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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.18 (1891) n.872, 18 gennaio

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L'ECONOMISTA

G A Z Z E T T A SE T TIM A N A L E

SCIENZA ECONOMICA, .FINANZA, COMMERCIO, BANCH I, F E R R O V IE , IN T E R E S SI PRIVATI

Anno XVIII - Voi. XXII

Domenica 18 Gennaio 1891

N. 872

L’ AUMENTO DEL DAZIO SUL GRANO

La notizia che i deputati agrari si propongono di presentare alla Camera un progetto di legge per por­ tare da S a 7 lire il dazio per ogni quintale di grano importato, non ci ha affatto sorpreso. A ll’ opposto ci ha meravigliato piuttosto che essi non abbiano preso prima una simile iniziativa e che la lim itino ad un aumento di sole due lire del dazio attuale. Il dazio sul grano era stato in Piemonte di L. 9 fino al 1851, fino cioè a quando, il conte di Cavour cominciò la sua celebre riforma doganale. Perchè dunque coloro che si vantano di essere suoi successori e dal suo nome intitolano le loro associazioni, non propongouo di elevare da cinque a 9 lire il dazio sui grani ?

Fuori di celia i protezionisti agrari hanno mal scelto i l momento, sia in linea economica che in linea fiscale, per venire innanzi con una simile in i­ ziativa.

Dal punto di vista economico è anzitutto curioso che, mentre il Governo e la commissione della Ca­ mera non osano in Francia proporre nella revisione della tariffa doganale, la cui discussione sta per in­ cominciare al palazzo Borbone, un aumento del dazio di cinque lire sul grano ; che, mentre il cancelliere, conte di Caprivi, dichiara alla Camera tedesca non esser lontano il giorno di un ribasso del dazio sui cereali in Germania; che, mentre le esagerazioni del sistema protezionista nell’ antico e nel nuovo conti­ nente, ne hanno messo a nudo le brutture e prepa­ rano ovunque una contro-reazione ; che, mentre in Italia soprattutto, ognuno sa oramai pur troppo quante lagrime costino gii esperimenti delle tariffe prote­ zioniste, è curioso diciamo che g li agrari scelgano proprio questo momento per presentare la loro pro­ posta al Parlamento italiano.

È pur singolare come essi non si avvedano che i fatti hanno smentite tutte le loro teorie e tutte le loro previsioni, confermando una volta di più che, se non è possibile lar violenza alle leggi naturali, la forza di queste tanto più pronta si manifesta quando si tratta dei dazi sui prodotti alimentari.

Invero i protezionisti dovevano allorché, d’accordo col Governo ottennero l’ aumento del dazio sul grano, di voler così ridurre l’importazione di questo cereale per migliorare la bilancia dei nostri pagamenti in ­ ternazionali e rialzare la sorte della patria agricol­ tura e sostenevano che il prezzo del grano non sarebbe aumentato per tale provvedimento.

Ora i fatti hanno provato il contrario d: quanto essi affermavano ; I importazione del grano non è stata ridotta, ed il dazio esacerbato ha inoltre aumentato

in modo ingente l’importazione dei cereali inferiori, granturco e granaglie, colpite da una gabella spro­ porzionata a quella del grano. D’altra parte la bi­ lancia commerciale continuò ad esserci sfavorevole ed i cereali contribuirono tale quale prima dell’ au­ mento del dazio sul grano ad esserne « i più validi coeffìcenti ». Inoltre l ’agricoltura è ben lontana dal- l’essersi vantaggiata in proporzione al danno prodotto ai consumatori , come lo prova la nuova domanda di esacerbamento del dazio che sta per essere pre­ sentata alla nostra Camera dai protezionisti e come era naturale, perchè era inevitabile che la concor­ renza interna fosse aumentata datale esacerbamento, mentre questo ha paralizzato le trasformazioni ed i miglioramenti intensivi della coltura onde ridurre il prezzo di costo dei cereali. Infine i prezzi dei grani sono aumentati ed in proporzioni tu lt’ altro che tenue, in Italia, in Francia, in Germania e via discorrendo sicché son passati i tempi nei quali era permesso scrivere che gli aumenti del dazio sui cereali non avevano, o quasi, effetto sui prezzi delle farine e del pane !

Dal punto di vista fiscale il dazio sul grano non è stato di piccolo aiuto alle finanze dello Stato. È il solo conforto pei consumatori tanto danneggiati dal poco democratico balzello. Ma anche da questo punto di vista i vizi di un tal dazio non possono essere più manifesti. Esso ha introdotto nel nostro bilancio un elemento altamente aleatorio, il gettito di tale gabella variando a seconda dei raccolti. Così la previsione dell’entrata è resa difficile e difficile è reso il calcolo esatto del disavanzo. È ciò che ac­ cade da due anni con profondo turbamento dei bi­ lanci per gli esercizi 1890-1891 e 1891-1892.

Senonchè per quanto sia un cattivo cespite d’ en­ trata, così dal punto di vista economico come da quello fiscale, si capisce che il Governo non sia disposto, in un momento come l’ attuale, a porlo in pericolo. L ’aumento di due lire del dazio dim inui­ rebbe indubbiamente l’ importazione del grano in grandi proporzioni specie negli anni prosperi, e an­ cor più stimerebbe l’ importazione del gran turco, specie se il dazio su questo cereale inferiore rim a ­ nesse nelle attuali modeste e sperequate proporzioni. In ogni caso lo Stato vedrebbe scemare le sue en­ trate e a ciò non si rassegnerà.

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mica », Le rovine accumulate in Italia dal prote­ zionismo hanno scosso produttori e consumatori Forse mai in nessun tempo ed in nessun paese ap­ parvero con cosi dolorosa evidenza ed in così breve giro di tempo, in tutti i rami della produzione i più sinistri effetti. È somma imprudenza, mentre tanto soffrono industrie agricoltura, commerci ; ca­ pitalisti ed operai chiedere al Governo edj al Parla­ mento di aggravare ancora un sistema che ha già prodotti tanti dolori e tante sventure. Gli agrari do­ vrebbero obbedire al consiglio dell’ on. Branca, il quale, mentre fu il primo nel 1886 a proporre l’au­ mento del dazio sul grano, combatte ora qualsiasi nuovo inasprimento.

PROPOSTE PER L! INCREMENTO DEI COMMERCI

La Riforma del 7 corrente conteneva una lettera del capitano Camperà bhe ha dato luogo, ad altre lettere e ad alcuni articoli di giornali, circa l’ invio all’estero di giovani istruiti nelle materie commer­ ciali, onde cooperino a dare incremento al commer­ cio dell’ Italia con vantaggio loro e dalla patria. Il capitano Camperà nella sua lettera dopo aver ram­ mentato che giovani usciti da Istituti commerciali svizzeri, tedeschi cec., si recano all’estero e special- mente nelle piazze o mercati d’ affari dell’Asia e dell’ Africa, dove riescono a formarsi una buona po­ sizione, scrive:

« Su questa strada, di inviare giovani negozianti nelle varie stazioni, e aiutarli con modeste sovven­ zioni nei primi tempi, si era messa la nostra So­ cietà d’ Esplorazione commerciale di Milano.

« Le Ditte Tagliabue e C., di Massaua, Maz'/uc- chelli e Pereira, di Hodeida, Filonardi di Zanzibar, ed altre, ebbero la loro origine in questo modo, e dietro iniziativa della nostra Società. E ora fanno brillanti affari ; ma sgraziatamente, e non so per quali ragioni, non si è voluto continuare su que­ sta via, e lo scopo commerciale pratico venne com­ pletamente dimenticato.

« Ora io vorrei fare una proposta:

« L ’ istituzione cioè di una Società di Borse, a vantaggio degli allievi dei nostri Istituti commerciali, che hanno ottenuto i migliori punti e possedono l’attitudine fisica a sopportare climi non sempre dei più salubri.

« La Società dovrebbe avere la sua sede in Roma, e, condizione sine qua non, non dovrebbe sottoporsi a nessuna spesa nè di residenza, nè di bollettino, nè di segretario, nè di esplorazioni.

« Un giornale importante darebbe mensilmente le notizie sulle stazioni impiantate all’ estero, a mezzo dell’invio di questi giovani, che fruirebbero di un’ an­ nualità da stabilirsi per due anni.

« 1 giovani prescelti dovrebbero poi essere esen­ tati dal servizio militare, quando provassero di es­ sere rimasti 6 anni all’ estero senza far ritorno in patria e di avervi avviato affari commerciali.

« Qualche cosa di simile mi pare si è fatto in Francia, ma i francesi sono ancor più restii di noi a spatriare per un dato tempo.

« Mi pare che l’idea possa avere seguito ; ma, per riuscirvi, non bisogna però, secondo me, oltrepassare

la quota annuale di lire SO pei soci, che si dovreb­ bero obbligare per parecchi anni. » *

L ’ egregio autore della lettera ha dato subito il buon esempio iscrivendosi per lire cinquecento e al­ tri, non molti per ora, hanno non solo piaudito alla proposta del Camperio, ma anche inviate al giornale romano le loro offerte. Non abbiamo bisogno di dire che comprendiamo perfettamente l’ idea ispiratrice della proposta di una società di borse per dar modo ai giovani istruiti, operosi, arditi di recarsi nei cen­ tri commerciali asiatici e africani e uniamo ben vo­ lentieri il nostro plauso a quello degli egregi uomini che l’ idea stessa hanno compresa e raccolta. Augu­ riamo anzi che essa incontri il largo favore che c e r­ tamente merita e che senza indugi possa avere un principio di attuazione e questo alla sua volta es­ sere seguito da un completo svolgimento della propo­ sta stessa.

Ma francamente, a leggere certi commenti di qual che giornale c’ è da confermarsi sempre più nel convincimento che in fatto di commercio, di svi­ luppo delle relazioni di affari e sim ili si hanno in Italia idee non sempre esatte e complete. L ’ in­ vio di giovani all’estero dovrebbe essere attuato già da un pezzo e lo sarebbe certamente se invece di spendere malamente e in lavori di lusso le migliaia o i milioni di lire si pensasse dai governanti e dai governati agli interessi vitali del paese. Le tre scuole superiori di Commercio di Venezia, Genova e Bari dovrebbero avere nei loro bilanci una somma de­ stinata a quello scopo, e crediamo anzi che la scuola di Venezia, nei primi anni della sua esistenza, abbia conferita qualche borsa. Ma le solite ristrettezze di bilancio, probabilmente, le avranno impedito di con­ tinuare nel lodevole sistema di agevolare ai suoi m i­ gliori alunni la dimora all’ estero per perfezionarsi nella pratica commerciale, non solo, ma anche per svolgere i rapporti commerciali tra il proprio paese e quello di dimora. Così, e avviene troppo spesso da noi, mentre molte buone idee si enunciano, e talvolta si esperimentano per qualche tempo, cadono poi abbandonate, senza dare alcun frutto decisivo e in mezzo alla indifferenza degli stessi fautori del giorno precedente.

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18 gennaio 1891

L’ ECONOMISTA

35 tutta una organizzazione adatta a promuovere il traf­

fico della esportazione. Alla importazione pensano naturalmente non solo i nostri commercianti, ma anche quelli dei paesi esteri, alla esportazione verso le contrade di recente aperte al traffico o di svi­ luppo notevole proprio dei nostri giorni niuno pensa con propositi definiti, con azione continuata e sagace, con una rete estesa di relazioni, di agenzie, di rap­ presentanze e via dicendo.

Se vogliamo avere la nostra parte sui mercati neutrali bisogna che incominciamo a coordinare i nostri sforzi, a renderci ragione delle difficoltà da superare, dei mezzi idonei da mettersi in opera, bi­ sogna che riuniamo intorno a un punto centrale le piccole forze e che le dirigiamo a scopi determinati con esprit de suite, con tenacia di propositi. Da un lato è necessario esperimentare i vari mercati, se­ guire l’ andamento delle correnti commerciali, specie nei paesi nuovi non ancora infeudati al protezionismo, tentare tutte le esportazioni possibili, dall’ altro oc­ corre fornire indizi alla produzione indigena sulla qua­ lità e quantità dei prodotti ricercati, sui prezzi, sulle concorrenze. C’è adunque un largo campo di opere utili, feconde di risultati preziosi, per una società che si proponesse di venire in aiuto a questo sfortunato commercio di esportazione del nostro paese. Doppia­ mente sfortunato invero, per fatto e volontà del Go­ verno che lo danneggia spesso per 100 per offrirgli in compenso 10 e sfortunato per un complesso di cir­ costanze che hanno finora quasi sempre impedito o resa vana ogni iniziativa, generato disillusioni e scon­ forti, diffusa la sfiducia e quasi consigliata l’ inerzia, come il male minore.

Non faremo qui la storia di tanti infruttuosi ten­ tativi, ma accenneremo in parentesi ad uno degli ultimi, alla navigazione diretta tra l ’ Italia e !’ In­ ghilterra, che fece concepire tante speranze e ha cor­ risposto alle promettenti previsioni nel modo che tutti sanno.

Il capitano Camperio ripone troppe speranze nel semplice invio di giovani all’estero e gli esempi di altri paesi a questo riguardo non provano abbastanza, perchè in generale si tratta di paesi che hanno già relativamente un cospicuo movimento di esporta­ zione. Ma inoltre, si tratta forse soltanto di procu­ rare a giovani capaci e volonterosi delle buone po­ sizioni commerciali o non si deve cercare, meglio ancora, di estendere le relazioni d’ affari, di accre- scere 1 esportazione e con ciò stesso la produzione e il lavoro nel nostro paese? Se tale è la mèta noi riteniamo che l’esodo dei giovani non possa essere un fatto iniziale e isolato, ma il fatto concomitante con altri. Organizziamo anzitutto il nostro commercio ui esportazione, portiamogli aiuti, cognizioni inizia­ tive e prepariamo con ogni cura i giovani che do­ vranno essere i pionieri dei nostri scambi nei paesi che si schiudono ora all’Kuropa,

Se i nostri produttori vogliono far opera utile si uniscano e costituiscano sul tipo delle Associazioni austriache, francesi e germaniche una grande società che assuma seriamente l’ ufficio di tutelare, di pro­ muovere e di consolidare l’esportazione italiana. Nel suo programma dovrebbe certamente trovar posto la proposta del capitano Camperio, la cui attuazione riteniamo anzi indispensabile e urgente

i ' ra?tta all> e r a e il lavoro le sorgerà intorno e molte idee, molte proposte, alle quali nella disorga­ nizzazione attuale ninno pensa, perchè manca loro

la strada di farsi innanzi, si imporranno presto al suo studio. Il sacrificio dell’ oggi, purché si sappia e si voglia, potrà essere ricompensato dai risultati suc­ cessivi, se non mancherà la virtù del sapere atten­ dere e di confidare sulle sole proprie forze. Dal go­ verno sarà abbastanza l’ ottenere che non intervenga a danneggiare, a impacciare il lavoro della associa­ zione, a disgustare i mercati acquirehti. Soprattutto, però, e questo può dirsi oggidì di tutte le proposte che mirano all’ incremento dei commerci, convien guardarsi dalle esagerate speranze.

La lotta commerciale è divenuta così vivace, tanto numerosi sono i contendenti, che è ormai finito il tempo in cui poteva bastare lo spirito d’ iniziativa, l’ ardire, o il coraggio ; oggi il fattore principale della vittoria o della sconfitta commerciale è nel prezzo, e per averlo dalla propria parte non ci può essere un momento di riposo, di sosta, bisogna essere con­ tinuamente alla ricerca della sua riduzione.

Auguriamo adunque che la proposta Camperio ne faccia sorgere una più larga, comprensiva ed effi­ cace, che m iri a istituire un vero e proprio orga­ nismo per l’incremento dei nostri commerci, e tale, a nostro avviso, potrebbe essere quella di riunire in un fascio le forze degli esportatori per volgerle a beneficio comune, nelle forme migliori che l’esempio degli altri paesi addita fin d’ora e che l’ esperienza potrà suggerire in seguito.

LO STATO E L’ AGRICOLTURA

C ontrasti, contraddizioni, confusioni

Sembra essere una delle caratteristiche dei governi deboli quella di procedere senza un indirizzo costante ed uniforme, ma brancolando fra gli eccessi ed arrivando a scontentare ognuno, per il desiderio di contentare un poco tutti quelli che hanno interessi contrari.

L ’ indole dell’economista ci permette di illustrare quanto siamo venuti dicendo soltanto sotto l’aspetto economico. E questo è quello che intendiamo di fare, limitandoci oggi ai rapporti fra lo Stato e l ’agri­ coltura. Lo faremo in modo sommario e superficiale, perchè volendo andare al fondo dell’ argomento e riportare tutti g li esempi che potrebbero citarsi vi sarebbe troppo da scrivere e si finirebbe coll’ an­ noiare i lettori.

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-tezionisti. Così pel desiderio di non spiacere a nes­ suno si finì per malcontenlare tutti.

Ma poiché esiste un ministro dell’ agricoltura e bisognava fare qualcosa per dimostrarne la utilità, si moltiplicarono le scuole di agricoltura sussidiate dal Governo, si impiantarono le esposizioni agricole, si apersero dei concorsi per incoraggiare i miglio­ ramenti agrari, tutte cose che costano dei quattrini, i quali in grandissima parte si ottengono colle pe­ santissime imposte gravanti la proprietà rurale, e colle tasse sui trasferimenti del possesso territoriale e sulla ricchezza mobile dei conduttori di fondi.

Esposizioni, scuole, concorsi agricoli finirono per giovare quasi esclusivamente, e solo in minimo grado, alla grande proprietà, quella che per i mezzi di cui dispone, assai meno della piccola abbisogna di aiuti e di incoraggiamenti.

I piccoli proprietari od affittaiuoli non sono in grado di mandare i d o rtrfìg ti alle scuole d’agricol­ tura, nè hanno nuove macchine agricole da esporre, nè possono iniziare quelle importanti bonifiche cui il Governo accorda dei premi. Questi vengono a toccare ai ricchi agricoltori i quali nei loro proprio interesse, nel loro amor proprio troverebbero già l ’ incentivo a quei perfezionamenti che i mezzi finan­ ziari onde dispongono permettono loro di in tra ­ prendere.

Ne risulta pertanto che quello che il Governo fa di bene per l’agricoltura torna a vantaggio dei meno bisognosi, mentre a pagare codesti aiuti ed incorag­ giamenti concorrono in grandi proporzioni quegli agricoltori i quali da colali incoraggiamenti non trarranno alcun vantaggio.

L ’aiuto più facile ed efficace che il Governo po­ trebbe dare all’ agricoltura sarebbe un aiuto nega­ tivo e consisterebbe nello sgravarla delle ingentissime tasse che essa direttamente o indirettamente deve sopportare, ma questo è appunto ciò che le si nega, perchè una politica spendereccia obbliga il Governo a rincrudire anziché a scemare le imposte.

E fu appunto effetto di codesta politica lo sviluppo soverchio dato alle costruzioni ferroviarie le quali venivano giustificate dicendosi che esse avrebbero giovato anche allo sviluppo agricolo delle plaghe che le nuove linee dovevano traversare.

Ma invece, effetto primo e certo di codeste spese ferroviarie fu l'impossibilità di sgravare 1’ imposta fondiaria, mentre lo sperato sviluppo della ricchezza agricola solo in grado minimo ed in poche località successe allo sviluppo ferroviario.

II Governo il quale pretende incoraggiare l’ agri­ coltura, in realtà la intralcia in parecchi casi, e men­ tre i professori delle scuole vanno alla ricerca di nuove colture da introdursi in Italia, il Governo impedisce alcuna di quelle che sarebbero, non solo possibili, ma anche molto produttive.

Col monopolio dei tabacchi infatti esso rende quasi impossibile la coltivazione del tabacco la quale, ove fosse libera, potrebbe in tanti luoghi compensare le perdite che il riuvilio di molte produzioni agrarie da alcuni anni va producendo.

La meticojosità, il rigore, il fiscalismo dei rego­ lamenti relativi alla coltivazione del tabacco hanno scemato questa fonte di lucro degli agricoltori, men­ tre è in pari tempo scemato il vantaggio che lo Stalo potrebbe ritrarre dall’impiego dei tabacchi in ­ digeni ; di aumentato non v’ è che la spesa enorme per la sorveglianza dei coltivatori e per la vigilanza

del contrabbando il quale, ciò malgrado, è ben lungi dall’ essere distrutto.

Altro esempio degli inciampi posti dal Governò allo sviluppo dell’agricoltura è dato dalla regìa del sale. E notorio quanto l’ uso del sale sia utile al be­ stiame bovino : ma il Governo ha la privativa della vendita del sale che in tanta abbondanza si trova nei nostri terreni e sulle nostre spiaggie e il cui prezzo sarebbe minimo se il commercio e la produzione ne fossero libere : e però per tema di frodi, il Governo, solo in determinate località, a caro prezzo e con noiose formalità accorda 1’ uso del sale adulterato per buoi il quale per queste ragioni non può essere adoperato da tutti gli allevatori, e nella misura che occorre.

In parecchi altri modi il Governo ha poi contri­ buito a diminuire il valore delle terre, o almeno a impedire i miglioraménti delle medesime. Così le grandissime emissioni di rendita hanno assorbito quei risparmi i quali altrimenti si sarebbero rivolti alle bonifiche dei terreni ed allo sviluppo dell’agricoltura. L ’ essere poi state gettate sul mercato in un tempo assai breve le terre già appartenenti alle mani-morte pure contribuì a dim inuire il valore dei terreni.

Se poi si volesse entrare nelle spinose questioni dei dazi e dei trattati commerciali, o nell’altra delle tariffe dei trasporti, sarebbe facile vedere come lo Stato, anche quando sia mosso dalle m igliori inten­ zioni, finisca in realtà a nuocere anziché a favorire l’ agricoltura. E codesto risultato l’ ottiene anche con l’accollare tante nuove spese alle Provincie ed ai Comuni i quali sempre più sovracaricano la pro­ prietà fondiaria; coli’ aver fatto nuove ferrovie le quali distolsero tante braccia dai campi; con le chiamate dei contingenti m ilitari fatte sovente allor­ ché maggiore è il lavoro delle campagne. Pur r i­ manendo nel campo dell’ agricoltura è degno di nota il vedere altre contraddizioni del Governo nel modo di trattare gli agricoltori.

Recentemente la Gazzetta Ufficiale pubblicò una lista di concessioni di terreno gratuite o quasi g ra ­ tuite fatte dal Governo a dei privati nella Colonia Eritrea. Il fatto per sé stesso non sarebbe biasime­ vole ; lo diventa però quando contemporaneamente in quella stessa Gazzetta Ufficiale si pubblicano lunghi elenchi di terre messe all’ asta per mancato pagamento di imposte: notisi che per lo più codeste imposte insoddisfatte ascendono a somme minime che diventano assai maggiori solo coll’aggiunsrersi ad esse le spese di asta : notisi pure che codeste terre il più delle volte non trovando compratori, sono devolute al demanio il quale, anziché cavarne qualcosa, deve

provvedere alle spese di custodia che richedono. Come si può nel tempo stesso agli uni concedere delle terre gratis, mentre agli altri si fanno vendere quelle che non rendono ai loro- proprietari tanto da permettere loro di soddisfare le imposte che le gravano ?

Qualunque sieno i rapporti che lo Stato diretta­ mente o indirettamente abbia con la agricoltura, sia esso mosso dall’ intenzione di favorirla o semplice- mente da quella di cavarne il più che gli riesce di imposte, assecondi esso i liberisti o i protezionisti, pare che sempre finisca col riescire a danno della pro­ duzione agricola nazionale, sicché possa ripetersi che di fronte ad essa il Governo il bene lo fa male, il

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18 gennaio 1891 L ’ E C O N O M I S T A 37

Li TEI! DEL M i 1« ILEI DI POPOLAZIONE '>

Il sig. de Yarigny crede, come si disse, che il consuino individuale,! bisogni di comodità e di lusso siano aumentati in Francia più della produzione. Tra i termini, produzione e consumo, l’ equilibrio è tu r­ bato e i gravi oneri che la guerra e la pace armata fanno pesare sopra di essa aggravano il malessere. Esso risulta dalla sproporzione dei due fattori, dal fatto che essi non seguono la stessa progressione, dal loro diffe­ rente andamento e non dal fatto che l’aumento del consumo individuale sia per sè stesso una tendenza deplorevole e dannosa. Una popolazione assai nume­ rosa per ciò che essa consuma poco, è una popola­ zione miserabile ; meglio vale per uno Stato una popolazione meno numerosa, ma anche più agiata, più intelligente, più istruita.

Nella evoluzione industriale del principio di questo secolo, nota lo scrittore della Bevue des Deux Mon- des, la Francia occupata nelle grandi guerre del - l’ impero si era veduta sorpassata dall’ Inghilterra, padrona dei mari e dei mercati esteri, sola a pro­ durre e a fabbricare, a vendere e ad acquistare, accaparrando gli sbocchi e i capitali, prendendo uno slancio tale che la Francia non ha potuto ancora raggiungerla. La ricchezza generale in Francia è aumentata più lentamente che in Inghilterra ; i suoi esordi sono stati più tardivi, i suoi progressi meno rapidi, ma la ripartizione ne è stata più felice, perchè più equa. Se la Francia non ha, salvo rare eccezioni, le enormi fortune dell’ In­ ghilterra, non ha neanche le grandi miserie; se vi si incontra la povertà, il pauperismo vi è più raro e la densità della popolazione v i è minore. Il livello di questa densità potrebbe salire senza pericolo. Esso raggiunge il suo massimo nel Belgio dove si contano 203 ab. per chilom. quadrato. Non è che di 71 in Francia e la Francia non occupa sotto il rapporto della densità che il sesto rango dopo il Belgio, i Paesi Bassi, l’ Inghilterra, l’ Italia e la Germania. La densità della popolazione è la misura non tanto della ricchezza e della prosperità di una nazione, perchè allora certe ragioni dell’ Asia supererebbero e di molto 1’ Europa, ma la proporzione di abitanti che l ’ agricoltura, il commercio e l’ industria fanno vive­ re. Nel periodo prim itivo e selvaggio occorrono al­ l’ uomo grandi estensioni per soddisfare mediante la caccia e la pesca ai suoi bisogni, un chilometro qua­ drato gli basta appena. Nel periodo pastorale lo stesso spazio può nutrire tre o quattro a b it., nel periodo agricolo, almeno in Europa, questo livello si eleva e raggiunge da 30 a 50 ab. Nel periodo industriale e commerciale l ’accumulazione dei capi­ tali, I importazione degli alimenti, la produzione sul luogo della ricchezza elevano talvolta, come nel Lan­ cashire, regione manifatturiera, la densità sino a oltre 700 ab. per chilometro quadrato.

Si comprende ciò che ha di fittizio una simile concentrazione, che spopola le campagne a profitto dei centri manifatturieri, crea quelle armate operaie che il pauperismo decima e T invidia divora. Esse sono forzatamente alla mercè di un avvenimento politico o di una evoluzione commerciale, le quali fermando bruscamente la produzione, le immerge nella

’) Vedi l ’ Economista n. 868 del 21 dice more 1890.

miseria. Il loro numero eccessivo cessa talvolta di essere una forza, perchè la misura nella quale le classi operaie contribuiscono all’ aumento normale della popolazione è subordinato da una parte ai loro mezzi di esistenza, che la concorrenza rende più incerta, e dall’altra alla somma dei loro bisogni sem­ pre maggiori ; il giorno in cui il numero cessa d’essere una forza, diviene un pericolo.

Il periodo di sosta subito dall’ aumento della po­ polazione in Francia data dalla evoluzione indu­ striale del principio di questo secolo. Esso si tra­ duce sopratutto nella diminuzione delle nascite, le quali da 32 per 1000 ab. sono scese a 23, da un poco più di 1 milione l’anno a 937,000 e questo rallentamento è specialmente sensibile nei diparti­ menti ricchi, ma dove il consumo individuale è aumentato. Si è a lungo dissertato sulle cause di quella sosta e si sono anche suggerite molte misure per combatterla. Il male è costante, dice il sig. de V a - rigny, non si potrebbe negarlo ; il pericolo che po­ trebbe risultare dalla sua persistenza non è dubbio, ma ciò che ci pare tale è la imminenza del peri­ colo e ciò che ci pare pericoloso sopratutto è lo stato mentale che ingenera quella specie di dispe­ razione morbosa, quelle affermazioni di decadenza fisica, morale e intellettuale della nostra razza, che nulla giustifica e che provenendo dall’alto, ripercosse da ogni eco, scuotono le più salde convinzioni e ab­ bandonano senza difesa la nazione alle teorie sner­ vanti di un pessimismo, che si prende a prestito, per inocularcelo, dalle scuole filosofiche straniere, e al quale in ogni tempo il genio vigoroso e sano della razza francese si è mostrato refrattario.. . .

Parole queste, come le altre che seguono, vera­ mente giuste e che si possono applicare anche ad altri paesi, oltre la Francia, perchè mai come ora, per una triste contraddizione, si è disperato del pro­ gresso ordinato, positivo, fondato sulla giustizia e sulla libertà.

Ma tornando al punto che qui più interessa, lo scrittore" insiste sul fatto che la ricchezza è in Francia meno inegualmente ripartita che altrove; l’ agiatezza inedia vi è più sparsa e in cambio si accresce meno rapidamente, disseminata come è fra maggior numero di mani. Così pure la produ­ zione della ricchezza non segna, come si è detto, la stessa progressione del consumo individuale. Ovun­ que si avverte questo difetto di equilibrio, la popo­ lazione tende a divenire stazionaria, ma il benessere generale aumenta e con esso il livello intellettuale. Se, come affermano i naturalisti, le specie animali infe­ rio ri si riproducono tanto più rapidamente quanto mag­ giore è per loro la difficoltà di vivere, opponendo così, riguardo alla loro durata, il numero alle d iffi­ coltà della esistenza, mentre le specie superiori non hanno che una potenza di moltiplicazione ristretta, sembra avvenire lo stesso della specie umana, la cui virtù prolifica è più intensa nelle regioni del­ l’ India e della China, più esposte alle carestie e alle malattie epidemiche, in Europa nelle regioni più povere, in Francia nei dipartimenti poco favoriti dove il consumo è minore.

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osservazioni sufficientemente estese, ma ciò che è fuori dì dubbio si è che a un rallentamento della natalità risultante da un consumo accresciuto, o in altri termini da un benessere più generale, corri­ sponde uno sviluppo, uno svolgimento intellettuale superiore. Il numero cessa di aumentare, ma la ca­ pacità media aumenta; ora, più che il numero que­ sta ultima contribuisce alla grandezza e alla pro­ sperità di uno Stato.

È a quest’ altro fattore, alle facoltà intellettuali che spetta colmare, non il vuoto, perchè ancora non c’ è, ma la differenza che costituisce a detrimento della Francia un aumento più rapido della natalità delle altre nazioni. È alle facoltà intellettuali della razza che bisogna domandare di ristabilire 1’ equili­ b r i leggermente turbato senza trascurare per que­ sto i rimedi che l ’esperienza può suggerire allo scopo di attenuare un male che si aggraverebbe col pro­ lungarsi. Non sarebbe fin da ora temibile che alla condizione di costituire tra la Francia e le sue r i­ vali una inferiorità intellettuale e morale della prima una vitalità meno energica e meno possente.... I de­ trattori, coloro che parlano di decadenza della Fran­ cia, attingono i loro argomenti alla teoria del nu­ mero; essi l’invocano per giustificare le loro asserzioni contrapponendo l ’esempio dell’ Inghilterra, la cui po­ polazione è triplicata in ottant’ anni, quello della Germania che in venti anni dal 1860 ai 1880 si è accresciuta di 7,450,000, ma ciò che trascurano di dimostrare è in quale proporzione questo aumento rapido della popolazione inglese e tedesca contri­ buisce alla prosperità e alla forza della Inghilterra e della Germania ; ciò che omettono di indicare è fino a qual punto quel saggio di aumento può pro­ lungarsi senza raggiungere e sorpassare il limite in cui l’ equilibro rotto tra la produzione della ricchezza e l’aumento della popolazione ha per conseguenza il pauperismo.

C’ è qui, infatti,"un limite che non si può ol­ trepassare senza pericolo. Non basta accrescere la cifra della natalità per assicurare i mezzi di esi­ stenza ai nuovi venuti ; bisogna anche che da pro­ duzione alimentare od almeno la produzione in­ dustriale che permette di colmare il deficit della produzione agricola nazionale mediante acquisti al­ l’estero segua la stessa progressione. Ora in Inghil­ terra, come in Germania, questo equilibrio è ro t­ to ; nell’ una e nell’ altra l’ industria manifatturiera non fornisce più che un aumento di ricchezza infe­ riore all’ aumento di popolazione. « In materia di po­ polazione, scriveva Maurizio B lo ck, c’ è sembra, un linguaggio convenzionale che permette di esami­ nare ciò che si farà quando l ’Inghilterra avrà 100 mi­ lioni di abitanti e la Germania 150 m ilioni; m asi dimentica di domandare se ci potrà essere in quei due paesi il necessario per far vivere quei milioni di abitanti e per conseguenza se abbiamo realmente da temere di essere schiacciati dai nostri vicini. Se i nostri vicini si moltiplicassero più presto di noi, ar­ riveranno prima al limite al di là del quale si è sicuri di incontrare la miseria. Quando tutte le car­ riere sono ingombre, quando la vita è difficile e le derrate a caro prezzo, la vecchiaia ò precoce, vi sono relativamente più fanciulli che adulti.... La Francia ha un numero minore di fanciulli da un giorno a cinque anni a paragone della Prussia; ma se questa su 10,000 abitanti conta 1510 fanciulli al disotto di cinque anni e la Francia 929; al contrario essa ha

4752 francesi adulti contro 5611 prussiani adulti. E il confronto è eloquente.... »

Concludendo, adunque, che ne è ormai tempo, possiamo dire che la teoria del numero la quale fa del numero il fattore principale e della densità della popolazione il criterio della forza e della potenza di uno Stato, non tien conto che delle masse e non delle unità che le compongono, della loro cifra e non dei loro bisogni. Essa dimentica che a un certo livello di densità, le unità che compongono quelle masse incontrano difficoltà a vivere, che il numero dei pro­ letari ingrossa e con esso la miseria e che lungi dall’ essere una forza per lo Stato, quelle masse co­ stituiscono un pericolo per la società.

Si potranno discutere alcuni punti secondari dello scritto di cui abbiamo riferito le parti principali, ma i lettori saranno certo d’accordo con noi nei ritenere l’ idea fondamentale corretta e giusta.

Il primo alinea dell’ art. 181 del Codice di Com­ mercio dà la seguente precisa disposizione : « Non * possono essere pagati dividendi ai sodi, se non « per utili realmente conseguiti secondo il bilancio « approvato » e l’ articolo 147 al N. 2, dice « che « 'gli amministratori sono solidariamente respon- « sabili verso i soci e verso i terzi della reale esi- « stenza dei dividendi pagati.

Con queste citazioni soltanto noi vorremmo r i­ spondere alle egregie persone che ci hanno scritto, a proposito delle note da noi pubblicate sulla Banca Nazionale Toscana e sui dividendi che alcuni vor­ rebbero distribuire per il passato esercizio ; ma senza entrare in discussioni di persone, dove alcuni vorrebbero attirarci, e senza perdere quella calma che è tanto utile quando si tratta di pubblici inte­ ressi, noi preghiamo i nostri egregi straordinari cor­ rispondenti a volerci seguire in alcune considera­ zioni che andremo esponendo brevemente ed a r i­ spondere, Se credono, tassativamente alle nostre osservazioni.

Noi abbiamo affermato e sosteniamo ancora con tutte le nostre forze che quando un paese attraversa una crise pari a quella che ha colpito l’Italia e che tuttora la travaglia, senza che si vegga peranco il principio della fine, è fondamentale prudenza, spe­ cialmente pei grandi Istituti di credito, di consoli­ dare più che sia possibile la loro posizione, di cal­ colare con maggiore rigorosità del solito la situazione, di accrescere quanto più si possa la riserva o costi­ tuire fondi per perdite eventuali, giacché da una simile severa condotta si ritraggono due ordini di vantaggi: — il primo, non si dà’ argomento alla speculazione di esercitarsi sopra titoli che rappresentando grandi Istituti, nei tempi di crisi debbono aver contegno fermo, cioè il meno oscillante possibile; — il se­ condo, si dà il buon esempio agli altri perchè se­ guano una condotta lontana da ardimenti o da audacie.

Gli azionisti di una tale severità non debbono essere malcontenti, perchè se una parte degli utili conseguiti non vengono distribuiti, ove cessi la crise, questi utili li troveranno sempre nelle riserve o nei

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18 gennaio 1891 L ’ E C O N O M I S T A 39 fondi speciali creati ; che se invece qualche guaio

colpisse l’ Istituto, ed in momenti di perturbazione ciò è sempre possibile, gli azionisti avranno il van­ taggio di aver già apparecchiato opportunamente il rimedio.

Come cardine fondamentale adunque della linea che deve seguire un Istituto nel tempo di crise po­ niamo la massima prudenza nella distribuzione degli utili.

Applichiamo ora questo principio — che da nes­ suno crediamo potrà venire contestato — al caso della Banca Nazionale Toscana e troveremo altri argomenti che condurranno a muover censura a co­ loro i quali vorrebbero seguire una via opposta.

Come è noto la Banca Nazionale Toscana negli anni 1877, 1878, 1879 non ha distribuito alle sue azioni nessun dividendo, soprafatta come fu dalle due imprese mal riuscite della ferrovia Marmifera di Carrara e da quella della Mongiana. Il prezzo dello azioni che nel 1872 aveva toccato il massimo di circa 2200 lire, che nel 1873 rimaneva ancora a circa 1600 lira e scendeva Tanno appresso tra 1500 e 1-100 lire e nel 1875 fino a 1085 precipitò negli anni appresso fino a sotto le 600 lire.

Nel 1881 ricominciò la distribuzione dei d ivi­ dendi che furono nella seguente misura :

per l ’esercizio 1880...L . 21. 00 » 1 8 8 1 ...s» 25. 00 » 1 882...» 30.00 » 1 883...» 32. 00 * 1 8 8 4 ...» 35. 00

e per tutti gli anni appresso dai 1885 al 1889 lire 35,00, impiegandosi il più degli u tili, oltre gli ammortamenti^delle sofferenze come esige lo statuto, a ricostituire il capitale che era stato in parte per­ duto. Fu per questo prudente contegno che le azioni a poco a poco alzarono di prezzo e le troviamo già a 750 lire circa nel principio del 1880 ad 860 circa nel principio del 1881, e poi su su fino a circa 1200 lire, depresse alquanto in quest’ ultimo tempo per effetto della crise generale che colpi tutti ì valori.

E ricordiamo che il compianto Direttore Generale Duehoquó metteva la sua ambizione nel cercare tutto il possibile per rifare il capitale della Banca, e men­ tre riconosceva giusto passare al capitale un inte­ resse conveniente, non si lasciava vincere a sorpas- sare la misura del 5 per cento. — Lo ripetiamo, la distribuzione di quegli u tili era già una infrazione alle disposizioni del Codice di Commercio ed ai se­ veri principi di amministrazione pubblica, poiché il capitale di una Banca sta a garanzia dei terzi, i quali hanno diritto di esigere che prima di tutto tale ca­ pitale sia completo _e se non lo sia, gli utili della azienda sieno rivo lti a completarlo ; e tale diritto è anche maggiore quando trattisi di una Banca di emis­ sione la quale ha il privilegio del corso legale e quindi deve essere più delle altre scrupolosa e se­ vera nel calcolo delle sue attività in quanto la sua clientela non e volontaria ma forzata.

Tuttavia poteva fino ad un certo punto menarsi per buono che io tempi normali si distribuisse agli azionisti una equa rimunerazione ; cessa però la convenienza di tale infrazione alle buone -egole quando i tempi divengono disastrosi, e manca af­ fatto ogni buon motivo, quando trattasi appunto in tempi disastrosi di distribuire maggiori dividendi.

Nell’ ultima relazione dettata dall’ attuale Direttore Generale, comm. Appelius, leggiamo a pag. 13 che il credito antico verso la società della Marmifera si re­ siduava al 1° gennaio 1890 in L. 6,338,393.78 ga­ rantito da 6722 azioni di detta società, le quali, come è noto, per ora non hanno alcun valore sul mercato; ed a pag. 11 della relazione leggiamo che la Banca ha fornito alla Società Marmifera altri due milioni « da iscriversi nella linea costrutta e costruenda su- « bito dopo la ipoteca a cauzione delle lire quattro « milioni rappresentati da obbligazioni. » Non cre­ diamo che la Banca su questi due m ilioni abbia avuto finora gli interessi e ad ogni modo ci pare di doverli ascrivere essi pure tra le sofferenze.

Di fronte a questa ingente cifra di oltre 8 milioni di capitale che si trova in grave sofferenza, stanno le 2,317,000 di riserva.

Ogni nostra osservazione cadrebbe senza dubbio se il Consiglio di Amministrazione ed il Commis­ sario regio, persone senza eccezione per competenza ed onestà, dichiarassero di poter ora valutare sulla loro coscienza, alla pari i crediti verso la Marmifera, ma fino a che tale dichiarazione non avvenga, noi, valendoci delle passate relazioni, dobbiamo credere che sieno crediti in sofferenza e come tali vadano considerati.

Ciò premesso, noi domandiamo a chi voglia spas­ sionatamente giudicare delle cose e degli uomini, se ò in un momento nel quale i grandi Istituti, ammini­ strati dai più provetti finanzieri del paese, stanno bar­ collando, od accusano grandi difficoltà, che la Banca Nazionale Toscana, da pochi anni appena uscita da una crise che minacciava di farla naufragare, con un capitale che per oltre un terzo è per ora inca­ gliato, deve darsi il lusso di aumentare una quota di interessi o dividendi che non avrebbe nem­ meno la facoltà di distribuire nella limitata misura usata fin qui.

Che se poi guardiamo le ragioni che possono con­ sigliare tale aumento, siamo costretti a condannarle; non sappiamo quali sieno i motivi della Amministra­ zione, ma possiamo rilevare quelli allegati da qual­ che gruppo di azionisti, e di attendibili ne troviamo due categorie : quelli che dicono essere doveroso per la Banca Nazionale Toscana di dare più alti di­ videndi affine di ottenere m igliori condizioni se mai per la nuova legge si dovesse venire alla fusione, colla Banca Nazionale d’ Italia.

E non occorre mostrare la puerilità di tale concetto inquantochè a non distribuirli gli u tili non spariscono, ma rimangono sempre a disposizione degli azionisti; anzi nel caso concreto si troveranno tanto m igliori condizioni quanto più sarà veritiero il capitale, non quanto maggiori saranno gli u tili distribuiti per lo innanzi agli azionisti.

A ltri invece affermano: — è bene distribuire mag­ giori dividendi per non alimentare negli azionisti il desiderio di una fusione colla Banca Nazionale d’Italia. Ed anche questo concetto è certamente erroneo per­ chè la Banca Nazionale Toscana non può certo aspi­ rare a diventare la Banca Unica, e d’ altra parte gli azionisti non possono certo essere ingannati nei loro veri interessi dalla fantasmagoria di dividendi più o meno cospicui, e quindi la fusione se dovrà farsi in nome dell’interesse generale non sarà certo impedita nè da cinque nè da dieci lire di maggior dividendo.

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meni-bri del Consiglio rinunziano ai loro emolumenti e citano a prova la Nazione del 7 corr., e noi lo cre­ deremmo, crediamo anche possibile che il Direttore Generale lasci una parte del proprio stipendio a fa­ vore del bilancio come altra volta avvenuto.

A ltri ancora osservano, e ce ne compiacciamo v i­ vamente, che la Banca abbia avuto in quest’ anno dei risultati splendidi e che potrebbe distribuire molto più delle 40 lire. Niente di meglio ; il Consiglio di Amministrazione si procuri la ben meritata soddisfa- zione di esporre questi felici risultati agli azionisti colle più eloquenti parole, e noi saremo tra i primi ad applaudire; ma aggiunga la prudenza di impie­ gare quanto più gli sia possibile di questi utili con­ seguiti o che derivino dagli affari, o dalla abnega­ zione degli Amministratori, a sanare le vecchie, e se ve ne sono, le nuove piaghe. La Banca abbia la nobile ambizione di ripresentarsi quanto più presto possa agli azionisti completamente sanala da ogni vecchia e nuova disgrazia.

Allora ci uniremo anche noi al coro dei lauda­ tori, tanto più sinceramente quanto più franche ed esplicite sono oggi le nostre rimostranze.

Rivista (Economica

/ tra tta ti di commercio della Francia — / / lavoro dei carcerati in Italia nell'esercizio 1889-90 __ La produzione dei vino in Francia.

I trattati di commercio della Francia. — Una nota comunicata in questi giorni alla Commissione do- ganale francese dal ministro degli affari esteri dice che la r rancia è attualmente vincolata da quarantacinque trattati e accordi commerciali o marittimi coi paesi seguenti: Romania, Danimarca, Liberia, Stati Uniti, Siam, Austna-Ungheria, Paesi Bassi, Russia, Equa­ tore, Chili, Repubblica Domenicana, Messico, Gran Bretagna, Serbia, Repubblica sud-africana, H aiti, China, Giappone, Corea, Turchia, Marocco, Zanzibar e Persia.

Dal punto di vista del diritto di denuncia, i 4S trat­ tati si dividono in cinque classi.

1. ° Accordi che devono scadere a termine fisso, senza denuncia.

2. Trattati che possono venir denunciati a qua siasi epoca e che devono scadere un anno dopo la denuncia.

3. ° Trattati provvisori conclusi senza limitazione di tempo in attesa della firma di un trattato defi­ nitivo.

4. Trattati perpetui colla clausola della revisione. . . , *° Trattati perpetui senza la detta clausola. INella prima categoria figura un solo trattato: la convenzione stipulata colla Romania, che spirerà il

40 luglio 1891. 1

II secondo gruppo comprende i trattati conclusi colla Danimarca, colla Liberia, cogli Stati Uniti per a navigazione) col Siam (per i liquori), col-i Austrcol-ia-Unghercol-ia (commerccol-io e navcol-igazcol-ione), cocol-i ih !™ - Bn Si ' ’- C0H;' Russia> coll’ Equatore, Chili, Don 1/=. b’nBe Portogall° ’ Svezia e Norvegia, Sviz zera, Repubblica Domenicana, Messico, Gran Bretta gna (commercio e navigazione), Germania (navica zinne), Serbia e Repubblica sud-africana. °

La terza categoria non comprende che un accordo provvisorio stipulato colla repubblica di Haiti.

[ trattati perpetui colla clausola della revisione sono quelli colla China, col Siam, col Giappone e colla Corea.

Infine, i trattati perpetui e senza clausola di revi­ sione sono quelli che legano la Francia al Marocco, alla Turchia, allo Zanzibar, alla Germania e alla Russia ; per quest’ ultimo però conviene notare che, in virtù di un accordo intervenuto nell’ aprile dei 1890, la Francia è rimasta padrona di riprendere la sua libertà d'azione in qualunque epoca.

Come è noto, il ministro degli affari esteri, in una dichiarazione verbale fatta in seno alla Commissione delle dogane, ha annunciato che il governo aveva l’ intenzione di fare una distinzione fra i vari tra t­ tati e di denunciare soltanto quelli che sono accom­ pagnati da una tariffa per l’entrata di prodotti esteri in Francia.

Il ministro Ribot ha aggiunto che il governo si proponeva di avviare, subito dopo la denuncia, dei negoziati allo scopo di far rivivere tutte le clausole dei trattati non aventi carattere doganale e relative, per esempio, alla navigazione, allo stabilirsi reciproco dei sudditi nel paese contraente, ai d iritti c iv ili, alla proprietà e difesa delle marche di fabbrica, alla pro­ prietà letteraria, ecc.

Quanto alle trentasette convenzioni ehe stipulano soltanto il trattamento della nazione più favorita, esse sarebbero mantenute e assicurerebbero alle na­ zioni contraenti il beneficio della tariffa minima.

Dopo maturo esame, la Commissione si è limitata a prender atto delle dichiarazioni ministeriali.

Essa ha considerato infatti che è dinauzi la Ca­ mera, e non in seno ad essa, che il ministero aveva preso IMmpegno di assicurare alla Francia la sua piena libertà economica e doganale per il primo di febbraio del 1892 e che, per conseguenza, non spet­ tava ad^essa di apprezzare nè la misura, nè i modi che il Governo intende adottare per mantenere la sua promessa.

D’ altro canto, la Commissione ha riconosciuto che 1 adozione del sistema della tariffa doppia toglieva ogni interesse pratico alla denuncia dei trattati di commercio senza tariffa speciale, perchè la tariffa minima non ha verun’ altra ragione d’ essere fuor­ ché quella di costituire il trattamento della nazione più favorita per ogni paese che ne reclamerà il be­ neficio.

Con tal sistema, la Francia si troverà dunque, al 1 febbraio 1892, non già svincolata da ogni trat­ tato di commercio, ma legata tuttora da trentasette trattati non denunciati e che continueranno ad essere in vigore. Ed è a proposito di questa situazione che le opinioni degli uomini politici e degli economisti si appalesano discordi. E già sin d’ ora si annuncia un’ interpellanza del deputato Bourgeois, che solle­ verà certamente una discussione interessante, alla quale non mancheranno probabilmente di prender parte i campioni delle varie scuole economiche.

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18 gennaio 1891

V

E C O N O M I S T A 41 Il maggior introito hanno dato gli stabilimenti di»

pena propriamente detti ; una piccolissima parte sol­ tanto ne è dovuto al lavoro delle carceri giudiziarie come meglio apparisce dal seguente specchietto :

Stabilimenti penali Carceri giud. Totale Esercizio --- ---

prévis, accert. prévis, accert. previa, accert.

1 8 8 8 - 8 9 4.902 000 5.227,346 298.000 257,189 5,200,000 5,484,535

1 8 8 9 - 9 0 4,902,000 5,484,353 298,000 251,643 5,200,000 5,735,996 Differenza

nel 1 8 8 9 - 9 0 — -+- 257,007 — — 5,546 + 251,461

La vendita di manufatti ha prodotto nel 1889-90 L. 4,471,092, la locazione della mano d’ opera dei detenuti ad imprenditori di lavori L. 793,230. Quella aumentò, in paragone dell’ esercizio antecedente di Lire 220,000 in cifra tonda ; questa dim inuì di Lire 21,000.

Aastrazione fatta da ogni apprezzamento sul me­ rito della dibattuta questione della concorrenza che il lavoro carcerario fa al lavoro libero, certo è che sotto il punto di vista meramente fiscale il lavoro carcerario assicura all’erario un provento, che non è trascurabile, malgrado la forte parte, che n’ è as­ sorbita dalle provviste della materia prima e dalle altre spese di esercizio degli opifici.

Il lavoro dei detenuti negli stabilimenti m ilitari di pena è, in paragone, assai poca cosa.

Infatti ai proventi lordi accertati per l ’ esercizio 1888-89 in L.270,398 discesi poi nell’esercizio 1889 90 a 201,591, si contrappone una spesa che fu di L i­ re 204,920 nel primo dei due esercizi predetti e di L. 201,591 nel secondo, onde il beneficio netto del- 1’ erario si residuò :

1 8 8 8 - 89 a L . 65,477

1 889- 90 a » 63,000

Il lavoro tipografico ha contribuito nella misura del 66 per 100 alla totalità dei proventi; cioè con: L. 181,811 nell’ esercizio 1888-89 sopra una somma complessiva di L. 270,397;

L . 152,176 nell’ esercizio 1889-90 sopra un provento generale di L. 264,591.

Due sono gli stabilimenti tipografici, che sono serviti dai reclusi : Savona e Roma.

Ecco gli introiti lordi di ambedue gli stabilimenti :

1888-89 1889-99 Diff. 1889-90

Roma. . . . 22,734 9,435 — 13,299 Savona . . . 159,077 142,741 — 16,436 Totale 181,811 152,176 — 29,635 Se raggruppiamo gii in tro iti per stabilimenti ab­ biamo questa risultanza :

1888-89 1889-90 Diff. 1889-90 Gaeta . . . Roma . . . Savona. . . . 47,200 22,734 200,368 69,041 9,435 184,737 -]- 21,841 — 13,299 — 15,631 270,302 263,213 — 7,089 Proventi eventuali . 96 1,378 + 1,282 Totale 270,398 264,591 — 5,807 Mentre il Ministero della guerra, con lodevole d i­ ligenza, al prospetto della entrata ha contrapposto a parte quello delia spesa, sicché, a colpe d’ occhio, può il lettore farsi un’ idea dell’ utile vero del Te­ soro per il lavoro degli stabilimenti m ilitari di pena;

per avere i medesimi dati circa i proventi del la­ voro nelle carceri civili, abbiamo dovuto farne r i­ cerca nel consuntivo del Ministero dell’ Interno, ed abbiamo trovato che la spesa sostenuta dall’ ammi­ nistrazione carceraria per la provvista della materia prima destinata ad alimentare i suoi stabilimenti per ia direzione, la sorveglianza e via dicendo degli opi­ fici, è salita durante l’ésercizio 1889-90 a L .3,337,082 comprese le 243,385i lire per la stampa della Gaz­ zetta Ufficiale, di guisa che il prodotto netto del- 1’ erario ne è disceso da L. 5,484,535 a sole L i ­ re 2,147,453 — ossia l ’ utile netto sta alla spesa, nellla misura del 39,18 al 60,82.

La produzione del vino in Frància. — li m i­ nistro d’agricoltura della Francia ha pubblicato in questi giorni la statistica della produzione vinicola per l’anno 1890.

Risulta che l’ anno scorso il raccolto del vino è salito in Francia a 27,416,000 ettolitri. La super­ ficie di terreno coltivato a vigna è stata, nello stesso anno, di 1,816,544 ettari. Si è dunque avuto un raccolto medio di 15 ettolitri per ettaro. Questi r i ­ sultati sono migliori di quelli dell’ anno precedente, perchè nel 1889 si erano raccolti soltanto 23,224,000 ettolitri di vino, ossia 13 ettolitri per ettaro.

Il prezzo medio è stato valutato per il 1890 a 36 franchi l ’ettolitro, ciò che dà un valore di circa un miliardo di franchi per la produzione intera.

Come negli anni precedenti, la fabbricazione dei vini di vinacce addizionate con zucchero e di vini d’ uva secca è stata considerevole. Per i primi, la produzione è valutata a 1,946,729 ettolitri e per i secondi a 4,292,850.

Malgrado ciò occorse, anche nel 1890, ricorrere all’ importazione onde colmare l’insufiìcenza della pro­ duzione vinicola del paese.

Negli undici primi mesi del 1890 le quantità di vino importate dall’estero in Francia sono salite a 9,532,000 ettolitri, cifra un po’ superiore a quella dell’ anno precedente. Durante lo stesso periodo, l ’esportazione è stata di 1,943,000 ettolitri.

Come si vede, la Francia compera all’ estero molto più vino di quanto gliene vende. Da dieci anni in qua, essa non esporta che da due milioni a due mi­ lioni e mezzo di ettolitri di vino all’ anno, mentre ne importa da 7 a 12 milioni di ettolitri.

È la conseguenza delle stragi consumale nei su­ perbi vigneti del mezzodì dalla filossera e dagli al­ tri insetti che insidiano le viti. Però affrettiamoci a dire che i viticoltori francesi sono già riusciti a r i­ costituire quasi dappertutto i propri vigneti, mediante l’innesto delle vecchie viti del paese sui ceppi ame­ ricani, notoriamente refrattari alla filossera.

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ADEN E IL SUO COMMERCIO

li console italiano in Aden, capitano Cecchi, ha inviato al nostro Ministro degli affari esteri una ela­ borata relazione delle odierne condizioni commer­ ciali di Aden.

Risulta da questo rapporto che il movimento com­ merciale va rapidamente sviluppandosi, e che man­ tenendosi per altri 5 anni nelle proporzioni ascen­ denti verificatesi dal 1885 in poi, in un decennio l'attività commerciale di Aden si sarà raddoppiata.

Infatti, al 1888-89 si raggiunse un complessivo movimento di importazione e di esportazione per Rs. 63,654,541, cioè di lire italiane 137,874,536,10.

Nel 1884-85 il valore totali degli scambi era stato inferiore a quello indicato di oltre 26 milioni di Rs.

Nella somma di Rs. 65,654,541 figura per Rs. 12,816,613 il commercio fra Aden e l'India e per Rs. 332,687, quello fra Aden e i paesi dell’ interno, Sicché, rimangono Rs. 49,511,033 a rappresentare il movimento commerciale fra Aden ed i porti esteri.

L ’aumeuto su questa terza cifra fra il 1887-88 o il 1888-89 è del 36,81 0 |0 ; coi paesi dell’ in ­ terno del 46,14 0|0 mentre coll’ India è solo del 3,11 0|0; il che fa ritenere che, se il commercio fra Aden e I’ India ha ormai raggiunto il suo mas­ simo, esso tende ancora ad aumentare notevolmente colle contrade estere e i paesi dell’ interno.

Nell’ ultimo anno l’ importazione ammontò a Rs. 35,004,908 e l ’esportazione a Rs. 30,649,633 ; e tale rapporto si verificò a un dipresso anche nei pre­ cedenti anni. Devesi però notare che se si considera partitamente il commercio coi paesi esteri, si trova che le esportazioni (Rs. 27,212,085) superano le importazioni (Rs. 22,298,968); mentre nel commer­ cio coll’ India sono le importazioni che superano le esportazioni (importaz. Rs. 10,443,409, esportaz. Rs. 2,373,204) ; il che prova che le contrade estere concorrono largamente all’acquisto dei prodotti orien­ tali che compariscono sulla piazza di Aden, e che questi prodotti sono in gran parte forniti dall’ India.

Sul commercio di Aden colle contrade estere, la maggiore azione per quanto riguarda l’ importazione è esercitata dalla Arabia, ma immediatamente ap­ presso dall’ Inghilterra, poi dalla costa Est dell’Africa. Se invece si ha riguardo alla esportazione, è an­ cora 1’ Arabia che v i esercita l’ influenza maggiore con una somma alquanto inferiore alla sua importa­ zione, e quindi la costa Est d’Africa la cui importazione quasi uguaglia l’esportazione; ma l’ Inghilterra esporta assai meno di ciò che importa, mentre quasi tutte le altre contrade esportano più di quanto importano; e l'Italia esporta per ben Rs. 211,593, contro le 86,951 d’ importazione.

Quindi, per l ’ Inghilterra il commercio su Aden forma una sorgente di entrata, mentre per l’Arabia e la costa d’ Africa l’entrata è quasi uguagliata dal­ l’ uscita e, per le contrade estere, sensìbilmente per l’ Italia e per la Francia, gli .acquisti fatti sulla piazza di Aden superano notevolmente le vendite.

E di ciò il capitano Cecchi ne indica le ragioni Osservando che la Francia, paese ricco, acquista lar­ gamente gli oggetti di lusso dei paesi orientali, ma non può tare concorrenza all’ Inghilterra per la ven­ dita degli oggetti richiesti dallo sviluppo che la ci­ viltà va prendendo in quei paesi, perchè essi sono

appunto soggetti alla protezione o al dominio inglese, mentre l’ Italia, rapidamente spinta sulla via delle altre nazioni d’ Europa, sente il bisogno dei prodotti orientali, ma per mancanza di audacia commerciale e per l’incostanza dei suoi prodotti, non ha saputo si­ nora allargare convenientemente il suo commercio sulla piazza di Aden, sebbene ne sia la più prossima.

L ’ Arabia e le coste Este d’ Africa, il cui com­ mercio è quasi per intero fatto su Aden, debbono di necessità equilibrare in valore gli acquisti con I le vendite.

Notevoli sono poi le notizie comparative che sono fornite dall’ egregio capitano Cecchi sul commercio fra Aden e i porti compresi da Massaua a Ras Hafun.

Nei porti italiani, il movimento crebbe fra il 1887, 1888, e il 1888, 1889 di Rs. 2,484,311; mentre nei porti francesi scemò di Rs. 41,806, e discese

a Rs. 349,333.

Si può calcolare che il commercio con Aden dei porti italiani posti nella costa N. E. d’Africa sia au­ mentato nell’ ultimo anno dal 257,10 0|O, ma que­ sto aumento fu assai maggiore per I’ esportazione (384,57 0|0) che por l’ importazione (46,26 0|0).

Notevole è pure l’ aumento del commercio di Aden nella costa dei Somali sottoposta al protettorato in­ glese (30,13 0|0) e specialmente di Berbera e di Zeyla; mentre diminuisce quello dei porti migertini.

L ’ Italia importa : cotone filato, liquori, vino, sete, e in minor quantità mattoni, fiammiferi, olio, for­ maggio , b u rro , farina, frutta ; ed esporta : caffè, gomme, pelli e spezie.

In tre gruppi possono raccogliersi gli oggetti che l ’ Italia ha interesse di importare in Aden.

I o Alimentari: V in i, liquori, frutta fresche e sec­ che, burro. 2° Chincaglierie : lavori d’arte, porcel­ lane, vetri. 5° M ercerie: Carta, lib ri d’ amministra­ zione, cotone filato, sete, lane.

Per ciò che riguarda l’ esportazione, in relazione a questi tre gruppi, il commercio può svolgersi sui seguenti articoli :

1° Alimentari: Caffè, spezie. 2° Chincaglierie: Oggetti chiuesi e giapponesi, madreperla, oggetti di storia naturale. 3° M ercerie: Fazzoletti, scialli, tap­ peti, stuoie orientali ; e a questi dovrebbe aggiun­ gersi il commercio delle pelli.

Assai più sviluppato come risulta dalle tabelle del capitano Cecchi, è il commercio di Massaua con Aden ; giacché essa vi importa e ne esporta gli stessi prodotti che vi importano ed esportano le coste so­ mali e danakili, che sul movimento commerciale di Aden hanno la massima influenza; e quel commer­ cio aumenterà certo quando saranno migliorate le condizioni economiche dell’Abissinia.

E il cresciuto movimento delle navi italiane che approdano ad Aden induce a bene augurare per ia nostra futura attività in quel porto, che è centro di un largo commercio di transito.

LE FABBRICHE »1 SPIRITO, H A , AC(}UE GASSOSE, ZUCCHERI ECC.

nel I o quadrimestre dell’ esercizio finanziario 1890-91

(11)

18 gennaio 1891 L ’ E C O N O M I S T A 43

Le varie produzioni contribuirono in questa m i­ sura :

Spirilo L. 6,517,105.76, birra L. 251,040.82, acque gassose L. 168,001.24, zucchero L . 440,694.10, glucosio Lire 211,120.80, cicoria preparata Lire 320,366.60, polveri piriche L. 228,585.82.

Adesso qualche ragguaglio sul numero e sulla importanza delle varie fabbriche, la cui statistica per il quadrimestre sopra indicato è stato recentemente pubblicato dalla Direzione generale delle Gabelle.

Dalla statistica si rileva che delle fabbriche di spirito che distillano sostanze amidacee, I l soltanto lavorarono sulle 22 esistenti al 31 ottobre 1890. Queste fabbriche produssero ettolitri 76,756 di spi­ rito corrispondenti a ettol. 46,502.63 di alcool ani­ dro. Confrontando questi resultati con quelli che si ottennero nel luglio-ottobre 1889 si trova un au­ mento^ di ettol. 20,502.79, che corrispondono a ettol. 14,183.07 di alcool anidro. La tassa percetta da queste fabbriche ascese a L. 5,022,284.30 con un aumento di L. 1,088,351.25 sul periodo corrispon­ dente del 1889.

Le fabbriche di spirito che distillano materie vi­ nose, e vino che erano 3314 produssero ettoli­ tri 8,835.27 che corrispondono a ettol. 4,845.90 di alcool anidro. Dal solito confronto resulta che nel luglio-ottobre 1890 il prodotto fu inferiore di etto­ litri 2,329.81, corrispondenti a ettol. 1,543.77. La tassa percetta nel 1890 ascese a L. 414,982.26 cifra che rappresenta una diminuzione di L . 216 509 61 sul luglio-ottobre 1889.

Le distillerie agrarie erano al 31 ottobre 1890 N. 6,047 ma di queste lavorarono soltanto 101, le quali produssero ettol. 101.76 di spirito corrispon­ dente a ettol. 54,97 di alcool anidro. La tassa per­ cetta ascese a L. 4,585.06 contro L. 3,890.09 nel luglio-ottobre 1889.

Le fabbriche di birra che lavorarono furono 129 sulle 147 esistenti. Esse produssero ettol. 37,222.74 di birra con un aumento di ettol. 4,494.07 sul lu­ glio-ottobre 1889. La tassa percetta ascese a Lire 251,040.82 contro L. 227,389.71 nell’esercizio pre­

cedente. 1

Le fabbriche di acque gazose erano 719 di cui 141 lavorarono a tariffa, e 553 per convenzione, lu tte queste fabbriche produssero ettol. 42 598 27 di acque gazose, cioè ettol. 472.53 in più che nel luglio-ottobre 1889, e dettero allo Stato un pro­ vento di L. 168,001.24 contro L. 165,756.92 nel- 1 esercizio precedente.

Una sola fabbrica di zucchero fu in esercizio sulle 4 esistenti, quella cioè di Rieti in provincia di Pe­ rugia, la quale dette un prodotto di quint. 7,876.45 di zucchero, e un provento allo Stato di L. 440,694.10.

j corrispondente quadrimestre dell’ esercizio pre­ cedente lo zucchero prodotto fu di quint. 2,594.57 f e la tassa riscossa di L. 145,196.60.

Le fabbriche di glucosio in attività furono 7 sulle 6 esistenti. Il loro prodotto ascese a quint. 11,290 40 di glucosio e la tassa riscossa a L. 211,120.80 cioè a dire quiut. 1,063.44 e L. 32,330.70 meno del luglio-ottobre 1889 90.

di cicoria che lavorarono furono 216 sulle 2,x. esistenti. 11 loro prodotto fu di ettoli- tri fa,432:89 e la tassa riscossa di L. 320,366.60.

, ei primi 4 mesi dell'esercizio precedente la

pro-t r ? J , U, dÌ etloL 3’7 , 3 ‘92 e la tassa riscossa di

L. 284,634.67.

La produzione della polvere pirica, e di altri ar­ ticoli esplodenti dette allo Stato un provento di L. 288,585.82 contro L. 242,700.79 nell’ esercizio precedente.

11 commercio della Grecia nel 1889

Il commercio della Grecia ebbe nel 1889 un no­ tevole sviluppo. Rileviamo infatti da vari prospetti statistici pubblicati da giornali finanziari della T u r­ chia che il commercio generale ascese a 162 milioni di fr. per le importazioni, e a 116 per le esportazioni cioè ad un totale di 278 m ilioni, che rappresenta di fronte all’anno precedente un aumento

di 50 m ilioni di franchi.

Al commercio speciale le importazioni ammonta­ rono a 132 milioni di fr. e le esportazioni a 108, cioè ad un insieme di 240 milioni,’'somma che rap­ presenta un aumento di 36 milioni in confronto all’anno precedente.

Oltre le importazioui di merci ordinarie, com­ prese nella tabella dell’Amministrazione doganale e che pagano dazi, furono importati nel 1889, per conto dei monopoli dello Stato, 1,537,000 fr. di pe­ trolio, fiammiferi, carte da giuoco, carte da siga­ rette, eco., centra 1,110,000 fr. nel 1888.

I paesi coi quali i cambi della Grecia ebbero maggiore importanza, sono : l’ Inghilterra, la Russia, la Turchia, i’ Austria-Ungheria, la Erancia, l’ Italia e la Germania.

Ecco qaali furono nel 1889 le importazioni ed esportazioni dei vari paesi coi quali la Grecia fu in relazioni commerciali : Importazioni Esportazioni Inghilterra... Fr. 29,610,062 Fr. 32, 757,800 Russia... » 25,985,680 ¡> 1,873,807 T u reh ia ... 25,014,024 » 9,908,907 Austria-Ungheria. » 18,636,200 » 8,728,229 F r a n c ia ... » 11,637,872 *> 32,506,847 I t a l i a ... » 5,016,215 » 3,379,538 Germania... » 4,715,667 » 2,505,881 Stati-Uniti... « - 3,200,190 » 3,032, 164 B elgio... » 2,724,856 » 7,251,098 O landa... » 2,907,102 » 3,040,534 Egitto... » 1,298,596 » 2,231,052 R u m a n ia... » 959,303 s> — —

Le principali merci che figurarono fra le im por­ tazioni del 1889 furono i cereali per 35,360,000 fr., i filati e tessuti per 21,227,000 fr., i minerali ed i metalli greggi per 7,547,000 fr., i minerali ed i metalli lavorati per 7,480,000 fr., I legnami e gli altri prodotti forestali per 6,896,000 fr., i generi farmaceutici ed i prodotti chim ici per 5,239,000 fr., i pesci preparati ed il caviale per 4,695,000 fr., il bestiame per 3,551,000 fr., lo zucchero per 3.319.000 fr., il caffè per 3,020,000 fr., le pelli greggie, il riso, la carta, le pelli e le ossa lavora­ te, i vetri, i cristalli e le stoviglie.

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