un mezzo più o meno serio per lasciar passare il tempo senza conclu­ der nulla. Per cui, davanti alla opinione pubblica non si avvantaggerà di questo atteggiamento, nè la Camera nel suo complesso, nè i diversi partiti che seguono una condotta così negativa da rap­ presentare quasi dei gruppi sovversivi, sia pure nell’ ambito della legge; — nè se ne avvantaggerà 1’ attuale opposizione, la quale abbandonò il Mini­ stro Rubini, che usciva dalle sue file, e che non proponeva sgravi, ma resisteva alle maggiori spese; abbandonò il Ministro Chimirri, che pre­ sentò un progetto per esonerare le quote minime delle imposte dirette; abbandonò il Ministro Fi­ nali, che propendeva per lo sgravio della tassa sul sale, ed ora vuol rovesciare il Ministro W ol- lemborg, che propone uno sgravio del dazio con­ sumo.

Se non chè, ciò che è ancora più strano, è che gli oppositori stessi respingono quasi alla unanimità il progetto del Ministro attuale, men­ tre il loro capo presenta un ordine del giorno che implica quasi gli stessi concetti del progetto ministeriale, e mentre più d’ uno dei membri della Commissione propone dei contro-progetti che riguardano la stessa materia.

Evidentemente, il paese, il quale non ha tempo di studiare queste logomachie di pochi uo­ mini (rammentiamo che gli elettori italiani sono circa due milioni e che di questi, quasi la metà non votano) il paese si persuaderà clm sia pas­ sata una parola d’ ordine a cui, sotto diversa forma, tutti obbediscono e che vuol dire : per­ diamo il tempo e non facciamo nulla.

E infatti che si debbano cominciare gli sgravi dal dazio di consumo sembra che tutti ne siano

convinti; — lo è la estrema sinistra, che ha di­ chiarato di accettare in massima il progetto mi­ nisteriale; — ne sono convinti i costituzionali ministeriali, perchè appoggiano il Ministero; ne è convinto il centro, il cui capo, on. Sonnino, propose l ’ ordine del giorno ricordato; — lo è la destra, perchè l ’ on. Luzzatti, in tempo non lon­ tano, fece proposte in quel senso. Vi è adunque la quasi unanimità di consenso in una sollecita riforma di dazio consumo.

Ora non potendosi proporre, in riguardo alle finanze dello Stato ed a quelle dei Comuni, un progetto che dica semplicemente : il dazio con­ sumo è abolito; ma dovendo procedere per gradi, la materia stessa si presta a formar oggetto di multiformi proposte. Infatti i termini del pro­ blema sono molti: Comuni aperti e chiusi ; Comuni di l a, di 2a, di 3a, di 4a classe; — sgravi di al­

cuni generi di prima necessità, o limitazione di tariffe; sussidio o no dello Stato alle finanze comunali; misura di questo sussidio.

É chiaro che con tutti questi termini diversi ognuno dei 508 deputati, se ciascuno ne fosse ca­ pace, potrebbe compilare un progetto di legge di­ verso da quello dei suoi 507 colleghi; e ciascuno dei 508 progetti darebbe modo di svolgere delle buone ragioni per preferirlo agli altri, o per po­ sporlo agli altri.

Nessuno può credere che materia così deli­ cata, così complessa, e così difforme anche da luogo a luogo, dia facile modo alla compilazione di un progetto che non abbia inconvenienti e non si presti a critiche fondate; e come nessuno può sostenere nè certo vuol sostenere che il progetto dell’on. W ollemborg sia esente da mende e non sia suscettibile di essere migliorato, — così nessun può pretendere che sia esente da censure e non sia suscettibile di miglioramento il progetto die presentasse un altro qualunque.

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180 L ’ E C O N O M IS T A 31 marzo 1901 cessivo e si incontrerà la opposizione di coloro

che giustamente vogliono la integrità del bilancio; — abolire assolutamente il dazio in tutti i Co­ muni minori, disse qualche altro; — e sarebbe un provvedimento che avrebbe il suo lato buono, ma è possibile ammettere che il dazio sia abo­ lito in un migliaio di Comuni sparsi qua e là, e mantenuto integro in tutti gli altri?

Troppo confuse sono le notizie che ci hanno dato i giornali sulle proposte che sono pervenute alla Commissione perchè possiamo ora esaminarle; ma non sappiamo capacitarci come senza une ar-

rière pensée, che non mancherà di esser nota a

suo tempo, la Commissione abbia sentito il biso­ gno di respingere prima di tutto il progetto mi­ nisteriale, senza aver nemmeno concretate prece­

dentemente le proprie idee su un progetto diverso.

Gli atti parlamentari contengono centinaia di pro­ getti ministeriali che furono modificati dalle Com­ missioni in quasi tutti gli articoli, ed ebbero molti articoli soppressi, molti aggiunti, senza che fosse stato sentito il bisogno di respingere a

p riori il progetto ministeriale.

E se insistiamo nel maravigliarci di questo fatto insolito, non è in verità perchè ci tormenti il pensiero che si sia voluto fare questo dispetto politico all’ on. W ollemborg; egli è giovane, è in principio della sua vita politica e quindi deve abituarsi anche alla parte puerile della vita par­ lamentare ; ma temiamo fortemente che questo straordinario sistema nasconda una insidia, quella di non voler venire a nessuna conclusione, col pretesto di fare degli studi profondi sulla mate­ ria complessa e difficile ; temiamo che per compi­ lare il contro progetto la Commissione abbia bi­ sogno di fare tanti quesiti al Ministro, di chiedere tante notizie e poi discutere così a lungo le di­ verse opinioni dei suoi membri, e poi di fare una relazione cosi voluminosa, che la discussione ne sia rimandata a Novembre.

Nè questa ipotesi è lontana dalla possibilità, poiché l’opposizione attuale sente benissimo che potrebbe con un colpo di maggioranza abbattere in qualunque momento il Ministero e succedergli; ma sente del pari che sarebbe, arrivata al potere, maggioranza esigua, onde ha bisogno di tempo per avere nuove e più estese combinazioni coi gruppi parlamentari; per la opposizione il guadagnar tempo presenta il vantaggio di elaborare una nuova miscela dei partiti, che dia una maggio­ ranza più estesa.

Se il progetto sulla riforma del dazio venisse in discussione e venisse approvato, sia pure con profonde e sostanziali riforme, il Ministero si raf­ forzerebbe e sarebbe più difficile abbatterlo ; te­ nendone invece sospesa la vita per la parte sua più importante, come è quella dell’ inizio della ri­ forma tributaria, si mantiene debole il gabinetto e si dà tempo alla maggioranza di cercare al­ leanze o benevoli aspettative, od anche diffidenti aspettative.

Per di più vi è sempre l’ imprevisto su cui contare e che è più pericoloso per i deboli.

E questa tattica a noi sembra insidia, non in­ sidia, tra i diversi partiti parlamentari, perchè loro la chiamano anzi politica, come con meravi­ glioso scetticismo dimostrava testé il Corriere

della Sera, ma insidia al paese che è tenuto da

anni ed anni in questo snervante supplizio di Tantalo, promettendo sgravi ed approvando nuo­ ve spese (per le quali tutti sono d’ accordo) che formano poi la causa di nuovi aggravi.

Attenti però al dies trae.

PROTEZIONISMO E DAZIO SUL GRANO

Questa Camera dei deputati che per mancanza del coraggio necessario a manifestare una opi­ nione, non affronta nè risolve mai nessuna que­ stione, è riuscita a darci una votazione basata sull’equivoco anche sulla questione del dazio sul grano.

Tutti sanno che molti e molti sono i deputati, i quali sono convinti essere conveniente e sotto l’aspetto economico e sotto l’aspetto morale e sotto l’aspetto politico, abolire, sia pux-e gradual­ mente, il dazio sul grano, e tuttavia la proposta raccolse poche diecine di voti e la grande mag­ gioranza votò contro la proposta senza convin­ cimento, ma solo per mancanza di coraggio di presentare una proposta che manifestasse chiare e preciso il pensiero dei più.

E gli applausi coi quali furono accolti i brillanti sofismi dell’onor. Colajanni, son da prova più chia­ ra che la maggioranza, la quale non aveva buoni argomenti propri per spiegare un voto contro la proposta, era ben lieta di trovare l’aiuto in un avversario, che in questa questione volle mo­ strare una strana eccentricità di pensiero.

In queste stesse colonne abbiamo già altra volta combattuto le nuove idee dell’on. Colajanni, cercando di dimostrare come fossero basate so­ pra erronea concezione della questione. Nulla abbiamo da mutare a quello che allora abbiamo scritto, nemmeno dopo l’applaudito discorso del deputato di Castrogiovanni.

Ma giacché parve che la Camera, dove pure vi sono nomini che conoscono queste questioni ed avrebbero fatto bene a confutare subito l’ora­ tore, fosse impressionata dalla chiusa del di­ scorso, « portateci la proposta di abolire la pro­ tezione industriale, disse l’on. Colajanni, ed io voterò la abolizione del dazio sul grano » è bene dire qualche cosa su questo concetto.

L ’on. Colajanni ha voluto in quel momento ignorare che il pernio del protezionismo fu dato sempre e dovunque dal dazio sul grano.

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Ora Fon. Colajanni, subordinando il suo voto per la abolizione del dazio sul grano, alla aboli­ zione dei dazi industriali, sapeva benissimo ohe

metteva una condizione impossibile, perchè il

bilancio non può sostenere una perdita di centi­ naia di milioni, e sapeva ancora che a debellare il protezionismo è necessario cominciare dalla abolizione del dazio sul grano. E ciò è natu­ rale; poiché mentre il dazio industriale ha per iscopo principale di far sorgere nuove industrie ed allargare quelle esistenti e così accrescere la

quantità di lavoro, essendoché la concorrenza in­

terna non rende assicurati mediante i dazi i grandi guadagni alle industrie, il dazio sul grano non ha affatto questo scopo, non procura mag­ giore lavoro a nessuno, non determina la colti­ vazione delle terre incolte, ma solo mira ad uno e l’altro dei due scopi :

a) mantenere ed accrescere il reddito delle

terre ;

b) mantenere od accrescere il prezzo delle

terre.

Si tratta quindi di protezionismo, non a van­ taggio delle moltitudini lavoratrici per accrescere la quantità di lavoro, ma di protezionismo a van­ taggio dei proprietari di terre, perchè non per­ dano il reddito e le terre non deprezzino.

Giustamente il dazio sul grano fu definito : uno stromento con cui i proprietari granicultori percepiscono una tassa su tutti i cittadini.

Il dichiararsi quindi contrari al protezionismo e non votar subito, appena se ne presenta l’occa­ sione, contro il dazio sul grano, è, ce lo permetta Fon. Colajanni, una contraddizione nella quale non può cadere inconsciamente un uomo intel­ ligente e dotto come egli è.

Abolito il dazio sul grano non potrà a lungo resistere il protezionismo industriale eccessivo; ed i dazi potranno essere più facilmente tempe­ rati coi trattati di commercio. D ’altra parte, ci sa dire Fon. Colajanni quali effetti economici produrebbe il fatto della abolizione del grano?

Il consumo in Italia è di circa 45 milioni di ettolitri e il suo costo è aumentato dal dazio per lo meno del 60 per cento ; i consumatori, abolito il dazio, risparmierebbero quasi 150 mi­ lioni; ed in che sarebbero spesi questi 150 mi­ lioni? E quanti di essi non ritornerebbero alla proprietà per maggior consumo di carni, di vino, di olio e di tanti altri prodotti agricoli ?

Tutte queste cose non le ignora certo Fon. Co­ lajanni, ma invece ha voluto ammettere che possa essere dannoso ad un paese avere il pane a

buon mercato.

E non vi può essere logica, nè brillante, nè severa, non vi possono essere nè applausi nè approvazioni di Parlamento che tolgano a quella formula la assurdità di cui ha il carattere.

GLI OGGETTI D’A R T I

lo S ta to e la p ro p r ie tà , p r i v a t a

Nessuna forma di proprietà va interamente libera da vincoli, ma uno dei vincoli più singolari è quello a cui va soggetta, in alcuni Stati, fra i quali il nostro, la proprietà degli oggetti che siano

un prodotto delle arti belle, o che abbiano un pregio speciale sotto il rispetto dell’ archeologia o della storia patria. Gli oggetti preziosi per l’arte o per la storia - così a un dipresso ragiona 10 Stato - non sono esclusiva proprietà di colui che materialmente, sia pure con pieno buon di­ ritto, li possiede, ma sono anche, in certo modo e fino a un certo punto, proprietà nazionale. Chi 11 possiede li goda pure ; soltanto gli sia dalle leggi vietato di distruggerli, di deturparli e an­ che alienarli fuor de’ confini nazionali. E la legge abbia le occorrènti sanzioni, anche penali.

Di questo concetto si trova applicazione già in alcune leggi dell’ antica Roma, e più se ne trova in quelle degli Stati dalla cui fusione sorse il Regno d ’ Italia. Rigorosissimi erano in propo­ sito gli editti sovrani nell’ ex Reame delle Due Sicilie, e non risulta che siano mai stati espres­ samente aboliti. Per la stessa ragione può dirsi tuttora vigente in Toscana il divieto posto dai Granduchi lorenesi alla esportazione non dallo Stato soltanto, ma dalla stessa città di Eirenze, e non solo rispetto ai capi d’ arte più cospicui, ma a qualunque opera uscita dai pennelli di ben diciannove celebrati pittori. Non v’ è poi chi non conosca almeno di nome il famoso Editto Pacca, tuttora vigente nel territorio che costituiva l’ex Stato Pontificio, a tutela degli oggetti d’ arte e d’ antichità; editto che a volta a volta viene quasi lasciato cadere in dissuetudine per lunghi pe­ riodi e viene in altri periodi, per esempio adesso negli ultimi mesi, rievocato da senteuze di ma­ gistrati con interpretazioni e applicazioni della più stridente disformità.

L ’ incertezza della giurisprudenza, i lamenti di alcuni privati e F assurdo della coesistenza di norme proibitive diseguali nelle diverse parti di uno stesso Regno, hanno fatto sentire già da gran tempo la necessità d’ una legge nuova, inspirata ad ogni criterio ed applicabile a tutte le pro­ vinole italiane. Più d’uno dei ministri che si sono succeduti al governo della pubblica istruzione ebbe a promettere d’occuparsene e si dice che Fon. Gallo avesse quasi pronto un apposito di­ segno di legge. Vedremo se Fon. Nasi sarà più fortunato di lui, cioè se le vicende della politica gli lascieranno il tempo di presentarne uno al Parlamento, come parimente si dice ch’egli pure abbia in mente di fare. Ignoriamo, per ora, che cosa cotesti disegni di legge contengano, sicché diremo invece che cosa, a parer nostro, dovreb­ bero contenere.

In questa materia, come in ogni altra, noi vorremmo la maggior libertà possibile. Alludiamo alla libertà di alienare gli oggetti antichi e di arte, giacché il divieto di distruggerli e di de­ turparli, data F indole speciale delle cose su cui verrebbe a cadere, non deve considerarsi una offesa al diritto di proprietà, e ci pare giusto, quanto provvido. Malgrado ciò, sappiamo benis­ simo che verremo anche questa volta chiamati dottrinari, teorici, ciechi alla realtà delle cose, avversari pedantescamente ostinati d’ogni inge­ renza dello Stato anche nei fatti d’ interesse ge­ nerale. Pazienza: ci siamo avvezzi.

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182 L ' E C O N O M IS T A 31 marzo 1901 doverglisi gli interessi particolari piegare di­

nanzi.

Rappresenta un concetto importante e giu­ stissimo, ma guai ad abusarne! E troppe volte se ne è abusato ed in suo nome sono stati con­ culcati non solo interessi, ma diritti privati sa­ crosanti. Se le due cose si possono conciliare, tanto meglio, e a conciliarle ci proveremo nella presente questione anche noi. L ’ osso duro sta nei modi e nei limiti. Comunque sia, cominciamo

dal vedere un po’ chiaro di che si tratta. I fautori d’ un sistema fortemente proibitivo, partono - ci piace riconoscerlo - da principi ele­ vatissimi, hanno larghe e degne vedute. L ’arte, insegnano, o meglio ricordano, giacché nessuno può seriamente contradirli, è tutt’uno col pen­ siero civile, colla storia delle nazioni. Ogni età vi ha specchiata ed impressa la propria imma­ gine ; ed oggi non solo l’ arte, come ha fatto sempre, educa, raggentilisce e affina gli animi umani, ma di lei si vale e a lei si appoggia la scienza per ricostruire quel passato, di cui può dirsi che l’ arte ci costudisca il vivente volume. La stessa universale coltura del genere umano, la stessa suprema magistratura dell’ umano pen­ siero, ottiene dallo studio dei monumenti un frutto incomparabilmente più succoso e migliore quando li viene considerando colà dove li ha piantati la storia e dove, si può dire, vivono ancora, che non quando li sterpa dalle radici e, quasi corpo morto, se li viene permutando ¿ i mano in mano e di paese in paese 1). E quindi, più che un de­ siderio, un dovere, che il patrimonio dell’ arte, massime in un paese come il nostro, erede e continuatore di tre civiltà, sia circondato di par­ ticolarissime cure e raccomandato non solamente all’amore degli studiosi, ma alla materna tutela della legge. Se non che, per non stringere di soverchio i freni, e dovendosi pur distinguere le cose di sommo pregio e di primaria importanza da quelle di importanza secondaria e di pregio minore, le proposte più autorevoli furono sem­ pre per limitare i rigori soltanto alle prime, at­ tribuire la valutazione di esse allo Stato per mezzo dei suoi organi competenti e stabilire che chiunque voglia esportare all’ estero oggetti di antichità ed opere d’ arte di autori non viventi, raccolte numismatiche, iscrizioni, codici, diplomi e collezioni convenienti ai musei artistici ed ar­ chelogici, deva ottenerne licenza dal Ministero della pubblica istruzione.

A contrastare proposte in apparenza così eque e temperate, per giunta cosi bene motivate come sopra, si passa per vandali o per beoti. L ’ è proprio dura, quando si passa tutto l ’anno a sfi­ dare impopolarità di tante specie, dover affron­ tare anche questa impopolarità sui generis presso intere schiere di spiriti eletti ! Ma è inutile: in noi quello che ci sembra, salvo errore, il vero ed il giu sto, ha il sopravvento su tutto. E non

'•) Cuique suutn. Dichiariamo d’ avere qui adope­

rate testualmente le parole elettissime pronunziate in Senato dall’ on. iVIassarani nel novembre 1877 in­ torno a un progetto finora non mai diventato legge. Il lungo tempo trascorso non toglie loro verità, nò freschezza efficace. Così a noi sembra, mentre dis­ sentiamo però fermamente dalle conclusioni a cui l’ egregio uomo giungeva.

riusciremo mai a persuaderci come possa, ma­ gari per scopi lodevoli, essere provvido, giusto, epperò lecito, offendere il diritto di proprietà privata, legittimamente acquistato e posseduto e regolarmente esercitato.

A questo punto è doveroso esaminare un no­ tevole argomento posto in campo dai protezio­ nisti della merce artistica e archeologica. 0 che forse, osservano non senza acutezza, dinanzi alla ragione suprema dell’utile pubblico, non deve la proprietà privata anch’ essa inchinarsi e non si è fatta dalla legge in più d’ un caso inchinare ? « Che altro è la storia del progresso giuridico, se non quello di un perpetuo compromesso fra l’antica e sconfinata ragione eroica del posses­ sore e la nuova ragione civile del legislatore e del giudice?... Ogni giorno noi rechiamo più avanti questa ingerenza della legge depositaria e mandataria del pubblico bene, nelle ragioni del privato cittadino. Al privato cittadino ma­ nomettiamo, coll’ acquedotto coattivo, i suoi campi; spiantiamo i suoi vigneti ed abbattiamo le sue case davanti al corso irruente ed irresi­ stibile della vaporiera. Se le pendici dei suoi monti sono vestite del sacro verde delle selve, gli imponiamo che non ne le spogli ; se erige una abitazione od un opificio, diamo norme inviola­ bili alle dimensioni, ai materiali, perfino ai me­ todi di costruzione e alla facoltà di abitare entro le sue proprie pareti domestiche. 0 perchè non potremmo, per un’alta ragione di decoro, di col­ tura, di civiltà, quello che per ragioni d’ ordine, d’ igiene e di sicurezza possiamo ? » *).

Perchè ? Perchè l’ordine pubblico, la sicurezza e anche l’ igiene hanno esigenze imperiose, che non possono soddisfarsi senza sacrificare un po’ dei diritti individuali; mentre il decoro e la cultura non le hanno nello stesso grado. Sono cose di gran rilievo esse pure, ma, in confronto vengono in seconda linea. Ci si opporrà che è dunque soltanto questione di grado. Sicuro, ma appunto perciò bisogna, nel derogare ai principi, andare cauti ed essere discreti; appunto perchè i restringimenti della libertà e gli ostacoli al­ l’esercizio della proprietà sono l’eccezione e non la regola, bisogna che le eccezioni non si mol­ tiplichino fino al punto di diventare regola esse medesime. E un vizio abusare delle analogie di una in altra: prolungando di troppo la loro serie si finisce per formare una sterminata catena, di cui i primi e gli ultimi anelli non si somigliano più affatto.

Si aggiunga che, per lo più, i danni recati alla proprietà privata per un interesse pubblico ven­ gono indennizzati. Quando si espropria un ter­ reno per aprire una strada o un canale o per costruire una ferrovia, al proprietario viene pa­ gato il giusto prezzo. Vi sono, è vero, delle eccezioni (ragion di più per non stabilirne altre) e non si dà indennizzo pel divieto di disboscare i monti, nè per le servitù militari. Ma si tratta, nel primo caso, di evitare danni gravissimi ai proprietari di fondi sottostanti, nel secondo della difesa della patria!

Se lo Stato, dopo avere vietata l’esportazione di oggetti antichi o d’arte di pregio riconosciuto,

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fosse sempre disposto e in grado di comprarli lui dai possessori che desiderano o hanno biso­ gno di venderli, non avremmo nulla da ridire. Crediamo anzi che in tal caso la questione non esisterebbe neppure, giacche il diritto di prela­ zione allo Stato non ci sembra possa venire con­ trastato seriamente. Una piccola limitazione alla libertà vi sarebbe pur sempre, è vero, perchè di regola ogni venditore è padrone, tra più com­ pratoli, di scegliere quello che preferisce. Ma sarebbe una limitazione pochissimo visibile, e d’altronde ampiamente giustificata da quei mo­ tivi di decoro nazionale e di pubblica cultura di cui abbiamo già riconosciuto il valore. Allora si che l’analogia con altre leggi restrittive vigenti si potrebbe invocare con ragione.

Invece ci impensierisce la tendenza che si voglia rendere efficace in pratica il divieto di esportazione, estendendolo anche ai casi (e sa­ ranno i più) in cui lo Stato non possa farsi acqui­ rente. Guardiamo come stanno oggi le cose. Di rado ed eccezionalmente lo Stato italiano può spendere per acquisto di quadri o di statue, o di medaglieri, mentre gli scarseggiano i danari per l’esercito, per la marina, per le scuole, per i tribunali, per i pubblici lavori e via dicendo Il diritto di prelazione lo ha, come è giusto, ma il più delle volte non può esercitarlo, sicché è quasi come se non lo avesse. Ecco perchè non mancano valentuomini a suggerire che la legge da farsi sia rigorosamente proibitiva per gli og­ getti di vero pregio. Sarebbe una violenza odiosa, un’ ingiustizia patente. Lo Stato infatti verrebbe a dire ai possessori: quando avete voglia o bi­ sogno di vendere e io, per una volta tanto, per integrare una collezione, o perchè mi ritrovo di­ sponibile qualche danaro più del solito, mi de­ cido a comprare 1’ oggetto ve lo pago quella somma che tra noi si pattuisce; con che rico­ nosco che la roba bisogna pagarla e che il ven­ dere la roba propria, di qualunque specie, non ha nulla di illecito. Perciò appunto il diritto di prelazione, per ragioni non controverse d’ inte­ resse pubblico, lo mantengo in vigore. Ma quando non posso spendere, quando perciò non sono da tanto di tutelare il predetto interesse pubblico e disgrazia vuole che in paese non tro­ viate altri compratori, faccio presto : vi vieto di porre in essere quell’atto che di per se stesso riconosco lecito. Se ciò vi fa danno, pazienza, rassegnatevi.

Adoperiamo lingua povera, ma è proprio così. Se non che il rassegnarsi non è sempre facile nè possibile. Non è da credersi che i posses­ sori di oggetti pregevoli siano sempre ricchi. Qualche volta sono oberati da debiti, Don di rado cotesti oggetti, con cui non si provvede alle ne­ cessità quotidiane della vita, sono l’unica eredità che abbiano ricevuta da un ricco parente, qualche volta un bel quadro o una bella statua sono il solo avanzo d ’un largo patrimonio speso per ri­ parare con onore a disgrazie commerciali dove la colpa del danneggiato non entrò affatto, I casi son tanti ! Ed ai colpiti dalla sventura, ai biso­ gnosi onesti volete parlare solennemente di decoro patrio e coltura nazionale ? E ’ savio ? E’ umano ?

I fautori di provvedimenti proibitivi conosco­

no benissimo questo punto della questione e s’ ingegnano a vincerlo con ragioni assai me­ diocri.

Prima di tutto ricordano che negli antichi Stati italiani i vincoli in discorso già esistevano; ma in quegli Stati ben troppi altri ve n’ erano contro ogni libertà civile. Il modello non è scelto troppo bene. Non sempre un fatto storico costituisce un motivo logico. Qui poi si tratta di vedere non ciò che altri faceva, ma ciò che convien fare.

In secondo luogo osservano che il paragone è tutto a favore della loro tesi, perchè quegli Stati erano piccoli, epperò offrivano un mercato assai ristretto, mentre oggi il mercato italiano, entro il quale il commercio degli oggetti d’ arte e d’antichità sarebbe libero, è ben più vasto e non può dirsi povero al punto di non avere al­ cuna capacità d ’acquisto. Il fatto è vero, ma non risolvente. Il mercato è più vasto in via asso­ luta, ma in via relativa no, e nel mondo tutto è relativo. E ’ anche più larga tutta la vita m o­ derna, i bisogni sono cresciuti, le distanze sono sparite. Un viaggio, una trattativa, una conven­ zione di compra-vendita sono oggi cose facili e necessarie e frequenti fra Roma e Londra, quanto lo erano cinquant’anni addietro fra Roma e Fi­ renze.

Ma - si obbietta ancora - le vendite non sono poi il solo modo di cavare dai capolavori d’arte un beneficio materiale. Vi sono le esposizioni pri­ vate e quelle nomadi a pagamento.... Buoni con­ sigli, secondo noi, finché si danno così in genere, ma non sempre applicabili caso per caso. Tali espedienti non sarebbero una novità, qualche volta vengono praticati, ma ognuno conosce il proprio interesse, e se-le vendite all’ estero si succedono non rare, malgrado ogni freno, vuol dire che almeno in quei casi lì, nè l’ampiezza del mercato italiano nè altri ripieghi presentano al­ trettanta convenienza.

E per ultimo, una considerazione d’ ordine più generale. Vi sono necessità storiche e sociali, a cui è vano tentare d’opporsi. Se siamo meno ricchi che in certi altri secoli e meno ricchi di certi altri popoli, non riusciremo interamente, per far che si faccia, a impedire che l’oro stra­ niero attiri a sè qualche particella del nostro pa­ trimonio nazionale che sia in mano di privati. Non vi si può riuscire ; come, per un motivo inverso ma equivalente, i più forti dazi doganali non giun­ gono a chiudere del tutto la porta a taluni pro­ dotti stranieri, di cui un paese assolutamente ab­ bisogni. La prova è che gli antichi Editti Pacca e congeneri vigono tuttora, ma vengono spesso frodati.

Si pretende troppo e non si ottiene l’in ­ tento. Qualche freno indiretto e non illegittimo si può o si deve porre in opera, come dire­ mo a momenti ; ma, se non si vuole calpesta­ re ogni più fondamentale principio di diritto, in questa materia bisogna rinunziare a una par­ te del desiderabile e mirare con diligenza al pos­ sibile.

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184 L ’ E C O N O M IS T A 31 marzo 1901 si applicano saltuariamente e anche poco razio­

nalmente ’ ).

Nel nostro modo di vedere, il commercio de­ gli oggetti d’antichità e d ’arte dovrebbe essere

libero, cosi nell’ interno del Regno come fuori.

Soltanto, nel secondo caso, allo Stato dovrebbe spettare il diritto di prelazione. E ’ utile che permanga. Spesso lo Stato non può esercitarlo, ma qualche volta potè, qualche volta potrà.

Sugli oggetti che vengono mandati all’ estero dovrebbe imporsi una tassa alquanto forte. E ’ forse il solo caso in cui un dazio d’ esportazione sia giusto e opportuno. Non è assurdo che sia più alto di quelli d’ importazione, se anche que­ sti ultimi, tanto numerosi, sono disegualissimi tra loro. In tal modo è presumibile che si rende­ rebbero un po’ più rare, le vendite all’estero e, di rimbalzo, per necessità, un po' meno alti i prezzi e un po’ più frequenti le contrattazioni sul mercato interno. E siffatto provvedimento non avrebbe nulla di odioso. Il suo scopo finale sarebbe d’ impedire o menomare la diminuzione del patrimonio artistico italiano, ma non pre­ senterebbe alcun carattere oppressivo; perchè gli oggetti di cui si tratta, sia ricco o povero il loro possessore, sono innegabilmente oggetti di

lusso. La legge qui non tassa la persona, ma la

cosa ; e se la seta paga più del cotone e se i pro­ dotti rari e fini pagano più di quelli comuni e greggi, ragion vuole che oggetti i quali hanno un alto valore indipendentemente dalla materia, di cui sono composti, paghino più di tutti gli altri. E s’ intende che parliamo di tassa d’esportazione non di tassa sulle vendite, giacché non si do­ vrebbe rendere possibile che un inglese, puta, comperasse un quadro prezioso mentre dimora in Italia, e poi quando parte se lo portasse via liberamente, perchè la proprietà ne è ormai sua. Sarebbe necessaria molta vigilanza. Le multe poi dovrebbero essere gravissime, così per chi non rispettasse il diritto di prelazione dello Stato come, e anche più, per chi spedisse roba^ al­ l ’estero di soppiatto. A noi piacciono le leggi li­ berali e in genere (questa materia speciale è una eccezione), le tariffe tributane e daziarie più miti che sia possibile, ma nessuna indulgenza contro chi scientemente elude la legge. Si pro­ mulghino leggi buone, e a favore della maestà della legge saremo sempre accesi protezionisti.

Il prodotto delle tasse e delle eventuali multe potrebbe dallo Stato destinarsi alla costituzione di un fondo speciale, per rendere meno difficili da parte sua gli acquisti di quelle opere d arte che in Italia i privati fossero nella necessità di vendere. Così tutto concorrerebbe un poco allo intento desiderato.

Altri, se può, proponga di meglio. A noi pare i) Potremmo citare parecchi casi: ne citeremo uno recente. Dire anni fa da Poma fu venduto al­ l’ estero un busto attribuito a Benvenuto Celimi.' il possessore lo aveva offerto a mite prezzo al Governo italiano, che lo rifiutò, perchè una Commissione ar­ tistica governativa Jo ritenne opera scadente. Jrasso dapprima in. altre mani italiane e, dopo emigrato all’ estero, il venditore fu imputato di contravven­ zione all’ Editto Pacca, per aver venduta un opera di sommo preqio per Varie, e condannato a una multa eguale al prezzo di acquisto. Adesso è in pendenza l’ appello.

che le proposte che abbiamo abbozzate valgano a contemperare abbastanza bene due opposti principi e due opposti interessi, semprechè si tenda al possibile e non si trascuri il bene per smania infruttuosa del meglio; e che, rispettando a sufficienza - primo bisogno e primo dovere - la libertà e la proprietà, non contraddicano a quell’alto scopo intellettuale e di decoro patrio, a cui siamo noi pure tutt’altro che indifferenti.

LA BANCA D’ ITALIA

( E S E R C I Z I O 1900)

Il 25 Marzo ebbe luogo la adunanza generale ordinaria degli Azionisti della Banca d’ Italia, nella quale venne approvato il bilancio, il conto profitti e perdite e la ripartizione degli utili per l’esercizio 1900.

Il direttore genei’ale, Comm. Bonaldo Strin- gber, lesse la relazione sulle operazioni fatte dalla Banca in detto esercizio, ed espose oltre a ciò alcune considerazioni d’ordine generale, sulle quali ci riserbiamo di tenere prossimamente pa­ rola. Ora diremo soltanto delle risultanze del­ l’esercizio il quale non riguarda l’opera del nuo­ vo direttore generale, che, come è noto, assunse il suo ufficio sui primi giorni del decembre 1900. Non è quindi il caso di vedere in questo bilancio nemmeno il principio dell’opera della nuova dire­ zione, il pensiero della quale non è che appena adombrato in alcuni periodi dei quali ci occupe­ remo in seguito.

Diciamo però subito che il tono della relazione, senza essere in ostentata dissonanza con quelle degli anni precedenti, ne è essenzialmente diverso, in quanto, non solo la sobrietà del discorso la­ scia meglio afferrare il pensiero, ma vi è anche un principio di riconoscimento del vero stato dell’ Istituto richiedente cure diverse da quelle che gli furono fin qui procurate.

Intanto riepiloghiamo qui le cifre del movi- vimento generale della Banca e dei diversi conti di che si compone.

Le casse hanno dato un movimento comples­ sivo di 33 miliardi, con aumento di 4.3 miliardi a paragone dell’anno precedente ; le specie d’oro e d’argento entrano in questo movimento per 347 milioni con diminuzione di 2.3 milioni in confronto del 1899; però l’oro vi e aumentato di 13.2 milioni, l’argento diminuito di 15.5 mi­ lioni.

I conti correnti^ unite le partite a debito ed a credito, ebbero un movimento di 4.6 miliardi, con diminuzione di 1.7 miliardi rispetto al 1899; invece i conti correnti ad interesse diedero un aumento di mezzo milione essendo saliti fino a 92.4 milioni; l’ interesse è rimasto inalterato per tutto Tanno al saggio del 3[4 per cento.

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Sui 1,447 milioni scontati ben 1,187 lo furono al saggio ufficiale del 5 per cento, cioè oltre l ’ 82 per cento, mentre nel precedente esercizio al saggio ufficiale si era scontato poco più del 41 per cento.

In quanto alle anticipazioni, che ammontarono a 3577 per numero ed a Lire 240 milioni per valore; si dividevano, in quanto al valore, in 143 milioni su titoli del debito pubblico dello Stato e su buoni del Tesoro, in 75 milioni su titoli garantiti dallo Stato, per 19 milioni su cartelle fondiarie e per poco più di due milioni la sete.

L ’ importante partita delle immobilizzazioni, cioè delle operazioni non consentite dalla legge, fu diminuita di L. 6,266,538.31 per liquidazioni compiute, ma dovè essere del pari aumentata di L. 6,123,898.21, « sia in seguito a osservazioni della ispezione triennale, sia col consenso del Ministero del Tesoro, il quale riconobbe trat­ tarsi, nella specie, di partite derivanti da opera­ zioni iniziate dai cessati Istituti e appartenenti a quelle da liquidarsi nei modi e termini stabi­ liti dalla legge. »

In sostanza però le immobilizzazioni durante il 1900 non diminuiscono che di L. 142,640.10, per cui la somma delle immobilizzazioni che era di L. 245,314,726.83 nella fine del precedente eser­ cizio,rimase alla fine del 1900d iL .245,172,086.73. E siccome la somma accertata dalla ispezione governativa nel 1894 dava per immobilizzazioni 449.4 milioni, a cui si aggiunsero poi altri 57.6 milioni, in totale 507 milioni, deducendo da que­ sta cifra quella di 245.1 milioni ancora in essere, si ha che la somma delle liquidazioni compiute nei sette anni è di 261.8 milioni, cioè una media di 37.4 milioni l’anno, che si limita a 28.8 mi­ lioni, se si tien conto delle svalutazioni operate per mezzo del capitale sociale.

Si deduce da ciò che dei 507 milioni di immo­ bilizzazioni se n’ è liquidate mediante effettivi incassi appena due quinti, cioè 200 milioni; e se si riflette che naturalmente le liquidazioni già fatte furono, per la maggior parte le più facili, emerge in quali difficoltà deve trovarsi l’Ammi­ nistrazione della Banca per proseguire in que­ st opera di epurazione del patrimonio, e di risana­ mento della circolazione.

Onde bene a proposito nella sua relazione il Direttore Generale ammonisce: « La vostra Am- « ministrazione porrà ogni cura per affrettare la « mobilizzazione, benché il compito non sia age- « vole di fronte alle condizioni generali della eco- « nomia italiana e a quelle speciali della possi- « denza fondiaria. Se non che giova di rammen- « tare che la Banca ha la facoltà di valersi, per « il terzo triennio, del fondo di accantonamento, « per contrapposto alle operazioni immobilizzate. « Ciò indipendentemente dalla piena facoltà di « portare a compenso di operazioni della specie « da liquidare la parte disponibile della massa di « rispetto, la quale ascende oggidì a L 14,480,000. « Questo accertiamo — termina la relazione — « giacche se è necessario e utile di agire con « sollecitudine, non vi è alcun pericolo in mora. »

Sulla liquidazione della Banca Romana ap­ prendiamo dalle poche notizie fornii6 nella re­ lazione che nel 1900 furono incassati nel portafo­

glio, sulle sofferenze e su altri crediti L .882,236.54 e furono vendute proprietà per L. 1,116,464.90. Indi è detto : « il totale dei ricuperi in denaro a « tutto il 1900 ascesero a L. 20.754,877.69, il « prodotto della liquidazione fu di L. 815,903.77; « le spese sono ascese a L. 1,110,940.57, di cui « 1,019,289.06 di tasse. Il fondo di ammortamento, « costituito dal prelevamento di due milioni al- « l’anno sull’ utile della Banca d’ Italia, ammon- « tava, alla fine del 1900, a L. 15,961,114.73. « Questo fondo, con gli interessi a moltiplico, « potrà salire a circa 62 milioni, e sarà desti- « nato a fronteggiare le perdite che risulteranno « dalla liquidazione della Banca Romana. »

La circolazione media dell’ anno fu di 840,5 milioni, di cui 29,2 per conto del Tesoro ; — dei 811,2 milioni di circolazione per conto del commercio 707,6 milioni rappresentano la circo­ lazione ordinaria secondo la legge 10 agosto 1893, altri 3,8 milioni coperti dal 40 0[0 di ri­ serva secondo l’ alleg. E della legge 1894, in totale 711,4 milioni per cui 99,8 milioni rappre­ sentavano circolazione improduttiva, cioè inte­ ramente coperta da riserva metallica. Giova an­ che notare che dei 3,8 milioni emessi secondo la legge 1894, la massima parte, cioè 3,4 milioni erano soggetti alla tassa di due terzi dello sconto, ed il rimanente ad una tassa eguale allo sconto.

Aggiungiamo che la circolazione minima fu di 786,7 milioni il 20 maggio; la massima fu di 889,2 milioni il 20 gennaio; la circolazione mas­ sima per conto del commercio si ebbe il 30 giu­ gno in 864,8 milioni.

Qui riportiamo il seguente brano della re­ lazione che tratta del movimento della circola­ zione: — « Si è accennato alle cause le quali « hanno reso più larga la richiesta di denaro « alla Banca, costretta ad eccedere il limite nor- « male, benché abbia tenuto alta la ragione dello « sconto fino a non consentire operazioni che a « quella ufficiale del 5 0[0.

« Aggiungiamo che i mezzi disponibili della « Banca sono stati ridotti effettivamente dalle « giacenze nelle sue casse di valute di Stato e « di biglietti e titoli di altri Istituti, a fronte « dei quali la Banca tiene in circolazione bi- « glietti propri.

« La media delle valute di Stato non utili « alla riser /a e dei biglietti e dei titoli di altri <• Istituti è ascesa nell’ anno 1900, a Lire « 26,940,455. 84. Per converso le specie in oro « e in argento a pieno titolo di spettanza del « fondo di dotazione del Tesoro, e delle quali « profittò la Banca, fu in media, di L. 38,071,543.

« Notiamo che nel limite della circolazione « consentito alla Banca è compresa la emissione « fatta per ritirare i biglietti della Banca Ro- « mana. Non ostante questa considerevole dif- « falcazione delle sue effettive disponibilità, la « Banca sarebbe stata in grado di provvedere a « tutte le occorrenze, senza andare incontro agli « accennati aumenti oltre il limite normale, se « altre contingenze non ve l’ avessero costretta ».

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ac-186

creditamento in conto corrente furono 1101 per l ’ ammontare di 49,2 milioni.

Accenniamo inoltre che la Banca possedeva 72 milioni in buoni del Tesoro e che durante l’ anno diede al Tesoro dello Stato 152 milioni in conto anticipazioni statutarie; — che ebbe ordini di acquisto di titoli per 21 milioni e di vendita per 12 milioni; — che alla fine del 1900 aveva crediti sull’ estero per 92,3 milioni, di cui 31 in cambiali, 38 in Buoni del Tesoro di Stati esteri, 17,8 in certificati di credito sull’ estero; — che nell’ anno 1900 ebbe 474 milioni di depo­ siti, di cui 342,7 per custodia, 129,6 per garan­ zia, 1,7 per cauzione.

Per quanto riguarda il conto delle sofferenze, esse ammontarono nel 1900 a 2,4 milioni con un aumento di L. 132,022 sull’ anno precedente; dei 2,4 milioni di sofferenza passarono a carico del- l’ esercizio 1,6 milioni, essendo il rimanente o ri­ cuperato o passato nel conto speciale « cambiali assistite da garanzie reali ». I ricuperi riferentisi agli esercizi precedenti salirono^ a L. 588,024.18.

Così la Banca d’ Italia nei sette anni di eser­ cizio ha ammortizzati cogli utili 7,9 milioni di sofferenze dei quali 4,2 provenivano dalle ces­ sate Banche ; e le sofferenze proprie della Banca d’Italia furono in media di L. 530,000 l’anno, cioè il 5,65 per cento degli utili netti ricavati dalle operazioni di sconto compiute dalla Banca.

I titoli di rendita dello Stato o di altri va­ lori emessi o garantiti dallo Stato ammontarono a 69,4 milioni di lire; più 44,4 milioni in titoli per accantonamenti; e 14,4 milioni applicati al fondo di riserva. Gli immobili avevano un valore di 16,9 milioni.

Vedremo in altro articolo quanto riguarda gli utili e il Credito fondiario.

R ivista (Economica

31 marzo 1901 una flotta ed una ferrovia proprie per trasportare le materie prime pei loro stabilimenti e per trasportare in seguito i loro prodotti nei centri industriali o nei porti d’ imbarco.

Si trattava di riunirle in una mano sola, ma ì tentativi fatti in questo senso erano sempre falliti, in causa della ostinazione del re dell’acciaio, Carnegie, il quale non aveva mai voluto rinunziare alla lotta contro i suoi concorrenti. La crisi scoppiata nel mer­ cato del ferro e dell1 acciaio, dopo il forte rialzo del 1899, gli fece però intendere che sarebbe stato pericoloso di accentuare questa lotta ed un grande finanziere di Nuova York, il sig. Morgan, mise in piedi la grande combinazione attuale.

La nuova mastodontica Società ha assorbito le Compagnie preesistenti, si presenta con un capitale di 300 milioni di dollari, e si trova in possesso della quasi totalità dell’ industria americana dell’ acciaio, cosicché potrà esercitare un1 influenza decisiva sui prezzi del mercato mondiale.

Se si pensa che sul totale di 28 milioni di tonnel­ late che rappresenta la produzione d’acciaio di tutto il mondo, gli Stati Uniti ne producono 11 milioni, si comprende quale contraccolpo ne risentirà 1’ indu­ stria metallurgica. E così la questione delle conse­ guenze che deriveranno, presto o tardi, per l'econo­ mia generale, dai trusts americani, si ripresenta di bel nuovo.

In Europa non ci rendiamo conto della natura di questo movimento che abbraccia un po’ per volta tutta la industria degli Stati Uniti.

Sorto dalle esagerazioni della concorrenza, esa­ gerazioni di cui la storia delle Compagnie delle strade ferrate ci ha fornito parecchi esempi, questo movimento ha preso il suo grande sviluppo a comin­ ciare dal 1898 ed oggi si può dire che non vi è branca d’ industria che non abbia la sua combinazione. Nel 1898 il capitale tolale delle nuove combinazioni era di 1.106 milioni di dollari : nel 1899 di 2,543 milioni; nel 1900 di 2,945 milioni.

Le imprese di poca importanza, le piccole Società spariscono rapidamente e vanno a fondersi in qualche grande organizzazione generale.

Questi trusts hanuo i loro difensori ed i loro

avversari. . . . . .

La concorrenza industriale, dicono i primi, e stata tanto forte in questi ultimi tempi, che il mar­ gine dei benefici si è trovato ridotto ad una cifra bassissima. Tali condizioni spingono alla economia nella produzione, e questa economia e permessa ap­ punto dalla consolidazione e dalla concentrazione. Acquistando la materia prima, fabbricando il pro­ dotto e vendendolo, si ottengono migliori risultati se vi è un solo interesse dominante invece di molti. L ’ E C O N O M IS T A

Il qrande « trust » dell’ acciaio. — Il risparmio_ alle Casse postali — Il progetto sulle imprese di npar- tizzone.

Il grande «trust» dell’ acciaio. - Il grande

trust dell’acciaio, del quale si era tante volte annun-

ziata e smentita la formazione, si è finalmente co­ stituito il 26 febbraio scorso, e tutti ì mercati (lei mondo si occupano e preoccupano oggi di questa nuova combinazione, le cui conseguenze possono es­

sere mondiali. . , ,

La tendenza verso l’ associazione degli interessi allo scopo di evitare la concorrenza, è troppo mani­ festa negli Stati Uniti, perchè la più potente e la piu prospera forse delle industrie americane, potesse sfuggire ad un tentativo di concentrazione.

La sola difficoltà che doveva incontrare una tale impresa era la sua enormità, poiché la riunione sotto una sola direzione (ielle più importanti fonderie ame- ricane esige un capitale sociale cosiffatto che poteva considerarsene la realizzazione quasi impossibile. Ma un tale ostacolo non era fatto per scoraggiare quei grandi maneggiatori di miliardi cbe sono gli ame- ncani.

La via era, del resto, preparata da molti anni ; tutte le Compagnie che oggi si fondono nella « Uni­ ted States Steel Corporation», erano esse stesse al­ trettanti trusts che avevano assorbito parecchie in­ traprese e che tenevano nelle mani la quasi totalità della produzione dell’ acciaio. Erano Società impor­ tantissime che possedevano le miniere donde trae­ vano il carbone e il minerale di terrò 5 che avevano

In limiti ragionevoli, codeste combinazioni non si oppongono al pubblico bene, ma al contrario sono ad esso favorevoli. I consumatori possono acquistare a miglior mercato di prima e nello stesso tempo mi­ gliorano i salari.

Gli avversari rispondono che se alcune organiz­ zazioni fanno ribassare i prezzi, è per lottare contro una concorrenza pericolosa : ma il giorno in cui questa concorrenza sarà battuta e l’ associazione in­ dustriale resterà padrona del mercato, essa imporrà ai consumatori i prezzi che meglio le talentano ed anzi è appunto a questo scopo che si tende.

D’altra parte, l ’operaio, teme che queste coali­ zioni di capitali sieno una minaccia per lui ; insorge quindi, contro queste organizzazioni che finora ha subito e così i trusts che avevano creduto di trovare nell’aumento dei salari una assicurazione contro gli scioperi, stanno per esserne vittime.

E poi l’ aumento dei salari non si scompagna da un aumento dei prezzi, ed in ultima analisi è il con­ sumatore che ne sopporta le conseguenze. t Il movimento è ancora ai suoi primordi ed e difficile valutarne la portata, ma con lo sviluppo preso dall’ industria americana, che oggi ci fa con­ correnza nei nostri mercati, non possiamo disinte­ ressarci di una situazione che minaccia gli interessi dell’ intera Europa.

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Il risparmio alle Casse postali. — Dai dati teste pubblicati dall’ Amministrazione postale, relativi al "movimento dei depositi durante l’ intero anno 1900, si rileva che i versamenti fatti durante 1’ anno per depositi alle Casse postali ascesero a L. 400,038,061.

Dedotti i rimborsi effettivi e le somme investite per conto dei depositanti in rendita o alla Cassa de­ positi e prestiti, ne risultò una eccedenza dei ver­ samenti di L. 35,268,566, che andò ad ingrossare la consistenza dei depositi presso le Casse postali.

Il credito totale dei depositanti alle Casse po­ stali al 31 dicembre 1900 ascendeva a lire 663,772,172 sopra n. 3,993,340 libretti, con una melia di L. 166,22 per libretto.

Il progetto sulle imprese di ripara­ zione. — È stata distribuita la Lelaz'one Cottafavi sul progetto relativo alle Associazioni od imprese ton-

dinarie o di ripartizione. La relazione accetta il pro­

getto Carcano c n poche modificazioni che riguar­ dano gli articoli 2, 3 e 17. Sull’ art. 2 la Commissione unanime, in ordine al sistema proposto dal Mini­ stero pel riconoscimento giuridico delle associazioni in questione anziché ammettere la doppia intromis­ sione del Ministero e del Tribunale al quale ultimo non spetterebbe che ottemperare al nulla osta del Ministero, ammette invece che le associazioni pos­ sano costituirsi sotto la sola responsabilità del Mi­

nistero e colla solennità del Decreto Leale come lo stesso progetto stabilisce per lo scioglimento.

La Commissione unanime pure propone di sop­ primere i numeri 4 e 5 dell’ art. 3, concedenti alle associazioni od imprese di poter collocare 1’ ammon­ tare delle somme versate dagli associati e degli in­ teressi corrispondenti, in beni immobili posti nel Legno, liberi da ipoteca od in mutui con prima ipo­ teca sopra beni stabili posti nel Legno, per una somma che non superi la metà del loro valore debi­ tamente accertato.

L ’ ultima modificazione si riferisce all’ art. 17 e tende ad accrescere e viemmeglio completare il con­ cetto informatore dell’ articolo stesso che e cosi for­ mulato : « La denominazione di Cassa nazionale, non può essere assunta o conservata da alcuna impresa o società o istituzione a cui non sia conferita per

legge. » _

La Commissione di cui è relatore l’ on. Cottafavi estendendo la detta proibizione in senso più largo e generale prescrive, modificando il detto progetto, che nessuna impresa, società od istituto possa assu­ mere denominazioni che ingenerino equivoci con la Cassa Nazionale di Previdenza, obbligando gli enti stessi a sottoporre al Ministero d’ agricoltura 1 ap­ provazione del titolo che intendono di assumere.

L E E ï s Æ I S S I O ü N r i XDIBXjL ’ -A .

3

SJ IST O

1 9 0 0

PAESI A frica . ... Germania... America latina... Austria-Ungheria . . . B elg io... B u lga ria ... Canada ... C h i n a ... Congo ... D a n im a rca ... E g itto ... Spagna... Stati U n i t i ... Francia e colonie. . . . Gran Brettagna e colonie Grecia... I t a l i a ... Giappone... L u ssem b u rg o... N orvegia... Paesi Bassi e colonie . . Portogallo e colonie. . . Romania... R ussia... Serbia... S v ez ia ... S v iz z e r a ... T r a n s v a a l... T u r c h i a ... .... . Prestiti di Stati, Prov. ecc. Istituti di credito F e r r o v i e e Società industriali Totale del 1900

Franchi Franchi Franchi Franchi

525.937.500 237,492,450 91.497.000 77,981,200 22.250.000 707.932.500 936,000,000 4,860,800 1,644,193,750 479,312,500 20,034,200 2,572,500 31,562,500 5,000,000 323.200.000 139.375.000 82,293,750 975,600,000 87.130.000 210,969,890 192,871,950 595.000 12,000,000 500.000 2,000,000 9,164,100 45,601,004 44.625.000 1,193,428,350 2,160,355,000 82,293,750 1,910,850,000 344,656,650 305,039,390 302,415,050 22.845.000 12,UOO,OOU 500,000 2,000,000 707,932,500 14,164,100 1,041,601,800 44.625.000 1,521,489,150 3,943,923,750 52,600,000 31,851,250 84,451,250 87,988,500 13,573,000 175,000,000 74,911,250 6,875,000 8,302,500 2,611,100 293,174,910 2,000,000 65,348,100 7,299,850 i 5,390,000 163,105,500 2,000,000 94,863,500 87,223,600 9,910,950 180,390,000 831,191,660 49,000,000 66,860,000 21,630,000 38,812,090 2,240,000 33.212.000 11.255.000 24,063,200 49,000,000 138,884,090 11,250,000 47,933,200 4,797,107,950 1,405,672,800 5,660,654,740 11,863,434,990 Totale del 1899 Franchi 132.375.000 (*) 2,534,737,500 789,046,090 (*) 172,799,020 466,170,010 68,082,250 123.197.500 9,702,950 8,184,300 90.525.000 128.895.500 509.925.000 1,484,296,490 2,702,430,000 65.060.000 (*) 86,275,700 225,000,000 10.450.000 3« ,807,500 227,069,920 16,117,050 115.679,250 737,839,120 (*) 30,000,000 52.562.500 350.105.500 95.362.500 4,000,000 11,273,696,550

(*) I titoli segnati d ’ un asterisco com prendono conversioni fatte nei paesi stessi.

Per comprendere questo specchio, che to­ gliamo dal Moniteur des intérêts matériels di Bruxelles occorre rammentare che le cifre iscrit­ tevi per ciascun paese rappresentano gli appelli al credito fatti da questi stessi paesi, qualunque sia il mercato che risponda a tali appelli, assor­ bendo i titoli emessi.

Volendo poi trarre considerazioni dall’ in­ sieme delle cifre suesposte si constata eh’ esse segnano da un anno all’ altro una evoluzione, che è interessante di esaminare.

Infatti, su di un totale sensibilmente supe­ riore a quello del 1899 (11,8 miliardi contro 11,2 miliardi), i prestiti di Stato, di provincie e di città assorbono 4 8 milioni e gli Istituti di credito, ferrovie e società industriali diverse 7 miliardi, contro 2 1{2 miliardi e 8 miliardi ri­ spettivamente nell’ anno precedente. Di più, nel 1899 si ebbero ancora più di od mezzo miliardo di conversioni. Nel 1900 la colonna delle con­ versioni è assolutamente vergine.

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188 L ’ E C O N O M IS T A 31 marzo 1901

tosi ovunque, nel Belgio, in Germania, agli Stati Uniti, in Inghilterra, in Russia, in Francia, anche in Italia, è stato bruscamente arrestato, almeno in Europa, pei tristi avvenimenti di cui l’Africa del Sud e la Gina furono teatro. Stessamente gli affari rallentarono ; il danaro, eh’ era diventato più raro e più esigente rimase relativamente caro e i tassi di sconto elevati ; i bisogni dei governi aumentarono per necessità delle guerre. L ’ Inghilterra, aprendo la marcia, dovette repli- catamente fare appello al credito. Altri Stati la seguirono e la seguiranno ulteriormente su que­ sta via.

Sembra tuttavia che ci troviamo ora in un periodo transitorio. Dal 1894 il movimento in­ dustriale si è lentamente sviluppato per rag­ giungere, finalmente, il suo apogeo nel 1899 ; le conversioni rallentarono progressivamente, i pre­ stiti di Stato rimasero, presso a poco, stazionari. Nel 1900 si opera un cambiamento : sono gli ap­ pelli delle industrie che diminuiscono, quelli degli Stati aumentano, ma le conversioni non ripren­ dono ancora. La loro èra è chiusa.

Che si preparerà per 1’ avvenire ? Avranno ragione coloro che affermano doversi succedere i periodi di crisi e i periodi di risveglio ? Op­ pure coloro che pensano la crisi attuale parzial­ mente passeggera siccome provocata da cause assolutamente accidentali ?

Senza per ora avventurare risposte, o pro- nostici, crediamo dovere soggiungere che ai pe­ riodi d’inerzia e di danaro a buon mercato, sono da preferirsi quelli di sviluppo industriale e di attività del capitale.

G L I A F F I T T A I U O L 1

ed il dazio sul grano

Nelle campagne, dove vige il sistema degli affitti e predomina la coltura a cereali, ha corso la opinione che il dazio sul grano giova alla classe degli affittaiuoli rurali non meno che a quella dei proprietari di terreni.

Tale opinione è 1’ effetto di un puro e de­ plorevole pregiudizio. In realtà il rincarimento del grano per la causa artificiale del dazio è sempre definitivamente goduto dai proprietari di terreni sotto la forma di un aumento della ren­ dita fondiaria.

E noto che col nome di « rendita fondiaria » si suole definire quella parte dell’ affitto che rappresenta il compenso per l’ uso temporaneo del privilegio insito nella maggiore fertilità na­ turale di una terra in confronto delle altre ugual­ mente coltivate.

Gli agrari ci giurano che il prezzo di lire 25 per quintale è il prezzo necessario per mante­ nere la coltura del grano nei suoi limiti attuali in Italia.

Ammettiamo che ciò sia vero. E chiaro che la necessità di un tal prezzo deve intendersi per rapporto alle terre di peggiore qualità o, per dir meglio, a quelle sulle quali non tornerebbe

conto di coltivare grano senza il dazio, perchè non sarebbero coperte integralmente le spese di produzione.

Non importa ora di sapere se queste terre cattive, direi anzi pessime per la coltura del grano, rappresentino una parte più o meno estesa della superficie coltivata. Si potrebbe argomen­ tare il contrario dal fatto che la coltivazione del grano è stata continuata dappertutto in Italia durante gli anni non molto lontani, in cui, anche col dazio, il prezzo del grano di poco sorpassò le lire 20 per quintale.

Certo è che nelle terre di qualità buona ed ottima per la coltura del grano, come sono tutte quelle della estesa e feracissima valle del Po, il costo di produzione del grano risulta note­ volmente inferiore non solo alle lire 25, ma an­ che alle lire 20 per quintale.

E facile di provare che il beneficio di que­ sta maggiore feracità naturale va tutto al pro­ prietario del fondo. Dal momento che il saggio corrente degli affitti, come il prezzo di tutte le merci, si determina dalla concorrenza che sì fanno tra loro i venditori ed i compratori, nel caso concreto i proprietari ed i conduttori di fondi rustici, se, poniamo, un terreno, sul quale la produzione del grano viene a costare intorno alle lire 25 per quintale, trova ad affittarsi al prezzo X, il terreno vicino, sul quale il costo di produzione del grano è di appena lire 20 o 18, troverà facilmente lo stesso od un altro affìt- taiuolo disposto a pagare il medesimo fitto X, più il valore connesso coll’ uso del monopolio naturale che il proprietario del fondo consente di trasferire nel conduttore per tutta la durata del contratto.

E logico che, essendovi una differenza di fertilità naturale tra i diversi terreni, i prezzi degli affitti possano variare considerevolmente da una regione all’ altra ed anche, nella stessa regione, da un podere all’ altro. Ma non si com­ prende che i capitali degli affittaiuoli che non godono di nessun privilegio o monopolio natu­ rale od artificiale possano investirsi contempo­ raneamente a saggi d’ interesse notevolmente diversi, cosa che dovrebbe necessariamente ve­ rificarsi, qualora si volesse supporre che lo stesso canone di affitto sia pagato per le diverse qua­ lità di terre, tanto per quella che produce il grano a 15 o a 20 lire, come per quella che non 10 può produrre a meno di 25 lire per quintale. E adunque indubitabile che al solo proprie­ tario fondiario e non all’ affittaiuolo profitta il caro prezzo del grano ottenuto col mezzo della protezione doganale.

Questo è pure dimostrato dalla constata­ zione pratica che i fitti seguono costantemente 11 prezzo delle derrate agrarie ed in ispecie quello del grano.

Per verità P affittaiuolo può avere un van­ taggio momentaneo per il dazio, il quale venga a far crescere il prezzo del grano durante il pe­ riodo del suo contratto di affitto, ma è certis­ simo che allo spirare di questo egli dovrà sot­ tostare ad un proporzionato aumento de! canone annuo che paga al proprietario.

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coltura europea dalla crisi manifestatasi una ventina di anni addietro in causa della concor­ renza dei cereali transatlantici. E innegabile che anche gli affittaiuoli, i quali erano vincolati a condizioni di affitto basate sugli antichi prezzi del grano, risentirono duramente i danni di quella crisi, m aje loro sofferenze, per gravi ed impreve­ dute che fossero, non potevano essere che tem­ poranee e non avevano nulla in sè che potesse costituire quel disastro nazionale che gli agrari interessati 3Ì adoperarono a far credere.

Un nuovo equilibrio economico veniva rapi­ damente stabilendosi in Italia sulla base dei di­ minuiti prezzi del grano ed al termine dei con­ tratti di affitto gli affittaiuoli sarebbero riusciti, come era giusto, ad ottenere una riduzione dei canoni in corso ed a riversare sulla proprietà fondiaria la conseguenza dello scemato valore del grano.

Se non che i proprietari, prevedendo il peri­ colo, si affrettarono a tr'ovare il Cireneo sul quale potessero scaricare la croce che stava per cadere sulle loro spalle. L ’ ignoranza economica e la di­ sorganizzazione politica delle masse dei consuma­ tori le rese facile preda della attività degli agrari, i quali riuscirono col dazio sul grano a mantenere immutati o quasi gli antichi fitti delle terre du­ rante il periodo di anni in cui li avrebbero do­ vuti ridurre in proporzione al prezzo rinvilito del grano.

Adesso che da alcuni anni questo prezzo se­ gna una nuova progressione ascendente, lungi dal pensare a diminuire il dazio, gli agrari sono pronti, a misura che vengono a scadere i con­ tratti in corso, a chiedere un aumento di affitti che dappertutto ottengono senza troppa diffi­ coltà.

Se gli affittaiuoli italiani non fossero ancora troppo ligi alla tradizione feudale che lega coloro che mettono in valore o coltivano la terra al suo proprietario, essi vedrebbero che soltanto la abo­ lizione a breve scadenza e tosto iniziata del dazio sul grano li può salvare ora da una certa futura rovina.

Se essi si illudono che il dazio sul grano possa essere mantenuto per lungo tempo ancora e se in questa illusione si lasciano indurre a con­ sentire l’ aumento degli affitti reclamato dai pro­ prietari, verrà presto il giorno in cui, caduto il dazio sul grano sotto la crescente ed oramai ir­ resistibile pressione delle masse dei consumatori, essi dovranno imputare a sè soli le conseguenze disastrose dell’ errore che oggi li porta a prendere partito cogli interessati alla conservazione del dazio, mentre dovrebbero invece essere i primi ed i più convinti fautori della sua abolizione.

Edoardo Gir e t t i.

GLI ITALIANI NEL CANADÁ

Ileomm. G. Solimbergo, console generale in Mont­ real, ha inviato un rapporto sul Canada sotto l aspetto

economico e politico. Ne risulta che mentre l’emigra­

zione dell’ Alta Italia si volge più numerosa verso l’ America del Sud, quella dell’Italia meridionale mo­ stra di preferirà la parte più settentrionale, il Oanadà.

Le grandi reti ferroviarie furono in gran parte opera d’italiani, òpera loro in gran parte l’immensa linea canadese del Pacifico, oltre alle numerose linee di raccordo e di allacciamento che successivamente si costruirono e che si vanno ancora costruendo nel lontano Nord-Ovest, opera loro in gran parte le me­ ravigliose costruzioni per la navigazione interna, che costituiscono il vanto del Canada.

I nostri emigranti sono generalmente poveri; a Montreal la colonia italiana stabile è di circa 2000 in­ dividui : ve n’ha circa 600 a Toronto ; qualche centi­ naio a Otawa, meno a Quebec. Vi hanno poi dei nu­ clei più o meno importanti sparsi nella provincia di Ontari, a Wismipeg, nel Manitoba; e più numerosi e più densi nella Colombia inglese e specialmente nel- l’ isola di Vancouver, dove ne sono segnalati, pare erroneamente, 8000; certo però ve ne ha qualche mi­ gliaio. Impossibile determinare con qualche preci­ sione il numero complessivo.

Fra gli emigranti che si contentano di farsi una discreta fortuna e una famiglia si conserva 1’ amore verso la patria; essi però a differenza dei tedeschi, non insegnano ai figli che le lingue del paese, fran­ cese od inglese.

BANCHE POPOLARI COOPERATIVE

nell’ esercizio 1 9 0 0

Banca Popolare di Arzignano. — Al 81 dicembre scorso il capitale di questa Banca, che compieva il suo 20° esercizio, era di L. 187,950 con riserve per L. 123,586. I depositi ammontavano ad oltre un milione e mezzo.

Gli utili netti del 1910 risultarono di L. 23,276, superiori di circa 2000 lire a quelli del 1819. Fu de­ liberato un dividendo ai soci di L. 3 per azione da L. 50, dopo tutti i richiesti prelievi statutari.

Banca Agricola S. Isidoro Vobarno. —

Questo Istituto è entrato nel suo undécimo eserci­ zio, e con un capitale quasi insignificante (L. 5000 capitale sociale, L. 5010 fondi di riserva) sviluppa un cumulo notevole di operazioni. Ha però somme in deposito per L. 306,043.96. Nel 1900 ebbe un movi­ mento generale di affari per circa L. 3,000,000.

Gli effetti scontati si presentano alla fine del- 1’ esercizio nella somma di L. 199,219.15 per n. 1257 effetti ; al 31 dicembre 1899 erano 1220 per L. 185,345.70 e quindi una eccedenza in confronto per L. 13,873.45 con una media per ciascun effetto di L. 158.49 ; da ciò si deduce che i piccoli prestiti hanno avuto la preferenza.

Grli utili dello scorso esercizio risultarono di L. 1,415 col seguente riparto: alla riserva speciale L. 565, agli azionisti L. 1.70 per azione L. 425, alla riserva ordinaria L. 485, alla beneficenza L. 340.

Banco di S. Geminiano in Modena. —

Questo Banco ha teste compiuto col 3L scorso il suo terzo anno 1’ esercizio. Dispone di un capitale di L. 50,000 in azioni da L. 100 ciascuna. Al 31 dicem­ bre scorso aveva depositi per circa un milione. Gli utili netti dell’ esercizio 1900 sommarono a L. 9,765.30, che, fatti i prelievi statutari, permettono un divi­ dendo di L. 7 per ciascuna azione.

CRONACA DELLE CAMERE DI COMMERCIO

Camera di commercio di Firenze. —

In una delle ultime adunanze il Consiglio ebbe co­ municazione dal consigliere prof. Mario Salvini della sua relazione sull’ invocato accordo commerciale fra r Italia e gli Stati Uniti. . .

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