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DANNO DA LUTTO: BIOLOGICO, MORALE, ESISTENZIALE? MOURNIG DAMAGE: BIOLOGICAL, MORAL OR EXISTENTIAL DAMAGE?

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TAGETE 4-2007 Year XIII

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MOURNIG DAMAGE: BIOLOGICAL, MORAL OR EXISTENTIAL DAMAGE?

DANNO DA LUTTO: BIOLOGICO, MORALE, ESISTENZIALE?

Dr. Raffaele Castiglioni

*

Prendiamo il danno da lutto; non perché qui ci interessa la trattazione, clinica e medico-legale, del lutto; ma perché offre spunti di riflessione sul danno non patrimoniale. Appunti dal vero; dalla pratica quotidiana. Ribaltano false certezze.

Incipit eretico. Il danno biologico psichico è “transeunte” (quasi sempre). Il danno morale a volte passa; più spesso, no; è il vero danno permanente. Certo, lo è di più

* Medico Legale, Psichiatra, Milano

ABSTRACT

Dr Raffaele Castiglioni, medical legal specialist and psychiatrist, tries to give a definition of

“mourning damage”: is it biological, moral or existential damage? Jurisprudence and Medicine give a different meaning to the value of “moral damage” and “biological damage”. According to jurisprudence “moral damage” is considered as transitory and temporary, while “biological damage” of a psychic nature is the “final phase of a pathological process caused by the same change of psychic equilibrium constituting subjective moral damage”. Dr Castiglioni says the contrary; according to clinical analysis: “mourning cases bring to the apparently heretical issue that biological psychic damage is (almost always) “transitory”; moral damage sometimes clears up”.

In the end: “in a psychic and anthropological perspective […] mourning damage is not only a moral or biological suffering, but also existential damage, an overthrow of everyday life”.

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2 del danno biologico. Sono i casi di lutto a dirlo. Vediamo.

1. R

ITI E STEREOTIPI

.

Il rito del processo esige la consulenza tecnica medico-legale; quella psichiatrica nei casi di lutto. Il più delle volte, basta tenue appiglio per disporla; ad esempio uno straccio di carta intestata “Dottor Tale, medico chirurgo” e la locuzione tuttofare

“sindrome ansioso-depressiva”. Altro rito nel rito. Solito canovaccio. Si privilegia la ricerca del danno biologico. Le definizioni uscite con le riforme INAIL e RC auto lo definiscono “lesione dell’integrità psicofisica suscettibile di accertamento medico- legale”. Restiamo nei casi di lutto. Il consulente di parte attrice si fa in quattro per dimostrare che c’è lesione, rectius, un bel quadro psicopatologico riconoscibile e diagnosticabile secondo le più diffuse nosografie; e quantificabile con un bel numero.

Il consulente convenuto fa il contrario. Il consulente d’ufficio decide che il danno

biologico c’è; oppure non c’è. E basta. Quando il consulente d’ufficio dice che c’è

danno biologico, il consulente attore è contento. Quando non c’è, è contento il

convenuto. Come se altro, fuori dal danno biologico, non ci fosse. Certo, altre voci di

danno non riguardano il medico legale. Non lo riguardano direttamente; ma

indirettamente, sì. Una consulenza tecnica ben fatta, può non riconoscere il danno

biologico; ma può suggerire al giudice e agli avvocati elementi per ammettere altre

(3)

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3 voci di danno non patrimoniale

1

.

Altro rito ancora; quello dei giuristi. Si ragiona per categorie; danno patrimoniale, danno non patrimoniale; danno evento; danno conseguenza; danno diretto; danno indiretto; danno di rimbalzo; danno morale; danno esistenziale; prevedibilità;

imprevedibilità. Guardiamo al biologico e al morale. Secondo l’arcinota sentenza 372/94, il danno morale, “anziché esaurirsi in un patema d'animo o in uno stato d'angoscia transeunte, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente”.

Ecco, allora, il danno biologico psichico (da lutto

2

), “momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo”

3

. Può accadere “in persone predisposte”, per

“debolezza cardiaca”, o per “fragilità nervosa”. Significa che il danno morale, tipicamente temporaneo, può divenire permanente. Così dice la Consulta; e, in genere, la giurisprudenza. Invece no. Centinaia di casi di lutto, inducono all’enunciazione blasfema proposta in apertura.

Vischiosità di antiche concezioni semplici, di un mondo, giuridico e medico-legale, semplice. Danno morale era il perturbamento psichico transitorio indotto da fatti- reato, in primis; e da un’altra dozzina di fattispecie, in numero di casi statisticamente

1V. nota 11

2 Qui siamo in tema – esemplificativo – di lutto; ma il discorso vale, più generalmente, per il danno psichico, da qualsiasi evento cagionato.

3 Il grassetto è nostro; a sottolineare che il giudice costituzionale ha inconsapevolmente un’acuta intuizione: alla base del danno morale e del danno biologico psichico ci sono gli stesi meccanismi psichici; questione di quantità, più che di qualità.

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4 esiguo. Semplice anche la vecchia medicina legale; per lo più valutativa di danni alla persona, di natura infortunistico-ortopedica in stragrande misura. Finiva con la quantificazione percentuale dell’invalidità permanente, riferita alla capacità lavorativa generica. La sentenza 184/86 rivoluziona il panorama giuridico; consacra il danno biologico, timidamente esordito negli anni Settanta. La valutazione medico-legale, però, rimane la stessa di prima. Non si parla più di invalidità permanente del tot per cento con riferimento alla capacità lavorativa generica; ma di danno biologico permanente del tot per cento. Le tabelle non cambiano sostanzialmente. Restano ortopediche. Ci vogliono anni prima che altri apparati corporei vi entrino; con relative quantificazioni

4

. Però, scheletro, o stomaco, o cuore, o altro, siamo sempre nell’organico. La concezione danno biologico-danno evento, da un lato; e danno morale-danno conseguenza, dall’altro, vanno sempre bene. Lesione e conseguente menomazione, questo è danno biologico, ossia danno evento, e vale x. La menomazione è causa di turbamento psichico, danno morale, ossia danno conseguenza, che vale una frazione di x.

4 Si veda la famosa Guida di Luvoni e Mangili. Solo nelle ultime edizioni l’impianto originario viene integrato – in modo sintetico, ma pregevole – con indicazioni valutative di organi e apparati. Il salto di qualità c’è con la Guida di Bargagna e Coll, uscita per la prima volta nel 1996; con interi capitoli dedicati a esauriente trattazione di menomazioni di organi e apparati.

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5 2. C

ENTRALITÀ DELL

’(

ANIMALE

)

UOMO

In pochi anni si impone la centralità della persona. Si scuotono certezze e si complica la semplicità. Tutela della dignità della persona, dei diritti costituzionalmente garantiti, nuove voci di danno; è la volta del danno esistenziale. Prima del danno esistenziale compare il danno biologico di natura psichica, primi anni Novanta. Si sa benissimo, fin dall’inizio, che ha caratteri diversi dal danno di natura fisica. E’ per lo più concausato, perfino nei casi di Disturbo Post-traumatico da Stress, dove l’evento lesivo è, in sé e per sé, obiettivamente e gravemente lesivo. Ed è per lo più transitorio, giacché i disturbi psicopatologici, di solito, migliorano o guariscono. Se persistono c’è fondato dubbio che non dipendano dal fatto da cui si ipotizza che dipendano

5

. Banali nozioni naturalistiche.

Ancor prima che alla centralità della persona si dovrebbe pensare alla centralità dell’uomo; molto semplicemente, senza enfasi, con la ‘u’ minuscola; animale con struttura cerebrale e psichica più complessa di quella degli altri animali. Centralità dell’uomo come conoscenza almeno elementare, dei meccanismi di funzionamento psichico. Prima viene l’uomo; poi il diritto. Il diritto ordina in categorie giuridiche i

5 “Per quanto attiene la durata del disturbo mentale, ...nella maggioranza dei casi, i disturbi psichici insorti in correlazione con un ben definito evento psicotraumatizzante vanno incontro a risoluzione nel tempo; ...per converso, quando il disturbo è persistente nel tempo ed ingravescente, si tratterà assai verosimilmente di manifestazioni a genesi endogena e cioè connesse con tratti devianti della psiche del leso” (M. Bargagna e Coll., Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente, Giuffrè, 1998, p. 19.

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6 fatti dell’uomo; dunque, venga prima la conoscenza dei fatti. Principio naturalistico fondamentale: la psiche è interfaccia con l’ambiente; ordigno complesso, sensibilissimo e individualissimo, reagisce agli stimoli esterni; eventi della vita, belli o brutti. Eventi avversi sono causa di perturbamenti d’ansia e d’umore. Stati di tensione, di inquietudine, tristezza, pensieri neri, angustie sono sentimenti negativi; malesseri d’animo frequenti. Sono accidenti quotidiani; sono danno quando cagionati da fatto illecito.

Vicissitudini nel lavoro, errori medici, rumori e vibrazioni, aggressioni, invalidità, vacanze rovinate, morte di animali, processi irragionevolmente lunghi, maltrattamenti in famiglia, violenze, molestie, tagli di capelli sbagliati il giorno del matrimonio, rullini fotografici smarriti; causano tutti perturbamenti psichici; di solito proporzionati; di solito transitori. Ansia, risentimento, tristezza

6

. Notiamo che i sentimenti spiacevoli hanno, in prospettiva filogenetica, utilità ai fini di conservazione della specie

7

. Tipica

6 “La tristezza è un fenomeno specificamente umano, benché sue forme rudimentali, o delle emozioni ad essa connesse, siano state osservate in altre specie di vertebrati. Si puòٍ concepirla come un dolore particolare, che non è fisico, ma mentale. La parola dolore comprende sia il dolore fisico che mentale, perché essi sono simili come esperienze soggettive di sofferenza. Se il nostro presupposto generale riguardo i sentimenti è corretto, la tristezza, come il dolore fisico, deve essere stata conservata nel corso dell'evoluzione perché era utile per la sopravvivenza. Essa puòٍ essere diventata una forza motivazionale simile agli altri sentimenti spiacevoli, siano essi sensazioni o emozioni. La motivazione sarebbe una spinta ad allontanare la causa del sentimento spiacevole” (S. Arieti, J. Bemporad, La depressione, grave e lieve. Feltrinelli, 1981, p. 142).

7 “Se la tristezza è come gli altri sentimenti spiacevoli, essa deve promuovere un comportamento che condurrà alla sua scomparsa. E’ facile comprendere questa funzione nel caso del dolore, della fame, della sete, della stanchezza, della paura e dell'ansia, che conducono tutti ad un comportamento che tende ad evitare, allontanare o prevenire la causa del sentimento stesso. Ma cosa possiamo fare nel caso della tristezza, quando l'avvenimento dannoso o la perdita hanno già avuto luogo? Inoltre, quando ci sentiamo tristi, ci sentiamo anche meno preparati ad intraprendere qualsiasi azione.

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7 situazione di tristezza e infelicità è la perdita di una persona cara. Perciò, l’utilità della tristezza ci risulta più chiara se osserviamo i meccanismi mentali di chi apprende la notizia della morte di una persona cara

8

. La letteratura ci dice che il lutto si risolve. In realtà, l’osservazione di centinaia di casi, ci dice che “qualcosa”, a distanza, resta sempre. Quanto meno, anche dopo anni un genitore piange al ricordo del figlio

Contrariamente a chi è in collera ed è pronto a lottare, o a chi ha paura ed è pronto fuggire, ci sentiamo rallentati nella nostra attività e nei nostri processi di pensiero” (S. Arieti, cit., p. 145).

8 “Dopo aver colto e quasi istantaneamente valutato cosa rappresenti questa morte per lui, egli prova uno shock, e poi tristezza; o, per essere precisi, quel particolare tipo di tristezza normale, chiamato dolore o lutto. Per qualche giorno tutti i pensieri legati alla persona morta suscitano un sentimento doloroso, quasi insopportabile. Qualunque insieme di pensieri, anche lontanamente collegati con la persona morta, provoca dolore. Il soggetto non riesce ad adattarsi all'idea che la persona amata non vive più. E poiché quella persona era così importante per lui, molti dei suoi pensieri o delle sue azioni sono direttamente o indirettamente connessi con la persona morta, e suscitano pertanto delle reazioni di tristezza. Egli si trova a cercare la persona morta. Quando vede qualcuno che assomiglia alla persona morta, ha l'impressione fugace, quasi immediatamente corretta, di vedere la persona morta. Tuttavia, dopo un certo periodo di tempo, che varia da una persona all'altra, chi è in lutto sembra adattarsi all'idea che la persona amata è morta.

Come è possibile questo mutamento? Se il soggetto è capace di introspezione, egli si renderà conto che alcune combinazioni di pensieri hanno sostituito quelle vecchie, che erano collegate con la persona morta. Dapprima, egli aveva l'impressione, a livello cosciente, che i pensieri dolorosi riguardo alla persona perduta gli impedissero di pensare ad altre cose. Ma, dopo un certo tempo, egli si accorge che è vero il contrario. I pensieri dolorosi ne attirano di nuovi, come se volessero essere sostituiti da pensieri nuovi. Questa attività cognitiva continua finché il lavoro del lutto è finito.

Dapprima vi è un tentativo di recuperare la persona morta, di farla rivivere nei sogni, nei sogni ad occhi aperti e nelle fantasie. Poiché questi tentativi sono destinati a fallire, al soggetto rimane una sola possibilità, che è quella di riordinare le idee collegate al defunto. Questo riordinamento può essere compiuto in vari modi, a seconda dell'atteggiamento mentale del soggetto. Per esempio, egli può arrivare a pensare che il morto non è più indispensabile. Egli può associare l'immagine della persona scomparsa soprattutto con quelle sue qualità che erano fonti di piacere, in modo che l'immagine non rechi più dolore mentale bensì piacere. Oppure, egli può pensare che la vita del defunto non sia veramente finita, ma che continui o in un altro mondo o in questo mondo attraverso gli effetti duraturi delle sue azioni. Infine, egli può pensare che un'altra persona può sostituire quella scomparsa nella sua vita; essa non era quindi unica sotto ogni aspetto. Qualunque sia il riordinamento delle idee, non vi è alcun allontanamento da una fonte fisica di disagio, come nel dolore, o dalla fonte di pericolo, come nella paura. L'allontanamento avviene soltanto da certe sequenze di pensieri che perpetuano il sentimento di tristezza. Non è il passare del tempo che guarisce, ma il riordinamento delle idee, che però può richiedere un notevole periodo di tempo” (S. Arieti, cit., p. 145-46).

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8 morto. Si confronta con altri genitori, i cui figli continuano la vita di prima, crescono, studiano, lavorano, si fanno, a loro volta, una famiglia. Solo in qualche caso la tristezza si trasforma in depressione

9

. Ma la depressione non rimane vita natural durante

10

. Passa. Dunque, l’eretica afferma-zione d’inizio è vera.

Il turbamento psichico – o patema d’animo o stato d’angoscia, che dir si voglia – è normale, fisiologica, naturale reazione a un evento spiacevole. Qualche volta, si trasforma in malattia psichica. Ma anche la malattia psichica si risolve. Anche il

9 “In alcuni casi di pertinenza psichiatrica lo stato di tristezza non si risolve e si trasforma in un senso di infelicità più intenso chiamato depressione. Questo sentimento spesso sostituisce tutti gli altri sentimenti tranne quelli come la colpa è l'autosvalutazione che sono associati con la tristezza. In alcuni casi la ansia rimane a lungo, ma alla fine anche la ansia viene sopraffatta da un sentimento globale di depressione. Ogni pensiero è negativo e rinforza la depressione. In tal modo i pensieri diventano lenti e meno frequenti, forse nel tentativo di ridurre la sofferenza che provocano. Se si potessero eliminare il pensieri penosi, non vi sarebbe depressione, ma questi pensieri non vengono mai eliminati” (S. Arieti, cit., p. 152). In questi casi “il processo riparativo (lavoro del lutto) non puòٍ avere luogo perché è la persona non è psicologicamente preparata per farlo. Le circostanze della vita, così come gli schemi psicologici seguiti dal paziente, non lo hanno preparato per il lavoro del lutto. Egli non ha scelta; non è capace di risolvere psicologicamente il suo dolore o la sua tristezza, e ne risulta una depressione patologica” (S. Arieti, cit., p. 153). Spiegazione psicodinamica, che non esclude interventi biochimici.

10 Fenomeno noto già in tempi risalenti. Già Kraepelin, in era pre-farmacologica, osservava: “La prognosi della psicosi maniaco-depressiva è, per quanto riguarda il singolo attacco, favorevole. Da lungo tempo già si ritiene che esistano molte probabilità di guarigione, specialmente nell’eccitazione maniaca. In realtà anche dopo una durata lunghissima dell’eccitamento o della depressione, quando la diagnosi sia certa, si può sperare con grande probabilità in una guarigione completa... Anche quando la malattia dura molto a lungo non si sviluppa una vera demenza se gli accessi stessi decorrono in forma mite. Anzi vi è un gran numero di tali ammalati che possono compiere, negli intervalli, ottimi lavori intellettuali”. Più di recente: “Non bisogna dimenticare che l'accesso malinconico e la maggior parte degli accessi depressivi sono crisi che hanno tendenza ad evolvere spontaneamente verso la guarigione. C'è accordo nel ritenere che la sua durata, abbandonata a una spontanea evoluzione, è - o più esattamente era - in media di 6-7 mesi, sebbene aumenti con l'età e con le recidive. Il trattamento mira dunque: 1) ad abbreviare la durata dell'accesso, 2) a mettere il malato, nel corso dell'accesso, nelle condizioni che permettono una sorveglianza medica costante in ragione soprattutto delle idee e di suicidio e del rifiuto dell'alimentazione” (H. Ey e coll., Psichiatria, Utet-Masson, 1972, p. 236).

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9 principio della 372/94 è vero; ma a metà. Manca l’altra metà; che la malattia psichica guarisce. Ci possono essere eccezioni; ma, come sempre, confermano la regola. Il funzionamento psichico, nelle sue linee generali, è semplice. Si può anche sminuzzarlo nelle sue fasi e sussumere le fasi sotto etichette giuridiche. Va bene che il perturbamento sia etichettato come danno morale. Va bene che la psicopatologia sia etichettata come danno biologico. Va bene, insomma, la prima metà di quanto diceva la 372/94. E’ questione di nomi. E’ ora di finirla, invece, di continuare a credere e a dire che il perturbamento-danno morale passa e la malattia-danno biologico rimane.

E’, di solito, vero il contrario; la metà che manca alla 372/94.

3. R

ESTYLING DEL DANNO NON PATRIMONIALE

.

La semplicistica credenza del danno non patrimoniale come danno morale

“transeunte” poteva funzionare per risarcire i casi tipizzati; da reato e da altre poche fattispecie. Automatismi ingenui, prima che l’attenzione girasse sull’uomo, sulla persona, e sulla connessa psiche; nonché sulle altrettanto connesse “attività realizzatrici” che connotano l’“agenda” della persona. Torniamo al lutto. Quali danni? Danno morale, certamente; purché non lo si consideri solo “transeunte”.

Danno biologico, anche; ma solo come evenienza accidentale. Invece, la ritualità,

sulla scorta di antiche credenze, lo pone in posizione centrale, oggetto – fin troppo

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10 spesso – di consulenza tecnica. E il danno esistenziale? Non è questione medico- legale; ma, forse, il lutto lascia spazio anche al danno esistenziale

11

.

Facili slogan appiattiscono la realtà; presi con giudizio, possono anche essere utili pro memoria. Il danno biologico è “lesione dell’integrità psico-fisica, apprezzabile in sede medico-legale”; è “malattia”, “menomazione”; il danno psichico è psicopatologia. Il danno morale è, in sostanza, “pati”. E il danno esistenziale? E’ “non facere”

12

.

A prescindere dalle dispute giuridiche fra “esistenzialisti” e negatori del danno

11 “E’ necessario che il medico legale competente e accorto abbia il coraggio (salvo i casi di gravissime sindromi depressive o simili) di rispondere che egli sa descrivere nel modo più completo e comprensibile il quadro clinico con tutte le sue conseguenze, ma non può ‘dare un numero’, perché il

‘numero’ è di per sé indice di esattezza mentre in questa complessa materia l’esattezza non può esistere” (F. Introna, Come valutare il danno alla salute psichica per la perdita di un prossimo congiunto?, commento a sentenza, in Riv. It. Med. Leg., XVIII, 1996, 1216).

I quadri psichici causati da gravi lutti sono sovente caratterizzati ad “dolore immenso, intensissimo, profondissimo, disperato”, che non è danno biologico, ma “un danno alla qualità della vita, al nucleo motore della vita, quasi un danno alla vita (come la morte) e non un danno in vita, quale la perdita di un arto o una minorazione visiva”. Qualificare questo danno come biologico “sembra operazione riduttiva, sia sotto il profilo della qualità del danno, sia sotto quello più pragmatico della liquidazione:

tot per cento-tot moneta: significa prezzare gli affetti, dare una dimensione fisica alla sofferenza interiore, creare una borsa-valori del lutto (che sale che scende a seconda degli orientamenti dottrinari)”. Date queste premesse, “posto che l’intervento medico-legale è richiesto per stabilire an e quantum e il quantum in funzione meramente liquidativa e l’apprezzabilità del dolore non è privilegio medico-legale, allora credo che l’incarico del medico legale si possa considerare soddisfatto con l’accertamento del rapporto causale, l’esclusione (ove da escludere) del danno biologico e la rappresentazione al magistrato dello stato attuale, così fornendo al giudice i presupposti biologici, psicologici e antropologici alla liquidazione, che è onore e onere del peritus peritorum” (M. Valdini, Danno da lutto: danno non biologico?, in Riv. It. Med. Leg., XXV, 2003, 589-601).

12 Il danno esistenziale ha “fisionomia affatto distinta rispetto ai classici paradigmi del danno morale: non tanto questione di malinconie, di lamenti notturni, non già cuscini bagnati di lacrime;

piuttosto una sequenza di dinamismi alterati, un diverso fare e dover fare (o non più fare), un altro modo di rapportarsi al mondo esterno – città e dintorni, quartiere, condominio, trasporti, servizi, luoghi del tempo libero, etc.” (P. Cendon, Non di sola salute vive l’uomo, in Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità civile, Giuffrè, 2000, p. 10).

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11 esistenziale

13

, i casi di lutto

14

, orientano verso una restrizione dello spazio del danno biologico, e un corrispettivo allargamento ad altre voci di danno non patrimoniale.

Certamente, quella del danno morale; con ogni probabilità, anche a quella del danno esistenziale

15

. Nell’accertamento del danno conseguente al lutto, invece, si dà ancora soverchia importanza al danno biologico; e, di conseguenza alla figura del medico legale. Niente di male. Se non prevalesse la vuota ritualità. Il consulente tecnico d’ufficio – e, perché no? anche quelli di parte – dovrebbero essere disegnatori, pittori della fenomenologia umana; per fornire ai giuristi quadri fedeli, ritratti su misura per ogni caso. Come auspica Valdini

16

. Gli avvocati “vedono” i loro clienti; ma, di solito, non li “osservano”, non li “studiano”. I giudici non vedono nessuno. Avvocati e

13 Vedute disparate vigono nella giurisprudenza, anche di legittimità. Da un lato si afferma l’autonoma risarcibilità del danno esistenziale (Cass. 13546/06, Cass. SU 6572/06, Cass. 2311/07);

dall’altro, si afferma un’improbabile “tipicità” della tutela ex art. 2059 c.c. e si nega, di conseguenza, il danno esistenziale (Cass., 15022/05, Cass. 23918/06, Cass. 9510/06), contro corrente rispetto a C. Cost. 233/03.

14 E di danno psichico in genere, v. nota 2.

15 Annotazione manoscritta di P. Cendon, a commento di Cass. 15022/05: “Colpa degli esistenzialisti il non aver sottolineato a sufficienza, nel corso del tempo, l’importanza dinamico/‘aristotelica’ delle poste legate alla famiglia? Sarebbe un rimprovero poco meritato - almeno sul terreno delle occasioni e della consapevolezza. In una pagina non apocrifa di pochi anni or sono, ad esempio: “I riflessi sui figli allora: chiamati a vivere di lì in poi senza il calore della madre, senza un costante tocco protettivo, avviati talvolta all’orfanotrofio, senza più baci della buonanotte.

Oppure senza i sì e i no della figura paterna: finiti i gesti di sostegno virile, i lanci in aria per gioco, le spiegazioni da uomo a uomo, il conforto dopo gli insuccessi. Dolore - certo – singhiozzi, commozione. Ma soprattutto (ecco il danno esistenziale) un’agenda diversa in tanti aspetti: la caduta di ogni appoggio sicuro, un ronzio circostante d’altro genere, pieghe delle cose meno rosee, il dover farcela o cavarsela da soli”.

E in un altro passaggio, a proposito delle differenze tra danno morale e danno esistenziale: “Un bambino che perda la madre andrà incontro a due ordini di ripercussioni, ben distinte fra di loro: da un lato rivangherà il passato, rimpiangerà, si tormenterà, singhiozzerà, paventerà il futuro; dall’altro mangerà cibi meno buoni, sarà più solo a casa, balbetterà, si vestirà spesso disordinatamente, non saprà sempre di sapone, si ammalerà più spesso, non saprà con chi confidarsi, e così via”.

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12 giudici tirano argomentazioni giuridiche sui casi; ma non inquadrano persone, inquadrano carte; fonti di seconda mano. Ne escono etichettature giuridiche. Nomi spesso senza sostanza. Che le carte siano, almeno, fatte bene, da chi studia la fonte primaria del caso: le persone. Prima vengono i fenomeni naturali. Il diritto viene dopo. Solo esatta nozione dei fenomeni naturali – qui i fenomeni psichici e antropologici – consente elaborazione di categorie giuridiche ritagliate ad hoc.

4. D

ANNO BIOLOGICO E DANNO ESISTENZIALE

.

Il danno biologico ha inclinazioni onnivore. Sovrasta – a torto – il danno morale.

Fagocita – secondo visioni negazioniste – il danno esistenziale. Vediamo che cosa viene fuori dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano

17

. Definisce il danno biologico facendo riferimento a sentenze d’epoca

18

; d’era ortopedica della medicina legale. Il danno biologico è tutto. La valutazione medico-legale verte su due aspetti;

quello statico (fisiologico) e quello dinamico relazionale “medio” (conseguenze

16 V. nota 11

17 www.avvocati.milano.it

18 Il danno biologico va considerato “in relazione all’integrità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva, e a ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana (C. Cost. n. 356/91, C. Cost. n.

184/86)”.

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13 negative sulla vita quotidiana). In omaggio a più recenti decisioni

19

, per la valutazione

“personalizzata” del danno biologico, la percentuale può essere aumentata fino al 30

%

20

. Idem, fino a un passato prossimo, per il danno riflesso da morte di un familiare.

Faceva riferimento a un teorico danno biologico del 100 % subito dalla vittima primaria. Apparente passo avanti nelle più recenti proposte dell’Osservatorio, con sganciamento dall’ipotetico danno biologico e tenendo conto dei concreti legami fra vittima e familiari sopravvissuti

21

. In ogni caso, gli aspetti di “non facere” sono assorbiti dal danno biologico e dal danno morale. In senso analogo, mentre scriviamo, una nuova decisione della Corte di Cassazione

22

.

19 “Il danno biologico, a seguito di una valutazione che deve essere nel più alto grado possibile personalizzata, è liquidato in precipua considerazione di ciò che il soggetto non potrà più fare” (Cass.

n. 8827/03).

20 Ciò “in presenza di idonee allegazioni e prove (si pesi ad esempio al caso di amputazione del dito per una persona che pratichi l’hobby di suonare uno strumento musicale; al caso di riduzione della funzionalità dell’arto inferiore per una persona che coltivi sistematicamente uno sport; ovvero all’incidenza specifica di una data lesione sulla c.d. capacità lavorativa generica in ipotesi di lavori particolarmente usuranti o caratterizzati da mansioni più difficoltose rispetto alla media” (Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano).

21 All’uopo si tiene conto “di tutte le circostanze del caso concreto (tipizzabili in particolare nella sopravvivenza o meno di altri congiunti, nella convivenza o meno di questi ultimi, nella qualità e intensità della relazione affettiva familiare residua, nella qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizza il rapporto parentale con la persona perduta”. In altre parole, “pur facendo riferimento al danno ‘morale’, dunque apparentemente al mero aspetto del ‘danno da sofferenza contingente’, tiene già conto della lesione del rapporto parentale, quale interesse costituzionalmente protetto risarcibile nell’ambito dell’unitario danno non patrimoniale, diverso dal biologico” (Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano).

22 Cass., 20.4.2007, n. 9510, che ribadisce la tipicità della tutela ex art. 2059 c.c. e nega il risarcimento del danno esistenziale perché è già stato risarcito il danno biologico. Conformi Cass. n.

23918/06 e n. 15022/05; contraria Cass. n. 2311/07 che non esclude compresenza di danno biologico e di danno esistenziale.

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14 Più accorta giurisprudenza

23

sottolinea che le categorie del danno biologico e del danno morale non bastano a inglobare tutta la variegata fenomenologia della vita.

Il già citato Valdini

24

ricorda ‘Pianto antico’, dove Carducci, a un anno dalla morte del figlio Dante, si paragona a una “pianta percossa e inaridita”, “dove con quel

‘percossa’ si rende la fulmineità e la violenza dell’atto e con quell’‘inaridita’ il prosciugamento della vis a tergo”.

E con le riflessioni di Valdini concludiamo: “Percosse e inaridite si presentano spesso le persone all’esame medico-legale nei casi di danno da lutto, ove il quadro che emerge con maggiore frequenza è quello depressivo. Appartenendo la depressione alla nosografia psichiatrica, automaticamente se ne ha la categoria medico-legale del danno biologico di natura psichica; comunque sempre danno biologico, e non altro genus, quale per es. quello esistenziale. Ma tornando al Carducci, corre l’obbligo di chiedersi quale danno biologico, cioè quale deminutio, si può individuare in chi poi produce tali opere da giungere al Premio Nobel? Ora, se non è danno biologico (almeno in Carducci), se il danno morale non è ammissibile quale categoria a sé

23 “La categoria del danno non patrimoniale si è ravvisata, tuttavia, anche all’esito dell’enucleazione di tale figura ulteriore e diversa dal danno morale ‘soggettivo’, risultare ancora non esaustivamente considerata, rinvenendosi molteplici rilevanti situazioni soggettive negative di carattere psico-fisico non riconducibili né al danno morale ‘soggettivo’, né al danno biologico nelle suindicate restrittive nozioni accolte. Situazioni che in dottrina sono state indicate sostanziarsi nei più diversi tipi di reazione al fatto evento dannoso, e racchiuse nella sintesi verbale ‘danno esistenziale’” (Cass., n.

13546/06; analogamente Cass. SU, n. 6572/06).

24 V. nota 11.

(15)

TAGETE 4-2007 Year XIII

15

stante, cosa è questa sofferenza che avvizzisce il superstite e che, discendendo da fatto

ingiusto di rilevanza giuridica, ha dignità risarcitoria?”.

(16)

DANNO DA LUTTO: BIOLOGICO, MORALE, ESISTENZIALE?

MOURNIG DAMAGE: BIOLOGICAL, MORAL

OR EXISTENTIAL DAMAGE?

(17)

= = transeunte transeunte !!!? !!!?

DANNO MORALE DANNO MORALE

= = permanente permanente !!!? !!!?

(18)

Æ CTU medico-legale Æ ricerca del DANNO BIOLOGICO, DANNO BIOLOGICO

come danno più importante

(19)

ÆCategorie giuridiche:

danno patrimoniale, danno non

patrimoniale, danno evento, danno conseguenza, danno diretto, danno

indiretto, danno di rimbalzo, danno morale, danno esistenziale, prevedibilità,

imprevedibilità

(20)

esaurirsi in un patema d'animo o in uno stato d'angoscia transeunte, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente”. Ecco, allora, il danno biologico psichico (da lutto),

“momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo”. Può accadere “in persone predisposte”, per “debolezza cardiaca”, o per

“fragilità nervosa”

(21)

riferita alla CAPACITA

CAPACITA LAVORATIVA GENERICA LAVORATIVA GENERICA

Æ Æ X % X %

DANNO MORALE

Æ frazione di frazione di X % X %

(22)

DANNO BIOLOGICO DANNO BIOLOGICO

= = X % X %

DANNO MORALE

= frazione di frazione di X % X %

(23)

Æ DANNO BIOLOGICO DANNO BIOLOGICO (C. Cost. 184/86)

Æ D. BIOLOG. PSICHICO D. BIOLOG. PSICHICO (C. Cost. 372/94)

Æ DANNO ESISTENZIALE DANNO ESISTENZIALE

Æ DANNO MORALE non più inteso solo come ‘pati’, ma anche come

effetto della lesione di interessi

costituzionalmente garantiti

(24)

dell’ANIMALE UOMO

PSICHE = INTERFACCIA FRA INTERNO ED ESTERNO

Æ ansia, tristezza = ‘ pati’ pati

Æ eventuale depressione = malattia malattia

Æ impedimento o impossibilità di fare =

non non facere’ facere

PRIMA UOMO E PSICHE, POI IL DIRITTO

(25)
(26)

pianta percossa e inaridita

Danno biologico Danno biologico?

Danno morale Danno morale?

Danno esistenziale

Danno esistenziale?

(27)

all’integrità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva, e a ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana (C. Cost. n.

356/91, C. Cost. n. 184/86)”.

(28)

ravvisata, …anche all’esito dell’enucleazione di

tale figura [danno esistenziale] ulteriore e diversa

dal danno morale ‘soggettivo’, risultare ancora

non esaustivamente considerata, rinvenendosi

molteplici rilevanti situazioni soggettive negative di

carattere psico-fisico non riconducibili né al danno

morale ‘soggettivo’, né al danno biologico nelle

suindicate restrittive nozioni accolte. Situazioni

che in dottrina sono state indicate sostanziarsi nei

più diversi tipi di reazione al fatto evento dannoso,

e racchiuse nella sintesi verbale ‘danno

esistenziale’” (Cass., n. 13546/06; analogamente

Cass. SU, n. 6572/06).

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