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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.03 (1876) n.120, 20 agosto

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L'ECONOMISTA

G A Z Z E T T A S E T T I M A N A L E

SCIENZA ECONOMICA, FIN AN ZA, COMMERCIO, BANCHI, FERR O V IE. IN TERESSI PRIV ATI

Anno III - Voi. VI

Domenici 20 agosto 1876

N.

120

L a S c h i a v i t ù . n e l B r a s i l e

LE LEGGI DI EMANCIPAZIONE

Nel numero 109 di questo periodico, dando alcuni cenni generali sul Brasile, dieemmo che so­ pra una popolazione di 12 milioni di abitanti vi si annoveravano un milione e mezzo circa di schiavi. Ma questa notizia, buttata là senza commento al­ cuno, non era che una espressione aritmetica che certo per sè nulla potea dire delle condizioni della schiavitù nel Brasile e avrebbe potuto far credere che tale barbara istituzione si fosse rifugiata in quel paese come in estremo e sicuro baluardo. Nell’in­ tendimento adunque di descrivere lo stato attuale della schiavitù nel Brasile e porre sempre più in rilievo, se ancora ne fosse il bisogno, non solo il danno morale che da essa derivò, ma benanco il danno economico, noi ci intratterremo ora delle v i­ cende sue in quell’ impero, degli sforzi fatti per estirparla, e finalmente dell’ ultima trasformazione subita, per la quale ora puossi paragonare ad un tronco sradicato dal suolo, reciso nei rami e che necessariamente inaridisce. A questa rassegna sto­ rica aggiungeremo per ultimo un confronto fra il lavoro libero e quello servile, sempre a riprova di quella sentenza che una questione di moralità è pure questione di utilità.

È argomento davvero di grand’ afflizione il pen­ sare che, nonostante la decantata civiltà moderna, nonostante le idee cristiane di libertà e di ugua­ glianza, pure abbia durato sì a lungo la negazione di tutta cotesta civiltà e di tutte coteste idee, quale è la schiavitù. Ma il torto maggiore nel risorgi­ mento di tale barbarie non è tutto dei paesi d’oltre Atlantico, poiché se ora l’Europa si è fatta bandi-

trice dell’abolizione della tratta, fu pur essa che

col suo sistema coloniale, dopo aver vincolato il prodotto del suolo vi asservì il lavoro. L’ Inghil­ terra, la Spagna, la Francia, il Portogallo, i Paesi Bassi, tutti, senza distizione di credenza, furono con­ cordi, o per un pretesto o per l’altro di richiamare in vita una istituzione che si avrebbe potuto cre­

dere estinta per sempre, ed il Brasile se l’ ebbe in dono dal Portogallo nel modo che ora diremo.

1 portoghesi, arditi navigatori, avevano appena esplorate le coste dell’Africa occidentale, che prese vaghezza all’ infante don Enrico di avere alcuni in­ digeni onde interrooarli sulle loro condizioni c sullo© o stato del loro paese. Era curiosità ben naturale e propria di quel dotto principe, e se per sodisfare al desiderio dell’infante di Portogallo si fosse tenuto il modo col quale, ad esempio, furono portati in Italia i due Akkà, niuno avrebbe avuto a ridirci.

Ma Antonio Gon9alves, che fu incaricato di tal bi­

sogna, non era uomo da scrupoli e nel 1442 s’im­ padronì di alcuni affricani della tribù appellata al­

lora ■ degli Azenegues e oggidì Tonaregs e li fece

trasportare in Portogallo. Costoro furono i primi schiavi dell’ Africa occidentale. Ma il loro servaggio fu di ben poca durata pel motivo che, indomiti per natura e maomettani di religione, non erano tenuti volentieri in Portogallo, scorgendosi in loro nemici pericolosi, attesa la vicinanza degli Stati maomet­ tani coi quali si era in continua guerra. Ci fu però il modo di liberarsene con profitto, poiché essi ri­ scattandosi, come prezzo del riscatto, diedero in ¡scambio africani della Senegambia e del Sudan. Gli schiavi di queste regioni si ebbero per buoni, poi­ ché si addomesticavano facilmente e si istruivano nella religione cristiana, e d’allora in poi n o n ,c i fu più freno alla ingordigia degli speculatori portoghesi che, con ogni mezzo e perfino con la forza, strap­ pavano da quei lidi centiniaia e centinaia d’infelici per mandarli a coltivare la canna di zucchero a Madera e all’isola di S. Tommaso.

Ma in quei primi tempi il commercio degli schiavi era ancora poca cosa e si limitava ad alcuni porti lusitani e spagnuoli; quando venne la scoperta di America ad aprire immenso campo all’ abominevole speculazione. E siccome l’unico sistema allora in auge era quello dei monopolii governativi, così non parve vero che si offrisse un nuovo prodotto alle bramosie del fisco e dei pubblicani, e si sottopose a regìa la carne umana. Quindi, auspice lo Stato, il Portogallo introdusse la schiavitù nelle sue colonie, delle quali una, e la più ricca, era il Brasile.

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africani nel Brasile, è in una lettera del 1523 colla quale il direttore del primo stabilimento coloniale di Fernambuco domandava a don Giovanni III la grazia di dieci schiavi in ricompensa dei suoi ser­ vigi, come si era usato con altri. Ma nel 1558 Diego Mendes recandosi nel Perù, notò come gli schiavi africani, facendo colà buona riuscita, si avrebbero potuto adoperare più estesamente anche nel Brasile e ne mandò subito la proposta al re, il quale l’ac­ cettò di buon grado e la mise ad esecuzione quando nel 1549 venne fondato un nuovo stabilimento co­ loniale a Bahia. Allora fra quei coloni venne distri­ buito buon numero di schiavi.

Istituitasi per tal modo, e per vero ordine so­ vrano, la schiavitù nel Brasile, non ci fu più modo di estirparla e non è che di recente che gli uomini più savi di quel paese hanno reputalo miglior par­ tito toglierle la vita un po’ per volta che spegnerla di un tratto.

Ma per vedere di quanta contradizione sia talvolta offesa la mente umana, diremo come nello stesso tempo che si introducevano nel Brasile gli schiavi africaui, si cominciavano ad emancipare gli indiani dicendo che la schiavitù di costoro era contraria alla religione ed alla civiltà. Sarebbe stata questa la più ridicola contradizione se poi i fatti non fos­ sero venuti a darne le ragioni ascose. E queste ra­ gioni furono che gli indiani si lasciarono in disparte perchè indomiti, neghittosi, e per nulla adatti ai la­ vori dei campi.

La liberazione degli indiani cominciò con una legge del 20 maggio 1570; ma altre leggi furono necessarie nel 1609, nel 1680 e finalmente nel 1755. Di quest’ ultima e definitiva se ne dà la gloria al marchese di Pombal, famoso ministro di don Giu­ seppe I; ma se quella fosse 'vera gloria ognuno lo potrà giudicare quando rifletterà che lo stesso Pom­ bal, proclamato il redentore degli indiani, dopo aver fatto affìggere la Bolla di Benedetto XIV, colla quale era interdetta ogni schiavitù, dopo aver spediti due reggimenti per obbligare i coloni a liberare gl’in ­

diani senza indennizzo, costituì nello stesso anno

una compagnia, nella quale egli pure era interes­ sato, per introdurre in quelle regioni gli schiavi afri­ cani. Se poco dopo il Portogallo fu anch’esso indotto ad abolire la schiavitù degli africani colle leggi del 19 settembre 1761 e del 16 gennaio 1773, queste non furono estese al Brasile, il quale, allorché nel 1821 proclamò la sua indipendenza, trovò più che mai fiorente quella istituzione di cui la madre-patria gli aveva fatto il triste dono.

Ben è vero che sul principio del secolo attuale furono promulgate leggi severe per abolire la tratta e che navi di crociera ne vigilavano l’adempimento; ma tutto questo apparato non aveva efficacia che pei porti europei ed alcuni africani, poiché del resto

la tratta continuò di contrabbando e si fece anzi più crudele. Le seguenti cifre ne sono la prova; Dal 1807, epoca dell’abolizione della tratta in Inghilterra, fino al 1819, epoca in cui furono ordinate le navi di crociera, furono trasportati dalle coste dell’Africa 2,290,000 schiavi. Di questi, 680 mila al Brasile, 615 mila nelle Colonie Spagnuole e 562 mila in altri paesi. La perdita nella traversata fu di 433 mila.

Dal 1819 al 1847 diminuì sì poco il commercio degli schiavi che ne furono esportati dall’ Africa 3,758,506, così ripartiti:

B r a s ile ... 1,121,800

Colonie Spagnuole . . . . 831,027

P e r d ita ... 688,299 C a t t u r a t i... 117,380

Sicché il totale della esportazione in quaranta anni fu :

Al B r a sile ... 1,801,800

Alle Colonie Spagnuole. . . 1,446,027

Ad altri p a e si... 562,000 P erd ita ...1,121,299 C a t t u r a t i... 117,380

Totale 5,048,506

Pur troppo adunque quel e leggi proibitive non arrestarono il traffico dei negri, il quale anzi si fece più crudele, poiché le perdite crebbero dell’ 11 per cento. D’altra parte C ingordigia degli speculatori era eccitata dai grossi guadagni, i quali mentre dap­ prima si aggiravano fra il 20 e il 30 per cento, salirono poscia fino al 2 e 300 per cento.

Tnsomma, verso il 1830, nonostante l’abolizione della schiavitù, già fatta nelle colonie inglesi e fran­ cesi, il numero della popolazione servile era cosi ripartito :

Stati Uniti (censim. del 1850) 3,178,000

B r a s ile ... 3 ,250,000

Colonie Spagnuole . . . . 900,000

Colonie o la n d e s i... 8 5,000 Repubbliche dell’ America del

Sud . . . ... 140,000

Stabilimenti sulla Costa d’ Af­

frica ... 3 0 ,0 0 0

Totale 7,583,000

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di-L’ E C O N O M I S T A

20 agosto 1876

sperso sì infausto presagio e se il Brasile è il solo Stato dell’America che ancora annovera gli schiavi nella sua popolazione, tuttavia coll’ultima legge vo­ tata nel 1871 si può dice finita anche colà tale istituzione.

Per un paese retto da lungo tempo a forme co­ stituzionali più libere delle nostre, come il Brasile, certo si poteva impromettere più sollecito il trionfo dell’emancipazione, ma in ogni paese vi sono cir­ costanze e difficoltà speciali, che possono modifi­ care di molto la natura di una istituzione o far

forza anche alle migliori volontà che si accinges- |

sero ad operare. Codeste circostanze pel Brasile si possono riassumere nel mite trattamento usato verso gli schiavi e nelle ragioni economiche.

Per quello che sia del trattamento degli schiavi è noto che le sevizie e le crudeltà commesse in alcuni paesi, non furono le cause ultime perchè l’emanci­ pazione si imponesse come una ineluttabile necessità; l’eccesso del male doveva affrettare l’abolizione. Ma per quei paesi la prima parola di libertà echeggiò pure nell’animo dell’emancipato come grido di una

vendetta implacabile, e la parte meridionale degli I

Stati-Uniti, e molte colonie inglesi e spagnuole hanno dovuto scontare ben duramente il fio delle crudeltà commesse. Nel Brasile invece, si notò sem­ pre un trattamento più u m an o, un po’ d’ equità nella stessa ingiustizia e ciò deve aver contribuito non poco anche a tirare in lungo l’emancipazione finale. In un libro che il signor Dutot scrisse nel 1859 j sulla schiavitù nel Brasile ponendo a riscontro il trattamento diverso degli schiavi negli Stati Uniti e nel Brasile ebbe a dire che, mentre in quel primo paese erano ritenuti nè più nè meno di una cosa nel Brasile erano almeno reputati uomini di una classe inferiore.

« Cotesta diversità di trattamento, egli scrive,

nelle due Americhe, sia che derivi dalla confusione I

delle razze, maggiore nel sud che nel nord, sia che derivi dalla religione, sia dal carattere mite dei bra­ siliani, il fatto esiste e la sua importanza è immensa j

imperocché non solo assicura la futura estinzione i

della schiavitù ma permette di prevedere la coesi- j

stenza di due razze sul medesimo suolo e la loro completa fusione.

« Negli Stati Uniti, il giorno che i negri saranno liberi costituiranno un esercito di nemici implaca­ bili, imperocché il pregiudizio ed i costumi si op­ pongono ad ogni comunanza col negro, sia questi libero o schiavo. » E che bene il signor Dutot siasi apposto, non solo lo dimostrò la lunga guerra ame­ ricana, ma altresì le continue lotte che fervono tut­ tora in parecchie regioni degli Stati Uniti, e che degenerano non di rado in veri massacri.

Nel Brasile lo schiavo oltre far parte della fami­

glia del fazendeiro ed esserne protetto, otteneva

fa-227

cilmente di poter prèndere moglie, di avere un giorno della settimana a suo vantaggio onde formarsi un peculio, e di riscattarsi. Frequenti poi erano le eman­

cipazioni, e non v’era fazendeiro ragguardevole che

ogni anno, in qualche solennità di famiglia non desse la libertà ad alcuno dei suoi schiavi. Ben è vero che dal 1851 in poi invece di aumentare codesta mitezza di trattamento parve che diminuisse, ma ciò è avvenuto per eccezione in alcune provincie dove, essendo stato abolito il traffico de’ negri, se ne faceva il commercio di contrabbando; e allora gli schiavi portati alla rinfusa, senza badale alle loro credenze ed ai loro costumi, erano introdotti di soppiatto nelle piantagioni, e davano occasione a più duri trattamenti ed a rivolte. Però, in complesso la condizione degli schiavi non si fece più dura, e ne è prova il fatto che al Brasile, dove pure vi sono per rifugio immense foreste, non si raggrup­ parono mai torme pericolose di schiavi fuggitivi, come avvenne più volte nelle colonie di altri Stati.

Ma a trattar bene gli schiavi era pervenuta an­ che l’antica società pagana, mentre la moderna so­ cietà cristiana richiede l’abolizione della schiavitù. Dobbiamo quindi dire per quali ragioni l’abolizione totale-fosse differita e come invece si adottasse nel Brasile il sistema dell’estinzione graduale, ritenendo, come già avvertì il Rocher, che il subito passaggio dalla schiavitù alla libertà potesse dar luogo ad inconvenienti. Abbiamo già accennato come in pa­ recchie colonie di Francia, d’Inghilterra e di Spagna, la liberazione degli schiavi fosse il segnale di atroci vendette e dell’abbandono di ogni lavoro. Le con­ seguenze economiche di un generoso atto di giu­ stizia furono davvero tristissime, e per non dilun­ garci in parecchi esempi addurremo solo quelli d’Inghilterra e di Francia.

L’ Inghilterra abolì nel 1835 la schiavitù nelle

sue colonie alle condizioni segnenti 1° Indennità

di 20 milioni di sterline (5 0 0 milioni di franchi) ai padroni degli schiavi ; 2° Che gli emancipati maggiori di sei anni dovessero, a titolo di tirocinio, lavorare durante sei anni per gli antichi padroni, nel caso che si trattasse di lavori agricoli, e durante quattro anni negli altri casi. I padroni dal canto loro dovevano in questo frattempo provvedere al mantenimento di codesti emancipati.

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rurali scemarono di valore fino a non averne più alcuno. Risultato finale si fu che lo zucchero, prin­ cipale prodotto in queste colonie, diminuì più di un terzo.

E alla Francia toccò sorte uguale quando nel 1818 compiè essa pure nelle sue colonie il grande atto di giustizia. Per modo che, economicamente, la emancipazione pesò: sui contribuenti per l’indennizzo dato ai padroni ¡'egli schiavi; sui consumatori dei

generi coloniali, perchè dovevano pagarli più cari; !

sui coloni i quali, nonostante una duplice indennità, non erano rifatti del danno di aver disertato le loro | piantagioni e le loro industrie. Questi danni poi erano fatti più gravi dalla concorrenza che potevano

fare quei paesi dove la schiavitù non era stata **

abolita.

Nè qui vogliamo diffonderci a descrivere il disor­ dine e le ribellioni avvenute in molte colonie, come ad esempio, a San Domingo e nelle Antille, per cui il Brasseur ebbe a scrivere che « la transitiona été trop rapide pour que le regime de la liberté ne fòt pas fatai aux esclaves. Comme on les avait soumis pendant des sied e à une dégradation morale com­ plète, le lógislateur aurait dù, par une sage educa- tion, les relever au rang d’bommes avant de leur en rendre les droits, dont ils devaient naturellement abuser; c’est-ò-dire q u ii devait procèder par un affranchissement graduel. » ( I ) E di tale avviso sono pure la maggior parte degli economisti.

Innanzi al Brasile stavano adunque siffatti esempi. Che doveva far esso? Se avesse dato libero corso ai sentimenti generosi, proclamando da un giorno all’ altro l’abolizione della schiavitù, certo ne avrebbe avnto lode grandissima, ma lo poteva egli? Noi cre­ diamo di no, perchè, anche lasciando da parte la tema che si poteva avere per l’agricoltura di un paese allorquando l’emancipazione avesse d’un tratto spodestato tutti i padroni dei loro schiavi agricoltori restava pur sempre il grande problema finanziario del prezzo del riscatto. Un modo radicale sarebbe stato quello di non dar nulla ai proprietarii degli schiavi, fondando il ragionamento sulla inalienabilità della libertà umana; ma a tal sistema si sarebbero opposti l’equità e lo stesso interesse. Gettare nella miseria un grandissimo numero di proprietari grossi e piccoli non sarebbe stato nè prudente nè vantag­ gioso pel Brasile. E poi qual colpa avevano costoro se possedevano schiavi in virtù delle stesse leggi ? Ricorreva inoltre l’esempio delle altre nazioni, le quali non avevano punto dubitato dell’obbligo di ri­ sarcire i padroni.

Ma per vedere quello che il Brasile avrebbe do­ vuto spendere in cotesto risarcimento è da por mente

(1) Ba r a s s e u r, M anuel d ’Economie politigue, t o m . 1 pag. 166.

a quello che esso costò all’Inghilterra e alla Francia. Coll’atto di emancipazione del 1835, 1’ Inghilterra dava la libertà a 780,933 individui ripartiti in varie colonie dove il prezzo degli schiavi variava fra le 40 lire sterline e le 121. Se l’indennizzo si avesse dovuto basare sul prezzo medio di uno schiavo che era di 1400 franchi, il riscatto avrebbe costato a l­ l’Inghilterra 1,132,043,668 franchi.

Invece l’indennità fu fissata a 3 00 pailioni di franchi che equivale a 635 franchi e 61 centesimi per testa, ovvero a 3[7 del valore totale della p o­ polazione servile. Dovendosi però aggiungere a que­ sti 3[7 il valore di quattro o sei anni di lavoro l’indennizzo ai padroni riusciva a 4[7 del valore.

La Francia dando la libertà a circa 2 5 0 ,0 0 0 schiavi che erano nelle sue quattro colonie, assegnò un indennizzo di 150 milioni di franchi, equiva­ lente alla media di 600 lire per ogni schiavo.

Poteva ora il Brasile, con l’enorme quantità di schiavi che aveva, e che tuttora ascendono a circa un milione e mezzo, decretarne la immediata eman­ cipazione e risarcirne i padroni? Ciò sarebbe stato superiore di molto alle sue forze. Il valore di uno schiavo al Brasile varia pur là da 1000 a 3000 lire, e prendendo la media di 1500 lire, era impossi­ bile destinare 'al riscatto un capitale corrispondente, come non lo avevano fatto neppur l ’ Inghilterra e la Francia; ma anche prendendo la media di 6 0 0 lire il Brasile avrebbe dovuto spendere nel riscatto calcolato il numero attuale di schiavi, l’ingente somma di 9 00 milioni, somma che pochi anni addietro avrebbe superato di gran lunga il miliardo, atteso il numero maggiore degli schiavi.

Veduta adunque come la necessità delle cose adduceva il Brasile a scegliere il sistema di una graduata emancipazione, indicheremo sommariamente il cammino percorso, e che è segnato da tre leggi emanate nelle seguenti epoche 7 novembre 1831 ; 4 settembre 1850; e 28 settembre 1871.

(Continua)

STUDI SULLA PESCA

(V ed i n u m . 112)

§ 4

(Segue) Discussione alla Camera del progetto F inali

Agli onorevoli Deputati Della Rocca e Vare i cui discorsi abbiamo riassunto nel § precedente, risposero l’onorevole relatore Alvisi, il ministro Finali e Fon. Maldini facendo le seguenti dichiarazioni :

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20 agosto 1876 L’ E C O N O M IS T A 229

di questa legge la Commissione si è contentata di proporre al ministro un ordine del giorno, invitan­ dolo a presentare un progetto di legge per l’estin ­ zione dei diritti di uso (Alvisi).

2° Quanto alle Comuni o Società dei p r u d ’hom-

mes, è bene che siano state soppresse potendo i pe­ scatori, come gli altri cittadini associarsi, senza bi­ sogno di esse, per gli scopi che credono, di mutuo soccorso, di istruzione ecc., ed era un fuor d’opera, creare un foro straordinario pei pescatori, mentre abbiamo i giudici Conciliatori.

3° L’on. Della Rocca voleva che i Consigli Pro­ vinciali anziché preparare i regolamenti li deliberas­ sero e li approvassero definitivamente senza inter­ vento del Ministero. Ma alle volte ci sono interessi in conflitto tra Provincia e Provincia e onde non na­ scano regolamenti difformi e nocivi, si scorge il bi­ sogno di fare intervenire l’autorità superiore la quale perchè disinteressata dia una certa uniformità a que­ sti regolamenti (Alvisi).

4° L’on. Yarè vuole che le acque pubbliche sian

dichiarate proprietà demaniali, sia attribuita in esse la pesca allo Stato, il quale debba affittarle, per me­ glio favorire la piscicultura.

Ma allora si anderebbe in un concetto opposto a quello seguito da progetti fin qui esaminati, si tur­ berebbe la economia della legge attuale, togliendo il principio della libertà della pesca in tutte le acque pubbliche o demaniali, per crearne un monopolio dello Stato, come era il sistema francese respinto dal progetto Castagnola.

Inoltre soggiungeva poi il ministro Finali esser questa una legge di polizia della pesca e non fatta per definire i diritti di proprietà sulle acque.

È un miracolo se questa legge ha potuto esser discussa, trattandosi allora alla Camera questioni più gravi che portarono pochi giorni dopo alla ca­ duta del Ministero Minghetti e all’elevamento al po­ tere della sinistra. Per cui l’onorevole Finali diceva di volere esser breve rispondendo agli oratori pre­ cedenti « perchè, aggiungeva, io desidero più di ogni altro di potere arrivare alla discussione ed al voto sebbene ne abbia poca speranza; temo che anche questa volta la barchetta del pescatore sarà trabal­ zata in alto mare dalle onde di discussioni più in­ teressanti e che vi sarà nuovamente abbandonata. » 5° Quanto alla pesca del corallo l’onor. Finali dice che noti è in decadenza, ma che ha avuto na­ turale incremento in questi ultimi anni. Che quanto alle patenti dei capitani non è materia da trattar qui, ma nella riforma del Codice della marina mer­ cantile. E poi è necessario richiedere garanzie di capacità anche pei capitani delle barche da pesca, onde non far perigliare le vite di coloro che vi at­ tendono.

Quanto agli esami dei capitani dei battelli da pesca

l’onorevole Maldini aggiungeva che tutti i ministri della marina hanno sem pre cercato di dare colle loro circolari all’articolo 148 del Codice della marina mercantile l’interpetrazione la più favorevole possi­ bile riguardo a quelli che vanno al comando dei battelli da pesca. Ma è necessario che nell’affidare il comando dei piccoli battelli, i quali però vanno in alto mare come i più grossi piroscafi e come le grandi navi, si abbiano garanzie circa coloro che ne hanno il comando, perchè è impegnato non solo il mate­ riale, ma le vite degli uomini che montano in essi battelli.

6° Si è detto che non si può pescare che nel proprio compartimento. « Io per verità (replicava l’on. Maldini) non ho veduto nessuna disposizione proibitiva in questo senso. Non confondete, o signori, le disposizioni dell’articolo 139 del codice di marina mercantile cplla questione della libertà o non li­ bertà della pesca. Tutti possono pescare lungo le

coste del rem o. Non c’è stato mai nessuno che<D

abbia pensato d’introdurrre i cosi detti fron'eggianti,

i comunisti, la pesca insomma riservata al solo co­

comune nel tratto di mare che lo fronteggia. È so­ lamente il codice di marina mercantile che determina presunzioni diverse a seconda che il battello da pesca si allontana di più o di meno dalla spiaggia. E per quante riforme del codice vogliate fare, per quante ripartizioni del littorale in compartimenti marittimi piaccia alla Camera di adottare od al ministro di proporre, troverete sempre che sarà necessario di prescrivere che tutti quei battelli, i quali vanno in alto mare, per necessità di sicurezza pubblica e sa­ nitaria o per leggi marittime, o per protezione, o per trattati internazionali, sarà sempre necessario che siano provvisti di quelle carte di bordo come lo sono le altre navi. Ecco la sola differenza che passa

tra la pesca limitata e la pesca illimitata. Coloro

che sono nati nei paesi di mare vedono giornal­ mente quello che colà vi succede. Yi sono piccoli battelli, i quali stanno vicini alla spiaggia, e si al­ lontanano poco dai rispettivi porti. Per questi bat­ telli si sono fatte talune facilitazioni, non richie­ dendo per i medesimi se non che la sola licenza di pesca, secondo l’art. 139 del codice della marina mercantile. Mentre per i battelli che si allontanano dalla costa, siccome questi hanno anche bisogno di essere costrutti in modo diverso da quello dei bai­ te li che pescano in vicinanza delle coste e dei porti, per questi si stabilirono altre prescrizioni. »

(6)

riconoscere, anzi credo che abbia già in parte rico- sciuta la impossibilità di accettarli senza che siano sottoposti ad un maturo e ponderato esame che non è possibile in questo momento.

« L’ inutilità del primo articolo sembrami già ri­ sultare dalle parole dell’ on. Di Sambuy. Poiché in questo progetto di legge Pari. 26 punisce chiunque eserciti la pesca in acque di proprietà privata, si vede in esso adoprata la formula la più efficace per si­ gnificare che non si ha il diritto di pescare in acque

appartenenti .a proprietà privata.

-« Quanto agli altri articoli si vorrebbe stabilire che nelle acque dichiarate di proprietà pubblica dal- l’ art. 427 del Codice civile, e per le quali la legge sui lavori pubblici pone le opere a carico dello

Stato, la pesca debbasi esercitare a profitto dello

Stato. Ma l’ art. -427 contempla quella specie di proprietà pubbliche che non costituiscono il patri­ monio dello Stalo, bensì il pubblico demanio, nel quale al Governo non compete che l’ esercizio di un potere di sorveglianza e di polizia, ma l’uso ne ap­ partiene, e deve liberamente appartenere a tutti in­ distintamente i cittadini e deve essere uso gratuito. « Infatti qui il Codice pone in una sola e mede­ sima categoria le strade nazionali, il lido del mare, i porti, i seni, le spiagge, i fiumi, i torrenti ed altre proprietà demaniali.

« Ora, egli è evidente che finora si è liberamente pescato in codeste acque pubbliche da ogni cittadino a proprio profitto, e senza bisogno di accordi o con­ cessioni e tanto meno sotto l’ obbligo di pagare qua­ lunque correspettivo allo Stato, con quello identico diritto con cui ciascuno di noi passeggia gratuita­ mente sulle vie e piazze pubbliche, usa del lido del mare per quei bisogni ai quali è destinato, nè al­ cuno pretende che queste proprietà, sebbene pub­ bliche, facciano parte del patrimonio dello Stato, di cui esso abbia a ricavar rendita o profitto, sicché i privati non possano goderne ed usarne se non col permesso e la concessione dello Stato e pagandogli un correspettivo.

« Ho dunque ragione di temere dall’introduzione nella legge di somiglianti disposizioni. Certamente si considera come acqua pubblica appartenente all’ alto dominio della Nazione l’acqua che sta nel porto, nei seni di mare, e lungo le spiaggie per tutta quella estensione che costituisce il mare territoriale ; ma in tutte queste acque 1’ uso dei cittadini è libero, e nessun altro diritto appartiene allo Stato, all’infuori di quello di far coesistere ed ordinatamente esercitare i diritti di uso di tutti con l’uso di ciascun utente, e quindi di sorvegliare e regolare questo diritto di uso con leggi e regolamenti che appartengono alla classe dei provvedimenti che si chiamano di polizia.

« Io perciò senza aggiungere altro ed affaticare la Camera, vorrei pregare il mio egregio amico di

voler riconoscere che il suo desiderio, per quanto riguarda il primo articolo che è il più essenziale, trovasi soddisfatto nell’ attuale disegno di legge. Che niuno possa andare a pescare nella proprietà privata ed a servirsene, non è barbarie, è civiltà ; ma chi parimente potrebbe chiamare civiltà l’ obbligarci a pagare un’ imposta all’ Erario per poter passeggiare nelle pubbliche piazze ?

« Se dunque l’ uso di altre proprietà che sono di pubblico Demanio, deve essere a tutti libero e gra­ tuito si può far valere la medesima ragione per la libertà della pesca nelle acque pubbliche. Perciò pregherei Fon. Varò di voler ritirare i tre articoli da lui proposti. »

Quindi l’ onor. Varò dopo avere giustificato i suoi tre articoli, dichiarava che siccome vedeva che

nessuno gli dava appoggio seguiva la corrente e ri­

tirava i suoi emendamenti.

Qui finiva la discussione generale e si passava alla discussione degli articoli.

Come ho rilevato le cose principali avvenute nella discussione generale, così riassumerò, per la discus­ sione degli articoli, soltanto i punti, le ricerche, le questioni salienti, poiché sarebbe cosa troppa lunga e noiosa quella di riandare minutamente i precisi dettagli della discussione.

Art. 1. Insorse questione sulla dizione ivi usata

di mare territoriale. L’on. Maldini diceva che questa

espressione era indefinita ed indeterminata, e voleva che invece di dire che la presente legge regola la pesca nelle acque del mare territoriale, si specifi­ casse esattamente la distanza dal lido, entro la quale

la legge deve essere osservata, perchè il mare ter­

ritoriale porterebbe ad una eccessiva distanza, mentre la polizia della pesca si può e si deve fare soltanto vicino alle coste ; e vorrebbe cbe si stabilisse il li­ mite di 3 miglia (Maldini).

Si osservava in questa discussione dal ministro del commercio che il limite e la estensione del mare territoriale non è considerata pacifica tra gli studiosi di diritto pubblico, che per la teoria fin qui invalsa il mare territoriale si protende fin dove ar­ riva la palla di cannone, che per la pesca questa estensione onderebbe troppo distante, poiché la por­ tata di un cannone è calcolata a IO chilometri.

L’onorevole Mancini poi faceva le seguenti osser­ vazioni circa ciò che si deve intendere per mare territoriale, « Il concetto dei pubblicisti in questa materia, come la Camera ben sa, è che ogni na­ zione deve esercitare la sua potestà e giurisdizione su tutta quella parte di mare che sia necessaria alla difesa delle coste, e perciò in tutto quello spazio donde la costa potrebbe ricevere nemica offesa, il che significò un insigne antico scrittore affermando

che la giurisdizione marittima si estende quousque

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ogni giorno nuove scoperte fanno variare T efficacia dei mezzi di offesa, necessariamente è soggetta a va­ riazione benanche la estensione del mare territo­ riale. »

Aggiungeva che l’articolo 4 della legge aveva provveduto a tutto, riservando ai regolamenti di re­ stringere e limitare ad una estensione anche minore di quella che costituisce il mare territoriale l’ap­ plicazione di queste norme. Così la questione è ben risoluta e l’articolo 4 tempera la larghezza dell’ar­ ticolo 1*.

L’onorevole Castellano richiamò l’attenzione della Camera sull’ alinea dell’articolo I*, ma poi non fa­ cendo egli una formale proposta, l’articolo stesso venne approvato dalla Camera nella sua integrità.

Cosi ebbe fine la seduta del 15 marzo.

Art. 2. Nella successiva tornata del 14 insorse a proposito dell’articolo 2 discussione sui regolamenti. La discussione incominciò con alcune considerazioni dell’onorevole Castellano; quindi prese la parola Fon. Mussi, il quale fece in proposito un brillante e spiritoso discorso,’ esordendo col dire essere so­ verchia lusinga quella di ottenere dalla Camera un po’ di attenzione « per noi modesti pescatori d’acqua dolce, che metteremo, o almeno cercheremo di met­ tere un po’ d’ordine nella pesca minuta quando la attenzione di tutti è rivolta a più arditi armatori di pesche di alto mare, che cercano in questi giorni di scagliare la fiocina a un grosso pesce cane de- pauperatore delle acque del mare territoriale ita­ liano (era alle viste Li crisi ministeriale che avvenne come è noto il 18). Perciò io mi raccomando viva­ mente alla vostra cortesia, imperocché io intendo sollevare una questione di massima e di capitale importanza. »

Sui regolamenti osservava che con questa legge si veniva ad esautorare il Parlamento conferendo al Ministero dei poteri quasi sconfinati, dandogli la fa­ coltà coll’articolo 2, a suo parere, di sancire coi regolamenti una vera legge sulla pesca. Vorrebbe una misura generale, radicale, quella di proporre

una Commissione parlamentare incaricata di vegliare

diligentemente all’esame di tutti i regolamenti, e de­ nunziare tutti quelli nei quali il potere esecutivo invadesse il campo del potere legislativo; e propor­ rebbe cotesto tanto più volentieri, inquanto crede che l’ottava piaga d’ Egitto per l’ Italia siano appunto i regolamenti.

L’on. ministro rispondeva all’on. Mussi che non occorreva di creare alcuna commissione speciale per assicurare che nei regolamenti il governo non possa andare al di là della legge, perocché vi è la Corte dei Conti, la quale ha per suo precipuo ufficio di vedere se i regolamenti vadano al di là o contro la legge. — E se è vero che il ministero può invitare la Corte dei Conti a registrare il Decreto con riserva, è vero

del pari che di questi decreti registrati con riserva, se ne rende subito conto al Parlamento, il quale è chiamato a dare il suo voto che può essere di bia­ simo, di censura o di condanna verso il ministro.

L’on. Mussi almeno vorrebbe che il ministero pre­ sentasse al Parlamento le norme generali per la com­ pilazione dei regolamenti.

Dopo alquanto di discussione, venne poi approvata la proposta fatta dall’on. Castellano alla quale ade­ riva l’on. Indelli, che, per evitare ogni equivoco che i regolamenti di che parla l’art. 2 siano diversi da quelli dell’art. 18, si dica n ell’art. 2 che si tratta dei regolamenti di che nell’art. 18. Quindi l’articolo fu redatto nel seguente modo :

« All’esecuzione della presente legge sarà prov- c veduto mediante regolamenti particolari per la « pesca di mare e di fiume formati nei modi pre- « visti dail’art. 18. »

Art. 5. Questo articolo è così concepito : « Chiun-

« que esercita la pesca di fiume o di lago dovrà

« farne la dichiarazione al Sindaco del proprio co- « mune nei termini e nei modi prescritti dai rego- « lamenti. »

L’on. Mussi in luogo delle parole « esercita la la pesca » vorrebbe sostituire « esercita la pro­ fessione della pesca, » non sembrandogli ragione­ vole che uno che fa qualche atto di pesca debba ricorrere al Sindaco a fare la dichiarazione ; bastando limitare quest’obbligo a quelli che fanno della pesca la loro professione abituale, molto più, come osservava l’on. Maldini, che l’art. 25 stabilisce una muffa per quelli che non fanno la dichiarazione al Sindaco. Ed in Francia, ove la pesca non è lìbera come da noi, pure è permessa la pesca colla canna a mano ; men­ tre parrebbe che in Italia non si potessse neanche in tal modo pescare senza la dichiarazione avanti al Sindaco. Inoltre tornava ad osservare Fon. Mussi che s’imporrebbe un immenso lavoro ai Comuni, i quali sarebbero oppressi da una infinità di domande, perehèa buon conto chi vorrà trarre dall’acqua anche un gambero dovrà raccogliere un gambero legale. Questa disposizione del resto non è che per la statisti­ ca, ma per questa è necessario che siano notati solo i veri pescatori, non quelli che tali non sono.

Dopo alcune osservazioni in contrario di altri ora­ tori, la Camera approva l’emendamento Mussi po­

nendo le frasi : « Chiunque esercita abitualmente la

pesca. » E con ciò la Camera rese omaggio ad un giusto principio che altrove avevamo segnalato (1).

Approva parimente la proposta dell’onor. Specia­ le , consistente nel sopprimere il comma dell’art. 5 che è così concepito : « Nulla è innovato alle leggi

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sulla marina mercantile rispetto alle licenze pei pe­ scatori di mare. »

Tale soppressione vien fatta perchè è ritenuto su­ perfluo tale alinea, mentre è certo anche per l’art. 1. della legge che rimangono inalterate le disposizioni del codice della marina mercantile.

Art. 9, 10 ed 11. Su questi articoli Fon. Consiglio notava come alcune prescrizioni di essi fossero con­ trarie all’ agricoltura ed all’ industria. Per essi, quando si vuol fare una presa di acqua o costruire un mu­ lino bisogna ricorrere al capitano del Porto od al Prefetto, che debbono interrogare la Deputazione Pro­ vinciale o la Giunta Compartimentale, oppure^ come dice l’ emendamento della Commissione, la cosa è rimessa direttamente per la decisione alla Deputa­ zione o alla Giunta.

Aggiungeva Fon. Mussi che coi citati articoli, per tutelare l’interesse minore della pesca, si disturbavano gli interessi della industria e della agricoltura, sacri­ ficando il più al meno. Ci sono dei canali navigabili e dei canali irrigui. Per pochi pesci che ivi si trovino vorrete intralciare il lavoro della manifattura che sentirà bisogno di frenare quelle acque per avere una maggior forza motrice? Si può rispondere che per cotesti casi si dovrà ricorrere all’ autorità, la quale darà il consenso per fare la chiusa, e per tutte le altre cose.

Ma per così poco si dovranno « scomodare tutti i giorni questi grandi astri del mondo ufficiale? » Uno dei maggiori incagli alla attiviti italiana è ap­ punto questa complicazione continua di ordinamento che intralcia tutto. Se non si semplifica la cosa si dirà che il Parlamento fa delle leggi che pratica- mente ci legan le mani. Bisognerà aspettare dei mesi prima che il Prefetto si degni di permettervi di ada­ cquare il vostro prato.

Dopo alcune osservazioni di altri oratori, gli emen­ damenti su questi articoli vengono rinviati all’ indo­ mani.

Nella tornata del 15 marzo l’ on. Di Sambuy fa osservare che invece di indicare i laghi e i fiumi, come avrebbe voluto Fon. Mussi, a cui si sarebbero dovuti aggiungere i torrenti, si era pensato invece di aggiungere al secondo alinea del l’art. 9 dopo le parole « i corsi di acqua » le seguenti : « eccettuati quelli unicamente (e poi, esclusivamente) riservati alla irrigazione. » L’ articolo 9 viene approvato con questa modificazione.

Tiene quindi approvato tal quale l’ art. 10, e l’ art. 11 viene parimente approvato, salvando dalle disposizioni di esso le acque destinate alla irrigazione come nello articolo 9.

Art. 12. Questo articolo tratta della estensione alle acque di proprietà privata dei divieti ittiologici.

L’ on. Sambuy a nome della Commissione dichiara che quest’ articolo sulla proposta dell’ on. Indelli,

viene così emendato. « I regolamenti indicheranno quali degli Art. 4, 5, 6, 8, 9, 10, 11 potranno, sen­ titi gl' interessati, essere applicati in tutto o in parte a quelle acque di proprietà privata, ecc. » L’ emen­ damento sta nell’ aggiunta delle parole in corsivo.

L’ on. Spantigati dichiara di non potersi appagare, di questo emendamento e dice che questo articolo arreca troppo gravi restrizioni alle ragioni della pri­ vata proprietà. » Yien dato all’ autorità amministra­ tiva, col rendere applicabile alle acque private gli art. 9 e 11, la facoltà d’impedire nell’ interesse della piscicoltura che il proprietario di un corso di acqua faccia attraverso il medesimo opere che servono ad uso industriale, che estirpi erbe acquatiche e muti od alteri il fondo delle acque anche per uso industriale. Non posso alterare, il corso di acqua per dare più movimento al mio opifizio, senza il permesso del­ l’ autorità amministrativa, la quale, sebbene mi debba sentire, potrebbe negarmelo.

L’ on. Di Sambuy dichiara doversi distinguere tra acque e acque di proprietà privata « Vi sono acque private che giacciono nei fondi di un solo proprie­ tario, come ve ne sono di proprietà comune spe­ cialmente pel diritto di pesca, e ciò si osserva anche più nelle acque correnti. »

Concede all’ on. Spantigati che non si debba accor­ dare nessuna ingerenza dell’ autorità sulle acque delle sue terre, ma la legge deve curare gli interessi di altri che avessero comune con lui la proprietà delle acque o della pesca, molto più poi che queste dispo­ sizioni sono poste per la riproduzione del pesce, in una parola nello interesse della piscicoltura.

Dopo una replica dell’onorevole Spantigati, l’ono­ revole Brunetti difende l’articolo e l’operato della Commissione.

Ecco quello che soggiungeva l’on. Spantigati. Un possessore di un corso di acqua che darà movimento ad un mulino, ad un setificio, ad un opificio qua­ lunque, se avrà bisogno di modificare il fondo di questo corso di acqua per rendere più potente e più efficace la forza motrice, sarà obbligato a ricorrere all’ autorità amministrativa.

Si consideri il tempo prezioso perduto per aspettare che l’ autorità amministrativa abbia risposto alla do­ manda, e il fatto che F autorità neghi la licenza. Ma, dice Fon. Brunetti, si potrà ricorrere all’ autorità giu­ diziaria: questo chi lo sa. Intanto si dà balìa all’ au­ torità amministrativa di fare restrizioni sulla proprietà privata. Il pesce è piccolissima cosa, e ad esso non va sagrificata la proprietà privata e le altre indu­

strie.

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20 asosto 1876 L’ E C O N O M IS T A 233

un proprietario suole praticare quasi annualmente, ora in un sito, ora in un altro, opere sull’alveo dei canali secondarii per la derivazione di acqua da ir­ rigare i poderi circostanti. Sarebbe assai gravoso per i propretari, molto più che talvolta queste opere hanno un carattere provvisorio, se dovessero ogni volta chiedere la licenza dal Prefetto.

Anche l’on. Mancini appoggiava la proposta Span- tigati ed osservava come devesi aver riguardo alla in­ terpretazione ufficiale data in Francia all’art. 24 della legge del 15 aprile 1829 che corrisponde all’art. 9 della legge attuale.

« In quell’ articolo parimente è interdetto di col­ locare nei fiumi navigabili e non navigabili, canali, torrenti e ruscelli, qualunque diga, che è qualche cosa di più di una semplice pescaia o di apparecchi aventi per oggetto d’impedire totalmente il passaggio del pesce. Ora sebbene questo articolo sia concepito in modo da poter governare tutti indistintamente i corsi di acqua, pure è stato sempre dichiarato e ri­ conosciuto che le sue disposizioni non si estendono ai corsi di acqua di proprietà privata, i quali, secondo l’odierna legislazione, si sa come siano pochi, e spe­ cialmente non si applicano a quelle acque che hanno la sorgente e corrono in fondi di proprietà private. In questo caso il proprietario ha la facoltà di fare nelle sue acque liberamente i lavori e per quel tempo

che a lui meglio convenga.

« Ciò è ammesso da parecchi scrittori citati dal Davul nel suo trattato Delle Irrigazioni; lo ripete il Dalloz nel suo repertorio. Ma vi è di più. Nella Ca­ mera dei Pari di Francia allorché discutevasi la legge testé indicata, intervenne come commissario del re il signor De Bouthillier, che era il direttore generale delle foreste e delle acque incaricato ap­ punto di sopraintendere a questo ramo di pubblico servizio. Egli interrogato dal Pari Belliard, nella se­ duta del 7 aprile di quell’anno, rispondeva: « Un ruscello che prende nascimento in una proprietà pri­ vata, non può divenire che nell’uscita da fondi pri­ vali proprietà pubblica. La parte superiore di questo corso di acqua, che si trovasse intercettato da una diga, sembrerebbe perciò dovérsi assimilare ad un canale, di cui il proprietario avesse la libera dispo­ sizione.

« Da quell’epoca fu riguardata cotesta come una interpetrazione ufficiale del testo ora citato. »

Aggiunge che il nostro articolo 9 è più severo delle disposizioni in proposito della legge francese.

L’onor. Sambuy fa notare che l’onor. Di Masino si è preoccupato di un interesse agricolo compieta- mente guarentito dagli emendamenti notati, non estendendosi gli articoli 9 ed 11 ai canali di irri­ gazione.

L’onor. ministro dà le ragioni per le quali sa­ rebbe data facoltà dall’articolo 12 di estendere gli

articoli 9 e 11 alle acque private. Perchè la scienza e l’esperienza insegnano che i pesci di acqua dolce per depositare le loro uova e fecondarle risalgono e rimontano i confluenti (privati) dei fiumi e dei laghi; ed anche i pesci di mare nella prima età frequentano i bacini ed i canali, che s internano entro le spiaggie. Quindi la necessità per la con­ servazione e riproduzione della specie dei pesci di stendere alle acque private alcuni divieti ittiologici-.

Ma poi essendo l’emendamento Spantigati accet­ tato dal ministro, ed essendo remissiva la Commis­ sione, viene dalla Camera approvato, e cosi vien tolto nell’art. 12 il richiamo degli articoli 9 e 11.

Art. 18. Quest’articolo viene emendato dalla Com­ missione ed approvato dalla Camera nel modo se­ guente :

« Il ministro di agricoltura, industria e commercio stabilirà le norme generali per la compilazione dei

regolamenti sulle basi della presente legge.

« Ogni Consiglio provinciale, intese le Camere di

commercio sopra queste basi, proporrà il regolamento per la rispettiva provincia colle particolari disposi­ zioni che stimerà convenienti. »

Le parole scritte in corsivo accennano gli emenda­

menti. Nel primo comma in luogo di dire in esecu-

zionej si è detto sulle basi. Nel secondo comma si

sono aggiunte le frasi « Intese le Camere d i com­

mercio. »

Art. 19. Sull’ar. 19 l’on. Maldini ottenne che i mem­ bri delle Giunte compartimentali debbano essere ogni 2 anni rinnovati o confermati. Esse Giunte sono compo­ ste del capitano del porto e di due membri nominati dal Consiglio provinciale. Sulla istituzione della Giunta centrale per la pesca, l’onorevole ministro ripetè le parole da lui dette nella relazione alla Camera che cioè era opportuno rimanesse in facoltà del Governo l’ istituirla o no e che era molto probabile che se ne riconoscesse l’opportunità, se non la necessità, ma che per ora non poteva dir altro.

Art. 22. Su questo articolo l’onorevole Consiglio vorrebbe che i Comuni e le Provincie per fare rispet­ tare le leggi e i regolamenti sulla pesca si servissero dei loro agenti ordinari, senza andare ad istituire ap­ posite guardie-pesca.

Firenze, li 9 agosto 1876.

Avv. Carlo Ga ttesc h i.

STATISTICA DELLA FRANCIA

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Assem-blea il dì 9 giugno il suo messaggio dittatorio, ven­ nero alla luce due scritti, i quali dovevano fortemente attrarre l’ attenzione del politico e dello statista; vogliamo dire la relazione statistica del Governo sul censimento nell’ anno 1872, (1) e il pregevole lavoro critico sulla medesima del Randot. (2)

In trancia, coni’ è noto, il censimento si fa rego­ larmente ogni cinque anni. Tuttavia nell’ ultima oc­ casione, la guerra e i torbidi che ne seguirono, interruppero l’abituale andamento di queste ricerche, e passò un intervallo di sei anni fra il censimento del 1866 e quello del 1872. Chi si vuol dar la pena di leggere l’articolo « popolazione » nella duodecima edizione del « Lexicon della Conversazione di Brock- haus » troverà che l’autore di quello dai censimenti anteriori e dall’ultimo in Francia non ha dedotto le più favorevoli conclusioni relativamente allo stato sociale di quel paese. E non poteva per esso essere altrimenti; perocché è contrario a tutte le esperienze e a tutti i calcoli, che una laboriosa nazione, la quale abita un territorio fertile e per nulla sovraccarico di popolazione, debba aumentare più lentamente di qual­ siasi altro popolo d’Europa; che l’annua leva militare debba essere sì considerevole da influire sul naturale rapporto delle nascite e dei matrimonj ; e che, men­ tre la popolazione delle campagne in parecchi dipar­ timenti non solamente non cresce, ma anzi piuttosto scema, una corrente d’ immigrazione debba versarsi dai distretti provinciali nelle grandi città, la popola­ zione delle quali aumenta continuamente a spese della campagna. Questi fatti all’autore dell’articolo succitato ed agli scritti di francesi, dai quali furono diligentemente esaminati ed imparzialmente discussi, sembrano indicare il sintomo d’uno stato sociale in­ fermo, e relazioni ulteriori hanno dimostrato, che questi giudizj non erano esagerati.

Egli è ben noto che la economia, la parsimonia ed il lento aumentare della popolazione francese sono stati per lungo tempo citati dagli Economisti della scuola M altusiana, e segnatamente da John Stuart Mili, come un esempio, che sia sommamente favo­ revole alla felicità, al benessere, e noi aggiungiamo di più, alla moralità dell’ umanità. Non è di molto che la « sovrabbondanza di popolazione » era il pau­ roso fantasma degli Economisti e degli uomini di Stato, e che si opinava dovervisi ovviare a qualun­ que costo; e senza dubbio i timori di Malthus non sarebbero affatto vani, se « tutto rimanesse nel me­ desimo stato » mentre che la popolazione crescesse. Ma le cose non rimangon sempre le medesime. I

(1) « S ta tis tiq u e de la France. R é su lta ts généraux du dénom brem ent 1872 » (P a ris 1874).

(2) « Recensem ents de la population de la F rance » (Paris 1874).

miglioramenti introdotti nella agricoltura, l’impiego di capitali e di macchine anche su piccoli territori, hanno dimostrato la possibilità di mantenere sugli stessi un grande aumento di popolazione; l’emigra­ zione a nuove regioni opera fino a un certo punto lo scarico del soverchio della popolazione; e in verità sembra che al benefico aumento della popolazione possa appena esser fissato un limite, finché le sorgenti di produzione del paese crescono in pari misura^ D ’altra parte però si può supporre, che là dove la popolazione su fertile suolo decresce, le sorgenti di produzione del paese, che in se comprendono tutti gli elementi della sua prosperità e forza, non vadan crescendo. Chiunque abbia qualche cognizione dei proventi naturali della Francia, sa che quel paese potrebbe con suo gran vantaggio nutrire una popo­ lazione molto più numerosa. L’agricoltura vi ha ancor molto bisogno di perfezionamento. La grande divi­ sione del suolo fra contadini di scarsi mezzi non è favorevole all’alta agricoltura, e la popolazione agricola si sforza piuttosto di render tollerabili le sue condi­ zioni presenti, che di migliorarle.

Se queste considerazioui si affacciano per se stesse quando si dia una occhiata generale allo stato della Francia, il Censimento del 1872 ha un diritto af­ fatto speciale all’attenzione del politico e dell’uomo di Stato ; esso ci mostra cogli inconfutabili argomenti dell’aritmetica gli effetti della grande rivoluzione che la Nazione francese ha compiuta dal 1866 al 72: esso ci ammaestra intorno al rea] dispendio di vite che la Francia ebbe a fare nella guerra contro il suo vicino, e nella guerra civile, e mostra che gli effetti di questa calamità nel ristagno dell’aumento naturale della popolazione son vie più grandi e malefici che le perdite cagionate dalla guerra e da’ morbi ecce­ zionali. Questi fatti sono in verità straordinariamente caratteristici, e quantunque numeri e calcoli statistici tornino ordinariamente poco piacevoli ai lettori, tut­ tavia una corsa per le diverse rubriche del Censi­ mento ci rivela una quantità di fatti maravigliosi ed attraenti.

Tutta quanta la popolazione della Francia a tempo del Censimento del 1866 ammontava, comprese le forze di terra e di mare in paese e fuori, a 3 8 ,192,081

anime; nell’anno 1872 era scesa a 36,102,921 il

che prova una diminuzione di 2,089,113. Dalla re­ lazione ministeriale frattanto sembra emergere che la popolazione dei territorj ceduti all’Impero tedesco, l’Alsaziae.la Lorena, ammontava a 1 ,397,238 anime, di guisa che l’effettiva diminuzione della popolazione del territorio francese è di 191.903 o in cifra tonda un mezzo milione di uomini in 6 anni, ossia 1,29 per cento della popolazione totale (1) Se la

(11)

20 agosto 1876 L’ E C O N O M I S T A 233

zione fosse cresciuta nella proporzione dei periodi precedenti fra il Censimento del 1861 e quello del 1866, accrescimento che ascese a 1 3 0 ,6 3 0 all’anno l’aumento totale in 6 anni sarebbe stato di 816,900. La differenza fra quello che sarebbe potuto essere anche a questa bassa quota d’aumento, e quello che è realmente, ascende a quasi 1,3 0 0 ,0 0 0 anime. Que­ ste cifre son ricavate della relazione ufficiale ; quelle di Randot sono anche più basse. Ciò non chiarisce frattanto compiutamente la condizione delle cose; im ­ perocché nel computo son compresi 1 2 6 ,213 Alsa­ ziani che optarono per la Francia, e di più 710,668 stranieri abitanti in Francia.

Oltre a ciò può esser qui osservato che la cifra degli stranieri residenti in Francia è cresciuto dal 1866 in poi di cirea8 3,000 nonostante la considerevole d i­ minuzione di 6 2,000 tedeschi, che prima vi risede­ vano ed ora non più. Gli Spagnuoli, dopo gli scon­ volgimenti del loro paese, sono cresciuti di circa 20,000. Gl’immigranti belgi ammontano non meno di 317,000, e gl*’ Inglesi a 26,000 ; e di questi i tre quarti appartengono al sesso femminile, il che vero­ similmente proviene dal mandar che si fa un gran numero di fanciulle inglesi a educare in Francia.

Il fatto della grande diminuzione della popolazione di Francia in generale in questi sei anui è confer­ mato da Randot anche in altro modo. Egli dimostra fra le altre, che la cifra delle mortalità fra il 1867 e il 1872 fu di 3,073,397, la cifra delle nascite al contrario ammontò soltanto a 4 ,7 0 4 ,8 1 7 , e portò così una differenza di 368,380.

È naturalissimo l’ammettere che questo enorme ed inaudito scemar di popolazione in Francia, quando altre nazioni, ugualmente o meno popolose hanno un aumento annuo di 230 ,0 0 0 anime, sia da attri­ buire alle perdite cagionate dalla guerra e dalla ri­ voluzione. Questa conclusione ciò non pertanto non dev’ esser dedotta troppo precipitatamente, per due speciali motivi.

Primieramente questa diminuzione di popolazione non è in niun modo limitata a quei dipartimenti della Francia che maggiormente soffersero della guerra. Il fatto è generale; solo in 13 dipartimenti sopra 86 avvenne un aumento, cioè nell’Allier, Avey- ron, Bouches du Rhòne (Marsiglia) Creuse, Gi- ronde (Bordeaux) Loira, Loira inferiore, Marna, Nord, Passo di Calais, Pirenei orientali (immigra­ zione spagnuola), Senna (Parigi). Nella capitale l’au­ mento fu di 5 3 ,436; e si noterà che la maggior parte dei 13 dipartimenti contengono grandi città

a l 70, la popolazione crescesse lentam ente nella stessa proporzione del precedente quinquennio. In ta l caso la dim inuzione degli anni seg u e n ti sarebbe anche p iù rapida e m aravigliosa.

che attirano a se la popolazione agricola della pro­ vincia. Questo è segnatamente il caso di Parigi, dove la perdita di vite, durante l’assedio e l'insur­ rezione della Comune, fu senza dubbio grandissima ; tuttavia il vuoto fu prestamente riempito da altre contrade. I dipartimenti Nord, Marna, Loira e Senna furono tutti devastati dalla guerra ed occupati dal nemico e con tutto ciò in alcuni di essi ci fu un certo aumento di popolazione. Negli altri 73 dipar­ timenti accadde l’opposto; in essi la diminuzione della popolazione è quasi generale. È singolare e degno di nota che i dipartimenti nei quali la dimi­ nuzione è più manifesta, sono fra le più prospere provincie agricole della Francia. Così, per esempio, il dipartimento della Manica perde 2 9 ,261, ossia 5, 17 della sua popolazione; l’ Eure 16,683, ossia 4, 24, l’Orna 16,733, ossia 4, 03, il Calvados 21,240, ossia 4, 48. Questi sono i più ricchi dipartimenti della Normandia, che furono lievemente toccati dalla guerra o da altri impreveduti accidenti. L’alta Saona (Borgogna) perde 14,426, ossia 4, 56 dei suoi abi­ tanti; la Dordoyna 22,308, ossia 4 ,4 9 ; la Sarta 17,081, ossia 3 ,6 9 . Questi dipartimenti son tutti molto fertili, contengono poche grandi città e non furono il teatro d’ importanti operazioni militari. — Trenta dipartimenti furono occupati dai soldati te­ deschi, ma 56 no. Di questi 56 dipartimenti 43 hanno avuto uno scemo di popolazione di 319,841, mentre 12 un aumento di 41,623. Dunque la per­ dila dei dipartimenti non colpiti dalla invasione ascendè a 268,218. Questi dipartimenti dunque hanno per lo meno perduto quanto quelli, nei quali la guerra e la rivoluzione infuriarono.

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