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Dalla moneta immaginaria alla moneta complementare: le monete locali come strumento anticrisi

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Studi Internazionali

Tesi di laurea

Dalla moneta immaginaria alla moneta

complementare: la moneta locale come

strumento anticrisi

Relatore: Candidato:

Prof. Marco Cini Mario Iannelli

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Sommario

INTRODUZIONE

... 4

CAPITOLO 1: LA MONETA IMMAGINARIA

1.1 DELINEANDO UNA STORIA DELLA MONETA IMMAGINARIA ... 14

1.2 MONETA DI CONTO, IDEALE E IMMAGINARIA ... 22

1.3 LO STRUMENTO MONETA IMMAGINARIA ... 28

1.4 LE MUTAZIONI DELLA MONETA... 38

CAPITOLO 2: LE MONETE COMPLEMENTARI

2.1 DALLA MONETA IMMAGINARIA A QUELLA COMPLEMENTARE ... 45

2.2 IL PENSIERO INNOVATIVO DI SILVIO GESELL ... 49

2.3 LA MONETA DEPERIBILE COME ANTIDOTO ALLA CRISI ... 51

2.4 LE SPERIMENTAZIONI MONETARIE DEGLI ANNI '30 ... 55

2.5 GESELL E FISHER A CONFRONTO ... 62

CAPITOLO 3: LA MONETA COMPLEMENTARE DI NANTES

3.1 L' EREDITA' DI KEYNES ... 66

3.2 GLI EFFETTI DELLA CRISI... 73

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3

3.4 FUNZIONI E OBIETTIVI ... 85

3.5 IL BIVIO DELLA MONETA ... 89

3.6 I VANTAGGI DELLA COMPLEMENTARIETA' ... 92

3.7 INVERSIONE DI ROTTA: ECCO IL SONANTES ... 97

BIBLIOGRAFIA

...108

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4

INTRODUZIONE

Il presente elaborato si pone l'obiettivo di fornire una panoramica sul tema delle monete complementari, esaminando in particolar modo la loro capacità di compensare la scarsità di moneta ufficiale, sostenendo gli scambi e privandosi della funzione "riserva di valore".

La valuta complementare difatti, così come la moneta immaginaria istituita da Carlomagno (pura unità di conto), esclude la riserva di valore, venendosi a configurare come una moneta fatta per circolare.

Pertanto, nella prima parte dello studio si tenterà di analizzare la moneta immaginaria, per certi versi ispiratrice delle monete complementari, facendo chiarezza sia sul concetto (il termine fu adoperato impropriamente da parte di scrittori monetari antichi e moderni), sia sullo "strumento" da essa rappresentato. Dunque, soltanto dopo aver compreso appieno il "sistema delle moneta immaginaria" sarà possibile delineare le caratteristiche, le funzioni e le finalità connaturate a una moneta complementare.

Lo studio procederà esaminando, nello specifico, le "valute di emergenza" nate in seguito alla Grande depressione del 1929, la loro capacità di far fronte alla crisi (incrementando e regolando la velocità di circolazione della moneta) e la loro messa al bando.

Il capitolo conclusivo sarà invece incentrato su un progetto di moneta complementare locale, nato conseguentemente alla crisi del 2008 e che ha trovato concretezza nel 2015, con il lancio della valuta complementare francese "SoNantes".

La moneta è tradizionalmente definita a partire dalle sue funzioni: misura del valore, mezzo di scambio e riserva di valore. Sia nella terminologia scientifica sia nel linguaggio corrente, moneta è intesa come ciò che assolve contemporaneamente alle tre funzioni. La storia dei sistemi monetari mostra, tuttavia, che questa è una definizione restrittiva, che vale soltanto per la moneta

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"moderna". Infatti, prima dell'istituzione del Gold Standard, in ogni parte del mondo coesistevano monete diverse con funzioni diverse.

Antecedentemente al regime aureo vigeva, in tutta Europa, il regime della moneta immaginaria o ideale. Essa veniva a configurarsi come una pura unità di conto, immateriale, che serviva per denominare il valore dei beni e delle stesse monete metalliche circolanti. Spettava ai principi, ciascuno nel proprio ambito di sovranità, il compito di regolare il rapporto tra la moneta ideale e quella reale. La moneta immaginaria era la misura del valore che, proprio in quanto distinta dalla funzione "mezzo di scambio", consentiva di contemperare le esigenze del commercio con l'estero e del pagamento dei debiti all'interno della comunità.

Nel primo Capitolo verrà concesso ampio spazio alla distinzione delle funzioni monetarie, nonché alla moneta immaginaria, delineando tramite excursus storico le tappe che hanno caratterizzato l'evoluzione della stessa. In riferimento a quest'ultima, fondamentale risulterà la riforma carolingia, che coincide, sia con la prima riunificazione monetaria a livello europeo dopo il trauma delle invasioni barbariche, sia con la riorganizzazione del sistema dei pagamenti in moneta di conto e moneta reale.

In Europa, difatti, per ritrovare una vera moneta imperiale (sul modello romano), con l'accentramento delle zecche e l'unificazione dello spazio monetario europeo, si dovette aspettare Carlo Magno, che, al termine dell'VIII secolo, riconsegnò al "Vecchio Continente" una moneta unica, nella forma di una piccola moneta d'argento chiamata denaro. Considerato il rapporto di valore fra oro e argento allora vigente, il denaro di Carlo Magno si trovò a corrispondere a circa un dodicesimo dell'antico soldo romano, che ancora circolava in Europa occidentale.

L'aspetto più rilevante della riforma carolingia, e senz'altro il suo aspetto più duraturo, non fu dunque, l'istituzione di una moneta metallica corrispettiva a un peso d'argento, fin dall'inizio troppo instabile, ma piuttosto l'instaurazione di un'unità di conto.

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Esisteva dunque un'unità monetaria utile alle contrattazioni, alle obbligazioni, ai rendiconti ed era la lira immaginaria (o di conto, o numeraria o ideale); ed un'unità di pagamento che consisteva nelle monete reali o effettive (coniate in oro, argento, rame e biglione); ma se era possibile contrattare e contare, non si poteva evidentemente pagare in lire immaginarie, le quali non furono mai state coniate in nessuna delle loro suddivisioni. Ecco, quindi, che nella pratica degli scambi interveniva l'unità monetaria reale.

Purtroppo però, come più volte sottolineato all'interno del Capitolo, gran parte degli economisti contemporanei ha avuto difficoltà a pensare una misura del valore separata e indipendente dal mezzo di scambio. Per questo è assolutamente incapace di comprendere la moneta immaginaria.

Fino all'età contemporanea, inoltre, gli economisti adottavano promiscuamente le locuzioni di moneta di conto, moneta immaginaria, moneta fittizia, moneta politica, moneta simbolica, moneta ideale. Questo inevitabilmente generava una confusione di linguaggio e di pensiero, una sorta di intreccio di idee, le quali però, sapientemente catalogate ed inquadrate, possono portare lo studioso moderno ad avere il ragguardevole e consistente vantaggio di poter fare tra di esse distinzioni e similitudini che ai loro autori, in alcuni casi, sfuggivano. Pertanto, tra gli obiettivi che il primo Capitolo si prefigge, vi sarà quello di far chiarezza sul concetto di moneta immaginaria.

Per dipanare la matassa delle trattazioni monetarie, in materia di valuta immaginaria, diversi autori, economisti e non, tentarono di offrire il loro contributo, cercando di definire il concetto, al fine di tracciare l'area, ma delineandone, in sostanza, solo il perimetro; se c'è qualcuno che ha effettivamente compreso fino in fondo il carattere della moneta immaginaria, non limitandosi soltanto a scalfire la superficie, ma addentrandosi verso il nucleo della materia, costui è Luigi Einaudi.

Il fondatore della "Rivista di Storia economica", il quale trova ampio spazio all'interno del presente elaborato, tenta di farsi largo tra le idee intricate e confuse degli scrittori "di cose monetarie antiche", ben consapevole della

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scarsa chiarezza di questi ultimi nell'adoperare (in alcuni casi arrivando ad abusarne) il termine moneta immaginaria.

Egli riesce a fornire un'interpretazione sistematica del pensiero monetario di vari autori, arrivando ad una visione completa sulle opinioni di tutti i personaggi coinvolti nello studio.

Einaudi riesce a fare ciò analizzando, comparando e differenziando i punti di vista degli autori, i quali (chi più chi meno) superficialmente, nei loro saggi monetari si erano imbattuti nel tema della moneta immaginaria.

Nelle pagine di apertura della Rivista di Storia Economica, edita nel marzo del 1936, Einaudi, nell'articolo "Teoria della moneta immaginaria: da Carlomagno alla Rivoluzione francese", fornisce la chiave per districare il "groviglio apparente" del concetto di moneta immaginaria (o di conto, o di grida) che ricorre nelle trattazioni monetarie che vanno dal IX al XVIII sec.

Proprio nelle pagine di apertura della "Rivista", nell'articolo sopracitato, egli osserva come la via da seguire per fuoriuscire dal "dedalo di strade" connesse al concetto di moneta immaginaria, si debba ricercare nella distinzione tra unità di contrattazione e unità di pagamento. Sebbene la nozione di moneta immaginaria fosse molto diffusa tra gli scrittori di cose monetarie italiani e stranieri, come Einaudi mostra in una ricca rassegna di dottrine, si trattava di concetti spesso confusi, troppo generici, troppo parziali, insufficienti a spiegare la realtà.

L'economista torinese fu il primo a parlare di un vero e proprio "sistema della moneta immaginaria"; il quale era costituito dalla moneta di conto (o immaginaria; utile a contare e contrattare) e dalla moneta reale (o effettiva; atta a effettuare pagamenti); e nel quale la moneta immaginaria rappresenta un puro vincolo.

Un "sistema", all'interno del quale la moneta immaginaria non viene delineata come moneta qualsiasi; bensì come uno strumento utile al raggiungimento di determinati scopi. Ed è proprio accennando alle sue funzionalità che Einaudi allarga la propria visione, elevando il discorso sopra la

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moneta, a un livello superiore; nello specifico paragonando più volte la moneta immaginaria ad un espediente tecnico usato per raggiungere determinati scopi.

All'interno di un sistema bimetallico, egli ritiene che la moneta immaginaria costituisca un ufficio "fondamentale" per tenere in equilibrio il sistema e per far sì che il rapporto legale tra le monete coincida col rapporto commerciale fra i metalli.

Purtroppo però, essendo stato uno strumento costruito ad hoc dal principe, che ne traeva vantaggio proprio, dilagò la volontà di porre fine all'arbitrio del potente, che culminò con le assemblee rivoluzionarie del XVIII sec., le quali portarono all'abbandono dello "strumento moneta immaginaria", in conseguenza all'unione dell'espressione del valore monetario con quella del contenuto di metallo fino (unificazione tra mezzo di pagamento e moneta di conto).

Pertanto, al termine del capitolo verrà posto l'accento sul tema delle mutazioni, il quale costituisce una sorta di trait d'union tra lo "strumento moneta immaginaria" e l'estinzione della stessa.

Tutto ciò verrà fatto analizzando nuovamente il punto di vista di Einaudi, il quale non si limita a illustrare la funzione positiva effettiva e quella, ancor più rilevante, che avrebbe potuto adempiere la moneta immaginaria per il buon funzionamento del sistema plurimetallico. Bensì, egli mette per di più in luce gli abusi a cui in concreto la moneta immaginaria si prestò e che sono fra le ragioni che spiegano perché, ad un certo punto, caduta in discredito, fu interamente abbandonata, coprendo operazioni come la tosatura della moneta da parte dei principi, o la modificazione del rapporto fra monete reali metalliche e lira immaginaria. Manipolazioni che ingannavano nel breve termine, ma che, in concreto, rappresentavano un grave danno nel lungo periodo.

L'intero capitolo viene a configurarsi come una sorta di viatico per addentrarsi nel mondo delle valute complementari. Soltanto comprendendo appieno il "sistema delle moneta immaginaria" è possibile, infatti, delineare le

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caratteristiche, le funzioni e le finalità connaturate ad una moneta complementare.

Un sistema, quello della moneta immaginaria, che crea quindi specializzazione delle monete; che favorisce la creazione e lo sviluppo di istituzioni creditizie (agevolando il "credito senza interesse"); e che infine impedisce che la moneta sia riserva di valore, incoraggiando la circolazione e promuovendo nuove idee di moneta.

Sono proprio le monete complementari, tra cui le "valute di emergenza" nate durante la crisi degli anni '30, ad essere protagoniste del secondo Capitolo del presente elaborato.

All'interno di esso, difatti, verrà evidenziato come le monete "anticrisi", abbiano come fine ultimo quello di compensare la scarsità di moneta sostenendo gli scambi (e con essi l'attività economica a livello locale), attraverso il cosiddetto "demurrage": vero motore di circolazione monetaria.

Mediante tale strumento, secondo Silvio Gesell (autore dell'opera Ordine

Economico Naturale), risulta possibile incoraggiare la circolazione monetaria,

penalizzando i detentori di capitale che non lo spendono. Scopo raggiungibile attraverso un bollo mensile, che funge da costo di accumulo (o demurrage), da applicare per mantenere in corso le banconote.

Tramite questo meccanismo di tassazione, Gesell si attende che la velocità di circolazione della moneta si attesti a livelli molto alti, dando slancio alle economie più statiche. L'idea dello studioso, in tal senso, appare sicuramente valida e, in prospettiva, rivoluzionaria; altresì audace risulterà la maniera in cui egli analizza la crisi e, con essa, il sentiero che indica per uscirne. Nello specifico, le idee del commerciante tedesco-argentino, troveranno spazio nel sopracitato capitolo, all'interno del paragrafo: "Il pensiero innovativo di Silvio Gesell".

Egli teorizzò il "Freigeld" (detto anche moneta libera, o icemoney) ovvero una moneta deperibile gravata da una piccola tassa d'uso da corrispondersi settimanalmente. Una valuta che aspirava a contrastare le crisi sia a livello

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locale, che macroeconomico, divenendo un vero e proprio "antidoto" contro le stesse: dando slancio alle economie più statiche, incrementando e regolando la velocità di circolazione della moneta. In definitiva, una moneta che si poneva l'obiettivo di costituire uno strumento di scambio differente, complementare alla forma tradizionale di denaro, la quale sparisce quando inizia a scarseggiare, e inonda il mercato non appena diventa più abbondante.

Inoltre, sempre all'interno del suddetto capitolo, verranno riprese ed analizzate le sperimentazioni monetarie degli anni '30, le quali hanno visto la luce grazie ai "seguaci" della teoria economica formulata da Silvio Gesell.

Particolare attenzione meriteranno due esperimenti basati su una valuta che prevedeva bolli da affrancare mensilmente: Wära e Wörgl.

Nate rispettivamente in Germania ed Austria, oltre ad avere in comune il fatto di essere frutto delle teorie geselliane, ebbero anche la medesima sorte; ambedue infatti, vennero messe fuori legge dalle relative Banche centrali.

Esito positivo ebbe invece quella che viene a configurarsi come la più longeva moneta complementare in circolazione: la Wir. La tutt'oggi operante Wirbank viene a configurarsi come una banca cooperativa svizzera basata su una moneta complementare e alternativa.

Alla stregua dei due esperimenti precedentemente analizzati, concepito nel contesto della drammatica crisi degli anni Trenta, il progetto fu ideato con l’intento di fornire un rimedio alla situazione disastrosa di stagnazione economica. A differenza però dei suoi predecessori, il circolo economico Wir nacque come cooperativa, forma giuridica che mantiene tuttora. Un ulteriore punto di distacco è rintracciabile nelle modalità con cui si tenta di compensare la scarsità di moneta: se Wära e Wörgl sostenengono gli scambi (e, con essi, l'attività economica a livello locale), scoraggiando l'accumulazione e la sottrazione di moneta dalla circolazione, tramite uno specifico tasso d'interesse negativo; Wir, invece, lo fa adottando un sistema complesso di compensazione.

Esperimenti monetari analoghi a quelli di ispirazione geselliana, vennero portati avanti anche negli Stati Uniti.

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Al termine del capitolo, quindi verranno messe a confronto le teorie di Silvio Gesell con quelle di Irving Fisher: economista statunitense, sostenitore di una moneta a decumulo, lo "Stamp Scrip", ispirata alla teorie dell'economista tedesco.

Nello specifico, verrà evidenziato come, nonostante i due avessero parecchio in comune (come ad esempio la concezione di una "moneta anticrisi"), dissentivano per quanto concerne l'utilizzo della moneta complementare. Fisher, infatti, immaginava una valuta applicabile solo su piccola scala ed in periodi di crisi, ritirandosi dal mercato una volta raggiunto l'obiettivo.

Altro economista di grande prestigio che ammirò il pensiero di Gesell fu John Maynard Keynes (autore dell'opera Teoria generale dell'occupazione,

dell'interesse e della moneta). L'economista britannico proponeva di istituire

una camera di compensazione internazionale, sul modello del Wir, chiamata Clearing Union.

Camera di compensazione che costituirà l'ossatura di un progetto locale esaminato all'interno del terzo Capitolo. Trattasi del progetto di una valuta complementare, pensata per un comune francese: "Moneta di Nantes".

Dopo aver indicato, in maniera sommaria, le funzioni e le potenzialità connaturate a una moneta complementare, occorre di conseguenza analizzare in che misura un circuito di credito e moneta locale possa rappresentare un'opportunità economica (ma anche politica e sociale), esaminando per l'appunto un caso pratico.

Tale moneta, prendendo spunto dal "Bancor" di Keynes, è strutturata in modo da non ammettere la funzione di riserva di valore, e quindi la possibilità di accumulo. Da un lato il Bancor (l'antenato di alcune delle monete complementari odierne) era concepito come unità di conto internazionale, puramente astratta, immateriale (o, per usare una terminologia di antico regime, "immaginaria"), utilizzato come mezzo di scambio internazionale, ma non come riserva di valore; dall'altro , anche la "moneta di Nantes" aspira ad escludere la

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riserva di valore; è proprio la mancanza di questo tratto ciò che le consente di funzionare meglio come unità di conto e come mezzo di pagamento.

Una moneta, quella del comune francese, che alla pari delle valute degli anni '30 si pone l'obiettivo di contrastare le crisi a livello locale. In quest'ottica essa si configura come uno strumento utile per uscire dalla crisi, permettendo alle imprese di farsi credito tra loro senza la necessità di passare dal sistema bancario, sviluppando un modo per uscire dal circolo vizioso in cui le imprese non hanno credito, le banche non lo forniscono, causando il fallimento delle imprese stesse.

Proprio per questo, tra il 2011 ed il 2012, in uno scenario caratterizzato da crisi di liquidità, che dalle imprese si era estesa a tutta la collettività, l'ex-sindaco di Nantes pensò ad una moneta che favorisse gli scambi all'interno del territorio.

Egli quindi, affidò il progetto della valuta complementare a due professori della Bocconi, esperti del pensiero di Keynes: Massimo Amato e Luca Fantacci.

Questi ultimi, coadiuvati da un team di esperti, ebbero dunque il compito di implementare una nuova moneta, complementare all'Euro ed avente lo scopo di realizzare un sistema di credito cooperativo tra aziende, in modo da rafforzare l'economia locale ed avviare un circuito virtuoso.

All'interno del capitolo verrà dunque analizzato nel dettaglio il funzionamento della Camera di compensazione, sulla quale la moneta nantese (alla pari del Bancor e del Wir svizzero) poggia le proprie fondamenta. In riferimento alla Camera, l'ente gestore del circuito di una moneta locale doveva configurarsi come un soggetto che fosse autorizzato alla gestione di un sistema di pagamenti; nel caso specifico di Nantes era appunto il Crédit Municipal, una banca pubblica partecipata al 100% dal Comune di Nantes.

Un circuito di compensazione locale concepito per integrare negli scambi imprese, lavoratori e associazioni del terzo settore.

Pertanto, lo scopo di quest'ultimo capitolo sarà quello di fornire le basi per comprendere appieno il circuito di compensazione sul quale il Progetto

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nantese si sviluppa, delineando le caratteristiche dello stesso, ma anche specificando funzioni e obiettivi che esso persegue.

Inoltre, all'interno del paragrafo: "Il bivio della moneta", particolare rilevanza sarà assunta dai criteri di emissione della moneta locale (e con essi i criteri di controllo della sua circolazione) e dal rapporto tra moneta nantese ed Euro. Solamente definendo questi ultimi due aspetti della moneta complementare, sarà dunque possibile delineare un quadro completo, che consentirà di porre attenzione ai vantaggi che un sistema di credito e di moneta locale comporta.

L'adesione ad un circuito di compensazione locale, difatti, come specificato nel presente studio, implica benefici sia per imprese e lavoratori, sia per il sistema bancario, rafforzando l'integrazione territoriale.

Nella parte conclusiva del Capitolo verrà infine fatta luce sul sentiero intrapreso dal Progetto di Nantes, esaminandone il cammino, nonché lo scostamento dall'idea originaria; deviazione, questa, che corrisponde ad un'effettiva "inversione di rotta", ma che darà comunque vita nel 2015 al "SoNantes": ovvero una moneta elettronica, che favorisce gli scambi economici tra aziende, associazioni e cittadini del territorio, costituendo uno strumento innovativo che promuove lo scambio di beni e servizi tra gli attori economici facenti parte del sistema; una valuta, non più concepita esclusivamente per il territorio nantese, ma inserita in un circuito locale esteso all'intero dipartimento della Loira-Atlantica (di cui Nantes è capoluogo).

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CAPITOLO 1: LA MONETA IMMAGINARIA

1.1 DELINEANDO

UNA

STORIA

DELLA

MONETA

IMMAGINARIA

Prima di addentrarsi nell'annoso dibattito che emerge dalle trattazioni einaudiane, occorre evidenziare come la "Teoria della moneta immaginaria", nonostante sia un semplice articolo all'interno di una rivista e sebbene sia solo uno tra gli innumerevoli temi sviluppati ed analizzati dal secondo Presidente della Repubblica Italiana, costituisca, a detta di molti, il saggio principale di Luigi Einaudi.

Esso, come si evince dal titolo, è svolto in un'ottica storica ma mira alla teoria. E ciò sotto un triplice punto di vista: quello della teorizzazione sulla prassi monetaria del millennio che va, appunto, da Carlo Magno alla Rivoluzione Francese; quello della teorizzazione sulle discussioni che da tale prassi trassero origine (e sugli sviluppi che con riferimento ad essa vennero compiuti); e infine quello della teorizzazione sul ruolo che la moneta immaginaria avrebbe potuto e potrebbe assolvere, per realizzare obiettivi di stabilizzazione del potere di acquisto monetario1.

Difatti, per ritrovare una vera moneta imperiale (sul modello romano), con l'accentramento delle zecche e l'unificazione dello spazio monetario europeo, si dovette aspettare Carlo Magno, che, al termine dell'VIII secolo, riconsegnò all'Europa una moneta unica, nella forma di una piccola moneta

1 F. Forte, La moneta immaginaria e la moneta manovrata nel pensiero di Luigi Einaudi, in

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d'argento chiamata denaro. Considerato il rapporto di valore fra oro e argento allora vigente, il denaro di Carlo Magno si trovò a corrispondere a circa un dodicesimo dell'antico soldo romano, che ancora circolava in Europa occidentale. Simultaneamente al declino dell'Impero (fra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo), il contenuto metallico del denaro iniziò ben presto a scemare. L'indebolimento della moneta fu causato non solo dalla fine del monopolio imperiale sulla monetazione e dalla crescente frammentazione della battitura nelle zecche comunali e vescovili; ma anche, in una certa misura, dalla cronica carenza d'argento, la cui produzione risultava insufficiente, rapportata alle esigenze di una popolazione e di un'economia in forte crescita.

L'aspetto più rilevante della riforma carolingia, e senz'altro il suo aspetto più duraturo, non fu dunque, l'istituzione di una moneta metallica corrispettiva ad un peso d'argento, fin dall'inizio troppo instabile, ma piuttosto l'instaurazione di un'unità di conto2. D'altronde, anche il soldo fu, sin dalle origini, una pura moneta di conto, nonostante portasse il nome della moneta aurea dei romani. Lire, soldi e denari, invero, nacquero come unità di conto, come monete immaginarie. Solo il denaro era anche mezzo di pagamento, ma di valore intrinseco limitato e instabile.

Purtroppo gran parte del pensiero moderno è incapace di pensare una misura del valore separata e indipendente dal mezzo di scambio. Per questo ha ripetutamente manifestato più di una difficoltà a comprendere la moneta immaginaria.

Numerosi "scrittori monetari" hanno ritenuto opportuno individuare l'origine della moneta immaginaria nella moneta reale con cui inizialmente si trovò a coincidere. Marc Bloch lo ipotizza3, Braudel lo afferma con

2 Di fatto, Carlo Magno non istituì una parità metallica, bensì un'unità di conto.

3 M. Bloch, Lineamenti di una storia monetaria d'Europa, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi,

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certezza4, Galiani lo aveva invece respinto fortemente ribadendo la scissione

tra le due monete.

Le lire, i soldi e i denari erano, dunque, monete immaginarie, o, come anche si chiamavano, ideali: servivano per esprimere il valore di una rendita, un salario, un'imposta, il prezzo di un bene venduto5.

Proprio nelle pagine di apertura della «Rivista di Storia Economica», Einaudi, nell'articolo sopracitato, osserva come la via da seguire per fuoriuscire dal "dedalo di strade" connesse al concetto di moneta immaginaria (che ricorre nelle trattazioni monetarie che vanno dal IX al XVIII sec.), si debba ricercare nella distinzione tra unità di contrattazione e unità di pagamento6, e nello strumento impiegato dal legislatore per intervenire nella definizione del loro valore relativo, al fine di assicurare stabilità al sistema monetario bimetallico.

Esisteva dunque un'unità monetaria utile alle contrattazioni, alle obbligazioni, ai rendiconti ed era la lira immaginaria (o di conto, o numeraria o ideale); e un'unità di pagamento che consisteva nelle monete reali o effettive (coniate in oro, argento, rame e biglione)7. Dunque, si contava e si contrattava,

si rendevano conti, si costituivano rendite perpetue, censi, livelli, in lire, soldi e denari; ma se era possibile contrattare e contare, non si poteva evidentemente pagare in lire immaginarie, le quali non furono mai state coniate in nessuna

4 F. Braudel, Civiltà materiale, economica e capitalismo: Le strutture del quotidiano, Torino,

Einaudi, 1982.

5 L. Fantacci, La moneta: Storia di un'istituzione mancata, Venezia, Marsilio Editori, 2005, pp.

51-53.

6 Come scrive Einaudi, Teoria della moneta immaginaria, cit., p. 7: «La chiave necessaria ad interpretare il groviglio apparente delle trattazioni monetarie dei secoli tra il IX e il XVIII è la distinzione fra unità monetaria di contrattazione ed unità di pagamento». Lo riconosce esplicitamente anche Marc Bloch, Lineamenti di una storia monetaria d’Europa, cit., p. 63: «Che cos’è il regime della moneta di conto, se non un sistema in cui le due funzioni essenziali della moneta, misura dei valori, e mezzo di pagamento, sono separate l’una dall’altra?».

7 L. Conte, Per una storia della moneta immaginaria in «Ricerche di Storia Moderna IV: in onore

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delle loro suddivisioni. Ecco, quindi, che nella pratica degli scambi interveniva l'unità monetaria reale8.

Interrogandoci sul legame intercorrente tra le diverse unità monetarie, occorre specificare che si stabiliva ufficialmente che le varie unità monetarie reali valessero ciascuna un dato ammontare in lire, soldi, denari di unità monetarie immaginarie; sulla base di questo rapporto, diverso per le molteplici monete reali, colui il quale fosse stato obbligato a pagare, provvedeva a farlo in una delle varie monete reali disponibili (a sua scelta, salvo che non si fosse impegnato a limitare la scelta a determinate specie di monete reali)9. La quantità di monete reali che egli doveva corrispondere, sarebbe variata se il rapporto stabilito ufficialmente fra quella moneta e la lira fosse mutato10.

Il sistema della moneta antica era dunque fondato sulla distinzione tra misura del valore e mezzo di scambio11. Prima dell’Ottocento, difatti, non accadeva che la medesima moneta svolgesse contemporaneamente, in maniera sistematica e generalizzata, entrambe le funzioni, di misura del valore e mezzo di scambio. La distinzione delle funzioni monetarie affonda le radici nella storia europea. Nello specifico, l’unità di conto istituita da Carlo Magno (la lira coi suoi sottomultipli), serviva a misurare il valore in rapporti di scambio dove saltuariamente la moneta veniva utilizzata come mezzo di pagamento12.

8 L. Einaudi, Teoria della moneta immaginaria nel tempo da Carlomagno alla Rivoluzione francese, in «Rivista di storia economica», vol. I (Marzo 1936), p. 7.

9 F. Forte, Op. cit., pp. 6-8.

10 Se il rapporto fra unità di lira immaginaria e moneta effettiva variava, ad esempio,

dimezzando o raddoppiando, variava in senso inverso il numero delle monete effettive da pagare (L .Einaudi, Op. cit., p. 8).

11 Cfr. L. Einaudi, Teoria della moneta immaginaria, cit., p. 7: "La chiave necessaria ad

interpretare il groviglio apparente delle trattazioni monetarie dei secoli tra il IX e il XVIII è la distinzione fra unità monetaria di contrattazione ed unità di pagamento".

12 La moneta esiste a lungo come misura del valore, anche in mancanza di un mezzo generale

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La separazione risulta vigente anche in seguito alla ripresa delle coniazioni auree e degli scambi monetari, caratterizzanti la seconda metà del XIII secolo13. Le monete reali (o effettive) metalliche, d’oro e d’argento, di rame e di lega, venivano utilizzate sempre più largamente come mezzo di pagamento; tuttavia i valori dei beni scambiati, dei servizi prestati, e delle monete stesse, erano espressi in unità di conto immateriali, le monete immaginarie.

La distinzione fra misura del valore e mezzo di scambio costituiva il tratto connotativo del sistema monetario d’antico regime, che lo differenzia dal

Gold Standard14 ottocentesco così come dal sistema monetario attuale15. In

riferimento alla moneta occorre sottolineare come con essa non si debba, contrariamente all'accezione comune, intendere come merce universalmente accettata, ma piuttosto come forma di coesione sociale, ovvero come strumento dipendente dall'assetto delle regole che una società si è data al fine di favorire gli scambi e tutelare la proprietà.

Ebbene, ne consegue il fatto che, se da un lato l'introduzione nell'uso della moneta di conto è riferibile alla necessità di un mezzo comune di valutazione, dall'altro il suo permanere si deve alla sua volontà di definire un equilibrio nella dicotomia tra circolazione e trasferimento di ricchezza16.

Tenendo conto di ciò, esaminando la storia della moneta immaginaria, bisogna tracciare due linee guida, onde evitare, nel tentativo di delinearne il

13 Nel caso specifico e, in tutta l'epoca moderna, la moneta con la quale si paga non coincide

con la moneta con cui si conta.

14 Gold standard che nasce come uno smantellamento delle strutture portanti del sistema della

moneta immaginaria; origine rintracciabile nell'istituzione di una, fino ad allora, inedita identificazione tra moneta-misura e moneta-mezzo di pagamento.

15 L. Fantacci, Teoria della moneta immaginaria nel tempo da Carlomagno a Richard Nixon, in

«Rivista di Storia Economica», XVIII, 3 (Dicembre 2002), pp. 301-302.

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passato, di imboccare strade sbagliate; pertanto, rivolgendosi alla sua storia, occorre: da un lato, rinunciare alla convinzione che la moneta di conto assuma un'ideale posizione di cardine nel sistema di relazioni interne al sistema di pagamenti; dall'altro, adottare un arco temporale che abbia come punto estremo la rivoluzione francese (tenendo presente che, in seguito ad essa, vi fu l'apparente unificazione, tramite un artificio tecnico, tra mezzo di pagamento e moneta di conto)17.

Considerando come punto di avvio la riorganizzazione del sistema dei pagamenti in moneta di conto e moneta reale, ufficializzata da Carlo Magno tramite l'attuazione di un sistema incentrato su un'unità base (lira), sono distinguibili tre periodi:

1) tra l'VIII e il XIII sec.: i pagamenti espressi in moneta di conto furono realizzati prevalentemente in merci;

2) tra il XIII e il XVI sec.: oltre al moltiplicarsi delle coniazioni, si svilupparono l'uso, e la mobilità, della moneta di conto;

3) tra il XVIe il XXsec.: si verificò la separazione tra moneta di conto e mezzo di pagamento compiuta, inizialmente, attraverso svalutazione della moneta-merce (XVI-XVIII), successivamente tramite l'adozione di moneta fiduciaria18 (XIX-XX).

Proprio il XIII secolo, dunque, costituisce un vero e proprio "punto di svolta" nella storia monetaria. Così come evidenzia Bloch, esso coincide con il

17 Sebbene la funzione di misura si possa concettualmente ritenere un attributo fondamentale

della moneta come strumento sociale, essa non coincide in assoluto con la funzione assolta dal conto; essendo quest'ultima una modalità che si è venuta determinando nel tempo, essa è stata soggetta a trasformazioni in relazione alle altre funzioni, ovvero quelle di strumento di scambio e di mezzo di pagamento; qui, inoltre, si fa riferimento alla sostituzione della moneta-merce con moneta-fiduciaria, tema che sarà ripreso, nonché approfondito in seguito.

18 Con l'adozione della stessa si rese possibile la manovrabilità da parte dell'autorità di governo

del rapporto tra valore nominale e capacità di acquisto. Consiste in mezzi di pagamento emessi da un qualsiasi istituto di credito X con garanzia di convertibilità (o rimborso futuro) in moneta effettiva o in beni, su richiesta del portatore.

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passaggio dalla quasi assenza all'estesa presenza della moneta metallica, sottolineando come si possa osservare effettivamente un vero e proprio "sistema di conto" solo in seguito alle molteplici coniazioni, realizzate a partire da metà XIII secolo. E furono proprio le coniazioni (come rimarcano Lane e Muller19), a rivoluzionare quello che era il "sistema del conto"; difatti, alla suddivisione dello standard connesso con una moneta reale, se ne accosta un altro riferito ad una moneta immaginaria (o fantasma)20.

Proprio il periodo preso in considerazione, ovvero quello che va dal XIII al XVI sec., può essere identificato come "regime della moneta immaginaria"; all'interno dello stesso le monete d'oro hanno potuto circolare in tutta Europa come mezzi di pagamento per il commercio internazionale, senza che ciò rappresentasse un ostacolo alla circolazione delle monete d'argento o di rame all'interno degli spazi monetari nazionali21.

Altro bivio, che qui si vuole analizzare, in riferimento al percorso storico delineato, riguarda la separazione tra moneta di conto e mezzo di pagamento iniziata nel '500. Nello specifico, sarebbe opportuno esaminare la suddetta separazione in relazione al rapporto tra: monete private (standards fissati dai mercanti) e monete pubbliche (standards circolanti in ambiti definiti da uno specifico assetto istituzionale); moneta interna (coniata e circolante in uno stato X) e moneta estera (coniata e circolante in uno stato Y).

Per quanto concerne la prima comparazione, risulta utile osservare come, tra il XVI e il XVIII sec., il distacco tra unità di conto e unità di pagamento,

19 Dei quali è nota una relazione sui depositi bancari veneziani nel Medioevo, che costituisce

tema di grande interesse, in quanto le conoscenze in materia sono scarse (F.C. Lane, R.C. Mueller, Money and Banking in medieval and renaissance, Venice, Baltimore, Johns Opkins University Press, 1985).

20 Termini come lira, ducato o fiorino, divenuti ormai indefiniti, richiedevano così di specificare a

quale moneta reale si facesse riferimento.

21 M. Amato e L. Fantacci, Fine della finanza: da dove viene la crisi e come si può pensare di uscirne, Roma, Donzelli Editore, 2009, p. 218.

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congiunto alla modifica delle tariffe (il valore ufficiale o conio con cui la moneta viene immessa nel sistema economico), determinò sia vantaggi al ceto dei mercanti-banchieri (monete private)22, sia al principe (monete pubbliche). Questi ultimi consistevano nel controllo sulla spesa (debiti fissati in moneta di conto), sulla collocazione dei titoli (stabilità dei rendimenti) e sul costo del debito dello Stato; ma permettevano anche una razionalizzazione della fiscalità periferica e con essa della contabilità pubblica, alimentando una fonte, sebbene normalmente minima, di introito fiscale (signoraggio)23.

Relativamente al rapporto moneta interna-estera, invece, si può evidenziare come l'uso di uno standard internazionale comporti, non solo, lo svantaggio di alimentare le possibilità speculative di esportazione24, ma anche, il vantaggio, tramite un riallineamento diretto con lo standard, di limitare l'incertezza derivante dal rispetto dei contratti degli Stati, consentendo a ciascuna delle parti un'autonoma azione di riallineamento indiretto tra la moneta circolante nel luogo di produzione (nazionale) e quella circolante nel luogo di scambio (estero).

Pertanto, tornando al discorso originario, concernente la separazione tra moneta di conto e mezzo di pagamento, occorre rilevare come il moltiplicarsi degli scambi e dei contratti (che caratterizzano il XIX secolo) abbiano come effetto l'aumento dei costi di informazione; da ciò ne deriva un problema, la cui risoluzione consiste nella sostituzione della merce con la moneta-fiduciaria25 e quindi nell'unificazione tra mezzo di pagamento e moneta di conto.

22 Permettendo attraverso pagamenti differiti, vendite a termine e aggiotaggio, di ottenere un

guadagno congiunto a quello dello scambio delle merci.

23 L.Conte, Op. cit., pp. 428-430.

24 Qui si fa riferimento ai paesi in cui fosse in vigore una proporzione più favorevole tra quantità

di metallo e valore cui questa era immessa nella circolazione.

25 Con l'evoluzione della società la moneta-merce perse man mano il proprio valore intrinseco. Il

metallo utilizzato per coniare le monete iniziò ad essere di valore inferiore al potere di acquisto della moneta. Si passò così dalla moneta merce alla "moneta-segno", il cui valore è fissato in

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Così ad un'idea di moneta come istituzione sociale e bene pubblico26, si

sostituì un'idea di moneta considerata alla pari di un bene economico27.

1.2 MONETA DI CONTO, IDEALE E IMMAGINARIA

All'interno del sentiero intrapreso, si sono intraviste tre monete, le quali, allo sguardo fugace di un passante spedito, possono parere le medesime (moneta di conto, ideale e immaginaria); tuttavia onde evitare smarrimenti, qui occorre fare una pausa e soffermarci, fornendo alcune indicazioni di certo utili al proseguo del cammino. In un quadro che raffigurava una molteplicità di monete nazionali e straniere, congiunta all'uso e all'abuso del principe a "mutare" la moneta28, si veniva a rappresentare una situazione caratterizzata da un disordine monetario, tra le cui conseguenze figura la confusione nei conteggi, derivante dalla coesistenza di più monete come mezzo di pagamento, riferite ad unità diverse; l'introduzione di una "moneta di conto" (cioè di una valuta di denominazione costante) è il rimedio col quale si cerca di sanarla.

modo convenzionale e universalmente riconosciuto dalla società. Nell'insieme della moneta segno si parla di "moneta-legale" nei casi in cui la circolazione è autorizzata dalle autorità statali e di "moneta-fiduciaria" nei casi di strumenti esterni in grado di riscuotere la fiducia degli operatori in una società.

26 Per Ferdinando Galiani, una moneta vista come strumento con cui si era in grado di valutare

le cose e comprarle (risultato di convenzioni tra gli agenti al fine di permettere la quantificazione e il riconoscimento della propria ricchezza).

27 Per J.S. Mill ,una valuta che rappresenta un ottimo mezzo di "cambio", in grado di ridurre al

minimo il numero e i costi delle transazioni necessarie al soddisfacimento della molteplicità dei bisogni.

28 Insieme ai difetti tecnici della coniazione, oltre che alla facilità delle falsificazioni e

all'abitudine della "tosatura" (frode consistente nel sottrarre metallo dai bordi delle monete) anche da parte del popolo.

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Altra conseguenza era l'incertezza, nei rapporti di debito e credito, del quantum di metallo dovuto, a causa delle alterazioni del titolo o del peso delle monete correnti, o del rapporto tra di esse, o tra esse e la moneta di conto. A questo secondo problema, si cerca di sopperire con l'introduzione di una "moneta immaginaria o fittizia", la cui unità sia una quantità costante di metallo (oro, argento, o rame). Infine, ulteriore effetto del disordine monetario era la perturbazione frequente e spesso violenta dei prezzi, e quindi di tutti i rapporti economici derivanti da scambi monetari, dovuta sia all'alterazione della moneta sia alle variazioni di quantità e di valore di scambio dei metalli. Per evitare ciò interviene la "moneta ideale", vale a dire una valuta, la cui unità conserva un potere d'acquisto costante.

Queste tre proprietà non coesistono necessariamente, bensì possono, in talune circostanze, rivelarsi incompatibili tra loro. In tal senso, ad esempio, risulta opportuno rimarcare come una "moneta immaginaria", possa anche essere una "moneta di conto" ma non è generalmente atta ad essere una "moneta ideale". Così come una moneta ideale, può anche essere una "moneta di conto", ma potrebbe essere una "moneta immaginaria" soltanto se l'unità fosse comparata non ad una determinata quantità di un bene solo, ma ad una massa composta di date quantità di moltissimi beni29.

Numerosi scrittori monetari antichi, o non distinsero nettamente le tre "funzioni" della moneta, o confusero i nomi30. Per Montanari31 ad esempio, giurista e matematico, la moneta immaginaria non è nient'altro che la moneta di conto.

29 P. Jannaccone, Moneta e lavoro: moneta di conto, immaginaria e ideale negli antichi scrittori monetari, Torino, Utet, 1954, pp. 31-32.

30 Come verrà più volte più volte rimarcato da Luigi Einaudi all'interno della sua «Rivista»,

accusando gli stessi scrittori di eccessiva vaghezza nell'adoperare taluni termini.

31 G. Montanari, Della Moneta: Trattato mercantile, 1680, Ristampa in Collezione Custodi, Scrittori Classici Italiani di Economia Politica, Milano, 1804.

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Broggia, noto economista e commerciante napoletano, si indigna contro coloro che vedono nella moneta immaginaria soltanto un più facile strumento di calcolo, e ne incolpa specialmente i giuristi che a suo modo di vedere, poco sanno della moneta32. Egli, non confonde con l'immaginaria ogni moneta di conto, con la quale si fanno i contratti, le stipulazioni e si tengono i registri, ma vede in essa "quell'espediente meraviglioso che al tutto supplisce...che toglie tutte le difficoltà e i disordini cagionati dalle alterazioni delle monete effettive"33.

E continua:

"la moneta immaginaria è quella che realmente non ha valore intrinseco ma lo ha nell'estrinseco sempre ad un modo ed immutabile; vale a dire non esiste in ispecie tale quale è determinata, ma esiste nel suo prezzo il quale non muta, giammai, come mutano le monete d'oro e d'argento le quali sono effettive"34.

In altre parole, il prezzo immutabile della moneta immaginaria è, per Broggia, una data quantità di rame monetario, alla quale vengono comparate le monete effettive (d'oro e d'argento), con un rapporto che varia a seconda del contenuto metallico delle suddette e del valore del metallo di cui sono formate. Il concetto broggiano della moneta immaginaria è dunque ben diverso da quello del Montanari.

Altro scrittore che diede il proprio contributo in materia fu Fabbrini35; egli, in particolare, si concentra sull'etimologia, affermando che, si dice "immaginaria" perché è frutto della nostra immaginazione; "di conto" perché

32 Cfr. C.A. Broggia, Trattato de' tributi, delle monete, e del governo politico della sanità: Opera di stato, e di commercio, di polizia, e di finanza, Napoli,Presso Pietro Palombo, 1743, vol. IV,

pp. 175-176.

33 C.A. Broggia, Op. cit., vol. V, p. 97. 34

Ivi, pp. 104,107-113,123.

35 G.A. Fabbrini, Dell'indole, e qualità naturali, e civili della moneta e de' principj istorici e naturali de' contratti dissertazioni, Roma, Ed. Fagliarmi, 1750.

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rimane fissa e facilita i conti (non è soggetta quindi a variazioni così come le monete reali).

Un ulteriore spunto al dibattito sulla moneta viene dato dall'opera di Ferdinando Galiani36, nella quale viene definita immaginaria, di conto o ideale ogni moneta che non è reale, vale a dire che non ha un pezzo di metallo intero che le corrisponda per appunto in valore. Galiani, così come Fabbrini, riprende il concetto di valore fisso, ribadendo inoltre che la valuta immaginaria non possiede un valore espresso in metalli. Ad essa egli nega di esser stabile, perché, essendo la moneta immaginaria l'equivalente di un certo numero di monete reali, ciascun mutamento del valore di scambio di queste si ripercuote sul valore della stessa.

Per l'autore di Della Moneta, l'idea riguardante una moneta invariabile, rappresenta un sogno. Egli, d'altro canto, è contrario all'idea di Broggia di esaltare la moneta immaginaria. In effetti gran parte di ciò che Galiani scrive sulla moneta immaginaria (ossia di conto) è diretto a confutare l'opera di Carlo Antonio Broggia, nella quale sommamente si esaltava la moneta di conto. Nello specifico, mentre per quest'ultimo essa veniva identificata come l'equivalente costante di una determinata quantità di un dato metallo, il primo la considerava come l'equivalente costante di una determinata quantità di tutti i beni.

Inoltre mentre Broggia, riferendosi alla moneta immaginaria, mette in secondo piano la costanza del potere d'acquisto; Galiani, rintraccia proprio nella costanza del suo potere d'acquisto il requisito essenziale di una "moneta ideale".

Seppur il Galiani sposti il dibattito sulla moneta immaginaria ad un "livello" superiore, non giunge ancora a concepire una moneta immaginaria che

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non debba esser convertita in moneta reale e resti quindi insensibile alle mutazioni di valore di questa37.

Del resto, anche l'opinione del giurista Pompeo Neri38 risulta degna di nota. Egli, infatti, delinea con estrema chiarezza sia il significato di moneta di conto, sia quello di moneta immaginaria; nello specifico, mentre la prima è riconoscibile in quanto effettivamente coniata e sottoposta a continua degradazione, la seconda, benché con funzioni assimilabili a quelle della moneta di conto (e sottoposta anch'essa a continua degradazione), viene identificata con un nome che indica una parte «quotativa» delle monete reali con le quali era in costante riferimento. Per Neri, quindi, essa viene rappresentata come quoziente (o prodotto) della divisione (o moltiplicazione) della moneta reale per un dato numero.

Com'è stato sin ora evidenziato, gli scrittori monetari antichi facevano bene a distinguere tra moneta immaginaria e moneta reale, anche se non avevano idee chiare su ciò che realmente fosse la prima.

Quanto appena affermato risulta evidente dagli scritti di due autori che associarono la moneta immaginaria al concetto di media: gli economisti francesi Le Blanc e Dutot.

Per Le Blanc39 la moneta immaginaria, legata alla media delle monete reali, non cambia mai di valore; essa rappresenta una valuta che non fu mai coniata40.

37 P. Jannaccone, Op. cit., pp. 32-42.

38 P. Neri, Osservazioni sopra il prezzo legale delle monete, Milano, 1752.

39 M. Le Blanc, Traité historique des monnayes de France, Paris, Charles Robustel, 1698. 40 Difatti, nonostante Carlo Magno avesse coniato monete d'argento (reali), il popolo era

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Altro scrittore che lega la moneta immaginaria (o ideale o politica) al concetto di media è Dutot41; pertanto, anch'egli la distingue dalle monete reali

(o effettive), ovvero quelle d'oro e d'argento.

Alcuni autori, d'altro canto, oltre a definire (seppur in molti casi con vaghezza e approssimazione) il concetto di moneta immaginaria, tenevano a rimarcare il distacco concettuale nei confronti di alcuni dei loro predecessori. Allo stesso modo del Galiani, il quale, come si è osservato in precedenza, evidenziò il divario ideologico intercorrente col Broggia (accentuato principalmente dalla questione sull'esaltazione della moneta di conto), anche Valeriani42 ebbe da ridire con chi l'aveva preceduto. Egli, in effetti, tiene a specificare che la moneta immaginaria non ha nulla a che vedere col concetto di "idea pura" avanzato dal Fabbrini; bensì essa corrisponde al multiplo/sottomultiplo non coniato di moneta reale.

Ma, se vi è qualcuno, che più di ogni altro, disapprova i propri antecessori (accusati di eccessiva vaghezza nella definizione del concetto moneta immaginaria), costui è proprio Luigi Einaudi; egli, allo scopo di far chiarezza sul termine, riferendosi alla valuta immaginaria, affermò che essa: non è legata al concetti di media (di Le Blanc e Dutot), perché non vengono precisate specie e numero delle monete reali di cui la moneta immaginaria dovrebbe essere la media; non è idea pura (Fabbrini); non è multiplo/sottomultiplo non coniato di moneta reale (Valeriani); non è quoziente/prodotto della divisione/moltiplicazione della moneta reale per un dato numero (Neri). Anche se vicino alla realtà, l'enunciato di Neri esclude se stesso, perché la lira, una volta ricavata, diventa reale così come il fiorino.

41 N. Dutot, Reflexions politiques sur le finances et le commerce, La Haye, Les frères Vaillant &

Nicolas Prevost, 1754.

42 L. Valeriani, Ricerche critiche ed economiche sull'Agostaro di Federigo II, sul ducato detto del Senato, sul fiorin d'oro di Firenze, sul ragguaglio fra l'Agostaro, e questi e con ciò sulle monete di conto in genere, Bologna, Annesio Nobili, 1819.

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Sebbene la nozione di moneta immaginaria fosse molto diffusa tra gli scrittori di cose monetarie italiani e stranieri, come Einaudi mostra in una ricca rassegna di dottrine, si trattava di concetti spesso confusi, troppo generici, troppo parziali, insufficienti a spiegare la realtà.

L'economista torinese fu il primo a parlare di un vero e proprio "sistema della moneta immaginaria"43; il quale era costituito dalla moneta di conto (o immaginaria; utile a contare e contrattare) e dalla moneta reale (o effettiva; atta ad effettuare pagamenti); e nel quale la moneta immaginaria rappresenta un puro vincolo.

Un "sistema", all'interno del quale, la moneta immaginaria non viene delineata come moneta qualsiasi; bensì come uno strumento utile al raggiungimento di determinati scopi. Ed è proprio accennando alle sue funzionalità che Einaudi allarga la propria visione, elevando il discorso sopra la moneta, ad un livello superiore.

Livello, tra l'altro, che offre diversi spunti interessanti, i quali saranno trattati e analizzati in seguito.

1.3 LO STRUMENTO MONETA IMMAGINARIA

Ponendo lo sguardo, invece, alla moneta immaginaria come strumento, occorre precisare che, colui il quale scrisse per la prima volta sullo "strumento moneta immaginaria", fu Carlo Antonio Broggia.

L'economista e commerciante napoletano identificava la moneta di rame, dal valore fittizio, come quello strumento fondamentale per correggere e

43 Altro storico che riprese Einaudi e scrisse sul "sistema di conto" fu Marc Bloch,

Esquisse d'une histoire monétaire de l'Europe, in «Annales d'histoire économique et sociale», n. 9, 1954

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neutralizzare i danni prodotti dalle fluttuazioni del valore dei metalli. Nel suo celebre Trattato della moneta, egli considerava la moneta, precisamente come il primo strumento di politica economica, definendo la stessa come «misura generale di tutte le cose venali»44.

Più dettagliatamente, secondo Broggia, l'alterazione di ciò che costituiva il valore intrinseco (svalutazione) di una moneta, avrebbe generato soltanto preoccupazioni45.

Dunque, per evitare le svalutazioni delle monete, Broggia suggeriva la creazione di una valuta immaginaria46, fatta di un metallo di poco valore come il rame. In tal modo, la moneta avrebbe posseduto un valore estrinseco, mentre veniva privato di quello intrinseco, come se fosse una moneta di conto, che nelle contrattazioni avrebbe avuto sempre lo stesso valore, con vantaggio per i creditori e i debitori. In quest'ottica, difatti, la moneta immaginaria si sarebbe cambiata con le monete reali e il cambio sarebbe variato in base al contenuto di metallo fino della moneta reale47. In sintesi, la moneta immaginaria costituiva

uno strumento di misura del valore della moneta effettiva48.

Finché la produzione di metalli preziosi rimaneva inalterata, essa non aveva altra funzione nel mercato monetario, al di fuori di quella di moneta di conto; viene chiamata al suo "dovere di strumento", solo quando un'alterazione

44 C.A. Broggia, Op. cit., p. 176.

45 Da ciò si presume che Broggia fosse contrario all'idea di esaltare le svalutazioni, propria di

Melon (autore che sarà ripreso in seguito).

46 La situazione caotica provocata dai continui svilimenti della moneta poteva essere

fronteggiata solo con una radicale riforma del sistema monetario basata sullo "strumento della moneta immaginaria".

47 F. Balletta, Monete, Banche e mercato finanziario nel pensiero degli economisti napoletani del Settecento, in «Rivista di Storia finanziaria», vol. IV (2001), pp. 20-22.

48 Come scriveva Broggia: "il vero espediente per togliere tutte le controversie e tutti i discapiti

che potessero sentirsi da qualche parte, egli è la bella legge della moneta immaginaria" (Broggia, Op. cit., p. 290).

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nella produzione dei metalli preziosi incide sul valore delle monete effettive. Per quanto concerne lo strumento in materia, occorre dare atto al Broggia, il quale rivestì, difatti, il ruolo di pioniere. Egli indicò le orme da seguire e se è pur vero che fu il primo a parlarne, è altresì vero che non riuscì ad interpretare appieno la rilevanza dello "strumento".

In effetti, fu proprio Luigi Einaudi, il quale, indagando sulla funzionalità della moneta immaginaria, portò le trattazioni in materia ad un livello superiore. Luigi Einaudi, all'interno della sua "Rivista", difatti, più volte paragonò la moneta immaginaria ad un espediente tecnico usato per raggiungere determinati scopi49. L'uso di una moneta di grida50 consentiva, infatti, più del signoraggio e con costi minori del processo di ritiro e nuovo conio, di superare la tendenza del sistema a modificarsi in monometallico alternante (in ragione della variazione del rapporto di mercato tra i valori del metallo-merce)51.

Purtroppo però, essendo stato uno strumento costruito ad hoc dal principe, che ne traeva vantaggio proprio, dilagò la volontà di porre fine all'arbitrio del potente, che culminò con le assemblee rivoluzionarie del XVIII sec., le quali portarono all'abbandono dello "strumento moneta immaginaria", in conseguenza all'unione dell'espressione del valore monetario con quella del contenuto di metallo fino (unificazione tra mezzo di pagamento e moneta di conto)52.

49 L. Einaudi, Op. cit., p. 8.

50 Riferimento in materia, seppur datato e di non semplice comprensione, si rivela essere:

Ducato di Milano, Grida Generale Sopra Le Monete, Milano, Ed. Pandolfo&Malatesta, 1614.

51 L. Conte, Op. cit., p. 425.

52 «Ad un sistema "perfetto, ma astratto", organizzato in tre unità, moneta immaginaria (lira),

moneta reale (franco), bene economico (chilogrammo di pane) e tre vincoli, lira a merce, lira a franco e franco con merce, se ne sostituiva così uno, "più rozzo, ma certo", fondato sul rapporto tra unità monetaria e unità bene economico.» (L. Conte, Op. cit., p. 426).

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In tal senso, secondo l'economista torinese, guardando all'origine e alla fine dello strumento moneta immaginaria, bisogna incentrarsi sulla "cultura", prima ancora che sull'assetto istituzionale. Nello specifico, se l'origine è ritenuta "opera del caso"53, allo stesso modo il suo abbandono è riferito all'affermarsi di una cultura incentrata sul "bisogno di certezza", che portò all'imposizione di uno standard in "grano" (o più comunemente in "grammi d'oro fino")54.

Sulla funzionalità della moneta immaginaria, chiarisce Einaudi, essa aveva lo scopo di garantire, in pratica, la corretta efficienza del sistema basato su una molteplicità di monete, di metalli diversi (cioè per far funzionare il bimetallismo e il plurimetallismo).

Per quanto concerne la necessità dello strumento moneta immaginaria, risulta utile ai fini di analisi, rimarcare come tale bisogno scaturiva principalmente da due fattori interconnessi che, Einaudi, mette in luce (e ha anche occasione di puntualizzare) in una fine polemica con Achille Loria nella Rivista da lui fondata. Affinché il sistema bimetallico fosse stabile occorreva, difatti, che "il rapporto esistente sul mercato fra i due metalli in pasta (lingotti o verghe) fosse eguale al rapporto legalmente fissato fra le due unità monetarie coniate; condizione comunemente espressa dicendo che il rapporto commerciale sia uguale al rapporto legale"55.

Pertanto, prima di focalizzare lo sguardo verso i due fattori sopracitati, occorre, a tal punto del percorso, fare un passo indietro, al fine di inquadrare storicamente il "valore" della moneta effettiva.

Ebbene: metallo, moneta reale e moneta immaginaria; questi erano i tre elementi costitutivi del sistema monetario d’antico regime, il quale era

53 Qui inteso come succedersi di fatti storici non determinati da una volontà indirizzata ad uno

scopo; originata, soprattutto, dall'aspirazione potente degli uomini del medioevo al perpetuo, all'invariato, all'universale (L. Einaudi, Op. cit., p. 17).

54 L. Conte, Op. cit., p. 427. 55 F. Forte, Op. cit., p. 7.

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caratterizzato dalle loro reciproche relazioni e dai contesti in cui, di volta in volta, tali relazioni si potevano instaurare.

Figura 1: i tre elementi della moneta d'antico regime

In virtù di ciò, risulta riduttivo parlare di singolo «valore», bensì sarebbe più opportuno riferirsi a tre diversi valori, che contraddistinguono la moneta reale:

1) il valore legale, misurato dalla moneta immaginaria nella tariffa, e comprensivo dei costi di battitura (brassaggio) e di una tassa a favore dell’erario (signoraggio);

2) il valore commerciale, determinato sempre dalla moneta immaginaria, ma misurato sul mercato, dall’incontro della domanda e dell’offerta;

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In ossequio alla concezione metallista56, ci si riferisce, spesso

implicitamente, a una diversa misura di valore: il rapporto fra unità di conto e metallo, la fantomatica parità metallica57.

Storicamente, per l'appunto, non vi è alcun rapporto fra moneta immaginaria e metallo; non c’è nel senso stretto che non è dato di trovare alcun contesto in cui tale rapporto si determini. Difatti, nessuna relazione tra unità di conto e peso di metallo è stata esplicitamente stabilita per legge sino alla Rivoluzione francese58. Occorre dunque porre l'accento su ciò che, all'epoca, riguardava il legame commerciale fra i metalli monetari; esso, a quel tempo, era soggetto a mutazioni piuttosto assidue (nonché repentine) e da ciò ne conseguiva la necessità di modificare di frequente anche il rapporto legale tra i metalli monetari stessi.

Questo è, per l'appunto, il primo fattore rilevante per la ragion d'essere della moneta immaginaria, ovvero, il dovere modificare abbastanza spesso e possibilmente celermente l'ammontare di lire equivalenti ad una data unità monetaria reale, espressa in oro o in argento. Ma ora interviene il secondo fattore interconnesso, vale a dire, il fatto che la moneta reale avesse un nome e una indicazione di unità, impressa sul metallo.

Difatti, se non vi fossero state le monete immaginarie (espresse in lire), ma solo quelle reali, per correggere il cambio delle monete fatte nel metallo che

56 Tale visione si fonda sul principio che il valore di una moneta è dato, intrinsecamente, dal

metallo con il quale essa viene coniata.

57 Carlo Cipolla, mantenendo il riferimento a principi monetari ottocenteschi, giudica

«fantomatica» la moneta immaginaria (cfr. C. Cipolla, Le avventure della Lira, Bologna, Il Mulino, 1975, pp. 77-81); di fatto, però, nel quadro delle istituzioni proprie della moneta antica, è la parità metallica che sfugge a ogni possibilità di identificazione (cfr. M. Amato, Il bivio della

moneta. Problemi monetari e pensiero del denaro nel Settecento italiano, Milano, Egea Editore,

1999, pp. 27-31).

58 L. Fantacci, Teoria della moneta immaginaria nel tempo da Carlomagno a Richard Nixon, cit.,

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si era svilito rispetto all'altro59, si sarebbe dovuto provvedere a rifondere le

monete stesse, per modificare la dicitura impressa su di essa, riducendola di conseguenza60.

Certamente, si sarebbe potuto anche stabilire che un dato tipo di unità monetaria reale potesse essere coniata solo in un dato metallo e che ogni altra moneta dovesse, per scopi di conto, esprimersi in questa. Questo però, in concreto, non avveniva. Se fosse accaduto, si sarebbe potuto dire che vi era una moneta reale che aveva anche ufficio di moneta immaginaria. Ciò non avveniva, spiega Einaudi, per il semplice motivo che il ricorso ad un intermediario, a un mezzo di conto valevole rispetto a tutte le monete, era più comodo, perché in tempi di molte monete contemporaneamente correnti li liberava dal fastidio e dal costo di quotare i prezzi delle merci in altrettante unità monetarie61.

In particolare, se la funzione di moneta immaginaria fosse stata assegnata ad una moneta reale di un dato paese, vi poteva essere il rischio che il sovrano (principe) la manipolasse62, ma assegnando la funzione di moneta

immaginaria ad una moneta di conto, che non esisteva nella realtà, tale pericolo automaticamente veniva a cadere.

59 Una moneta di un dato metallo che pesava tot, recava impresso sul disco di cui era composta

la dicitura due zecchini (o due scudi; o tre genovine). In caso di deprezzamento del metallo di cui essa era composta, nei confronti dell'altro metallo di cui erano composte altre monete, affinché la correzione del cambio legale fosse in conformità alla modifica di quello commerciale bastava un decreto (o grida, come spesso tali decreti si chiamavano).

60 Tuttavia ciò avrebbe comportato tempo e fatica, con il rischio che, ad operazione finita, si

dovesse ricominciare da capo (F. Forte, Op. cit., p. 8).

61 Si trattava di una moneta inamovibile in una realtà di monete mutevoli.

62 E in tal modo si generassero una serie di interferenze nei rapporti fra le varie monete reali, in

(35)

35 Secondo Einaudi:

«La scoperta dello strumento moneta immaginaria non fu opera di un teorico bensì il frutto del caso, intendendosi per caso un succedersi di fatti storici non determinati da una volontà indirizzata ad uno scopo; ma se tra i tanti fattori si volesse indicare quello che più si avvicini ad un atto volontario degli uomini, bisognerebbe segnalare l'aspirazione prepotente del medioevo al perpetuo, all'invariato, all'universale, congiunta all'orrore del caduco, del mutabile, del particolare. Cercarono tenacemente l'unità invariabile dei valori, la chiamarono lira, la dissero immobile in un mondo di monete cangianti, varie d'ogni paese venute; e scoprirono un rapporto ed il modo di far variare quel rapporto allo scopo di raggiungere certi risultati. I legislatori e gli economisti venuti dopo il 1789 vilipesero quella scoperta, senza intenderne il valore, anzi fraintendendone il contenuto vero attraverso attributi transeunti; e poi si dimenticarono»63.

Peraltro, scrive Einaudi, questo strumento, opportunamente modificato, poteva risultare una valida soluzione per far funzionare il sistema del bimetallismo universale, il quale però, in pratica finì per non funzionare correttamente64. Essa avrebbe potuto permettere di tenere in equilibrio il

sistema del bimetallismo universale, ma in realtà non diede i risultati sperati, a causa della lentezza a riconoscere le variazioni intervenute nel corso commerciale dei diversi metalli tra di loro, determinando l’inconveniente rilevato dalla legge di Gresham65.

63 L. Einaudi, Op. cit., p. 17.

64 Se è vero che in un Sistema monometallico, Einaudi, considera la moneta immaginaria un

ufficio non necessario, è altresì vero che, all'interno di un sistema bimetallico, ritiene la stessa un ufficio "fondamentale" per tenere in equilibrio il sistema e per far sì che il rapporto legale tra le monete coincida col rapporto commerciale fra i metalli.

65 Ovvero: la moneta cattiva scacciava la buona, in quanto i detentori della buona non erano

disposti a darla in pagamento ma la tesaurizzavano o trovavano, addirittura, conveniente fonderla per ricavarne il metallo, con cui avrebbero potuto procacciarsi più metallo deprezzato e, corrispondentemente, più monete cattive in esso coniate (O. Nuccio, Legge di Gresham o

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