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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.03 (1876) n.104, 30 aprile

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L'ECONOMISTA

G A Z Z E T T A SE T T I MANA L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE. INTERESSI PRIVATI

Anno III - Voi. V

Domenica SO aprile 1876

N. 104

SOCIETÀ ADAMO SMITH

Quinta conferenza pubblica intorno al riscatto e all* esercizio delle strade ferrate tenuta in Firenze il 2 Aprile 1876.

(Continuazione e fine, vedi n. 103;

Torrigiàni. — Dopo tutto quello che si è discusso fin qui, metto il mio pensiero al disopra degli altri per ricordare quello che è d’impegno principale per la nostra Società. A me piace discutere di tutte le condizioni delle compagnie ferroviarie; come hanno esercitato; e come lo Stato invece di favorire queste compagnie, ne ha in gran parte diminuite le parti principali che avrebbero giovato alle compagnie e al servizio pubblico. E per me credo che la nostra So­ cietà debba occuparsi di questo; quando si tratta di dare allo [Stato l’esercizio delle ferrovie, quali pos­ sono esserne le conseguenze.

Io ho conosciuto e conosco un’ altra scuola eco­ nomica, ma per me se questo avvenisse in Italia ne avrei dolore giustificato, perchè ne avremmo dei danni. Vado più avanti e dico che lo stesso Governo, (il ministero cessato), non aveva dimenticato tutto questo in modo, che anco l’ onorevole Boselli aveva cercato di provare che aveva errato indicando che l’ esercizio delle ferrovie è un’ industria, trattandosi, soltanto di un servizio pubblico. Poi, parlavasi di mo­ nopolio, e si andava più in là; affermando che quando si tratta dì strade ferrate, non si vede che un mo­ nopolio, e non si deve sentir parlare di concorrenza. A me pare che l’ analisi di tutto ciò, deve rivolgersi a dimostrare se ebbe ragione il Governo di affermare che per l’ esercizio delle ferrovie non si tratta di in­ dustria, ma che si tratta di monopolio, e non vi è concorrenza? Vi è anco poi quello che si è detto parlando delle altre nazioni le quali questo gravis­ simo soggetto trattano tutti i giorni degli argomenti che è utile di studiare in Italia. Ebbene sulla parola

concorrenza io sono d’ accordo con quanto ha indi­

cato il nostro Presidente che si è operato infatti an­ che in Italia nel 1865? Si aveva tanto bene la idea della concorrenza che per gli shocchi dei valichi al­ pini fu stabilito che mentre quasi tutte le vie ferrate nella valle del Po erano assegnate alla sola Società

dell’ Alta Italia, al gruppo delle Romane, erano affi­ date la ferrovia Ligure e quella da Savona a Torino. La concorrenza delle due società si manifestava anche così nelle grandi piazze commerciali di Genova, Torino, Firenze e Milano ; ed anco quando si trattò di cedere alle meridionali la linea di Bologna ed An­ cona si volea che tanto dall’alta parte d’Italia che dalla inferiore, si avesse concorrenza fra le Romane e le Meridionali. Quando si pensa a questo, bisogna vedere quello che si è fatto in altri paesi. Se noi guardiamo la origine e lo sviluppo delle ferrovie in Inghilterra là dentro ci è la effettuazione della con­ correnza in modo amplissimo, e non si estingue per accordi di società esercenti, perchè si moltiplicano anziché unificarsi. Quando si parla delle ferrovie del­ l’Inghilterra, l’onorevole Boselli non deve dimenticare tutto quello che si è indicato colà nella discussione del 1867, accennando perfino ad una rovina finan­ ziaria del paese, se si giungesse al riscatto e eser­ cizio delle ferrovie.

Passiamo a considerare anche quello che si fa in America, ove è un punto che nella nostra società economica non si è ancora trattato, e che io credo importantissimo.

I progressi di applicazioni meccaniche, fisiche e in generale, scientifiche, non potranno trovare i modi perchè nelle vie ferrate la immensa potenza dei tra­ sporti sia fatta senza limitarsi ad una società sola? Da -IO anni in America, e specialmente in Pensil- vania, i trasporti su molte vie ferrate, sonosi effet­ tuati da speciali intraprenditori.

Anche in Europa si discute di questo progresso utilissimo, conducendo così le vie ferrate nelle pra­ tiche quasi delle roteabili. Uno dei distinti scien­ ziati, il Dorn, è quello che più se ne è occuparne se ne occupa.

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possono concedersi le reti secondarie constatata sol- i tanto dallo stato Futilità pubblica. Ora, quando ve­ diamo questo progresso perchè non rallegrarsi che sieno in mani private? Se passiamo in qualche al­ tra considerazione, nella Germania ci è un elemento che non dobbiamo trascurare ; si tratta di giovare coll’ unità delle vie ferrate nelle mani del Governo Imperiale alla unificazione politica a cui contrastano molti paesi della Germania. Io veggo 1’ economista W agner che è uno dei più manifesti socialisti in cattedra dichiarare che bisogna raccogliere tutti i rami commerciali per esser messi in mano dello Stato e fra questi ci mette le ferrovie, e noi dobbiamo far altrettanto? Quando lo studio nostro penetra nelle tante conseguenze che derivano per dare allo stato ciò che è proprio dell’ industria e del commercio, arriviamo persino a considerare, come fece benissi- T esimio professore Vidari, quali e quante modifica­ zioni e con quali e quanti effetti, si produrrebbero mettendo lo Stato nel posto di commerciante. Le imprese dei trasporti per terra e per mare sono atti commerciali, così dichiarati anche nell’ art. 2 del Codice che vi si dedica.

Quando uno diventa commerciante deve per liti andare davanti ai tribunali di commercio. E se lo Stato esercente di ferrovie venisse accusato dai commercianti per perdite, avarie ed altro manterrebbe la sua posizione portando i commercianti ai tribunali civili? I commercianti invece di avere tutti i van­ taggi dei procedimenti necessari per qualità e, per tempo, avrebbero dei ritardi funesti per tutti i com­ merci, che porterebbero conseguenze perniciose alle industrie che vi si connettono.

Quando consideriamo tutto questo torniamo col pensiero alla concorrenza di cui si è già parlato rmf- te volte.

Quanto più i servigi delle ferrovie si accosteran­ no per la libertà dei trasporti, a quelli delle vie ordi­ narie, tanto più si allargherà il campo della concor rernza, allontanandosi l’ingerenza governativa per farsi lui stesso capo di tutti i trasporti nelle ferrovie. Non bisogna però dimenticare intanto, che anche le vie ordinarie parallele e vicine alle ferrovie, eserci­ tano una parte della concorrenza pei trasporti, e fanno altrettanto canali, laghi e mari, limitando ad evidenza l’ idea di monopolio che vuoisi esclusiva- mente connettere a quella dell’esercizio ferroviario.

Si parla anche, con idee di confronto inesatte, di poste e telegrafi, e paragonandone i servizi a quelli delle ferrovie. Tutt’altro. Le poste e i te­ legrafi giovano con servizio governativo alle industrie mentre i trasporti delle ferrovie penetrano nelle in­ dustrie medesime e nei loro prodotti, modificandone l’esistenza e i progressi, a seconda dei tempi e dei modi con cui i trasporti si effettuano.

Conviene ora ricordare o signori, che il progetto

presentato ultimamente dal nostro Governo, non coin­ cide punto cogli antecedenti, quando si trattò del riscatto e dell’esercizio delle ferrovie romane e me­ ridionali. Se noi volessimo confrontare alcune parti degli stampati allora, e dei due opuscoli recenti del Ministro dei Lavori Pubblici, l’ uno col titolo

Biscatto ed esercizio delle ferrovie l’altro, Lo Stato e le ferrovie vedemmo un certo ordine di contra­

dizioni.

Nel progetto di legge presentato il 2 maggio 1871, sono queste precise parole: « Ammessa la conve- « nienza che le strade ferrate d’ interesse nazionale « siano proprietà dello Stato, non ne viene la con- « seguenza che esse debbano essere dallo Stato eser- « citate (sic); sono anzi molti gli esempi di strade « ferrate che appartengono allo Stato, e vengono « concesse in esercizio d’ industria privata. »

Ottima dichiarazione ministeriale: ma nel recente opuscolo da me indicato, esce ora un’opinione con­ traria. Eccola: « Avendo dimostrata la opportunità, « ed anzi la necessità del riscatto delle ferrovie, de­ ce riva come necessaria conseguenza che 1’ esercizio

« di quelle ferrovie (romane e meridionali) e delle

« Calabro-Sicule si faccia per conto dello Stato. » Il confronto oggi si fa fra lo Stato ed una Società unica; ma è ragionevole chiedere perchè si voglia condensare l’esercizio di tutte le ferrovie d’ Italia in una Società unica. Si vuole mostrare che non tro­ vandosi una Società cosi colossale da equilibra­ re lo Stato, deve lo Stato anteporsi ad essa. Ma ov’è una Società unicain una sola Nazione.

Ora, vorrei che qualcheduno mi dicesse come stanno insieme le due idee espresse dal Governo, che sono una manifesta contradizione fra loro?

Io non ho fatto che copiare un periodo stampato negli opuscoli recentissimi; se dovessi andare più avanti, vi farei vedere quando lo Stato ha parlato dei pericoli che si oppongono alla costituzione di una grande Società.

Leggo a pagina medesima della relazione sul se­ condo progettto di legge delle convenzioni ferroviarie, quest’altro periodo : « I pericoli che si temono, sono « per la formazione di Società, che disponendo di « una proprietà colossale, pongono nelle mani di « poche persone il mezzo di esercitare un’eccessiva « influenza in affari d’ interesse nazionale, ed un ser- « vizio trascurato, perche troppo vasto per la capacità « di un’ unica direzione. »

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capacità di un’ unica Direzione. È proprio una sen­ tenza contro lo Stato se divenisse Direttore, unico di tutte le ferrovie nazionali.

La parte che poi mi preoccupa, è di vedere il gran danno per tutte le industrie e pel paese, quando l’ esercizio delle ferrovie fosse affidato nelle mani dello Stato, progetto condannato anco in Inghilterra, persino dall’ Hill gran riformatore dell’esercizio delle poste che separa completamente da quello delle ferrovie. Si è pure indicato, e sta bene ripeterlo, che lo Stato non possa esser padrone di questo eser­ cizio, perché esso non ha controllo per parte di nessuno. Non ha innanzi a sè che la Corte dei conti, la quale si occupa solo delle parti contabili, ad essa per legge affidate.

Boselli. — Ci è il parlamento.

Torrigiani. — Se noi vogliamo portare queste questioni in parlamento, passeranno mesi ed anni senza risolvere ciò che restando in sospeso, sarà di danno alla cosa pubblica, avremo le solite vicende tra chi dice di si e chi dice di no, e la parte legi­ slativa deve di tutt’ altro occuparsi. L’Inghilterra in questa tesi ha escluso che lo Stato possa essere pa­ drone e arbitro di sè medesimo. Dopo tutto quello che abbiamo discusso, io faccio una domanda : sa­ rebbe possibile che sorgesse ora il pensiero nel Go­ verno di potere, contemporaneamente, assumer esso T esercizio delle ferrovie, quasi faccendo un’ espeeri- per vedere se possiamo rinunciare alle società ? Io credo che sarebbe una maschera di quello che si voleva praticare. Il solo pensiero di distribuire 50 mila impiegati, coll’aggiunta per parte del Governo di tutti gli acquisti del materiale mobile e di spargere la sua influenza per qualche tempo sui trasporti di persone e di mercanzie, parmi che debba allontanare una determinazione che da temporanea diventerebbe perpetua.

Vorrei che la nostra Società e quelli che hanno domandata la parola dichiarassero se in questa parte la loro opinioue sia conforme alla mia. Un Governo che afferma di non dover farsi padrone assoluto di questa colossale intrapresa, non deve intraprenderla per nessun tempo, giacché avremmo tutte le spese e tutti i danni finanziari economici, ed amministrativi pel paese.

Toscanelli. — Cercherò di esser breve il più possi­ bile ma la materia svolta dall’ onorevole Boselli è così vasta, che io credo si debba dare una risposta almeno ai punti principali. L’ onorevole Boselli ha replicato a quei ragionamenti per i quali ha sentito di avere la risposta più facile, ma alla domanda mia tassativa del modo come agiva sulle tariffe per raggiungere l’ equilibrio tra le entrate e le spese, ha saltato a piè pari, non ha risposto; mentre questo era il vero punto di difficoltà al quale lo richiamavo, perchè si tratta dell’esercizio di una industria ed è facile affermare

che il Governo la eserciterà in modo da equilibrare le entrate e le uscite, difficilissimo indicare una via sicura per raggiungere lo scopo. I seguaci di A. Smith naturalmente ritengono che i Governi siano poco adatti a fare l’industriale, ed i fatti provano essere vera questa teoria.

L’onorevole Boselli ha diviso le sue considerazioni in 4 parti.

Nella prima parte ha fatto la storia delle strade ferrate, ha parlato del modo come si sono svolte in Italia. Questo è un punto storico che non ha grande importanza per la questione che noi adesso trattiamo. Si deve partire dallo stato dei fatti che abbiamo, e vedere come occorre provvedere. Tutto il passato appartiene alla storia e non lo possiamo rifare con le nostre discussioni.

L’ onorevole Boselli ci ha parlato dei grandi van­ taggi che una nazione risente quando si costruiscono delle ferrovie, e ci ha detto come il Conte di Cavour riteneva che i denari impiegati in ferrovie rendes­ sero il 50 0[0 e il Sella calcolava il 40 0[0. Ma appunto per questo ho una grandissima paura del riscatto e dell’ esercizio nelle mani del Governo, perchè una volta che lo Stato si deve fare costruttore ed esercente di ferrovie l’ onorevole Boselli sa che non è punto ricco, e non ha punti mezzi per costruire delle ferrovie in questo momento nel quale la materia imponibile è quasi esaurita.

Noi ci troviamo ben lungi dal pareggio; senza en­ trare in tanti dettagli, basti ricordare che vi è un corso forzoso che è un debito galleggiante che deve essere saldato, ed ommetto tutte le altre considerazioni atto a chiarire lo Stato poco prospero dei bilanci dello Stato, delle Provincie, dei Comuni, e dei contribuenti. I f queste condizioni economiche, è sperabile che ven­ gano altri a costruire ferrovie, ma è naturale che quando dovranno essere costruite dallo Stato chi sa per quanti anni, di costruzioni ferroviarie non ne parleremo più; se vi saranno avanzi, si penserà a di­ minuire le imposte della ricchezza mobile, e del macinato.

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di Calabria perché è stato impedito che la strada si ce§trvd§ca sopra il liveJJto duella pippa eveotetale idei fiume. Oltre ciò ci è una eonsideraz«»© di grandis­ sima importanza ed è ohe quando si costruisce una strada ferrata, il movimento che si fà porta un danno alle altre. Finché ci è la Società cui si fa concor­ renza, il Governo non ha riguardi, concede la strada e chi ne tocca son sue; ma quando le ferrovie fos­ sero del Governo e si dimostrerà che una traversa porta un danno al movimento della rete governativa, si dirà che se si concede è una diminuzione della rendita dello Stato ed a questi lumi di luna la cosa farà tale impressione che credo che la costruzione di nuove Strade Ferrate incontrerà immense difficoltà.

L'onorevole Boselli ha seguito nella discussione la via che hanno tenuta tutti coloro che sono andati sul suo tramite, ha voluto dire che chi avea idee diverse dalle sue negava la ingerenza del Governo nelle Strade Ferrate. Nessuno Ja nega, ma nel limite delle sue attribuzioni ; anzi l’ altra volta dimostrai come fosse la industria ferroviaria vincolata, e come questi vincoli impedissero lo sviluppo della industria. Dunque su questa ingerenza governativa è inutile ve­ nire a discussione; solamente le conseguenze che de­ duce P onorevole Boselli, sono bene differenti da quelle che io ed altri ne traggono.

L’ onorevole Boselli ha sostenuto che P esperimento delle Società Ferroviarie è andato male, ma allora come va se è andato tanto male che la rete dell’ Alta Italiasipag a a prezzo di costo, che le azioni delle me­ ridionali si pagano L. 25 di rendita e gli si dà il 5 0[0? Si paga cara questa roba che si trova in cattive con­ dizioni: fra queste due assertive vi è una evidente contradizione. A tale ragionamento oppongo il seguente dilemma : o le società sono in buone condizioni e to­ tali, bisogna lasciarle vivere e non vi è ragione di ucciderle; o non sono in condizioni vitali, e allora bisogna pagarle per quello che costa un moribondo ; ma quando trovo che queste ferrovie si debbono pa­ gare il prezzo di costo ; quando so che spese di eser­ cizio si sono messe invece in conto costruzioni ; quando so che nell’ Alta Italia le macchine ed i vagoni si mettono nel primo anno in conto mantenimento, e poi ogni ulteriore riparazione si colloca in conto capitale, è un prezzo di costo superiore a quello di stima, ed a quello realizzabile vendendo all’incanto. Il prezzo di vendita delle azioni delle meridionali avanti che fosse firmata la convenzione era lire 290 per azione, che si compra con 25 lire di rendita pubblica, adun­ que P onorevole Boselli sostenendo che le società non sono vitali non è concorde con i ministri che hanno proposto un riscatto così oneroso, e che non è giu­ stificabile se non che sostenendo che le Società del­ l’Alta Italia e delle meridionali sono in condizioni prosperissime.

L’on. Boselli ha parlato poi dell’aumento progres­

sivo dei reddito delle Strade F errate per sostenere il riscatto ; io questo aumento lo invoco, ma questo fa sì che le Strade Ferrate saranno vitali in avve­ nire più di quello che oggi noi siano. Egli ha yo- luto dare a me una risposta personale, perchè pro- nuuziai la parola fallimento; io non sostenni che bisognava far fallire le Romane e qualsiasi Società, e francamente non lo sostenni, perchè come uomo politico so che vi sono dei momenti nei quali delle opinioni si fanno strada, e si formano certi ambienti, e quando una cosa non è nella atmosfera della pub­ blica opinione, P uomo politico la deve tacere; ma gli rammenterò che l’America ha lasciato fallire delle Società per il valore di oltre 4 miliardi, che in Sviz­ zera una ferrovia pagata 40 milioni fu rivenduta al­ l’incanto per HO mila lire.

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mane. L’on. Boselli non ha rammentato un fatto, ed è che la Società delle Livornesi e della Centrale Toscana fecero grandissima resistenza per non unirsi a questo corpo moribondo , ma la libertà di queste Società fu violentata appunto perchè il Governo usò ogni forza di violenza per costringere queste Società a d aderire

Si presentò uno stato del patrimonio e dei debiti delle Romane, e quando fu votata la fusione scatu­ rirono fuori 25 milioni di debiti delle Romane, che non avevano dato nello stato dei debiti presentato prima di operar la fusione. Capirà l’on. Boselli che quando scaturiscono fuori 23 milioni nel passivo che non erano stati rivelati, è ben naturale che ne sieno venute conseguenze funeste. La Società delle Livornesi e della Centrale, dicevano, non ce ne stiamo a que­ sta tabella di debiti, ma le ragioni non valsero ; il Governo usò proprio ogni sorta di angherie, il mi­ nistro dei Lavori Pubblici non salutava più gli am­ ministratori delle Romane; l’onorevole Jacini allora ministro dei Lavori Pubblici ne fece di ogni sorta perchè si devenisse alla malaugurata fusione.

L’on. Boselli ha sostenuto poi che il riscatto è ne­ cessario e utile, ed è rientrato in quella benedetta scala mobile; ma è inutile l’argomento di un fatto il quale tutti siamo d’accordo di dovere modificare.

L’on. Boselli ha risposto a me quando ho detto che la Società poteva, aumentando un poco la garan­ zia chilometrica, costruire le strade alle quali è ob­ bligata, e siccome io ho detto che ci volevano 300 mila lire a chilometro, ha soggiunto che è poco, e ha citato un documento pubblico. Sapete qual’è questo documento? È una relazione del sig. Lanino inge­ gnere della Società delle meridionali che ebbe il man­ dato di fare una perizia esagerata per far vedere al Ministero, che le costruzioni costavano molto. L’on. Bo­ selli ha preso nei documenti pubblici quello che gli fa ceva comodo, e ha taciuto quelli che non gli facevano comodo. L’on. Boselli ci ha sostenuto la necessità del riscatto con ragionamenti che per dire il vero mi sono sembrati alquanto strani; però sempre meno strani di quello che non mi appaiono quelli della relazione m i­ nisteriale e dei due fascicoli del Ministero; perchè cosa si fa per far vedere che la Società dell’Alta Ita­ lia non è vitale ? Siprendono le azioni e le obbligazioni e si ripartono secondo la estensione chilometrica e non secondo il reddito, mentre il valore di una strada ferrata è sempre proporzionale alla sua rendita.

Con questo sistema vuole sostenersi che un chilo­ metro di ferrovia produttivissimo costa quanto un chilometro di ferrovia in luogo deserto il quale esposto all’ incanto non solo non troverebbe compratori, ma non troverebbe neppure esercenti senza un’ adeguata garanzia chilometrica.

I calcoli si fanno in base alla relazione del Con­ siglio di Amministrazione per 1’ anno 1871, anno di

scarsi raccolti, di crisi economiche, e di pubbliche epidemie, durante il quale dedotte le spese generali in modo irrazionale, la rete italiana rese 31,507,539 e la rete austriaca 13,119,250, mentre invece nel­ l’anno anteriore il prodotto netto delle due reti senza deduzione delie spese generali per la rete austriaca è 53,577,535 e per la rete italiana 56,925,210. Le spese generali nella totalità sulle due reti sono 1,685,151, ma siccome la Società comprendeva che si voleva il riscatto, essa invece di repartire le spese generali in base al reddito, assegnò per questo ti­ tolo alla rete italiana 2,813,592 che nel 1871 portò a 3,235,585, ed alla rete austriaca, che ha un’esten­ sione pressoché uguale ed un reddito maggiore, fu nel 1873 assegnato per spese generali 1,871,762; basta enunciare questi fatti per dimostrare l’ingiu­

stizia di tali assegni. Questo non è il solo reddito della Società, essa ha inoltre una somma variabile dal Governo austriaco per il sistema pattuito di ga­ ranzia con quel Governo, e questa somma variabile nel 1873 ascese alla cifra di 3,271,785. Reparlendo le spese generali in base al reddito, tenendo conto della somma variabile che per le garanzie deve pa­ gare il Governo austriaco, ed assegnando alle due reti la quota che a ciascuna spetta dell’annualità ne­ cessaria per servire il passivo^ non che assegnando la quota di azioni, calcolata in base al reddito, viene a conoscersi che fatti tali calcoli, in un anno nor­ male la Società dell’Alta Italia è vitale, vitalissima. Nel rapporto della società si legge che qualora il Governo italiano concedesse 1’ aumento delle tariffe al disotto dei maximum e la soppressione di qualche treno per modo da aumentare il reddito di 4,800,000, la rete italiana sarebbe in buone condizioni finanziarie; e siccome la Convenzione di Basilea aumenta gli oneri dall’Italia per 10 milioni, nella peggiore ipotesi, sa­ rebbe più utile concedere quanto la società richiede; e quando ciò si credesse economicamente dannoso converrebbe meglio dare questa somma in aumento di garanzie a patti opportuni e convenienti.

Quanto alla separazione delle r e t i , avendo detto V on. Boselli che esso aveva studiati i docum enti, non comprendo come possa sostenere che per rag­ giungere un tale resultato è necessario il riscatto, mentre non solo esiste nel trattato di pace fra l’Au­ stria e l’ Italia il patto per devenire a questa sepa­ razione ma la società si è obbligata a fa rla , ed ha stipulato all’ uopo patti formali, tanto col governo austriaco, quanto col governo italiano, indi basta che i due governi invitino o costringano la Società ad adempiere gli impegni contratti.

Dopo questa risposta tutti i ragionamenti dell’on. Boselli per 1’ utilità del riscatto in caso di guerra, non hanno alcun valore.

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trario ; perchè mentre il trattato di pace stabilirà la separazione, sebbene si sia fatta la convenzione di Basilea, siccome questa è stata consentita dai due governi e dagli azionisti della Società, non vale in modo alcuno per i creditori della Società che sono rimasti estranei al contratto, e che hanno i loro cre­ diti complessivamente garantiti sulle due reti. Per fare un riscatto vero e proprio occorreva convertire i debiti garantendoli sopra la sola rete austriaca ed ottenere la garanzia del governo austriaco o della casa Rothschild, e per trattare in questo senso nel 1870 furono date tali istruzioni al conte Digny e , strano a dirsi, chi le dette fu 1' on. Sella che poi ha diversamente stipulato ; questo resulta dai docu­ menti che si trovano al ministero dei lavori pub­ blici.

Nella convenzione è stipulato che qualora il go­ verno italiano fosse molestato dai creditori della So­ cietà, potrà rivalersi contro di essa e si dice che questa rivalsa è sicura, perchè non si paga il capi­ tale ma un’ annualità di 39 milioni ; però la somma che occorre per servire 1’ attuale passivo della So­ cietà ascende a 76 milioni annui ; e siccome la So­ cietà per la rete austriaca dovrebbe durare ancora 72 anni, è impossibile prevedere tutti gli svariati motivi che in uno spazio così lungo di tempo pos­ sono condurre la Società al fallimento e, questo caso verificandosi, gli attuali creditori della società p o ­ trebbero andare, e certamente anderebbero contro il governo italiano par farsi pagare; indi questo non è un riscatto , ma è un contratto inqualificabile che non sta in armonia con la pretesa finezza ed abilità finanziaria dell’ on. Sella.

L ' on. Boselli ha citato un mio tenerissimo ami­ co, l’ingegnere Gabelli, che ebbi a compagno in que­ sta quistione, e ha preteso di trovarlo in contradizione dicendo che voleva la separazione, ma la separazione la voglio ancor io, ma voglio che il governo 1’ ef­ fettui coi diritti che h a , coi patti stipulati, e non vedo la necessità per ottenerla di fare un riscatto inqualificabile.

L’ on. Boselli ci ha detto tutto questo non costi­ tuisce un aggravio per lo Stato. Prima di tutto ci sono 10 milioni in più da pagare in conseguenza della convenzione per 1’ Alta Italia ; 6 milioni per le Romane, che sono 16 , vi è il resultato incerto delle tariffe in mano del governo ; vi è un punto che nessuno ha considerato, ed è quella cifra dei pronti restauri, e dalle mie informazioni resulta che se si facesse una inchiesta sullo stato delle strade dell’ Alta Italia e delle Meridionali, ci vorrebbero molti milioni per metterle in condizioni normali. Yi è finalmente un onere gravissimo, la costruzione cioè delle ferrovie votate per legge, che la Società ha assunto di costruire, e che sparendo essa, do­

vrebbero essere costruite coi danari del pubblico erario.

Non è stata fatta una perizia dettagliata, ma mi resulta che per mettere in buone condizione le fer­ rovie dell’ Alta Italia occorre una cifra di 80 milio­ ni. Vedete come questo riscatto in questi termini porta un grande aggravio. Ora risponderò all’ onor. Boselli, il quale ha detto e ha sostenuto che due bu­ rocrazie sono uguali a una burocrazia: mentre oggi una subisce F impulso del consiglio direttivo, l’altra l’ impulso del Governo, quando ce ne sarà una sola non sarà così. Ci ha fatto il caso di un Direttore che non fa il suo dovere, che pieghi il groppone alle richieste del Governo. Pur troppo può essere che di questi Direttori ce ne sieno ; ma io sono con­ vinto che quando le Ferrovie Livornesi erano dirette da chi presiede oggi quest’ adunanza, se fossero state chieste dal Governo cose che non poteva chiedere, e che non credeva dover fare, si sarebbe opposto ; vede dunque che dall’ esser due o una burocrazia, la cosa è diversa.

L’ on. Boselli ha portato un’ argomento veramente bellino : ci ha detto il Governo amministra male, ma credo che si correggerà e amministrerà bene. Con questo modo di ragionare non ci è maniera di discu­ te re ; io prendo lo stato attuale delle cose, veggo ogni giorno circolari e regolamenti che impacciano F amministrazione, ma indipendentemente da questo prendo come regola generale un principio che non è più contrastato dagli economisti, ed è che i go­ verni amministrano in generale peggio che i citta­ dini. Se il signor Boselli ammette che migliorerà il Governo, mi deve ammettere lo stesso argomento in mio favore cioè che spero miglioreranno le ammi­ nistrazioni delle Società.

L’ on. Boselli ha detto : sapete ? Questa cosa è de­ siderata dagli impiegati. Brutto segno ! Vuol dire che credono di poter fare quello che lor pare e pia­ ce ; mi basterebbe questa ragione per votare contro il riscatto.

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renza del Governo in tuttociò che riguarda il pubbli­ co servizio, e che solo questa ingerenza è oppugnata allorquando invade il campo della industria ferro­ viaria.

A questo proposito aggiungerò che io credo che in Italia vi sieno molte persone che professano una scuola contraria a quella di Ad. Smith , ma molte volte manca il coraggio di dire la penso così, quan­ do la parola è impopolare. E allora cosa si fa ? Si dice: il Governo non deve intervenire, devono far tutto i privati, il Governo deve intervenire soltanto quando i privati sono deficenti ; ma questi signori veggono sempre la deficenza dei privati e con ciò giustificano la ingerenza governativa, e si affermano nullameno seguaci fedeli di Ad. Smith ; questa è la bandiera sotto la quale si nascondono.

Adesso i protezionisti non hanno coraggio di af­ fermarsi tali. Nel caso presente la malizia è infi­ nita imperocché, sebbene non si possa giungere a a dimostrare la deficenza delle Società ferroviarie dell’ Alta Italia e delle Meridionali, si è cercato in mille guise, impedendo T esercizio della loro indu­ stria, di creare questa deficenza.

Se io considero che molti dei nostri comuni sono ormai deficenti, perchè tali si sono resi aumentando i loro oneri e diminuendo le loro risorse, in verità ho ragione di temere che gli autoritari ed i socia­ listi capitanati i primi dall’ on. Spaventa, i secondi dall’ on. Sella, verranno un bel giorno a proporre alla Camera di sostituire agli attuali consigli comu­ nali dei regi Commissari, affermando che quei con­ sigli si seno dimostrati e chiariti deficenti ad adem­ piere le incombenze loro affidate ; confido però che i seguaci della scuola liberale rimedieranno al mal fatto e vittoriosamente combatteranno un accentra­ mento pericoloso che sarebbe per riuscire funesto al nostro paese.

Sacerdoti. — Farò brevissime osservazioni; l’on. Boselli nel discorso pronunziato in una precedente conferenza e nel discorso brillantissimo fatto in que­ sta, si è molto dilungato sulla questione delle ta­ riffe. Io mi permetto di richiamare la sua attenzione sopra un sol fatto, che per me costituisce la que­ stione pregiudiciale di fronte a coloro che concor­ dano sulle idee del governo sul riscatto e l’eserci­ zio ferroviario. L’on. Boselli dovrebbe conoscere il regolamento di sindacato e di sorveglianza del 31 ottobre 1873 e leggere l’art. 8. In questo articolo è detto che il governo ha diritto di modificare tutte le tariffe non solo ma eziandio di approvare i ri­ bassi temporari e transitori, conceduti talvolta dalle società ferroviarie. Vede dunque che relativamente alla completa autorità governativa, nulla è innovato, per cui in ordine alla situazione che il governo si è fatta, tutti i timori di aumenti o speranze di ri­ bassi spariscono; a due sole altre cose mi permet­

terei di rispondere al sig. Boselli. Egli ha detto che finalmente il governo ha sostenuto le romane, le ha sovvenute, ha fatto loro un imprestito, ha loro per­ messo di vendere una parte della rete ; sì, le ha sostenute, ma con quel sostegno che ricorda la corda destinata a sorreggere gl’ impiccati.

Ma crede 1’ onorevole Boselli che quando il Go­ verno chiama i capitali esteri a costruire strade ferrate delle quali ha bisogno, in un paese dove quasi fino ad oggi ci è stato l’ imbarazzo della scelta ad impiegare i capitali al 60[o, crede che questo capi­ tale non debba avere nemmeno un modesto interesse remuneratore? E quando il Governo costituisce una compagnia in condizioni tali che non può vivere, non sarebbe da esaminare se questo contratto non avesse per avventura i caratteri della lesione? Questo fu appunto ciò che accadde alle Romane, mi permetterà quindi 1’ onor. Boselli che io non possa consentire che il Governo le abbia sostenute. Sostenere vuol dire aiutare non significa prestar loro oggi denari per tormentarle domani, per far loro la guerra e demolirle a poco a poco fino al punto in cui sia inevitabile il fallimento. La ragione suprema per cui non si è voluto il fallimento delle Romane sta in questo: perchè sarebbe stato un atto di spogliazione dopo gli atti del Governo per condurle a quel punto. A un’altra osservazione debbo rispondere. Per addurre un argo­ mento favorevole al riscatto al punto di vista della convenzione dell’Alta Italia, l’onorevole Boselli si è ralle­ grato del fo rfa it stabilito sulla imposta di ricchezza mo­ bile. Come? L’art. 6 dello Statuto dice: tutti ic it­ tadini sono obbligati a pagare nelle proporzioni dei loro averi, e si fa un contratto a fo rfa it per una imposta? Se domani l’Italia avesse qualche dozzina di Duchi di Galliera e di Principi Torlonia, e di­ cessero queste variazioni di imposta ci fanno danno, facciamo un accollo per tanti anni, cosa se ne pen­ serebbe? Non vi è esempio, in nessun paese di tanta sfiducia verso il Governo da una parte, e di tanta condiscendenza del Governo dall’altra.

Mi sorprende come l’on. Boselli ne tragga argo­ mento di soddisfazione e di economia pel riscatto. Ma in questo trovo perfettamente concorde l’on. Bo­ selli col Ministero, anco il Ministero per velare, per mitigare gli aggravi del riscatto dell’Alta Italia dice l’aggravio sarà di 6 milioni, se sparisce il corso for­ zato; ma se aumental’agg io? Vi è mente umana che possa prevedere se per condizioni interne, politiche e mille altre cause imprevedute, l’aggio dall’ 8 si permetterà di salire al 12, al 14 per cento?

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Sola cosa sono perfettamente d’accordo con l’on. Bo- selli, ed è il riscatto delle Romane; il riscatto delle Romane è una necessità, ed è bene che lo sia per il suo vizio di origine. Questo ho tenuto appunto a dichiarare come Amministratore delle Strade Fer­ rate Romane.

Boselli. — Risponde anzitutto all’ on. Toscanelli essere certo che egli non volle fare a lui allusione nella chiusa del suo discorso, perchè è solito esporre e difendere francamente le proprie idee, come n’ è una prova il trovarsi in quest’adunanza, e non ce­ lare mai la propria bandiera, modesta si, ma sempre spiegata e salda al medesimo luogo.

Dice che il discorso dell’on. Toscanelli si riassu­ me in due punti importanti l’uno dei quali è il se­ guente o le Società sono vitali e lasciatele vivere, o non sono tali e pagate troppo il loro riscatto; e l’altro: separate le reti, non riscattatte l’Alta Italia.

Si sfugge al primo dilemma perchè la vitalità di grandi Compagnie è cosa relativa. Possono vivere trascinando una vita contraria a interessi pubblici di grande riguardo. Possono vivere facendo cadere sullo Stato e sui contribuenti i pesi della loro vita. Non bisogna ragionare arrestandosi allo stato delle Società. È questione complessa ; vi sono gl’ interessi del cre­ dito pubblico ecc. ecc. Lo Stato pagherebbe la loro Vita artificiale assai più caramente di ciò che paga il riscatto.

Alla sua seconda proposta si risponde che non si avrebbe una Società vitale, a meno che si facesse la separazione sulla base del reddito. L’Austria non consentirà a ciò. I patti della separazione non di­ pendono da noi soli. In simili cose bisogna con­ tentarsi del partito meno gravoso fra i partiti pos­ sibili. Sulle basi proposte dall’on. Toscanelli non si concluderà. Separare sopra altre basi e non riscat­ tare vorrebbe dire dare ai contribuenti italiani ag­ gravi maggiori di quelli che derivano dal riscatto per creare una Società in condizioni scarse ed in­ certe di vita.

Dice l’on. Boselli ch’egli ricordò le vicende delle Società italiane per dimostrare che fallirono al loro scopo, che il sistema oggi esistente in Italia fece cattiva prova e per la forza delle cose, non per colpa del Governo. Con tali ricordi gli pare d’aver sciolta sperimentalmente la questione di massima.

La quale si riassume in ciò : o grandi Società, o Governo; sempre burocrazie; mai 1’ industria vera, libera, responsabile; sempre il monopolio, mai la vera concorrenza.

Soggiunge che egli non crede che gl’ impiegati ferroviarii preferiscano dipendere dal Governo per lavorare meno; ma credere invece eh’ essi lavore­ ranno meglio e di più e se molti sono favorevoli alla dipendenza dal Governo si è che il Governo è al postutto il rappresentante e il tutore di tutti.

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Non comprende come il Governo sia per impe­ dire la costruzione di nuove linee. Ha invece interesse a promuovere e favorire tutte quelle veramente u- tili, anche per giovare all’ esercizio delle ferrovie. Al di fuori di ciò ha tanti interessi nello svolgimento ferroviario del reg n o , per lo svolgimento della ric­ chezza nazionale e per l’ utile stesso della finanza, che si deve considerare come favorevolissimo alle nuove linee. Non accade così per le società. E per­ ciò di consueto esse stipulano nelle concessioni il divieto alla costruzione di nuove linee che possano far loro concorrenza ; monopolio naturale e mono­ polio legale,

Si dichiara contrario a coloro che volessero so­ spendere le nuove costruzioni ; gli parrebbe un er­ rore economico, un delitto politico.

Relativamente all’opinione del Dorn ripete e svolge ciò che già ebbe ad accennare nella prima confe­ renza.

Parla delle tariffe accordate dall’ Austria alla So­ cietà dell’ Alta Italia mutabili e molestissime pel com­ mercio, il quale ha d’ uopo non solo di pagare ta­ riffe miti, ma di poter calcolare su tariffe chiare, certe e non variabili frequentemente.

Interrogato dal Presidente intorno alle discipline che crederebbe da adottarsi per la contabilità della nuova amministrazione ferroviaria governativa, egli dichiara che vorrebbe si stabilissero discipline par­ ticolari. Parla di ciò che si faceva in Piemonte e di ciò che si fa nel Belgio. Soggiunge che uomini e- sperti i quali furono a capo di stabilimenti gover­ nativi, dove si lavora e si fanno provviste, ritengono potersi procedere anche colle leggi attuali. Si spez­ zano le som m e, si adduce l’ urgenza, la specialità della cosa, la necessità di provvedersi all’ estero o in quel dato modo, con quelle date forme, in quel dato tempo ec. ee.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ammet­ terebbe queste eccezioni in conformità dei bisogni della nuova azienda, ma egli preferisce si determi­ nino per legge, norme, metodi, responsabilità parti­ colari.

Rivolgendosi all’ onor. Torrigiani, esprime il suo rammarico di dover dissentire radicalmente da lui, per quella parte del suo discorso nella quale egli ha respinto qualsiasi esperimento e dichiarato essere ne­ cessario che il Governo adotti subito il sistema di dare l’esercizio a società.

Capisce i pericoli che teme l’ on. Torrigiani, ma lo prega a considerare eh’ egli, colle sue idee va incontro ad altri maggiori.

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posizione, detteranno la legge e lo Stato sarà costretto a fare dei veri carrozzini.

Potrebbe accadere che sorgesse qualcuno di quei tali gruppi che l’ on. Toscanelli ha descritti e che si rendesse padrone del campo.

Il Governo non ha gli elementi sufficienti per fare subito contratti bene ponderati e che non si risol­ vano in un doloroso sacrificio dei contribuenti italiani,

già troppo oppressi e malcontenti, fatto per la neces­ sità di soggiacere alle coalizioni, alle arti, agli abusi degli speculatori.

Taccia a questo riguardo ogni sentimento di parte politica. Non si creino imbarazzi alla nuova ammi­ nistrazione. Lasciamo tutti che se essa crede, l’espe­ rimento preceda una decisione definitiva. Ciò è nel- l’ interesse pubblico. Il far presto sarebbe oggi il peggior dei partiti. Non bisogna essere stretti dal tempo quando si vogliono tutelare cosi grandi inte­ ressi, quando si vuol ricorrere alla concorrenza da coloro che anche in questa materia hanno in essa fede. Non sollecitiamo adunque il Governo con sistemi immediati e assoluti. Anche coloro che non vogliono l’esercizio governativo, concedano 1’ esperimento, se il Governo lo chiede, rimettendosi al suo senno e alla sua responsabilità.

L’on. Boselli chiude il suo discorso contrapponendo alcune osservazioni a quelle fatte dall’on. Presidente il quale, a parere dell’oratore, ha troppo pareggiata 1’ industria dei trasporti ferroviari a quella dei tra­ sporti ordinarj. L’on. Boselli obbietta che sulle strade ordinarie tutti possono liberamente correre e con­ correre e che invece sulle ferrovie, per la natura delle cose, l’ industria dei trasporti assume un’ in­ dole diversa e questa da luogo a fatti proprj e spe­ ciali, nei quali si fondano quelle idee che l’oratore sostiene.

Egli crede che tali idee sieno conformi a quelle dottrine liberali che formano la gloria e la forza della scienza economica; scorge un movimento ge­ nerale in loro favore dalla libera Inghilterra alla li­ bera Svizzera ; e crede che siano destinate a trion­ fare in seno delle moderne Società, che sono So­ cietà operose, libere, democratiche.

Presidente. — Ringrazio l’ onor. Boselli delle sue parole, ma confesso che rimango impenitente. Io ri­ tengo che tutti possano andare sulle Strade Ferrate non materialmente come in un baroccio o nella propria carrozza, ma avvicinandosi tanto alla materialità della carrozza e del barroccio quanto più la industria delle Strade Ferrate si perfeziona. Abbiamo Società Indu­ striali che fanno correre vagoni e interi convogli sulle Strade Ferrate, e in Italia Dio avesse voluto che ciò si fosse fatto quando le ferrovie per mancanza di materiale da trasporto hanno impedito lo svolgimento

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delle industrie e dei commerci. Noi siamo arrivati ad aver vagoni dove si può portare il proprio letto; I

e abbiamo veduto il Treno della Imperatrice di Russia che è venuto da Pietroburgo fino a Napoli. Credo che se le Strade Ferrate saranno nelle mani della industria privata a condizione che la molla del­ l’interesse vi sia (perchè oggi non v’è), credo che allora otterremo grandi progressi, ma se verranno nelle mani del Governo resteremo nello stata quo : questa del resto è una opinione tutta mia personale. Detto questo ringrazio tutti quelli che hanno preso parte a queste conferenze che per la parte generale sono arrivate a tal punto da parermi opportuno di con­ vocare il seggio della Società, per stabilire un altra serie di conferenze più pratiche dopo Pasqua.

La seduta è sciolta a ore 5 pom.

COBDEN E L ’O PINIO NE POLITICA. M ODERNA

Saggi sa itati irgomeati politici

DI JAMES E. THOROLD ROGERS

(Fine. Vedi numero 102). IY.

La lega pel libero commercio dei grani si sciolse, come vedemmo, dopoché i fini dei suoi promotori furono raggiunti. Ma, come notammo, non si era fatto che un passo, quantunque importante, nella via delle libertà economiche, e quindi non vi è da maravi­ gliarsi se Cobden rivolse il pensiero anche ad altre questioni.

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e del lavoro impiegato, ma anche in conseguenza dell’aumento della popolazione e della pubblica ric­ chezza , e lo Stato deve rivendicare quest’ aumento per sè con una imposta speciale, acquistando al prez­ zo corrente le terre di quei proprietari che preferi­ scono venderle piuttostochè pagare la nuova impo­ sta. L e quali proposte che vennero accusate di essere radicali e socialiste, il che non è qui il luogo di di­ scutere , si spiegano a ogni modo come reazione contro il privilegio. Lord Napier nel Congresso di scienza sociale da lui presieduto diceva : « La di­ stribuzione della proprietà in Inghilterra presenta la più grande contradizione colle sue libertà politiche e solleva il più profondo senso d’ingiustizia. In nes­ sun paese si trovano tanti uomini che vivano sulla terra all’arbitrio dei loro padroni, senza protezione. Le leggi sulla proprietà debbono essere fra noi r i­ vedute, togliendo quelle che impediscono la divisio­ ne, promovendo quelle che ne facilitano 1’ acquisto al contadino ed all’operaio, ed istituendo autorità e regole che obblighino il proprietario aU’adempimento de’suoi doveri e proteggano il contadino. » Si ha ra­ gione di credere, come afferma il Thorold, che più la terra è distribuita e più produce, e se il conta­ dino non fosse divorziato dal suolo, si avrebbe una maggior quantità delle cose necessarie alla vita. Per ottenere questo benefico cambiamento nessun uomo ragionevole e nessuno assennato economista invoche­ rebbe meno-di quel libero commercio delle terre che Cobden desiderava e che consiste nel rimuovere gli ostacoli alla vendita della terra e quegli ordini che portano incontro al suo concentramento in poche mani, onde cosi fosse possibile sperimentare la po­ tenza respettiva dei grandi possessi sotto un preca­ rio titolo o affitto, e dei piccoli fondi in libera e perpetua proprietà.

La necessità di una riforma nell’amministrazione dell’ esercito e della marina appariva chiara fino dai tempi di Cobden. Giova però ricordare che per quanto fosse urgente, era anche altamente impopolare, tanto è ciò vero che la chiusura delle pubbliche fabbriche sul Tamigi fu veduta con gran disfavore, il che vuoisi ascrivere ai poco onesti interessi che erano in giuoco. Nondimeno, specialmente sotto il ministero presieduto da Gladstone, delle riforme furono compiute, per quanto sia desiderabile che si prosegua in questa via, secondo l’interesse generale e lo spirito dei tempi, il che sarà reso più facile dalla pubblica opinione, che ha fatto non pochi passi nella direzione indicata da Cobden.

Quando Cobden entrò nella vita pubblica, il sistema fiscale in Inghilterra era pessimo, giacché Pitt e i suoi successori spinti dalle necessità create da una lotta lunga e costosa avevano tassato ogni articolo capace di dare un reddito. Non c’ era tempo di riflettere se i balzelli imposti fossero troppo gravi, irragionevoli

o vessatori. Si voleva danaro e il danaro veniva. Non si cercava più in là.

La riforma finanziaria iniziata da Peel è troppo nota ai cultori delle discipline economiche per abbi­ sognare di venire qui rammentata, oltre di che i li­ miti stessi di una rassegna non ce ne lasciano la possibilità. Giova per altro richiamare alla mente come quella riforma non fosse altro che la naturale con­ seguenza delle liberali dottrine che Cobden aveva gagliardamente difese contro i pregiudizi! di una se­ dicente scienza, contro l’ empirismo dei cosìdetti uomini pratici, contro la lega di potenti ed egoistici interessi. E ci pare altresì utile rilevare come i finan­ ziari inglesi, e particolarmente Peel e Gladstone riu ­ scissero a porre il bilancio del loro paese in condi­ zioni buone dapprima, splendide poi, procedendo non già a mo’ degli empirici, ma seguendo criteri razio­ nali e scientifici.

Il riordinamento della finanza di uno Stato è tutt* altro che un problema semplice. Esso è al con­ trario molto complesso. Non è un affare da compu­ tisti e lì. Non basta veder quel che manca e colpire qua e là per ottenerlo, senza guardare come e dove si colpisce, essendo evidente che se si inaridiscono le sorgenti della produzione si corre il rischio di soffocare in germe lo sviluppo economico del paese. Si dica lo stesso se per pareggiare il bilancio dello Stato, si rovina quello dei Comuni. Le quali cose non di rado si sono viste e si veggono. Nè è da porsi in dimenticanza che i fatti confermarono le previsioni di Cobden e di Peel, i quali giustamente ritenevano che i dazi più miti scemando il prezzo dei prodotti ne avrebbero aumentato il consumo, e avreb­ bero quindi dato all’ erario più di quel che avrebbero potuto rendere dazi più gravi, i quali quando non colpiscono prodotti di assoluta necessità, scemano il consumo e la domanda.

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Noi non sosterremmo invero il sistema della rap­ presaglia ed è molto lontano da noi il pensiero che in ogni e qualunque circostanza un paese non abbia a compiere una riduzione daziaria se prima non ottiene un correspettivo ; ci pare anzi che, salvo casi eccezionali, una riduzione daziaria da qualunque parte venga, giovi a tutti ; ma ci pare altresì che al sistema dei trattati non si potrebbe rinunziare che quando la fede nei principii del libero scambio fosse generale, il che pur troppo non è. Il trattato ha il vantaggio di impedire che la tariffa venga rimaneg­ giata a ogni momento in paese e all’ estero, con be­ nefizio del commercio che sarebbe danneggiato da una continua incertezza, ed inoltre offre l’altro van­ taggio di antivenire il pericolo che le tariffe in casa e fuori vengano rimaneggiate in senso protezionista. Considerando le tendenze di certi governi, e la manìa di accentramento fomentata dalle vecchie dottrine della scuola nuova, ci parrebbe poco prudente i] rinunziare al sistema dei trattati.

Le idee di Cobden intorno alla riforma parlamen­ tare ed alla educazione hanno fatto in Inghilterra molto cammino. Al tempo in cui egli entrò nel Par­ lamento la prima riforma era compiuta, ma era facile il comprendere come in un paese che non può rom­ perla a un tratto con tutte le sue tradizioni, ben presto si sarebbe sentito il bisogno di riforme ulte­ riori. Ciò è tanto vero che il partito conservatore

compì ciò che il partito progressista si era proposto di fare. Oggi non tanto il suffragio si è esteso più largamente; ma le minoranze hanno ottenuto con modi indiretti una qualche rappresentanza. Certo non si è giunti fino ad accogliere le idee di Hare, le quali forse pel modo complicato in cui vennero dapprima presentate ripugnavano agl’ inglesi ; ma del cammino si è fatto. E poco importa che i conserva- tori abbiano appoggiato questo movimento loro utile, dacché sia un movimento utile in qualuuque paese libero e conforme a giustizia. Ogni partito ha diritto di far sentire la sua voce e di pesare per quel che vale; toglietegli una legale ed adequata rappresen­ tanza e diventerà una fazione.

Anco la questione della educazione ha molto pro­ gredito. Chi sa gl’ immensi pregiudizi contro l’istru­ zione laica e guarda ora come l’Inghilterra la pos­ segga, non può non constatare il successo ottenuto dalla tenacità degli amici di ogni civile progresso.

Se il lettore vorrà per un momento ripensare alla gravità delle questioni, a cui Cobden rivolse la sua attenzione, e alla parte che egli ebbe sia nel risol­ verle, sia nel promuoverne la soluzione, non potrà a meno di convenire che la gloria di cui è circon­ dato il suo nome, è davvero ben meritata, e di ri­ tenere che quella 'valorosa associazione, la quale ha per divisa di diffondere i principj del libero scam­ bio, non poteva porsi sotto auspicii più degni.

Cob-den è uno di quei grandi benefattori dell’ umanità, il cui nome sarà ricordato con venerazione, quando l’oblio ricuoprirà la memoria di coloro, nei quali all’altezza dell’ingegno e alla potenza non corrispose l’amore dell’umanità.

Qui noi ci fermiamo. Non che invero abbiamo la pretesa di avere nemmeno alla lontana fatta un’ana­ lisi del libro del Thorold. Il merito dello scrittore è non tanto quello di averci data una esposizione dei concetti e dell’ operato di Cobden, siccome egli annunziava modestamente nella sua prefazione, quan­ to quello di avere discusso ed approfondito le ra­ gioni che mossero F uomo illustre ad operare in tal guisa, ed inoltre di aver considerato fino a qual pun­ to i principii di libertà da lui sostenuti siano oggi stati applicati.

In verità bisogna dire che gl’ inglesi scrivono co­ me forse in nessun altro paese si scrive in fatto di economia politica. A noi piace quello spirito pratico che va congiunto al rigore scientifico, quel corredo di osservazioni e di fatti, quella forma chiara, netta, precisa, quell’ assenza di declamazioni, quel linguag­ gio rec iso , degno di uomini lib e ri, che chiamano le cose col loro nome e non hanno paura di dire la verità per dura che sia , ritenendo giustamente che la sola menzogna è brutta e fatale.

Il Cobden Club che prosegue con tanto zelo la nobilissima missione che si è imposta, ben a ragione promuove pubblicazioni come quella di cui abbiamo tenuto parola. Esse non possono a meno di rendere più agevole e più proficua 1’ opera sua. A noi mo­ desti gregari della scuola liberale sia lecito inviare al Cobden Club un saluto ed un augurio.

RIVISTA BIBLIOGRAFICA

Il Caseggiato delle Aziende rurali. — Studio economico con mescolanze morali e politiche d i

Mi c h e l e Ba s i l e — Messina 1876.

Il nome del sig. Michele Basile di Messina è or­ mai conosciuto in Sicilia ed in Italia come quello di un distinto amatore di studii agrarii e di un attento ed arguto osservatore delle condizioni del suo Paese. Noi avemmo occasione di rammentarlo con parole di elo­ gio in questo periodico a proposito di un Opuscolo da lui pubblicato nell’ anno ora decorso sui Catasti

d’Italia e sulle condizioni dell’ economia agricola in Sicilia; e siamo lieti di poter oggi segnalare ai no­ stri lettori un altro suo lavoro ristampato in quest’anno con varie aggiunte e che tratta dei Caseggiati delle

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cupano dell’importantissimo argomento dell’ Agricol­ tura. Però nel suo primo apparire fu così variamente giudicato dalla critica che lo stesso Autore dichiara essergli riuscito impossibile il ricevere da cotesti gìu- dizii così contradittorii una norma qualunque per correggerlo. E forse, diciamo noi, sarebbe riuscito impossibile al brioso scrittore siciliano il seguire i precetti degli scienziati, che avrebbero desiderato un lavoro più serio e rinunziare così a quel suo stile spigliato e piacevole, e reso anche più attraente da Una leggiera tinta di maldicenza, che fa dimenticare affatto al lettore l’aridità dell'argomento, e lo costringe à divorarsi lo scritto tutto di un fiato. L ’egregio sig. Basile non ha inteso di dettare un libro di carattere puramente scientifico; egli aborre tutto quanto sa an­ che da lontano di pedanteria, e quando prende in mano la penna si diletta a lasciarsi andare senza troppi scrupoli dovunque lo trasporti la sua viva natura meridionale e la mobilità delle sue idee, anche a costo d’interrompere una dimostrazione seria per dar luogo ad un anedotto comico o ad una digressione d’indole politica e sociale.

Il tema principale del libretto che andiamo esami­ nando è, come lo dice il suo titolo, lo studio dei caseggiati delle aziende rurali. Ed in un primo capi­ tolo, previa la protesta che egli intende scrivere da agronomo e non da architetto e che perciò lascia alle persone tecniche la determinazione di quanto spetta all’ arte muratoria, V Autore stabilisce alcune norme generali sull’edificazione rurale. E qui ci dice quali materiali sieno da preferirsi per le mura, quale il legname per gli affìssi, quale la materia per le can­ cellate; come debbano lastricarsi i pavimenti delle case e delle stalle; dove sieno preferibili le case co­ loniche a pian terreno e dove a solajo; quale l’ or­

dinamento del fabbricato, quale la proporzione e quale

la orientazione a tutela dell’ igiene delle famiglie che debbono abitarlo.

Date però co teste regole generali per qualunque specie di caseggiati rurali, l’ Autore avverte che non potrebbe delinearsi il tipo di un particolar caseggiato se prima non si stabilisce esattamente il rapporto fra il fabbricato e il fondo cui deve servire. Ed a ragione; perchè non potrebbe colesta fabbrica dise­ gnarsi a1 p rio ri senza conoscere esattamente qual sia la estensione del fondo o della fattoria cui deve essere ànnéssa e quale il genere predominante di coltura del suolo. E qtìì l ' Autore imprende a disegnarci tre diversi tipi di fattorie, come potrebbero esistere in Sicilia. — Nonostante le molteplici varietà di culture alle quali si presta il clima felicissimo di quel! isola fortunata l’egregio Autore avverte giudiziosamente che molte fra coteste non danno più quell’ Utile che st crede, e che in ogni modo non potrebbero tenersi troppo a calcolo nel delineare un vasto possesso agri­ colo. « Tali specialità, scrive il sig. Basile, non

pos-« sono dunque entrare nel quadro generale dell’azienda « siciliana; e ogni proprietario che trovisi terre e

à clima atte a ciò, avrà il senno di non copiare alla

« lettera il nostro tipo, ma di modificare gli opifici « e i magazzini a norma di qualche sua coltivazione « peculiare che non ci è permesso contemplare in « questo rapido lavoro. » Le sementi di cereali, le praterie, gli ulivi, le viti e gli agrumi sono a detta dell’Autore, le culture predominanti in Sicilia, e con­ seguentemente si riducono a soli tre i tipi delle fat­ torie siciliane a seconda della diversità delle tre zone che possano, sotto il rapporto agricolo, distinguersi nell’isola, cioè à fattorie di montagna per la silvicul­ tura ed allevamento del bestiame minuto, a fattorie di pianura per sementi e praterie, ed a fatttorie di collina e pianura per ! albericoltura ed in specie per gli ulivi, le viti e gli agrumi.

Del primo tipo di fattoria, ossia delle fattorie di montagna poco s’interessa l’ egregio Autore, e con­ seguentemente non si da cura di descriverne il ca­ seggiato essendo cotesto di nessuna importanza. Perciò si limita a descriverci la fattoria a sementi e pasto­ rizia, e l’altra ad ulivi, viti ed agrumi.

Ma la necessità di coordinare il caseggiato alla fattoria cui deve servire ha trasportato l’Autore as­ sai al di là dei confini che apparirebbero segnati dal titolo del suo libro. Avanti adunque di descriverci il Caseggiato egli prende a disegnarci il tipo della fat­ toria alla quale si riferisce, e qui, senza forse vo­ lerlo, si lascia andare ad un vero trattato di azienda rurale che a nostro parere per la sua importanza e per la estensione datagli nel libro prende il diso­ pra sul tema dei caseggiati. Egli ci insegna la di­ stribuzione della superficie coltivabile, i sistemi di rotazione foraggierà e granifera, ci addita la specie e la quantità dei bestiami da mantenersi, ci dà le re­ gole per la piantagione degli ulivi, e degli agrumi, non che delle altre piante di minore importanza, e finalmente ci dimostra quali sarebbero i patti ed i sistemi colonici più adatti per i due tipi di fattoria. Cotesta a nostro credere è la parte più interessante del libro del sig. Basile che poteva addirittura inti­ tolarsi delle aziende rurali, e da essa gli agricol­ tori della Sicilia potranno molto imparare, inquan- tochè i precetti è le norme ivi comprese non sieno gli astrusi ritrovati di quegli agronomi da cattedra stigmatizzati dall’egregio Autore e che, a dirla con le sue parole, « si troverebbero imbrogliati come pulcini nella stoppa se fosse loro affidata una sementa di cipolle » ma il resultato della lunga esperienza di un’uomo che vivendo alla campagna conosce le intime qualità delle terre ed i sistemi di cultura di cui èsse sono capaci.

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ria quanto per quello del relativo caseggiato si tro­ vano accennate le più minute cose per qualunque bisogno di un’azienda rurale. Se un proprietario volesse ridurre la cultura dei suoi terreni a seconda di uno dei tipi di fattoria ideati dall’autore non a- vrebbe da aggiungere nulla, e troverebbe n el libretto del sig. Basile bella e fatta la pianta della fattoria e del suo caseggiato. A chiunque poi prenda vaghezza di studiare cotesto libro, raccomandiamo di esami­ nare accuratamente i due diversi modi di regime colonico che l’autore propone per i due tipi di fat­ toria da esso descritti, i quali modi a noi sembrano improntati del più giudizioso buon senso. Noi con­ cordiamo su cotesto pienamente col sig. Basile, e mentre riteniamo che il sistema di economia diretta mediante un personale fisso e salariato sia preferi­ bile ad ogni altro per la cultura di vaste estensioni destinate a sementi ed a pascoli, per quella di ter­ reni alberati, come per le vigne, uliveti ed agrumi preferiamo invece il sistema della mezzeria, paren­ doci che certe operazioni delicate e minute richie­ dano la mano esperta e premurosa di un’agricoltore cointeressato nel prodotto.

Elogiando il libro del sig. Basile non vogliamo però dire che non vi siano difetti I tipi agrari in esso descritti ci sembrano un po’ troppo ideali e difficili ad attuarsi, altro che da terreni vergini ed incolti quali crediamo non esistano neppure in Si­ cilia e conseguentemente i progetti di caseggiati ru ­ rali compilati dall’ egregio Autore non potranno a nostro credere eseguirsi nella loro integrità da nes­ sun proprietario. La vita della popolazione che abita le sue Masserie ci apparisce descritta con tinte troppo poetiche perchè possa esser vera e ci rammenta un po’ gli idillii dei nostri poeti. Inoltre non ci nascon­ diamo che a chi tratta scientificamente le faccende agrarie non garberanno le troppo frequenti digres­ sioni di indole svariatissima che ad ogni poco inter­ rompono la trattazione del tema, e qualche volta è parso anche a noi che la voglia di rallegrare il let­ tore sia al di là di quello che comporterebbe un trattato sui caseggiati rurali. Alcune di coteste mende non sono sfuggite allo stesso Autore che dice da per se « un po’ troppo spiccate le tinte comiche » e che confessa come « l’intento di far leggere cose di agricoltura agli italiani lo ha fatto inerpicare sopra sentiero disagevole irto di punte morali e politiche. » I suoi sarcasmi ed il suo disprezzo verso chi pro­ fessa la scienza agraria, sono un po’ troppo genera­ lizzati e qualche volta dimentica, ci pare, che la pra­ tica sola non basta all’incremento dell’agricoltura.

Ma coteste mende che abbiamo voluto rilevare per solo debito d’imparzialità e per corrispondere allo stesso invito dell’egregio Autore che ci dichiara come « un po’ di critica non gli farebbe male » non tolgono nulla al merito intrinseco del lavoro del si­

gnor Basile, e debbono ad ogni modo perdonarsi attesa la bontà dell’intenzione, che è quella di far leggere senza fatica ed anzi con piacere un trattato di cose agrarie anche a chi è profano alla scienza della cultura del suolo.

Esposizione dei motivi che precedettero il de­ creto del i aprile, col quale il presidente della Repubblica francese ha determinato, che in Parigi abbia luogo un’ Esposizione universale nel 1878.

Signor Presidente.

Nel momento, in cui la Francia rassicurata sul suo destino dalla costituzione di un Governo regolare, svolge tutta la sua attività e dirige tutte le sue spe­ ranze verso il lavoro, d’accordo col vostro Governo, voi avete pensato, che era opportuno accogliere un voto che cominciava a farsi strada nell’opinione pubblica, e invitare tutti i popoli ad una esposizione universale internazionale.

Voi sapete sig. Presidente, in quale larga misura le solennità di quest’ordine, hanno realizzato e sor­ passato le previsioni le più ardite dei loro promo­ tori. Quando per la prima volta, in un epoca della nostra storia così feconda di grandi concezioni, il Governo Repubblicano del 1797, aveva invitati gli industriali ad una lotta pacifica, limitata allora ai soli prodotti della Francia, alcune centinaia di per­ sone risposero solo al suo invito. Ma l idea era lan­ ciata, e noi l’abbiamo veduta in seguito, grandeggiare a tal punto, che 3[4 di secolo dopo e sullo stesso luogo del Campo di Marte, ove aveva avuto luogo l’e­ sposizione del 1797, cinquantaduemila espositori, si trovarono riuniti!

Dopo l’ultima di queste solenuità, e la pubblicità del suo splendido successo, non mancarono degli animi meticolosi i quali annunziarono che un così grande sforzo non potrebbe rinnovarsi in avvenire; che le esposizioni universali avevano fatto il loro tempo: che la curiosità pubblica, affievolita dal ri­ cordo di tante meraviglie, non potrebbe più essere

bastantemente eccitata: che i grandi stabilimenti in­ dustriali ricolmi di ricompense, rifiuterebbero di sottomettersi a nuove prove.

Come se l’ordine naturale delle cose, non suscitasse incessantemente generazioni avide di vedere e di co­ noscere, produttori impazienti di conquistare il fa­ vore pubblico e di disputarlo ai loro predecessori ! Come se nel nostro secolo di lotta e di concorrenza, fosse permesso a qualcuno di addormentarsi su di un successo e di lasciarsi dimenticare, abbandonando

il campo libero ai suoi competitori!

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