• Non ci sono risultati.

Rivista di storia economica. A.04 (1939) n.3, Settembre

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Rivista di storia economica. A.04 (1939) n.3, Settembre"

Copied!
74
0
0

Testo completo

(1)

diletta, da, Jluiçi Einaudi

Direzione: Vie Lamermora, 60 - Torino. Amministrazione: Giulio Einaudi editore, Via Arcivescovado, 7 • Torino — Abbonamento annuo per l'Italia L. 40. Estero L. 50. Un numero L. 12.

Anno IV - Numero 3 - Settembre 1939 - XVII

William Robert Scott : Alexander Wedderburn e la

teoria della rendila sino al 1777 ...Pag. 193

Agostino Lanzillo: Relazioni fra il Canlillon e il Galiani » 201

N O TE E RASSEGNE:

Mario Lamberti: Teorie dei cicli e problemi di metodo » 219

Luigi Einaudi: Finanza e politica nell'antichità . . . * 231

» » Del metodo nella storia delle dottrine 1 234

» » Sul paradosso della persistenza delle

classi indipendenti... 1 238

» » La terra è un edificio ed un artificio . » 241

R. B. : Appunti

Uniti? .

: Perchè molto oro affluisce negli Stali

» 246 REC ENSIO NI:

M. L. - L. E. - A. R. : su libri della Société Royale d' Ec.

poi. du Caire, di J. B. Clark, di John Graunt, di

P. Gribaudi e dell' U. I. L...» 248 TRA RIVISTE ED ARCHIVI :

(2)
(3)

mero delle pagine delle pubblicazioni periodiche, il presente numero

è rid otto da 96 a 64 pagine.

I due articoli di fondo sono relativi alla storia della scienza economica.

£ noto come una delle dottrine fondamentali dell’economia sia quella della

cosidetta « rendita ricardiana ». Oggi generalizzata e ridotta a varietà di un

genere assai più ampio, che si suol chiamare della concorrenza imperfetta,

quella teoria fu per lungo tempo attribuita al grande economista inglese Ri­

cardo (1817). Poi si vide che nel 1815 West e Malthus l’avevano quasi

contemporaneamente esposta. In seguito si scoperse che già nel 1777 un Dr.

Anderson l’aveva nettamente delineata. Ora il prof. Scott, il quale occupa

a Glasgow la cattedra che fu di Adamo Smith ed è dello Smith il maggior

biografo vivente, trae indietro, tra il 1755 ed il 1755, la data della prima

formulazione e ne dà il merito ad Alexander Wedderbtirn. Noi siamo assai

grati alto Scott per avere consentito ad offrire alla nostra rivista questa

primizia. Indagare le origini delle idee non è mera curiosità. Le idee na­

scono dalla collaborazione e dall’attrito di molte menti e via via si per­

fezionano. La formulazione del Wedderburn è sotto certi rispetti più grezza

di quella dell’Anderson; ma sotto altri — e specie per la connessione del

concetto della rendita con quelli del podere tipico e del costo di sostitu­

zione — va più innanzi del Ricardo medesimo.

Per l’indugio nel chiarire il valore del primo contributo offerto ai no­

stri lettori, siamo costretti a passar sopra al resto del fascicolo, che, nono­

stante la diminuzione del numero delle pagine, contiene ricca varietà di

ricerche e considerazioni.

/ , >

t

•1

(4)

I t M t o d e l f i ò à ttfi:

S T E F A N

T H .

P O S S O N Y

L’ E C O N O M I A

DELLA

GUERRA TOTALE

L. 20

« .... lo studio del Possony si fonda sulle più

autorevoli fonti conosciute sia nel campo

della scienza militare propriamente detta

come in quello della scienza economica, è

seriamente condotto, ed appare serenamente

obiettivo ».

Gen. A. Bollati, in « Echi e commenti ».

(5)

7

h M e **i ¿Mtt&njtótoiHei

C E S A R E .

A L I M E N T I

IL PETROLIO

NELL’ ECONOMIA MONDIALE

L. 15

« Il libro dell'Alimenti è utilissimo e do­

vrebbe essere letto attentamente da tutti

quelli i quali si ritengono autorizzati a par­

lare di problemi politici; è fatto con cura

e attenzione e completezza di documenta­

zioni; ed è — salvo errore — l’unico libro

italiano, così completo e aggiornato, su que­

sto essenziale argomento ».

« Critica fascista ».

D e i ntedeùm - autore :

LA QUESTIONE PETROLIFERA ITALIANA

(6)

TkóSiem ¿atU&nftóàanei

B R U N O

M I N O L E T T 1

I

P

O

R

T

I

F R A N C H I

L. 15

« .... libro che risponde pienamente agli sco­

pi cui è ispirato, sia dal punto di vista del­

l'esame dottrinario dell’istituto che da quel­

lo della pratica elencazione di dati, cifre e

problemi interessanti una vasta cerchia di

uomini d’affari.... Contiene, infine, una detta­

gliata descrizione dei porti franchi italiani e

di tutto il mondo ».

« Il Sole ».

(7)
(8)

r

olive'b'bi

studio 4 2

natile

.

¿i una macchina da uff

le

te „ * « « « > « ‘'• # c‘enM d

(9)

IL SISTEMA TRIBUTARIO ITALIANO

QUARTA EDIZIONE

L. 25

La quarta edizione di questo fortunatis­

simo libro, interamente aggiornata dall’au­

tore con la collaborazione di F. A. Rèpaci,

ha ottenuto negli ambienti più diversi un

successo immediato e vivissimo. Concepito

con somma chiarezza a causa delle esigenze

della scuola, questo manuale è ormai ricer­

cato da tutti coloro che debbono conoscere

e interpretare la legge fiscale.

G I U L I O E I N A U D I ,

E D I T O R E —

T O

/ \

/ '

R I N O

(10)

Alexander Wedderburn e la teoria

della rendita sino al 1777.

Una lettera recentemente scoperta chiarisce che Adamo Smith cono­

sceva perfettamente le Observations on the Means of exciting a Spirit of

National Industry, nelle quali James Anderson aveva esposto le prime linee

della teoria della rendita (l) ed è singolare che egli non abbia mai colto

l’occasione di una delle successive revisioni della Wealth of Nations per

perfezionare la sua discussione del problema della rendita, alla quale egli

non apportò così alcun cangiamento. La teoria esposta da Anderson nelle

Observations fu, in verità, grandemente ampliata e migliorata in un altro

suo scritto, pubblicato nel medesimo anno, e cioè nell’ Inquiry into the

Nature of the Corn Laws. Che le Observations siano state redatte prima

non v’ha dubbio, recando la prefazione la data del 18 marzo 1777, laddove

\ Inquiry è datata dal 15 dicembre dello stesso anno.

Anderson è considerato generalmente come lo scopritore della teoria

della rendita. Egli era stato preceduto, tuttavia, da un altro scozzese,

Alexander Wedderburn, il quale pubblicò nel 1776 un opuscolo, conte­

nente una esposizione dello stesso principio; ma la scoperta era da lui

stata fatta tra il 1753 ed il 1755. L’opuscolo intitolato An Essay upon

the Question what Proportion of the Produce of Arable Land ought to be

paid as Rent to the Landlord sembra non avere sinora richiamato l’atten­

zione di alcuno. La teoria della rendita vi è, sotto qualche rispetto, recata

(1) Cfr. Scott, Adam Smith as Student and Professor, pp. 282-3 [cfr. la recensione di quest'opera a p. 50 e segg. del quaderno del marzo 1938 della rivista. N . d. D .J.

193

(11)

sino al punto al quale Anderson la condusse poi nelle Observations, seb­

bene non sia cosi perfezionata come questi fece nell’ Inquiry. Da altri

punti di vista, l’analisi del Wedderburn andò tuttavia più a fondo che

nei due scritti di Anderson del 1777, più a fondo, anzi, che nei contributi

di tutti coloro i quali scrissero sulla rendita nella generazione seguente.

Poco si sa di Alexander Wedderburn. Poiché sul frontispizio egli

si dice « of St. Germains », ne possiamo dedurre che egli fosse un pro­

prietario terriero, o, meglio, quel che ih Scozia si dice « laird » [signore

di St. Germain], la parola « of » potendosi qui ritenere simile al tedesco

« von » od all’italiano « di ». St. Germains trovavasi nella parrocchia di

Tranent nell’ East Lothian, che è un distretto a mezzogiorno di Edinburgo

e la migliore zona cerealicola della Scozia. Gli Ospedalieri avevano un

tempo una casa a St. Germains.

Poco altro si sa di lui. Il suo opuscolo dimostra che egli conosceva

a fondo il sistema di coltivazione usato nei Lothians, dove la produzione

dei cereali, e particolarmente del frumento, aveva gran rilievo. Egli non

pretende di essere ugualmente versato nei sistemi culturali prevalenti nelle

altre regioni del paese, nelle quali, per l’indole del suolo o per le condi­

zioni climatiche, non era possibile coltivare il frumento.

È probabile che Alessandro fosse rampollo di qualche ramo colla­

terale della famiglia dei Wedderburn of Wedderburn, la quale aveva dato

alla Gran Bretagna ammiragli, generali, giudici, governatori coloniali e

ministri della corona. Uno di essi, anch’egli chiamato Alexander Wed­

derburn, scolaro ed amico di Adamo Smith, divenne Lord Cancelliere. Ere­

ditari nella famiglia erano due titoli di conte, di Rosslyn e di Marchmont

(questo per linea femminile) e due di baronetto.

Il « saggio » di Wedderburn, come egli stesso spiega, nacque da un

quesito messo innanzi nel 1753 in quella che egli chiama « thè Society »

di Edinburgo (2) intorno alla « proporzione del prodotto dei terreni aratori

la quale dovrebbe essere assegnata a titolo di rendita (fitto) al proprie­

tario ». Egli studiò subito il problema, istituendo numerosi calcoli. Però

tenne per sé le conclusioni raggiunte, nella speranza che qualcuno dei

proprietari terrieri, reputati per la avveduta amministrazione delle loro

(2) N on è certo a quale società W . si riferisca. Per parecchie ragioni pare tuttavia trat­ tarsi della « Select Society » alla quale appartenevano molti dei principali proprietari terrieri. N e erano, fuor di costoro, soci David Hume ed Adam Smith. Ma la data indicata da W . sembra rimontare troppo indietro. Può darsi che egli abbia antidatato l'annuncio del quesito di un paio d'anni.

(12)

ALEXANDER WEDDERBURN E LA TEORIA DELLA RENDITA SINO AL 1777 195

tenute, avrebbe trovato la soluzione di « questa parte misteriosa della loro

professione ». Niente invece venne in luce; sicché circa vent’anni dopo, egli

si decise a rivedere ,per la stampa le sue note originali, aggiungendo al­

cune pagine per aggiornare il « saggio ». £ agevole distinguere la ma­

teria originale da quella aggiunta. L’analisi dello scritto dimostra che l’au­

tore non apportò alcun mutamento sostanziale alle pagine da tempo redatte.

Quantunque egli pigli le mosse dal principio delle « tre rendite »,

il Wedderburn non è lungi dal far sua la sentenza di « errore oramai

superato » che ne diede poi Arturo Young. Nella sua prima formulazione

il principio diceva che il prodotto della terra era divisibile in tre parti o

rendite (Rent) uguali, la prima destinata a coprire le spese di coltivazione,

la seconda a remunerare il fittaiolo (farmer) e la terza a compensare il

proprietario del fondo. Wedderburn si indugia a dimostrare che la divi­

sione in parti uguali, supposta una qualunque rotazione di culture, è sin­

golarità propria esclusivamente di una data specie di terreni. Egli non

attribuiva dunque alcuna importanza alla teoria, considerandola priva di

contenuto. Ma egli l’aveva trovata prevalente all’epoca nella quale aveva

iniziato le sue ricerche; ed era quindi doveroso per lui prenderla in esame.

Wedderburn, del pari come l’Anderson delle Observattons, considera

la rendita come un premio pagato per ottenere l’accesso ai terreni più

fertili, premio calcolato sulla base della relativa eccedenza di prodotto di

ciascuno di essi. Egli insiste sulla circostanza che il prodotto varia in

funzione dello schema adottato per la rotazione delle culture; e la sua

argomentazione si fonda sovratutto sulla rotazione usata nel particolare

distretto dei Lothian. Se, in queste condizioni, noi classifichiamo i terreni

a seconda della quantità del loro prodotto, ad ogni incremento nella quantità

medesima corrisponde una uguale aggiunta alla rendita del proprietario.

Come si noterà in seguito, vi era qualche incertezza intorno al punto a

cui la rendita incominciava. Avendo fermo in mente un concetto assai

preciso di quello che era il podere tipico o rappresentativo nei Lothians,

l’a. voleva tuttavia giungere a risultati concreti. Per lui il podere tipico era

di 120 acri scozzesi, equivalenti a 153 acri statutari inglesi, approssima­

tivamente 61 ettari; tipico perchè bastevole al mantenimento di una fa­

miglia ed insieme dei giornalieri necessari alla coltivazione.

(13)

calcolare la rendita sulla base di un raccolto solo. Egli perciò costrusse

una specie di indice « composto » o « ponderato » in termini di cereali

per il prodotto del suo podere tipico, così da poter ridurre ad unità il

prodotto di differenti cereali. Qui fa d’uopo discutere un punto particolare.

Quando il « saggio » fu scritto, era uso nella Scozia calcolare il prodotto

della terra in « bolls » per acre invece che nei noti « bushels » per acre.

Nei Lothians il boli era uguale a 4 bushels (3). Nel podere tipico si

assegnano 20 acri ciascuno al frumento, con un prodotto di 8 bolls, ai le­

gumi, con 3 bolls, all’orzo con 6J bolls, all’avena con 4J bolls, sempre

per ogni acre scozzese. Su questo podere, data la rotazione indicata, la

media dei cereali prodotti è di 5 J bolls; cosicché la terra in discorso

può essere detta « la terra dei 5 £ bolls ». Wedderburn, a quanto sembra,

partì, come da una premessa, dall’ipotesi di questo tipo di terra, perchè

essa casualmente si adattava al principio popolare delle tre rendite, il suo

prodotto essendo precisamente bastevole a fornire uguali ammontari di

rendita al proprietario, di compenso al fittaiolo e di copertura delle spese

di coltivazione.

Allo scopo di elaborare l’ipotesi e di convertire altresì la rendita-

prodotto in rendita-moneta l’a. studia accuratamente la tendenza dei prezzi

dei cereali e dei costi di coltivazione. L’indagine va più in là dello scritto

di Anderson sulla rendita. Per quanto tocca i prezzi, furono accertati quelli

dei ventun anni anteriori al 1754, supponendosi che i terreni agricoli

fossero affittati per periodi di ugual durata e che in media i prezzi dei

principali prodotti non sarebbero stati nei susseguenti ventun anni apprez­

zabilmente diversi da quelli correnti nell’ugual periodo precedente al 1754.

I calcoli avevano il pregio di consentire un comune criterio di misura per le

differenti specie di cereali, così da poter passare dalla rendita-prodotto

alla rendita calcolata in moneta. L’a. conclude che, in siffatta ipotesi, nel

podere tipico, quello cioè composto di terreni di 5 \ bolls, la rendita

in cereali ammontava ad 1,83 bolls; od in termini monetari a 16 scellini 8 da­

nari per acre scozzese.

(3) G. Buchanan, Tables for converting Weighls and Measurcs, 1829, p. 17. II pro­ dotto per ogni acre statutario sembra alto per l'epoca; occorre però ricordare che il punto di vista di W edderburn l’aveva condotto a cominciare da terreni molto fertili, sebbene non i più fertili.

[Perchè il lettore italiano possa mentalmente tradurre, sia pure con larghissima ap­ prossimazione, queste unità di misura scozzesi in quelle italiane corrispondenti, si può sup­ porre che il boli scozzese equivalesse per il frumento a circa 109 chilogrammi e l'acre scoz­ zese a mezzo ettaro. Per i cereali minori il peso in chilogrammi del boli deve ridursi in rela­ zione al minor peso specifico di ogni cereale. N . d. D .].

(14)

ALEXANDER W’EDDERBURN E LA TEORIA DELLA RENDITA SINO AL 1777 197

L’indagine prosegue per mezzo di tabelle nelle quali il prodotto pet

acre scozzese aumenta, sempre nella fatta ipotesi, per gradini di Vi di boli.

Tutto l’aumento, essendo dovuto alla maggiore fertilità del suolo, è devo­

luto ad incremento della rendita del proprietario. Il coltivatore (fittaiolo)

non ha giusto titolo a far suo parte dell’aumento, perchè, come il Wed-

derburn si esprime, l’aumento stesso « nasce dalla fertilità del suolo, e

non aggiunge nulla alle spese di coltivazione nè alle esigenze della vita

del fittaiolo, epperciò egli non vi ha giusto diritto ». Qui è posto chiara­

mente il principio fondamentale della rendita.

L’argomentazione non è ugualmente perfetta quando essa è continuata

non dai 5 J bolls per acre in sù, ma all’ingiù, sotto quel livello. Movendo

dai principii già formulati, erano in pronto i dati per calcolare tutti i costi

di produzione nel podere tipico e parrebbe perciò ovvio che l’indagine

dovesse essere perseguita aggiustatamente, partendo dai « terreni senza

rendite » e proseguendo per successivi scalini sino a raggiungere la « terra

dai 5 i bolls » della prima tabella. Qui bisogna andare assai guardinghi

se si vuol penetrare il fondo del pensiero di Wedderburn. Sarebbe troppo

facile sciogliere il punto col dire che egli, in qualità di proprietario, non

poteva porre l’ipotesi della « terra senza rendita » ; sebbene a favore di

questa interpretazione si possa citare una frase buttata là per dichiarare

impensabile che « il proprietario possa, a guisa di mendico, rimanere privo

di qualsiasi rendita » (4). Lo studio attento del saggio, considerato nel suo

insieme, dimostra che egli ha in mente un pensiero più profondo. Il « sag­

gio » si limita, come è detto nello stesso titolo, alle terre arabili. La Scozia,

però, possiede una superficie relativamente limitata nella quale i cereali

siano coltivabili, a scopo di vendita, con qualche probabilità di profitto.

Una terra che, coltivata a cereali, fruttasse soltanto 3V4 bolls per acre

pagherebbe a malapena le spese. I terreni, osserva l’autore, che non pos­

sono essere coltivati con profitto a cereali destinati alla vendita, possono

invece essere utilizzati per il pascolo del bestiame e delle pecore. Calcoli

appropriati di costi e di rendite in siffatti casi sono offerti al lettore. Poiché,

tuttavia, il Wedderburn dichiara candidamente di non avere personale

dimestichezza con questo tipo di agricoltura, non si può far grande affida­

mento sui risultati da lui ottenuti intorno a questo aspetto del problema.

(15)

I dati e le argomenta2Ìoni fin qui riassunti sono cavati dalla parte

originale del « Saggio ». Quando il manoscritto fu riveduto per la pub­

blicazione, parecchie pagine furono aggiunte. La. spiega che i calcoli del

primo periodo possono facilmente essere modificati tenendo conto dei mu­

tamenti accaduti nel frattempo, nei ventun anni oramai trascorsi dalla prima

stesura dello scritto. Wedderburn, si vede, riconosce di essersi sbagliato

facendo l’ipotesi che i prezzi ed

i

costi agricoli potessero rimanere stabili.

Avanzando negli anni, era divenuto meno ottimista. I prezzi erano cre­

sciuti; ed egli aveva assistito ad un grande aumento del debito pubblico.

In conclusione egli dice: «ci si inganna facendo a fidanza su rendite in

denaro per terre arabili o per poderi; il giusto livello di esse è, se così

può dirsi, in stato di vibrazione» (5). Era un nuovo aspetto del problema,

il quale non implicava tanto la necessità di una modificazione del prin­

cipio quanto di tener conto di difficoltà nella sua applicazione. La rota­

zione delle culture è in correlazione necessaria con una certa durata nel

tempo della locazione dei terreni. Data la quale, ogni mutazione di prezzi

verificatasi durante il suo corso influiva nel tempo stesso sia sul valore

monetario del prodotto-sovrappiù dei terreni, sia sulle spese di coltivazione.

II principio fondamentale della rendita posto dall’a. vent’anni prima

poteva essere applicato in modo da adattarsi alle mutate circostanze? L’eco­

nomia monetaria era ormai radicata troppo fermamente perchè fosse pos­

sibile fissare, per tutto il corso della locazione di terre arative, la rendita

sulla base di un pagamento in natura da parte del fittaiolo al proprietario

della quota del prodotto eccedente quello richiesto a compensare le spese

di coltivazione come sopra definite. Tuttavia, se i prezzi in media variano,

durante la locazione, in confronto a quelli vigenti al suo inizio, era ine­

vitabile si verificasse una qualche ingiustizia a danno dell’una o dell’altra

parte contraente. A fronteggiare la nuova situazione, Wedderburn propone

che il fitto convenuto sia pagato per un terzo in danaro, per un terzo in

frumento (6) e per un terzo in orzo. Le quantità dei cereali da pagare

dovevano essere calcolate nel modo seguente. Nella Scozia la proprietà

fondiaria era gravata, fra l’altro, dall’onere della decima o, come ivi chia-

mavasi, « tiend », che in origine era una quota determinata del prodotto

della terra consacrata al mantenimento dell’ente ecclesiastico. Nel medio

evo il contributo era pagato in natura; ma, col progredire della economia

(5) Essay, p. 32.

(6) Sulle tene inferiori l'avena poteva essere sostituita al frumento.

//>

f I

(16)

ALEXANDER WEDDERBURN E LA TEORIA DEI.LA RENDITA SINO AL 1777 199

monetaria, dovettero trovarsi espedienti per convertire i cereali nel loro

equivalente in moneta. Per eliminare controversie, invalse l'uso di far

determinare il valore della quota del prodotto dovuto alla Chiesa da

periti incaricati di accertare il prezzo medio dei prodotti in ogni distretto.

I proprietari, invece di consegnare il prodotto effettivo, dovevano pagare

l’importo che sarebbe stato ricavato da quel prodotto, se lo si fosse venduto

ai prezzi accertati dai periti. Questi prezzi erano detti « fiars prices ».

Nel nuovo schema, Wedderburn applicava la sua teoria della rendita

nel seguente modo. Il fitto o rendita doveva essere accertato come prima

nel suo complesso. Poscia si dovevano valutare le quote da pagarsi in

contanti, in frumento ed in orzo sulla base dei prezzi stabiliti per le de­

cime ecclesiastiche (fiars prices) nel momento di inizio della locazione.

Se, durante il corso della locazione, il valore del frumento e dell'orzo

mutava, le quantità rispettivamente fissate nel contratto avrebbero dovuto

essere convertite in danaro sulla base dei prezzi fiars dell'anno corrente.

La quantità di cereali corrispondente alla rendita stabilita nel contratto

sarebbe in tal modo rimasta invariata; ma il pagamento in denaro sarebbe

stato soggetto a variazione in funzione delle variazioni dei prezzi; il cri­

terio per calcolare l’ampiezza delle variazioni essendo automaticamente

dato dai prezzi fiars.

(17)

chiaramente dichiarato il metodo di coltivazione, e cioè la rotazione delle

culture, usato sul luogo.

Due punti di secondaria importanza meritano di essere ricordati. Nel

suo podere tipico arativo, solo due terzi sono coltivati ogni anno a cereali;

tuttavia la rendita-prodotto è calcolata sulla base della superficie totale.

11 rimanente terzo della superficie sembra — almeno questa è la spiega­

zione più ovvia — fosse destinato al pascolo od alla fienagione per i cavalli

e per l’altro bestiame del podere, con riduzione così delle spese di colti­

vazione. Non vi è, inoltre, secondo punto, alcuna menzione di un qualsiasi

capitale impiegato dal proprietario nella coltivazione del podere. O quel

capitolo è stato omesso ovvero, più probabilmente, esso non aveva impor­

tanza siffatta da meritare di essere tenuto in considerazione.

\V .

R.

Sc o t t.

(18)

1959-Relazioni fra il Cantillon e il Galiani.

1

1. Cantillon e la sua importanza. — 2. L’opera nel suo complesso. —

3. Principali teorie economiche in Cantillon. — 4. Ferdinando Galiani.

L’uomo e il tempo. — 5. La moneta e il valore. — 6. Scarsa influenza

di Galiani sugli economisti venuti dopo di lui.

1. Ca n t i l l o n e l a s u a i m p o r t a n z a.

— Lo studio, sempre vivo e

suggestivo, del formarsi della scienza economica, prima di A. Smith, porta

ad incontrare due figure di economisti che pur diversi in molti aspetti e

lontani nelle origini e nella vita hanno una importanza concorrente e re­

lazioni logiche molto forti: Cantillon e Galiani.

Per quanto le notizie su Riccardo Cantillon siano poche e non sicure,

si può ritenere certo che egli sia vissuto nella prima metà del secolo XVIII.

Pare sia nato fra il 1680 e il 1685 da famiglia irlandese: pare che sia

vissuto a lungo in Francia dove abbia avuto modo di accumulare una

notevole fortuna come uomo di affari e finanziere, specie nel fortunoso

periodo deH’inflazionismo di Law (l).

L’opera che ha dato postuma rinomanza al Cantillon è il famoso

Essai sur la nature du commerce en général del quale la prima edizione

venne pubblicata, pare senza indicazione del nome dell’autore, nel 1755.

L’autore, morto assassinato da un suo servo, fin dal 1734, non conobbe

(1) I rapporti fra Law e Cantillon furono molto diretti. Quando Law fece la sua grande speculazione al rialzo, Cantillon, che possedeva una banca a Parigi, giuncò anch'egli al rialzo sulle azioni della Banca e delle Compagnie di Law. Ma sentì in tempo la line della parabola ascendente e vendette le azioni quando erano al più alto livello, realizzando enormi guadagni, mentre il Law si rovinava.

(19)

l'iniziale successo del suo libro. Dal 1756 al 1776, nel periodo di maggior

fulgore della scuola fisiocratica il nome di Cantillon e del suo scritto si

va diffondendo fra i più autorevoli fisiocrati.

Egli è largamente utilizzato da Mirabeau padre, citato dal Turgot,

da Dupont de Nemours e da altri minori. Ma la notorietà del Cantillon

non ha alcun confronto con la grandissima fama cui pochi anni dopo

doveva salire lo Smith. Forse è la diffusione della opera dello Smith che

sminuisce — nel loro tempo — la fama del Cantillon e impedisce, per

quasi un secolo, che gli venga resa giustizia.

È solo infatti nel 1860-1870 che il nome di Cantillon acquista piena

cittadinanza nel mondo degli economisti. Ciò è dovuto al Jevons: questi

nel 1881 pubblica un articolo su Ricardo Cantillon e la nazionalità della

scienza economica nella « Conteníporary Revue » e in esso rivendica defi­

nitivamente il posto che il Cantillon merita nella storia della scienza (2).

Oggi il Cantillon è ritenuto da tutti gli economisti come uno dei

fondatori della scienza, assai prossimo allo Smith, con il vantaggio di avere

prima di questi, tentato e con successo, una sistemazione scientifica del­

l’economia. Giustamente il saggio del Cantillon è qualificato dal Cannan

come una « pietra miliare ».

È certo che il saggio del Cantillon fu letto dallo Smith che lo cita

nella Ricchezza delle nazioni (3).

2.

L ’o pe r a n e l s u o c o m p l e s s o.

— Il miglior modo di dare un rag­

guaglio esatto dell’opera del Cantillon è di riportare un brano dell’arti­

colo del Jevons:

« Il libro.... è diviso in tre parti.... La prima parte è, in una certa misura, un’introduzione generale all’economia politica, che si inizia con una definizione di ricchezza e poi prende a discutere l’associazione del popolo in società, in villaggi, borghi, città e capitali; i salari del lavoro; la teoria del valore; l’equivalenza tra lavoro e terra; la dipendenza di tutte le classi dai proprietari fondiari; la m oltipli­ cazione della popolazione e l ’uso di oro e argento. La seconda parte affronta i temi : baratto, prezzi, circolazione della moneta, interesse ecc. ed è un completo piccolo trattato sulla circolazione, che probabilmente rappresenta quanto di più profondo

(2) Richard Cantillon and thè Nationalily oj Politicai Econotny in « Contemporary Re- view », 1881, voi. 39, ristampato poi in The principies o¡ Economici. N el 1931 il saggio del Jevons è stato ristampato insieme ad un'ottima traduzione inglese àe\\'Essai d i Cantillon, a cura di H. Higgs presso l'ed. Macmillan per conto della Royal Economie Society di Londra.

(3) La citazione dello Smith è fatta nel V ili capitolo a proposito dell’altezza del salario degli operai. E notevole che lo Smith si richiami a Cantillon come ad autore che dovesse essere assai noto al pubblico. £ probabile che in quel tempo il Cantillon fosse più letto di quanto non sia stato nel periodo successivo.

202 AGOSTINO LANZILLO

(20)

RELAZIONI FRA IL CANTILLON E IL GALI ANI 203

della stessa dimensione si sia pubblicato sull'argomento. La terza parte tratta del commercio estero, dei cambi esteri, banche e « raffinatezze del credito ». Giudicata in base alla conoscenza e all'esperienza dell'epoca, questa terza parte specialmente è quasi superiore ad ogni elogio e mostra che Riccardo Cantillon aveva una sana e abbastanza completa comprensione di molte questioni attorno alle quali scrittori di

pawphlels stanno ancor discutendo ora e dicendo spropositi, preoccupando sè stessi e gli altri. L’Essai.... è un trattato sistematico e ben fuso nelle sue parti, che abbraccia in modo conciso tutto il campo della scienza economica ad eccezione della tassazione. E quindi, più di qualsiasi altro libro di cui io abbia conoscenza, il primo trattato di scienza economica. La ‘ Politicai Arithmetic ’ di Sir W illiam Petty e il suo ‘ Treatise o f Taxes and Contributions ' sono, a modo loro e per i loro tempi, libri mirabili, ma, in confronto con 1’ ‘ Essai ' di Cantillon, sono semplici raccolte di suggerimenti casuali.... Il saggio di Cantillon è m eglio d'ogni altro libro la « culla dell'economia politica ».

« La frase con cui si inizia il primo capitolo ‘ D e la richessc ' e specialmente degna di nota. E la seguente: ‘ La terre est la source ou la matière d'où l ’on tire la richesse; le travail de l'homme est la forme qui la produit; et la richesse en elle meme- n’est autre chose que la nourriture, les commodités et les agréments de la vie.

« Questa frase coglie la nota fondamentale, o m eglio l’accordo musicale diret­ tivo, di tutta la scienza economica » (4).

L’opera del Cantillon contiene infatti una trattazione sistematica della

intera scienza economica. Dal frammento, dalla raccolta di fatti e di indizi,

dalle osservazioni casuali ed occasionali, si passa alla ricerca veramente

scientifica, perchè ispirata al desiderio di conoscere la verità, al di fuori

di ogni tesi e di ogni riferimento ad un fine immediato.

£ errore considerare il Cantillon come mercantilista o fisiocratico;

egli ha una personalità scientifica ben netta perchè è indipendente da ogni

scuola nella sua concezione. Qualcuno lo ha voluto collocare come anello

di passaggio fra i mercantilisti, i fisiocrati e gli smithiani. £ una osser­

vazione forse in parte vera, ma improduttiva, in quanto la indagine con­

dotta con criterio scientifico prescinde necessariamente da pregiudizi di

scuole: nè, d'altro canto, può parlarsi della esistenza di un qualsiasi nesso

fra la corrente scientifica che fa capo allo Smith e la scuola fisiocratica o

quella mercantilista. È tuttavia probabile che il Cantillon abbia esercitato

qualche influenza sia sui fisiocrati che sullo stesso Smith. Non vi è dubbio

che l’opera dello Smith abbia ricomposto e filtrato, con la forza e l’origi­

nalità del genio, tutta la produzione e le ispirazioni scientifiche del suo

tempo. I rapporti fra gli economisti inglesi, francesi e italiani erano in

quel periodo intensi e frequenti, a mezzo di scambio di pubblicazioni, di

(21)

lettere private e di rapporti personali. Giustamente — osserva l'Huart (5)

— non può escludersi che l'influsso del Cantillon abbia agito sul Malthus

per la sua teoria della popolazione. Alcuni cenni di A. Smith sulla molti­

plicazione dell’uomo e le relazioni di questo moltiplicarsi con le sussistenze,

hanno una forte somiglianza con alcuni pensieri del Cantillon.

Il capitolo XV dell’ Essai ha questo titolo: «La moltiplicazione o la

decrescenza del popolo in uno stato, dipendono principalmente dalla vo­

lontà, dai modi e dai sistemi di vivere dei proprietari delle terre ».

Con numerose esemplificazioni e relazioni tratte dalla natura e dalla

storia sociale, il capitolo dimostra come lo sviluppo demografico è in stretta

dipendenza con la disponibilità dei mezzi di sussistenza. Il Cantillon esa­

mina ampiamente le cause del formarsi delle famiglie e della prolificità

delle varie classi sociali, e come la quantità di popolazione esistente sia

una delle principali cagioni delle guerre. Vede anche il problema sotto

l’aspetto del tenor di vita: se un popolo è parco e vive di poco, può avere

maggior forza di riproduzione di un altro che abbia molti bisogni.

L’anticipazione della concezione malthusiana è di tutta evidenza. Que­

sto capitolo sembrerebbe un capitolo del celebre saggio sulla popolazione.

Il Jevons non crede che il Malthus abbia avuto conoscenza del libro di

Cantillon. Abbiamo qualche riserva da fare su questa affermazione. Se il

Cantillon è letto dallo Smith, non sembra verosimile che sia restato ignoto

al Malthus, a Ricardo, ecc. Non è fuor di luogo ricordare che il Cantillon

dimostra profonda conoscenza della letteratura economica inglese del suo

tempo, il che si spiega coi molti rapporti che correvano allora fra i varii

scrittori. Certo nessuna prova vi è che Malthus abbia letto il Cantillon,

vi sono però delle probabilità molto fondate.

Il Malthus venne portato alle sue investigazioni, oltre che dalla con­

suetudine con Ricardo, dalla lettura dell’opera di Smith, dove il nome di

Cantillon è messo in buona luce.

Nel che si ha la conferma della stretta coesione di pensiero che opera

in quel prodigioso periodo, per la formazione della teoria scientifica, fra

le varie correnti della vita spirituale europea.

Il Cantillon, sostanzialmente indipendente dalle scuole del suo tempo

(mercantilistica e fisiocratica) dà base a1 molte idee che troviamo in Quesnay

come in Smith, in Malthus come in Ricardo.

(5) A. Huart, Cantillon, prècurseurs des b id o n ista , in «M onde économique » (maggio, giugno e luglio 1913), citato da F. V. Hayek, Riccardo Cantillon (con nota introduttiva di Luigi Einaudi), in «L a Riforma Sociale» del luglio-agosto 1932, p. 421.

//>

204 AGOSTINO LAN ZOLO

(22)

RELAZIONI ERA IL CANTILLON E IL GALIANI 205

3. Pr i n c ip a l i t e o r ie e c o n o m ic h e i n Ca n t i l l o n.

— Il saggio

di Cantillon si divide in tre parti: la prima è dedicata alla produzione:

la seconda allo scambio, o ;al mercato e la terza parte al « commercio in­

ternazionale ». La divisione non è tecnicamente precisa nel significato che

oggi si darebbe ai tre aspetti del fenomeno economico, ma risponde a suf­

ficienza ai criteri che l’autore pone a base del suo studio. Non è compren­

siva in modo esatto di quanto è oggetto del trattato. Nella prima parte

vi è ad esempio una ampia discussione che oggi chiameremmo di ordine

sociologico, sulla formazione delle unità sociali collettive e sulla divisione

in gruppi delle società umane. Vi si discute a lungo della proprietà privata

e delle sue origini. Nella seconda parte, le idee sullo scambio sono esposte

insieme con molti concetti monetari e con le idee sulla popolazione delle

quali abbiamo già dato cenno. Nella terza parte il commercio internazionale

forma indubbiamente il punto centrale della indagine, ma in esso interfe­

riscono alcune questioni sulla natura e sulla essenza delle banche esaminate

con molto acume.

Potrebbe in sostanza dirsi che oltre ai tre problemi che sembrano

preminenti (produzione, scambio, commercio internazionale) nel Cantillon

si trovi impostata una completa teoria della moneta, che parte dalle ri­

cerche sui metalli preziosi per sboccare allo studio del credito e delle

banche. Per 1’ Hayek gli apporti del Cantillon, nel campo monetario sono

il suo maggior titolo di gloria. In alcuni punti « egli non fu da essi

(classici) superato, ma neppure emulato ».

Anche il Jevons dopo aver lodato la teoria del corso dei cambi, di­

chiara che essa resta insuperata.

Importante, nella costruzione dell’opera, è la impostazione della teo­

ria del valore.

La definizione di ricchezza, avanti riportata, dimostra come nel Can­

tillon fosse chiaro il concetto, tutto moderno ed a noi famigliare, che la

teoria economica studia il prodotto. La ricchezza è la produzione totale

che esiste in un dato momento ed essa consiste per l’autore — molto cor­

rettamente — in un compendio di beni utili (adatti al nutrimento, agli

agi, ed alle soddisfazioni della vita). Questo prodotto complessivamente

considerato, adempie alla sua funzione in quanto sia utile, cioè in quanto

sia in relazione con l’uomo, e possa essere oggetto di dominio e di godi­

mento da parte di questo.

(23)

Vi è una pagina nella quale la chiarezza del pensiero del Cantillon

in proposito ci sembra mirabile, anche se la dottrina ha dovuto in seguito

abbandonare alcune idee del Locke accettate da Cantillon.

« 11 Locke dice che è il consenso degli uomini che ha dato un valore allo ro ed all’argento. N on è dubbio, perchè la necessità assoluta non vi è entrata. £ lo stesso consenso che ha dato, e che dà, tutti i giorni, un valore ai pizzi, alla biancheria, al panno fine, al rame, agli altri metalli. G li uomini, in senso assoluto, potrebbero vivere senza tutto ciò. Ma non bisogna concludere che queste cose abbiano un valore immaginario. Esse ne hanno uno in proporzione della terra e del lavoro che sono entrati nella loro produzione. L'oro e l'argento, come le altre merci e le derrate non possono essere prodotti senza delle spese che sono proporzionate, presso a poco, al valore che loro si attribuisce e qualunque cosa gli uomini producono con il loro la­ voro. è d'uopo che questo lavoro fornisca i mezzi al loro mantenimento. £ il grande principio che si sente tutti i giorni anche sulla bocca di umile gente che nulla sanno delle nostre speculazioni, e che vivono del loro lavoro e delle loro imprese: è ne­ cessario che tutti vitano » (Essai, ed. H iggs, p. 112).

Ognun vede come in questo brano si adombri, senza averne coscienza,

una teoria dell'equilibrio economico, in quanto si pongono in essere le corre­

lazioni fra il costo di produzione delle cose e il loro valore, fra la ragione

obiettiva del valore e la capacità di scelta degli uomini. La teoria del valore

di Cantillon è fondata sul costo di produzione, ma il Cantillon perviene a

questa conclusione dopo avere posto e minutamente dimostrato una specie

di eguaglianza fra terra e lavoro, cioè fra i fattori di produzione fonda-

mentali.

« La terra è la materia, il lavoro, la forma, di tutte le derrate e merci e siccome coloro che lavorano debbono necessariamente vivere dei prodotti della terra, sembra che dovrebbe trovarsi un rapporto fra il valore del lavoro e quello del prodotto della terra (Essai, ed. Higgs, p. 30) ».

Altro vincolo necessario egli pone fra la quantità disponibile di mano

d’opera e la possibilità di utilizzazione, fra il saggio di salario e la quan­

tità del lavoro.

Il Cantillon ha anche una chiara concezione della funzione dello scam­

bio nella formazione dei prezzi e distingue il valore intrinseco — o va­

lore naturale o normale — dal valore di mercato.

(24)

RELAZIONI FRA IL CANTILLON E IL G A U A N l 207

mercato. Tuttavia nelle società ben regolate, i prezzi di mercato delle merci e der­ rate il cui consumo è abbastanza costante ed uniforme, non si allontanano molto dal valore intrinseco (Essai, ed. H iggs, p. 30) ».

Nel Cantillon vi è lo sforzo di conoscere le cause turbatrici nel pro­

cesso di formazione dei prezzi e quindi il perchè — spesso — il prezzo

di mercato non corrisponda al valore normale: l'analisi è fatta con spi­

rito scientifico ed in relazione oltre che alle fluttuazioni della domanda

e dell'offerta, alle possibili variazioni nella quantità della moneta.

Il Pirou osserva che la importanza del Cantillon è nel fatto che egli

lega l'una all'altra le teorie da lui studiate (valore intrinseco e valore nor­

male) :

« cercando di dimostrare che malgrado l’azione di tutti i fattori di non coin­ cidenza, il prezzo di mercato non si allontana mai molto del valore di mercato, perchè una forza economica potente tende senza tregua a ricondurvelo » (6).

Il Cantillon ha una visione esatta, da grande precursore, di quello

che è peculiare nella scienza economica: la esistenza di forze quantita­

tive che determinano delle conseguenze necessarie ed operano con effetti

più o meno lenti, e più o meno intensi, ma insopprimibili e con decorsi

ed oscillazioni che oggi chiamiamo ciclici.

La teoria monetaria è nel Cantillon veduta nelle sue linee fonda-

mentali. I capitoli sull'aumento e la diminuzione effettiva di moneta me­

tallica in uno stato dimostrano con fine analisi come l’aumento della massa

monetaria a poco a poco influisca sui prezzi interni e sul movimento delle

esportazioni. Tutti i fattori che contribuiscono al fenomeno (oscuro per

alcuni aspetti anche oggi) sono considerati nel loro peso, comprese le cir­

costanze che determinano una maggiore velocità di circolazione.

Per la prima volta nella dottrina economica è chiaramente veduto

che la velocità di circolazione ha, per il valore della moneta, la stessa

importanza della sua massa.

Un’altra idea della quale per primo appare in Cantillon la chiara

formulazione precorritrice è quella d’imprenditore. È noto come la idea

di questa figura, che è centrale nel processo economico, si è fatta strada

lentamente nella dottrina. Sopratutto difficile apparve, alle origini della

scienza, distinguere l’imprenditore dal risparmiatore e porre quello nella

sua esatta luce di motore dell’attività economica.

(25)

La percezione di questa figura di centro è scientificamente perfetta

in Riccardo Cantillon. Il capitolo XIII, nella prima parte, dà una minuta

dimostrazione del come la circolazione, lo scambio delle derrate e delle

merci, e così pure la loro produzione si svolgano in Europa per mezzo

di imprenditori ed a loro rischio.

L’imprenditore organizza la sua impresa, in qualunque campo della

produzione del commercio e dei trasporti senza avere la certezza dei van­

taggi che potrà ricavare dalla sua impresa. Egli quindi affronta un rischio

ed ottiene, se va bene l’impresa, un profitto. Questo reddito è contrapposto

alla rendita della terra, di cui godono i proprietari, all’interesse del presta­

tore di denaro, al salario dell’operaio e del bracciante contadino.

La importanza sociale dello imprenditore è limpidamente riconosciuta,

così come è inteso il lato socialmente pericoloso della potenza economica

e sociale dello imprenditore. Tutti gli abitanti di uno stato, eccettuato il

principe e i proprietari di terre sono da dividere in due classi: in impren­

ditori ed in gente in subordine al soldo di altri. Anche gli imprenditori in

un certo senso sono alle dipendenze di qualcuno, ma — dice il Cantillon —

la loro dipendenza è incerta, il che vuole dire che dipendono dall'alea im­

plicita nella impresa. Il saggio di Cantillon contiene i germi più sani di

tutta la scienza economica, quale essa doveva svilupparsi in molti decenni.

La questione che più interessa lo storico della dottrina non sappiamo se

sia quella di vedere come il pensiero del Cantillon — ed in quale parte —

sia filtrato negli scrittori della scuola classica, o non pure di vedere perchè

talune delle intuizioni più geniali e feconde, siano per molti anni rima­

ste inattive ne\\'humus scientifico e talora negate. Forse la seconda que­

stione è più importante e meglio dimostra la grandezza di Cantillon. La

idea dell’imprenditore, ad esempio così bene sbozzata dal nostro autore,

scompare negli scrittori successivi, ed in Marx non esiste per nulla. Uno

degli errori più notevoli della costruzione marxistica del « Capitale » è pro­

prio nella confusione che il Marx fa, fra il capitalista e l’imprenditore (7).

Non che il Marx non abbia conoscenza della figura dell’imprenditore (o

fabbricante) che anzi spesso ricorre a questa figura, ma egli non dà impor­

tanza alla netta distinzione, scientificamente indispensabile, fra questa e il

capitalista, e non vede gli effetti che dalla distinzione derivano sia alla

ricerca scientifica che allo studio dei fenomeni sociali.

Se l’opera di Cantillon non fosse caduta nella dimenticanza, forse il

(7) Mi pare certo che il Marx non abbia avuto alcuna conoscenza At\\'Essai del Cantillon.

/ A

/

(26)

RELAZIONI ERA IL CANTILLOS’ E IL GALI ANI 209

decorso e la intensità di sviluppo della scienza economica sarebbero stati

più rapidi e si sarebbero svolti — senza dubbio — con minori deviazioni.

Alcuni dei più gravi errori di Ricardo — riusciti dannosi, per l’auto­

rità dell’uomo, alla scienza ed anche al movimento economico — avreb­

bero potuto evitarsi. Tale è l’oblio che copre il nome del Cantillon che nel

dizionario di economia politica del Paigrave, alla voce Say si dice che è

questi — il Say — che per prima usa il termine di entrepreneur « per desi­

gnare la importante funzione economica dell’uomo quando raccoglie nelle

sue mani le forze produttive del capitale del lavoro e degli agenti natu­

rali ». Ora il 4 Trattato ’ del Say è del 1805, mentre la geniale anticipa­

zione del Cantillon è di 70 anni prima. Noi siamo quindi convinti che

giustamente nell'Essai di Cantillon debba ricercarsi quella che il Jevons

qualifica la vera « Cradle of Politicai Economi » la culla dell’economia

politica.

4. Fe r d in a n d o Ga l i a n i. - L ’u o m o e il t e m p o.

— L’opera scientifica

di Cantillon ha il suo completamento in Galiani. Il Galiani ed il Cantillon

meritano di essere esaminati insieme, perchè il tempo nel quale vissero ed

una fondamentale identità di visione del problema, li avvicinano.

Il Galiani deve considerarsi, così come il Cantillon, fra i fondatori del­

l’economia politica per il suo mirabile libro sulla Moneta, opera di grande

freschezza che si può leggere anche oggi non senza profitto e che su talune

questioni, fra le più oscure della politica monetaria, ha dato luce definitiva.

Conviene mettere Galiani vicino al Cantillon perchè la generazione alla

quale essi appartengono è presso a poco la stessa. Se Cantillon muore nel

1 7 3 4 ,

è certo che il suo libro vede la luce nel 1755, cioè a distanza di pochi

anni dalla pubblicazione del libro sulla moneta (1749 o 1750). Le vicende

e le correnti critiche del momento ispirarono ai due grandi pensatori un

obiettivo molto vicino e cioè la ricerca delle ragioni precipue per le quali

le cose hanno un valore. Così come Cantillon studia il problema monetario

ed insieme il problema dello scambio e del valore, anche nel volume di

Galiani abbiamo le stesse ricerche, impostate, naturalmente, in diverso modo

e condotte con diverso metodo.

Pensiamo tuttavia che nessun rapporto debba essere esistito fra i

due scrittori nè di ordine personale, nè di ordine teorico. Sotto l’aspetto

personale basti osservare che il Cantillon era morto quando Galiani ar­

rivò a Parigi. Ed è assai dubbio che il Galiani abbia letto il saggio di

Cantillon; saggio, come dicemmo, pubblicato postumo e anonimo. Ciò

(27)

rende anche più sorprendente la coincidenza delle idee dei due scrittori nel-

l'individuare i problemi economici, nel tentativo di risolverli e, più ancora,

il fatto che la risoluzione dei problemi stessi così si approssimi da costi­

tuire di entrambi questi scrittori dei pilastri sui quali la scienza economica

può, nel secolo che viene dopo di loro, costruire il suo edificio.

Ferdinando Galiani (1728-1787) nato a Chieti, è una delle personalità

più rappresentative di quel secolo XV11I che per tanti riflessi ha una pri­

maria importanza per la formazione del mondo contemporaneo. Fu eccle­

siastico, ma poco lo attrasse la vita sacerdotale perchè, nonostante la sua

bruttezza fisica, seppe e volle intensamente vivere, con notevole fortuna a

Napoli, come a Roma, a Londra ed a Parigi.

Nel grande secolo del pensiero francese, la figura di F. Galiani acquista

un suo maschio e potente rilievo. Egli è a Parigi pochi anni dopo che il

Montesquieu ha pubblicato VEsprit des lois, poco prima della diffusione del

Contratto sociale di Rousseau, ma in lui il Montesquieu trova un critico se­

vero e radicale, mentre non lo interessa l’ingenuo ed utopistico ottimismo

del secondo. Conosce Voltaire, Diderot, Turgot, Condorcet, Winckelmann,

D'Alembert, è uomo alla moda, disputato per il suo spirito, apprezzato per

il suo talento politico e per la sua abilità nel conoscere gli uomini, temuto

dai nemici per gli strali dei suoi motti. Le sue opere principali sono: La

moneta (1749) scritto a Napoli quando aveva appena 20 anni e pubblicato

nella prima edizione anonima, ed i Dialoghi sul commercio dei grani. Altre

opere scrisse di politica internazionale, di filologia, di letteratura che qui è

inutile richiamare.

La figura del Galiani pecca per deficienza di carattere: è un dilettante,

uno scettico, un irreligioso, un egoista che tutto risolve in una battuta di

sparito, in un motto freddo e disumano. Egli apprezzava più i piaceri effi­

meri di un momento, che la costruzione austera e la meditazione nobile e

disinteressata. Ben dice di lui il Croce:

« In tutti i suoi scritti getta sprazzi di luce : in nessuno questa luce si concentra ad illuminare durevolmente un’ampia distesa. Soltanto nella pura economia egli fece veramente progredire la scienza (teoria del valore economico) con uno sforzo giovanile che peraltro, non venne da lui proseguito.

« In verità il Galiani non possedeva quell’austera coscienza, quasi di una mis­ sione da adempiere, che è necessaria per consacrarsi alla scienza; gli facevano difetto l’entusiasmo, la persistenza, lo spirito di sacrificio.... » (8).

(8) B. Croce, Saggio sullo Hegel seguito da altri d i storia della filosofia. Bari, Laterza, 1913, p. 329.

/ / *

(28)

RELAZIONI ERA IL CANTILLON E IL GALIANI 211

In queste righe è tutto detto: Galiani non poteva essere economista

perchè gli mancava la passione civile, la fede nella scienza e la volontà

di affermarla e imporla. Economista è colui che Francesco Ferrara ha mi­

rabilmente descritto nelle sue lezioni: un assertore di verità e di giustizia,

un difensore del pubblico interesse contro il privilegio, un politico nel

senso più eletto della parola.

Il caso di Galiani è particolarmente doloroso per la nostra disciplina

perchè era così grande e profondo il suo ingegno, che se lo avessero assi­

stito il carattere e la febbre della ricerca del vero, egli avrebbe dato alla

scienza economica una piattaforma indistruttibile ed avrebbe precorso Ri­

cardo, con grande onore dell’Italia. Egli conosceva il grandissimo pregio

della sua immortale opera sulla Moneta. A quarantanni in una polemica

con dei critici francesi irritati per i suoi Dìalogues sur le commerce des bìés

(pubblicato in francese nel 1770) ricordava ai suoi oppositori che egli era

« l’ainè de tous les économistes » perchè aveva scritto un libro come la

Moneta quando « la setta degli economisti non era ancora nata ».

Data l’importanza dell’opera sulla moneta e le lucide interpretazioni

che egli aveva saputo dare del problema fondamentale del valore, avrebbe

certamente potuto percorrere un grande tragitto e percorrere altre tappe del

progresso scientifico. Sarebbe del resto bastato ch’egli avesse rielaborato la

Moneta, secondo si era proposto. L’esperienza degli affari, la conoscenza del

mondo economico francese ed inglese, le cariche pubbliche ricoperte gli

avrebbero fornito gli elementi per una revisione del suo lavoro giovanile.

Egli intraprese l’opera di riesame, ma dichiarò nelle sue lettere che quel la­

voro non gli riusciva tollerabile. Si limitò a scrivere delle note, senza toc­

care le linee principali e neppure lo stile alquanto togato e classicheggiante

del suo capolavoro.

Non ostante le deficienze di carattere e la pigrizia intellettuale, la figura

del Galiani eccelle fra gli economisti del secolo XVIII ed egli merita un

posto di indiscussa eminenza fra coloro cui spetta di avere gettato le basi

deU’edifizio dell’economia scientifica (9).

Dell’aureo libro sulla moneta furono pubblicate due edizioni. La prima

— come dicemmo — anonima nel 1750, e la seconda con l’indicazione del­

l’autore nel 1780.

(9) Vasta è la bibliografia su Galiani e talune opere sono di grande pregio. In Italia merita di essere ricordato Fausto Nicolini, cui si deve la ristampa della Moneta (presso Laterza, 1915) nella Collezione Scrittori d'Italia e varie opere critiche fra cui II pensiero dell'abate Ga­

liani (nel 1908 presso Loescher) e la raccolta di manoscritti e dell'epistolario. La concezione

del valore di Galiani è studiata dal Loria, Li teoria del valore negli economisti italiani, del

(29)

5. La m o n is t a e d i l v a l o r e.

— La situazione di Ferdinando Galiani

nella storia della dottrina è data, ed in modo non perituro, dall'opera sulla

Moneta. I Dialoghi sul commercio dei grani, che diedero all’autore tanta

rinomanza e provocarono così grandi polemiche, pubblicati a Parigi (colla

falsa data di Londra) nel 1770, sono un lavoro sostanzialmente occasionale,

nel quale pur rivelandosi la potenza intellettuale e la rara penetrazione del­

l'autore, non vi sono apporti definitivi per la scienza. Egli si manifesta

contrario ai fisiocrati, negando che possa essere la sola agricoltura alla

base della ricchezza di un paese. Loda alcuni provvedimenti che avevano

instaurato in Francia la libertà di commercio del grano, ma si oppone

all’idea che possano dei principi assoluti valere in ogni caso di fronte alle

esigenze del momento politico. Il valore scientifico dei Dialoghi è molto

inferiore alla fama che procacciò all’autore. Mentre il libro sulla Moneta

è moderno e può essere letto utilmente anche oggi, i Dialoghi risentono

di pregiudizi mercantilistici, assai curiosi in un uomo che vent’anni prima

aveva saputo dare un gioiello di vera scienza quale la Moneta. Il Galiani

ritorna perfino su questioni che egli stesso aveva risoluti nel trattato. Ad

esempio nella Moneta egli aveva chiaramente intravisto le conseguenze di

una libera emigrazione dell’oro: nei Dialoghi ritorna sulla questione, senza

tenere conto delle sue deduzioni e non si avvede che quel che avviene per

l’oro non può non avvenire per il grano che, se lasciato libero, si sposterà

secondo le necessità del mercato. Forse si rivela in queste contraddizioni

quella mancanza di carattere morale di cui parlammo. A Napoli a 20 anni,

egli scriveva per la verità, a Parigi, molti anni dopo, preoccupazioni diverse

o l’assenza di ogni seria preoccupazione, lo muovevano.

(30)

RELAZIONI FRA IL CANTILLON E IL GALIANI 213

gioni storiche per le quali le relazioni economiche debbono essere consi­

derate sotto questo profilo, che è preponderante ed il solo decisivo.

Il libro di Galiani è in secondo luogo segnalabile per avere affrontato

il problema fondamentale ed universale sul quale la scienza può costruirsi:

la essenza del valore e la connessione di questo concetto con altri elementi

concorrenti e interdipendenti.

La scienza quindi esce con Galiani daH'empirismo e dal particolare

e si afferma in una visione generalizzata, che contiene in nuce tutti i pro­

blemi della economia moderna. Le idee allora in corso sul valore erano

quelle di Locke e di Cantillon, e vedemmo come fosse notevole il passo

che quest’ultimo aveva fatto fare alla ricerca scientifica con la considera­

zione simultanea di diversi elementi per la formazione del prezzo.

In Galiani l’idea viene completata e perfezionata con la considera­

zione del valore come una risultante di molti elementi, tutti tendenti a

dare la idea della utilità nel più largo senso, elementi che sono distinti

per gradi di utilità e per la intensità della domanda.

Tra Cantillon (e Locke) e Galiani vi è una differenza notevole ai fini

della interpretazione del valore per la impostazione centrale del problema

originario. Per il Cantillon nel valore della moneta e, in certo senso, di tutte

le cose, vi è qualche cosa di convenuto, di consensuale. Citammo avanti un

passo del Cantillon ove egli fa sua una idea del Locke sul come sia il

consenso degli uomini che abbia dato un valore all’argomento ed all'oro.

È ben vero che Cantillon subito dopo fa delle riserve alla osserva­

zione di Locke osservando che non bisogna credere che il valore sia qual­

cosa d’immaginario e come la base realistica del valore di una cosa sia

« nella proporzione di terra e di lavoro che sono entrati nella sua produ­

zione ». L’elemento consensuale, convenzionale tuttavia resta.

In Galiani la costruzione del valore è compiuta respingendo in modo

netto ogni condizione di ordine convenzionale. Galiani di fronte all’enciclo­

pedismo, alle idee di Montesquieu e di Rosseau si palesa netto oppositore.

La origine del suo dissenso è nella conclusione cui la profonda disamina

del concetto di valore lo ha condotto. Trae cioè origine dalla indagine eco­

nomica e s’inspira al grande ceppo della filosofia di G. B. Vico.

Al valore egli intende dare un significato rigorosamente realistico,

esclusivamente quantitativo.

Riferimenti

Documenti correlati

Fra questo sistema aristocratico che favorisce la famiglia più che i singoli individui e l'altro democratico, che tratta tutti alla stessa stregua e

5. Gravi abusi d el governo im periale di indole diretta. — E chi sa fino a qual prezzo sarebbero salite, se la scarsa e difettosa pubblicità, con­ trollata

studiosi che hanno fatto le loro prove nello scrivere storie di politica economica) ai quali si sarebbe imbarazzato ad attribuire una etichetta, fuor di quella

Il sacrificio dell'uomo alla cosa, ecco la caratteristica dell'economia trafficante : « la colonizzazione, la conquista dei grandi mercati, le lotte per

L'idea dello stabilimento di un Banco nella Repubblica facea parte delle diverse misure, che vi siete proposto di coltivare, cittadino vice presidente, sino dai

Sebbene la sua descrizione della steppa russa e della influenza che essa ha esercitalo nella vita dei popoli che l’abitarono o la traversarono sia una delle

Certo, in via di fatto il problema dell’equilibrio di tali scambi è com­ plesso, quando esaminiamo il numero dei fattori che vi partecipano: gli attriti dello

Non è qui il caso di indagare sulla validità del modo con cui Ricardo ha risolto il problema delle varie qualità di lavoro, e sulla sua teoria del profitto,