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L'amministrazione di sostegno: criticita' applicative di un istituto in ascesa

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Vivi come ti dice il cuore… fai tutto ciò che senti di buono… una vita è come un’opera di teatro senza prove generali. Quindi canta, ridi, balla, ama… e vivi intensamente ogni momento della tua vita, prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi.

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2 INDICE

Introduzione ... 5

Capitolo I – Delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia ... 9

1.1 Premesse ... 9

1.2 Evoluzione legislativa degli istituti di protezione ... 11

1.3 Brevi cenni sull’incapacità legale di agire ... 17

1.4 La capacità di agire del beneficiario di amministrazione di sostegno ... 20

1.5 Discrimen tra le misure di protezione ... 26

Capitolo II – La peculiare disciplina dell’amministrazione di sostegno ... 34

2.1 Linee – guida e finalità della nuova normativa ... 34

2.2 Presupposti per l’applicazione dell’amministrazione di sostegno ... 38

2.3 Contenuto del ricorso ... 42

2.4 Udienza di trattazione e audizione del beneficiario ... 46

2.5 Contenuto del decreto di nomina dell’amministratore di sostegno ... 50

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3

Capitolo III – I soggetti coinvolti ... 60

3.1 Il beneficiario ... 60

3.2 L’amministratore di sostegno ... 67

3.3 (segue). La delicata questione delle dichiarazioni anticipate di trattamento (D.A.T.) ... 82

3.4 Il conflitto di interessi tra amministratore di sostegno e beneficiario ... 86

3.5 Il Giudice competente ... 90

Capitolo IV – Il rapporto tra atti personalissimi e amministrazione di sostegno ... 99

4.1 Definizione e cenni introduttivi sui cc.dd. atti personalissimi... 99

4.2 Il tema della rappresentanza negli atti personalissimi ... 104

4.3 La posizione del beneficiario in relazione ai principali atti personalissimi... 110

4.3.1 Testamento ... 111

4.3.2 Riconoscimento del figlio ... 116

4.3.3 Negozio matrimoniale e altre vicende connesse ... 118

4.3.4 Contratto di donazione ... 121

Capitolo V – Trust e amministrazione di sostegno: istituti complementari per la tutela dei soggetti deboli ... 127

5.1 Trust: definizione e disciplina ... 127

5.2 Il trust interno e le principali questioni ad esso collegate ... 133

5.3 Il delicato rapporto tra trust interno ed atti di destinazione ex art. 2645-ter Cod. Civ. ... 140

(4)

4

Conclusioni ... 152

Bibliografia ... 158

Giurisprudenza citata ... 170

(5)

5

INTRODUZIONE

Con l’entrata in vigore della legge n. 6 del 9 gennaio 2004 si è assistito ad un vero e proprio stravolgimento del concetto di protezione dei soggetti “deboli” che fino ad allora era stato

fatto propria dal Codice Civile.

Tale radicale ripensamento deve essere ricondotto alla valorizzazione delle facoltà residue,

delle attitudini e delle aspirazioni del soggetto menomato il quale, lungi dall’essere escluso

dalla vita giuridica e sociale, potrà contare sul sostegno costante e vigilato

dell’amministratore di sostegno.

E quindi, se da un lato l’interdizione ha assunto nel tempo i caratteri di una vera e propria

“morte sociale”, è grazie soprattutto agli sforzi della più accorta dottrina, di molti enti no-profit e dei famigliari dei soggetti in difficoltà se oggi assistiamo alla rinascita e riabilitazione

culturale e giuridica delle persone non autosufficienti.

Grazie alla riforma l’ordinamento giuridico italiano considera questi soggetti pienamente capaci fino a quando non si registri nei loro confronti una pronuncia giurisdizionale che

indichi in modo puntuale gli atti per i quali il beneficiario necessiti di rappresentanza od

assistenza.

Dominus del procedimento non potrà che essere il Giudice Tutelare al quale spetta il difficile

compito di intagliare su misura l’abito della tutela maggiormente confacente alle esigenze del caso di specie. Tuttavia si osserverà a tal proposito come la delicatezza della “geometria

variabile” fatta propria dall’organo giudicante sarà destinata a scontrarsi con la realtà dei fatti che vede i Tribunali di tutta Italia letteralmente sommersi da cataste di ricorsi senza per altro

avere le risorse d’organico sufficienti ad una corretta e tempestiva evasione di questi.

Come si può intuire questo avrà gravissime ricadute sulla intelligibilità e sulla qualità dei

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6

riferendosi a concetti come l’ordinaria e la straordinaria amministrazione consentano di ottimizzare i tempi di risposta.

La duttilità del nuovo istituto ci consentirà di confutare l’equivoco secondo il quale un soggetto giuridico possa ritenersi o completamente capace o incapace di agire, infatti tra

questi poli estremi esiste una zona grigia alla quale si riconduce la stragrande maggioranza

delle vicende che giungono all’attenzione dei Tribunali.

La principale avversità con cui l’interprete si troverà a fare i conti è rinvenibile

nell’insufficiente, a tratti addirittura inesistente, armonizzazione e coordinamento normativo tra la disciplina dell’amministrazione di sostegno e gli altri istituti codicistici che con essa interagiscono.

Emblematico è il caso degli atti personalissimi per i quali permangono ancora molteplici punti

oscuri sui quali la dottrina e la giurisprudenza hanno provato a far luce non sempre con

risultati soddisfacenti.

Il successo assoluto riscosso in poco più di un decennio dall’amministrazione di sostegno è confermato dai numeri tratti dalla prassi e questa sua diffusione non potrà che giovare alla

presente indagine riconoscendone l’attualità.

Qui di seguito si riporta per completezza i dati raccolti dalla Direzione Generale Statistiche

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7

a) dato nazionale relativo alle richieste di apertura della procedura di tutela1, curatela

e amministrazione di sostegno:

b) dato nazionale del numero di tutele2, curatele ed amministrazioni di sostegno

pendenti negli ultimi 10 anni giudiziari:

1 il dato riguarda sia le tutele a seguito di interdizione giudiziale che le tutele a seguito di interdizione legale e le

tutele a favore di minori tra cui quelle per minori stranieri non accompagnati.

2il dato riguarda sia le tutele a seguito di interdizione giudiziale che le tutele a seguito di interdizione legale e le

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8

c) dato nazionale per macro- regioni: numero di amministrazioni di sostegno aperte e

pendenti al 30.06.2013:

Da questa indagine condotta su base nazionale emerge chiaramente la crescita esponenziale

delle richieste di amministrazione che hanno subito un incremento di circa il 650% in poco

più di dieci anni.

Parallelamente appare concretizzarsi una sorta di ripensamento nei confronti delle misure

tradizionali, infatti mentre si assiste ad una stabilizzazione dei ricorsi finalizzati ad una

pronuncia interdittiva, possiamo affermare una sostanziale estinzione delle domande di

inabilitazione.

Da ultimo si rilevi come, a sospingere verso l’alto il dato statistico inerente l’amministrazione di sostengo, siano le regioni del nord nelle quali sono radicati all’incirca la metà di tutti i

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9

CAPITOLO I

DELLE MISURE DI PROTEZIONE DELLE PERSONE PRIVE IN TUTTO O IN PARTE DI AUTONOMIA

1.1 Premesse

L’articolo 2 del Codice Civile così come sostituito dall’art. 1 della legge 8 marzo 1975 n. 8, rubricato “Maggiore età. Capacità di agire” recita:

“La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un'età diversa.

Sono salve le leggi speciali che stabiliscono un'età inferiore in materia di capacità a prestare

il proprio lavoro. In tal caso il minore è abilitato all'esercizio dei diritti e delle azioni che

dipendono dal contratto di lavoro.”

L’articolo in esame, nella sua essenzialità, concorre insieme all’inestimabile lavoro della

dottrina a delineare il concetto di capacità di agire.

E’ ormai unanimemente accettata la definizione di capacità di agire come l’idoneità del soggetto a porre in essere un’attività giuridicamente rilevante - consistente nell’acquisto o

nell’esercizio di diritti ovvero nell’assunzione di obblighi - mediante una manifestazione di volontà che l’ordinamento considera a priori cosciente e consapevole3.

Individuare un’età minima che faccia da spartiacque tra capacità e incapacità d’agire risponde

ad un’esigenza di certezza del diritto che si ripercuote in primo luogo sulla sfera patrimoniale dei soggetti coinvolti.

In questo modo si supplisce alle difficoltà che sorgerebbero qualora si lasciasse ai soggetti

stessi il compito di verificare la maturità psico-fisica del proprio interlocutore e si ottiene il

3 F. GIARDINA, Capacità giuridica e capacità di agire , in AA.VV., Diritto Privato tomo I, seconda edizione,

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10

risultato di conoscere a priori quali siano i soggetti in grado di porre in essere atti

giuridicamente rilevanti.

Di contro questa netta scelta impressa dal legislatore, basata su uno schema presuntivo,

rischia di non adattarsi alle esigenze della vita quotidiana e può rendere traumatico il

passaggio da un’incapacità assoluta ad uno stato di piena capacità d’agire foriero di conseguenze di non scarso rilievo giuridico.

Non va però taciuto il fatto che al fine di tutelare pienamente anche coloro i quali versino in

uno stato patologico di salute psico-fisica, il legislatore ha predisposto meccanismi derogatori

all’articolo 2 Cod. Civ. i quali storicamente hanno fatto leva sulla necessità d’incapacitazione

del soggetto stesso.

Nel prosieguo di questo capitolo si andrà quindi ad analizzare detti istituti, l’interdizione e

l’inabilitazione, operando un preliminare confronto tra questi ed il nuovo strumento dell’amministrazione di sostegno introdotto nel nostro ordinamento dalla Legge 9 gennaio 2004, n. 6.

Questa riforma è stata accolta con favore dai cultori della materia in virtù del fatto che il

legislatore sembra essersi fatto carico di quelle istanze riformistiche che denunciavano la

rigidità e l’anacronismo delle misure tradizionali.

In via del tutto preliminare come ha scritto il Professor Paolo Cendon4, uno tra i più fervidi

sostenitori della riforma, l’amministrazione di sostegno consente di colmare il quid minus che affligge le persone “deboli”, consentendo loro di giungere ad una completa efficienza negoziale senza peraltro che questo ne comprometta l’adeguata protezione.

Non solo è stata emendata la rubrica del Titolo XII del Libro primo del codice civile, che ora

recita “Delle misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia” ma si

4 P. CENDON, La tutela civilistica dell’infermo di mente, in La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, Familia. Quaderni, a cura di S. PATTI, Milano, 2002, p. 35.

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è assistito altresì all’inserimento ex novo dell’istituto dell’amministrazione di sostegno ed

all’apporto di novità significative in merito ai tradizionali istituti incapacitanti.

Permangono tuttavia moltissimi profili problematici di non facile decifrazione come ad

esempio la mancata abrogazione dell’interdizione ed inabilitazione e l’individuazione della linea di confine tra questi istituti e l’amministrazione di sostegno.

Proprio a causa di queste criticità oggi il Giudice detiene un ruolo da protagonista nel

procedimento e mediante l’esercizio delle sue funzioni è in grado di condizionare la portata applicativa della nuova misura.

Di queste ed altre tematiche si darà conto in appresso, ivi ci interrogheremo se ed in che modo

il beneficiario dell’amministrazione di sostegno risulti colpito da una terza forma di incapacità

di agire che si affianca a quella assoluta dell’interdizione e a quella relativa dell’inabilitazione.

1.2 Evoluzione legislativa degli istituti di protezione

Gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, disciplinati dal Capo II del Titolo XII del Libro I del codice civile, sono un pressoché fedele trasfuso del codice civile del 1865. Per

questa ragione non deve sorprendere la preminente attenzione che tale disciplina riservava

alla protezione della sfera patrimoniale a discapito di quella personale.

Il Giudice in questi casi non deteneva alcun margine di discrezionalità: in presenza di una

malattia mentale documentata, egli aveva l’obbligo di emanare un provvedimento di

incapacitazione che servisse ad arginare la pericolosità sociale del soggetto.

Questa conclusione può essere ricavata da un’attenta analisi dei motivi di fondo della legge

manicomiale del 1904 così come messo in luce da alcuni autori dell’epoca5.

Come già accennato, ciò che più stava a cuore al legislatore precostituzionale era la tutela

degli interessi patrimoniali, non solo del soggetto menomato ma anche e soprattutto dei terzi,

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per ottenere la quale si era anche disposti ad accettare perfino le conseguenze derivanti da una

vera e propria ghettizzazione dei soggetti deboli.

Per questo l’intero sistema era ispirato ad un’antropologia giuridica caratteristica di una

società di proprietari, nella convinzione che sia impossibile per i soggetti malati di mente

esplicare in qualche modo la propria personalità nella vita di relazione6.

Detta struttura di “etichette” iniziò però a vacillare con l’avvento della carta costituzionale in

vigore dal 1° gennaio 1948.

Grazie alla Costituzione la persona umana conquistò una posizione di assoluta preminenza nel

ventaglio dei valori supremi tutelati dal nostro ordinamento giuridico.

Anche il diritto alla salute, quale presidio funzionale al pieno espletamento della personalità

del sofferente giocò un ruolo importantissimo in questo fervente clima di riordino dei punti

cardine del nostro sistema.

A questo bisogna aggiungere come anche le scienze psichiatriche iniziarono ad

individualizzare il concetto di malattia psichica così da mettere in luce l’insufficiente risposta giuridica che fino ad allora si basava su schemi standardizzati i quali miravano a reprimere

fisicamente e giuridicamente l’infermo accusato di assumere un comportamento colpevole7. In pochi anni si arrivò all’approvazione di una Legge in materia di provvidenze per

l’assistenza psichiatrica. E’ la Legge n. 431 del 18 marzo 1968 che per prima ebbe il merito di equiparare la malattia mentale a qualsiasi altra malattia. Venne per questo introdotta la

possibilità di ricorrere volontariamente al ricovero in strutture ospedaliere per curare la

patologia mentale nella sua fase primordiale ed evitare così il successivo internamento in

manicomio.

6 L. MENGONI, Osservazioni generali , in Un altro diritto per il malato di mente. Esperienze e soggetti della trasformazione, a cura di CENDON, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1988, p. 360.

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Nonostante queste novità la legge manicomiale del 1904 non fu totalmente abrogata e con

essa permaneva anche il ricovero obbligatorio per quei casi in cui la malattia si mostrava più

aggressiva e non altrimenti arginabile se non con una misura custodiale in apposite strutture.

Solo allora la dottrina iniziò a mettere in luce la graduabilità con cui la malattia psichica si

poteva manifestare in concreto nei diversi soggetti arrivando a concludere che la pronuncia

d’interdizione non si doveva configurare come un automatismo ope legis ma piuttosto come extrema ratio.

Purtroppo la giurisprudenza sembrò non avallare questa prospettiva innovativa tant’è vero che con la sentenza n. 74 del 1968 la Corte Costituzionale sembrò qualificare l’internamento in

una struttura manicomiale come fase preliminare del procedimento volto ad accertare

l’incapacità legale d’agire.

Un successivo passo verso l’attuazione dei principi costituzionali si ebbe grazie all’approvazione in data 13 maggio 1978 della legge n. 180 meglio nota come legge Basaglia dal nome del suo promotore, Dottor Franco Basaglia.

Tale atto normativo portava seco una svolta epocale: gli istituti manicomiali vennero aboliti e

l’obbligatorietà dei trattamenti sanitari circoscritta a casi tassativi nei quali si rendeva necessario, tra l’altro, l’intervento dell’autorità giudiziaria.

L’articolo 13 della legge in oggetto, abrogando l’articolo 420 del codice civile eliminò il carattere di automatismo che intercorreva tra l’infermità del soggetto sottoposto a custodia e il

provvedimento incapacitante con cui si nominava un tutore provvisorio.

Infatti in caso di inerzia dei soggetti legittimati dall’articolo 417 Cod. Civ. era il pubblico ministero che doveva farsi carico di promuovere tale procedimento davanti al Giudice.

Si andava verso la valorizzazione della soggettività giuridica del malato psichiatrico.

La legge 180 rappresentò senza dubbio un passaggio decisivo verso il riavvicinamento del

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14

Inoltre detta legge si può leggere come trait d'union tra la rigidità degli istituti tradizionali e la

flessibilità posta a base dell’amministrazione di sostegno.

A conferma di questo, l’articolo 3 comma 6 della Legge Basaglia consente al Giudice

Tutelare di prendere provvedimenti urgenti tra cui la nomina di un curatore provvisorio per la

conservazione e l’amministrazione del patrimonio dell’infermo8.

Tuttavia ben presto si appalesò che questa soluzione legislativa risultava in concreto

insoddisfacente in dipendenza del fatto che il nostro sistema sanitario si mostrò inidoneo a

prestare adeguata assistenza ai soggetti precedentemente internati9 lasciando molte altre

questioni irrisolte, tre su tutte.

Preliminarmente va notato come i provvedimenti incapacitanti non potevano essere applicati a

quei disturbi episodici non duraturi sotto un profilo temporale che per tale ragione

rimanevano sprovvisti di qualsiasi presidio legale.

In secondo luogo era frequente che il grado della menomazione mentale non fosse così

avanzato da integrare i presupposti delle fattispecie di cui in oggetto.

Da ultimo va notato che il regime pubblicitario delle misure incapacitanti se da un lato aveva

il pregio di tutelare i terzi e la certezza dei traffici giuridici dall’altro era visto dai famigliari

delle vittime come un indelebile “marchio di follia”10 che impediva il compimento di atti fondamentali come ad esempio il negozio matrimoniale ex art. 85 Cod. Civ.

8 L. BRUSCUGLIA, Legge 13 maggio 1978 n. 180. Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori,

cit., p. 198.

9 D. VINCENZI AMATO, Il modello dei trattamenti sanitari nella legge 180, in Un altro diritto per il malato di mente, a cura di CENDON, Cit., p. 171;

L. BRUSCUGLIA, Legge 13 maggio 1978 n. 180. Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori in

Nuove leggi civili commentate, 1979, p. 176.

10 P. CENDON, Profili dell’infermità di mente nel diritto privato, in Un altro diritto per il malato di mente a

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A partire dagli anni ottanta vennero redatti numerosi disegni di legge con l’obiettivo di

arrivare al completamento del sistema di protezione delle persone prive di autonomia così da

attuare e valorizzare a pieno il dettato costituzionale11.

Solo con una riforma organica si sarebbe potuti giungere ad uno strumento che non ancorasse

il concetto di tutela a quello di sostituzione e limitazione dell’incapace ma al contrario potesse valorizzare le inclinazioni della persona inferma al massimo grado.

Proprio questa fu la portata rivoluzionaria della legge n. 6 del 9 gennaio 2004.

In realtà il diritto internazionale e comparato ci insegnano che già prima di tale data, in seno

all’ONU e nelle legislazioni interne di altri paesi europei a noi vicini come Germania, Austria e Francia ci si era orientati verso una soluzione di rivalutazione della personalità dei soggetti

colpiti da malattia mentale.

Dall’articolo 1 della l. 6/2004 si ricava in modo chiaro la finalità della riforma:

“ ... tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente.”

Corollario di questo articolo sono il principio di graduabilità e flessibilità che devono guidare

il Giudice nella scelta della misura incapacitante meno afflittiva ma al tempo stesso idonea nel

caso di specie.

Il Giudice è chiamato a modulare il provvedimento come fosse un sarto incaricato di

intagliare un abito su misura; la standardizzazione del passato sembra ormai cosa superata e

con essa anche il primario riferimento alla sfera patrimoniale del soggetto.

Il contenuto della misura protettiva non è più stabilito ex ante dal legislatore.

Questo ripensamento emerge chiaramente anche dalla novella apportata all’articolo 427

comma 1 che ora recita “…taluni atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti

11 P. CENDON, Infermi di mente e altri «disabili» in una proposta di riforma del Codice civile, in Giurisprudenza. Italiana, 1988, IV, p.117.

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dall’interdetto senza l’intervento ovvero con l’assistenza del tutore, o che taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore”.

La dottrina quasi unanime ha evidenziato come il beneficiario dell’amministrazione di sostegno non acquisti la qualità giuridica di incapace e non subisca di conseguenza le

limitazioni e decadenze proprie di questo status12.

Il passaggio ulteriore è quindi quello di confutare la vetusta equazione tra infermità ed

incapacità di agire e l’evidenza di questo cambio di rotta è rinvenibile nella decisiva modifica

apportata alla rubrica dell’articolo 414 Cod. Civ. Infatti oggi il codice parla di “persone che

possono essere interdette” (o inabilitate) mostrando come parte della dottrina ha sostenuto un superamento dell’ “incondizionata obbligatorietà” della pronuncia interdittiva13.

Come si è già più volte accennato, l’intervento del legislatore della riforma si può anche

apprezzare per aver anteposto, in linea con i valori costituzionali, alla tutela patrimoniale la

sfera personale dell’interessato.

Il riferimento alla cura personae, mentre per il tutore trova esplicito riscontro nell’articolo

357 Cod. Civ., per l’amministratore emerge in via interpretativa dalla lettura degli articoli

404, 405, 408, 410 del Cod. Civ. e 44 delle disposizioni di attuazione del codice civile:

- Art. 404 Cod. Civ. fa generico riferimento agli “interessi” del beneficiario dovendosi

includere sia quelli patrimoniali che quelli di natura personale;

- Art. 405, co. 4 consente al Giudice nei casi di urgenza di anticipare provvisoriamente i

provvedimenti volti alla cura della persona;

- Art. 408, co. 1 condiziona la scelta del soggetto preposto all’ufficio di amministratore di

sostegno la quale deve essere riguardosa della cura e degli interessi del beneficiario;

12 S. PATTI, La nuova legge, in L’amministrazione di sostegno. Una nuova forma di protezione dei soggetti deboli, a cura di G. FERRANDO, Giuffrè, Milano, 2005.

13 S. PATTI, Amministratore di sostegno: una corretta applicazione della nuova disciplina, in Famiglia, Persone e Successioni, 2005, p. 13.

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- Art. 410 afferma infine che l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e

delle aspirazioni del beneficiario, tenendolo informato riguardo alle attività poste in

essere;

- Art. 44 Disp. Att. Cod. Civ. così come modificato dalla l. 6/2004 fa riferimento agli

interessi morali del beneficiario, e proprio in questo rinvio si è letto un richiamo a alla

cura della persona.

Invero potrebbe obiettarsi che il puntuale riferimento alla cura personae in detti articoli abbia

voluto sancirne a contrario l’inapplicabilità di questo principio alle rimanenti fattispecie. Questa conclusione è da scartare facendo leva proprio sull’art. 408, co. 1 Cod. Civ. infatti la

scelta dell’amministratore secondo detto principio è un chiaro segnale di come la cura della persona sia il leitmotiv che accompagna la misura in tutto il suo percorso.

Un nodo spinoso risolto dalla Corte Costituzionale con la sentenza 440/200514 riguarda la

mancanza di una previsione normativa del ruolo della volontà del beneficiario sull’attivazione della misura.

Con questa pronuncia interpretativa di rigetto la Corte Costituzionale ha affermato che

l’articolo 407, obbligando il Giudice Tutelare a sentire personalmente il soggetto futuro beneficiario in tema di istituzione dell’amministratore, lascia integra la dignità e la libertà giuridica di detto soggetto in quanto è possibile, anzi probabile, che in caso di dissenso il

Giudice possa non dar luogo alla nomina dell’amministratore di sostegno.

1.3 Brevi cenni sull’incapacità legale di agire

E’ la legge stessa ad individuare i soggetti ai quali possa ricondursi la qualifica di incapace, essi sono:

1) i minori: coloro che non hanno ancora compiuto il diciottesimo anno di età;

14 Cfr. Sentenza Corte Costituzionale del 9 dicembre 2005, n. 440 in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2006, parte I, vol. 22, fasc. 11.

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18

2) gli interdetti giudiziali: tale attributo deriva da un provvedimento dell’autorità giudiziaria

con il quale si accerta che il soggetto si trova in una condizione di abituale infermità di

mente che lo rende incapace di provvedere ai propri interessi;

3) gli interdetti legali: il punto da cui partire è l’articolo 32 del codice penale, infatti

l’interdizione legale si configura come una sanzione accessoria per quei soggetti che abbiano subito una condanna all’ergastolo o ad una pena detentiva non inferiore ai cinque anni per un reato non colposo. Tuttavia questa fattispecie si mostra di scarso interesse ai

fini della nostra indagine poiché persegue una mera finalità punitiva e non anche di

protezione.

4) gli inabilitati: coloro che hanno un infermità mentale non sufficientemente grave da

rientrare nell’interdizione ma che tuttavia può mettere in pericolo il soggetto inabilitato e la sua famiglia. Il codice fa rientrare in questa fattispecie anche il prodigo, chi abusa

abitualmente di sostanze alcooliche o stupefacenti, il sordo e il cieco dalla nascita o dalla

prima infanzia. Va precisato come in tutti questi casi non può mai rilevare una semplice

infermità fisica ma deve trattarsi comunque di persone inferme di mente15;

5) i minori emancipati: status riconosciuto in quei casi, in verità sempre più rari, in cui il

soggetto minore di età ma ultra sedicenne contragga matrimonio. Ne consegue

l’applicazione di uno statuto ad hoc che da un lato tuteli il minore nella sua sfera patrimoniale e dall’altro gli attribuisca una certa autonomia negoziale indispensabile per l’espletamento della vita coniugale.

Va da subito precisato come il legislatore predisponga due regimi giuridici distinti ed

autonomi all’interno dei quali, in linea di prima approssimazione, si può ricondurre i soggetti pocanzi menzionati.

15 F. GIARDINA, Capacità giuridica e capacità di agire , in AA.VV., Diritto Privato tomo I, seconda edizione,

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19

Si parlerà di incapacità legale di agire assoluta con riferimento agli interdetti ed ai minori, e di

incapacità legale di agire relativa per gli inabilitati ed i minori emancipati.

Questo summa divisio rappresenta tutt’altro che un inutili orpello dottrinale con valore

meramente descrittivo. Il soggetto colpito da un’incapacità di agire assoluta non potrà porre

validamente in essere, salvo casi del tutto eccezionali, atti di ordinaria e straordinaria

amministrazione senza la presenza di un rappresentante legale (tutore o genitore) che agisca in

nome e per conto dell’incapace. Vi sono tuttavia atti che non ammettendo alcuna forma di rappresentanza risultano del tutto preclusi a questi soggetti; così ad esempio l’interdetto non potrà contrarre matrimonio, riconoscere un figlio naturale o redigere un valido testamento.

Viceversa non sarà preclusa al soggetto che versa in uno stato di incapacità d’agire relativa la

possibilità di compiere validamente ed in prima persona tutti gli atti di ordinaria

amministrazione avendo questo la necessità di essere assistito da un curatore nei soli casi in

cui tale attività rischi di compromettere in modo incisivo il patrimonio dell’incapace (atti di

straordinaria amministrazione).

E ancora per i soggetti in stato di incapacità di agire relativa non sembra possa applicarsi

restrizione alcuna per quello che riguarda gli atti personalissimi vuoi di natura personale o

patrimoniale.

Tratto di similitudine riguarda invece la disciplina dell’invalidità degli atti posti in essere in

difformità delle regole ora enunciate, tale disciplina è inserita nell’articolo 427 capoverso del

codice civile.

Sono al pari annullabili gli atti di straordinaria amministrazione compiuti dall'inabilitato senza

l'assistenza del curatore, e tutti gli atti compiuti dall’interdetto anche se permane una rilevante differenza in relazione al novero dei soggetti legittimati a chiedere l'annullamento nelle due

diverse fattispecie.

Come si vedrà l’istituzione dell’amministratore di sostegno per la dottrina maggioritaria non determina di per sé l’acquisto da parte del beneficiario della qualità di incapace e

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conseguentemente non dovrà sottostare ad alcuna disciplina peculiare. Non saranno quindi

estendibili a tale soggetto le norme che facciano generale riferimento all’incapace fatta

eccezione per gli artt. da 349 a 353 Cod. Civ., da 374 a 388 Cod. Civ. e per gli artt. 596, 599 e

779 Cod. Civ. i quali secondo il dettato dell’ art. 411 Cod. Civ. si applicano, in quanto

compatibili anche all’amministrazione di sostengo.

Il secondo comma della norma da ultimo richiamata, prevede inoltre la possibilità per il

Giudice Tutelare di rendere operanti anche per il beneficiario di amministrazione di sostegno

specifici effetti, limitazioni o decadenze dettate per l’interdetto o l’inabilitato.

L’assimilazione degli effetti dell’amministrazione di sostegno a quelli delle misure tradizionali risulta comunque solo un’evenienza lasciata alla valutazione del Giudice che nel

caso di specie ove lo riterrà opportuno precluderà al beneficiario il compimento di un

determinato atto o dichiarerà lo stesso decaduto da un dato ufficio16.

Non essendo questa la sede opportuna in cui produrre un elenco esaustivo delle disposizioni

informanti lo statuto applicabile all’incapace, a titolo meramente esemplificativo e per la

chiarezza del lettore si fa riferimento all’art. 1722 Cod. Civ. in tema di estinzione del

contratto di mandato per interdizione o inabilitazione del mandatario e all’art. 2382 Cod. Civ.

che prevede la decadenza automatica dell’interdetto dall’incarico di amministratore di società.

Nel seguito della trattazione si cercherà anche di mettere in luce il complesso rapporto tra gli

atti personalissimi e l’amministrazione di sostegno precisandosi da subito che in dottrina ad oggi non vi è unità di vedute.

1.4 La capacità di agire del beneficiario di amministrazione di sostegno

Una delle questioni più dibattute in dottrina è quella riguardante il rapporto che intercorre tra

amministrazione di sostegno e capacità di agire.

16 S. DELLE MONACHE, Prime note sulla figura dell'amministrazione di sostegno: profili di diritto sostanziale, in La nuova giurisprudenza civile commentata, CEDAM, Padova, 2004, II, p. 52;

G. BONILINI, Le norme applicabili all’amministrazione di sostegno, in G. BONILINI – A. CHIZZINI,

(21)

21

Fin dagli albori della nuova misura non vi è stata unanimità di opinioni in dottrina17 riguardo

all’acquisizione della stato giuridico di incapace in capo del beneficiario.

Sarà quindi opportuno riportare di seguito i principali percorsi logico-argomentativi usati

dagli studiosi per giungere ad una soluzione di detto problema.

Secondo un primo orientamento18 l’incapacità del soggetto beneficiario non conseguirebbe

automaticamente alla nomina dell’amministratore di sostegno ma sarebbe subordinata al numero e alla rilevanza degli atti espressamente previsti dal decreto di nomina o dai decreti

modificativi successivi.

Quindi la capacità del soggetto sarebbe intaccata solo nel caso in cui le limitazioni indicate

nel decreto di nomina siano quantitativamente e qualitativamente tali da ricalcare

sostanzialmente un provvedimento di interdizione od inabilitazione.

Questa parte della dottrina, in aderenza a quanto affermato dalla Corte Costituzionale19,

sostiene quindi che l’amministrazione di sostegno debba essere interpretata alla luce delle tradizionali categorie dogmatiche.

Tuttavia il predetto orientamento porterebbe inevitabilmente ad una sottovalutazione della

spinta innovativa della riforma e ad una distorsione della sua ratio.

Altri studiosi hanno ravvisato nell’amministrazione di sostegno una terza e più lieve forma di

incapacità20 ma questa volta partendo da un dato testuale, ovverosia gli articoli 720 bis Cod.

Proc. Civ. e 408 Cod. Civ. che rispettivamente da un lato estendono all’amministrazione di

sostegno alcune norme processuali relative alle misure tradizionali e dall’altro consentono di

17 M. AVAGLIANO, Atti personalissimi e diritto delle società: tra incapacità parziale e capacità attenuata, in Notariato, 2005, p.394.

18 U. MORELLO, L’amministrazione di sostegno (dalle regole ai principi), in Notariato, 2004, p.223 ss.

19 Cfr. Sentenza Corte Costituzionale del 9 dicembre 2005, n.440 in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, cit.

20 E. V. NAPOLI, Una terza forma di incapacità di agire? In Giustizia civile, vol. II, 2002, p. 379 ss. con

(22)

22

designare l’amministratore di sostegno pro futuro in vista di un eventuale propria “incapacità”.

Tuttavia la dottrina maggioritaria21 ritiene che al beneficiario dell’amministrazione di

sostegno non possa riferirsi lo status di incapace e questo in virtù del fatto che il legislatore ha

volontariamente cercato di sfumare il concetto di incapacità22 per rendere la nuova misura più

adattabile alle poliedriche sfaccettature della realtà. L’art. 1 della l. 6/2004, come si è già

avuto modo di dire, enuncia le finalità della novella disciplina e nonostante non trovi oggi un

riscontro a livello codicistico, per taluno23 costituirebbe una “concreta direttiva ermeneutica”.

Tutto ciò premesso è opportuno di seguito riportare i riferimenti normativi che avallerebbero

questa lettura predominante:

1. L’incapacità di agire non si traduce di per sé nell’impossibilità di assumere

comportamenti rilevanti bensì nell’inidoneità ad assumerli validamente24. L’articolo 404 Cod. Civ. a ben vedere oggi parla di “impossibilità” e non già “incapacità” a

curarsi dei propri interessi.

2. L’articolo 412 Cod. Civ. prevede la nullità per i soli atti compiuti dal beneficiario in

violazione del contenuto del decreto facendo salvi tutti quegli atti per cui la

limitazione della capacità non è espressa in tale provvedimento.

21 P. RESCIGNO, Introduzione, in Follia e diritto, a cura di FERRANDO - VISENTINI, Bollati Boringhieri

Editore, Torino 2003, p. 17 ss.;

P. PARENTE, Amministrazione di sostegno e regole di governo dei fenomeni successori e donativi, in Rassegna

di diritto civile, II, 2005 e

M. DOSSETTI, Effetti dell’amministrazione di sostegno, in M. DOSSETTI – M. MORETTI - C. MORETTI,

L’amministrazione di sostegno e la nuova disciplina dell’interdizione e dell’inabilitazione, IPSOA, Milano,

2004, p. 75.

22 L. BALESTRA, Gli atti personalissimi del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, in Familia. Quaderni, 2005, p. 665.

23 P. PARENTE, Amministrazione di sostegno e regole di governo dei fenomeni successori e donativi, in Rassegna di diritto civile, cit., p. 709.

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23

3. L’articolo 409 Cod. Civ. afferma che il beneficiario conserva la capacità in relazione a

tutti quegli atti per i quali nel decreto non è prevista alcuna limitazione. Di fatto dette

limitazioni potrebbero essere lievissime (se non addirittura inesistenti) ed in questi

casi sarebbe opportuno palare di capacità attenuata25 e non già di incapacità parziale

del soggetto.

Va però da subito precisato che a fronte di questo capovolgimento di prospettiva

rispetto agli istituti tradizionali è possibile la lettura “a contrario” della disposizione in

esame che porterebbe ad affermare che qualora il soggetto fosse limitato per il

compimento di taluni atti si ritroverebbe titolare di una situazione di capacità d’agire

monca26. Analoga interpretazione si potrebbe dare dell’art. 1 della l. 6/2004 infatti

parlare di “minor limitazione possibile della capacità di agire” implica che una

limitazione ancorché lieve vi sia27.

Ad avvalorare ulteriormente quest’ultima tesi critica, ci sarebbe il dettato dell’articolo

411 Cod. Civ. che estende all’amministratore di sostegno alcune norme dettate in tema

di tutela e quindi operanti laddove vi sia pacificamente un soggetto legalmente

incapace.

Ancora più netta è la posizione di Bianca28 che fa discendere dalla nomina

dell’amministratore l’incapacità legale del beneficiario con riguardo agli atti che gli vengono sottratti. Coerente con questa ricostruzione sembrerebbe essere il regime

25 M. AVAGLIANO, Atti personalissimi e diritto delle società: tra incapacità parziale e capacità attenuata, in Notariato, cit., pp. 394 ss.

26 G. BONILINI, Le norme applicabili all’amministrazione di sostegno, in G. BONILINI – A. CHIZZINI, L’amministratore di sostegno, cit., p. 230.

27 E. NAPOLI, L’infermità di mente, l’interdizione, l’inabilitazione in Codice Civile. Commentario, diretto da P.

Shlesinger, Milano, 1995, p. 12.

28 C. M. BIANCA, L’autonomia privata,strumenti di esplicazione e limiti, in La riforma dell’interdizione e dell’ inabilitazione, a cura di S. PATTI, Quaderni. Familia, 2002, p. 119 ss.

(24)

24

pubblicitario nell’apposito registro curato dal cancelliere e a margine dell’atto di nascita.

Si può concludere affermando come nonostante non esista una visione condivisa della

questione in esame facendo leva su un’interpretazione logico-sistematica della riforma appare

condivisibile la tesi maggioritaria. Per di più, ove permangano situazioni di grave incertezza,

la soluzione non potrà che pendere per il mantenimento della capacità poiché è indubitabile

come nel nostro sistema la limitazione della capacità di agire debba necessariamente risultare

espressamente dalla legge e dai procedimenti dalla stessa regolamentati.

E’ importante notare che in relazione alla tesi che si decide di sposare deriverà l’applicazione o meno di un regime di preclusioni, effetti e decadenze di notevole rilievo giuridico per i

soggetti coinvolti, basti pensare al divieto di compiere gli atti c.d. personalissimi di cui si

tratterà in seguito.

Senza anticipare quanto oggetto del prossimo capitolo occorre in via del tutto preliminare e

non esaustiva evidenziare come grazie alla nuova misura dell’amministrazione di sostegno si sia voluto tutelare menomazioni non solo psichiche e durature ma anche fisiche e

temporalmente circoscrivibili (art. 404 Cod. Civ.).

Analizzando l’ipotesi di impossibilità fisica del beneficiario che non abbia deficit psichici ci si deve interrogare se e in che misura sia possibile un amministratore con poteri concorrenti

rispetto al beneficiario.

Detto in altre parole, è possibile che nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno oltre ad attribuire all’amministratore stesso il potere di sostituire e/o assistere il beneficiario

nel compimento di uno specifico atto si lasci anche al beneficiario il potere di porre

validamente in essere il medesimo atto senza alcun ausilio?

C’è chi come il Professor Stefano Delle Monache ha risolto il problema a monte affermando come la sola impossibilità fisica non sia un presupposto autonomo e sufficiente per applicare

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25

gli articoli 404 e ss Cod. Civ. perché si “finirebbe in pratica con l’equivalere ad una

inammissibile rinuncia alla propria capacità”29.

Altri30 riconoscono la praticabilità di tale ipotesi nonostante si assista ad un fenomeno assai

affine al mandato con la sola differenza che qui il Giudice svolgerebbe tutta una serie di

controlli sul “mandatario” di cui non si sentirebbe la necessità stante la piena capacità del “mandante” che potrebbe porli in essere in prima persona.

Non sussistono tuttavia i presupposti per la nomina ad amministratore di sostegno, con

riguardo all’attività di mera gestione patrimoniale, nel caso in cui il beneficiario, in epoca precedente, abbia provveduto a conferire delega per la riscossione di benefici previdenziali o

per il movimentare il proprio conto corrente31.

Il mandato perciò può configurarsi come uno strumento alternativo agli istituti di protezione

in caso d’infermità fisica ma sembra altresì corretto sostenere che esso possa coesistere senza sovrapporsi con il provvedimento (decreto o sentenza) dell’autorità giudiziaria, qualora quest’ultima non proceda contestualmente “alla revoca immediata dell’eventuale procura generale precedentemente conferita dal beneficiario” 32.

Anche i lavori preparatori della legge 6/2004 sembrano avvalorare la possibilità di una

rappresentanza concorrente che non lasci spazio alcuno all’incapacità legale: l’originaria formula “in luogo del beneficiario” del punto 3 del quinto comma dell’articolo 405 Cod. Civ. è stata sostituita con la dizione “in nome e per conto del beneficiario”.

29 S. DELLE MONACHE, Prime note sulla figura dell'amministrazione di sostegno: profili di diritto sostanziale, in La nuova giurisprudenza civile commentata, cit., p. 39.

30 E. CALO’, L'amministrazione di sostegno: Legge 9 gennaio 2004, n. 6. Giuffrè, Milano, 2004, p. 75 ss. 31 Vedasi sentenza del Tribunale di Sassari del 14 luglio 2007, in Giurisprudenza di merito, 2008, pp. 1260 ss. 32 Vedasi Tribunale Modena, Giudice Tutelare Dott. Stanzani G., 5 marzo 2008, Ads anziano, più anziano del beneficiario e attribuzione dell’incarico a tempo determinato, con nota di R. ROSSI consultabile sul sito www.personaedanno.it a cura di P. CENDON.

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26

Lungi dal trovare una soluzione condivisa in merito alla questione ut supra permane chi

sostiene l’inammissibilità di una forma di amministrazione non incapacitante33 ma tale conclusione sembrerebbe essere confinata alle sole ipotesi di amministrazione sostitutiva o di

assistenza tipiche dei casi di infermità psichica.

1.5 Discrimen tra le misure di protezione

All’indomani della riforma non mancarono commentatori che accusarono il legislatore di non aver assunto un atteggiamento sufficientemente deciso nei confronti dell’interdizione e

dell’inabilitazione34. Infatti la legge 6/2004 non abrogò detti istituti ma si limitò a modificare qua e là singole parole o brevi periodi con il risultato di limitare l’impatto applicativo della

nuova misura.

Ad onor del vero anche il primo progetto di legge curato dal Professor Paolo Cendon alla fine

degli anni ’80 non prevedeva tali abrogazioni. La ragione di questa carenza dev’essere ricercata nel clima di prudenza e diffidenza che avviluppava l’amministrazione di sostegno, soprattutto dopo la chiusura dei manicomi operata pochi anni prima dalla legge Basaglia. Lo

stesso Professor Luigi Mengoni sembrò contrario ad una soluzione radicale analoga al

modello austriaco e tedesco, preferendo una disciplina meno drastica che avrebbe portato il

nuovo istituto a soppiantare totalmente col passare del tempo l’interdizione e l’inabilitazione.

Diversamente, a quasi vent’anni di distanza, in sede di esame parlamentare la decisione di non

abrogare l’interdizione e l’inabilitazione fu figlia dell’esigenza di giungere in tempi ragionevoli al varo della riforma sull’amministrazione di sostegno. Si riteneva infatti che la

discussione sulla possibile abolizione delle misure tradizionali avrebbe causato un ritardo

dell’entrata in vigore se non addirittura un insabbiamento permanente dei lavori dell’assemblea legislativa.

33 E. MONTSERRAT PAPPALETTERE, L’amministratore di sostegno: l’espansione delle facoltà delle persone deboli, in Nuova Giurisprudenza civile commentata, 2005, p. 28.

34 F. RUSCELLO, “Amministrazione di sostegno” e tutela dei “disabili”. Impressioni estemporanee su una recente legge, in Studium iuris, 2004, 2, p. 155

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27

Per questa ragione ci fu chi in merito alla legge parlò di “sensazione di incompletezza ed

insufficienza”35.

Inoltre la norma che enuclea i presupposti per l’applicazione dell’amministrazione di sostegno

fa propria una nozione di infermità mentale in continuità con l’analogo articolo in tema di

interdizione. Anche il richiamo alla menomazione fisica sempre contenuto nell’articolo 404 si

potrebbe interpretare in modo non dissimile rispetto alle minoranze sensoriali quali sordità e

cecità già presenti nell’art. 415 comma 3 del codice civile.

Non deve stupire quindi il fatto che nella prassi gli operatori giudiziari dell’epoca mostrarono

una certa diffidenza verso la nuova misura preferendo le più rassicuranti e conosciute misure

interdittive ed inabilitative.

Da subito ci si interrogò su quale fosse il criterio più corretto in base al quale optare per una

delle misure tradizionali o viceversa per amministrazione di sostegno.

In assenza di una disposizione che aiutasse in tal senso si fece carico del problema la

giurisprudenza di merito con pronunce quanto mai altalenanti.

Per primo il Tribunale di Messina con pronuncia in data 14 settembre 200436 cercò di

evidenziare la non necessarietà del provvedimento interdittivo se non nei soli casi in cui

questo risulti essere l’unico mezzo per assicurare l’adeguata protezione dell’infermo.

Applicando questa soluzione al caso di specie il Giudice di merito concluse asserendo che

solo nel caso in cui l’amministrazione di sostegno non si riveli misura idonea a proteggere il beneficiario sarà possibile una sua sostituzione con la nomina di un tutore.

Ci sono due valutazioni che precedono quindi la scelta interdittiva:

I. In negativo: la non idoneità dell’amministrazione di sostegno che diviene

cronologicamente la prima misura da applicare e sperimentare,

35 S. PATTI, Conclusioni e proposte di riforma, in La riforma dell’interdizione e dell’ inabilitazione, a cura di S.

PATTI, Quaderni. Familia, 2002, p. 157.

36 G. CASSANO, L’amministratore di sostegno nella giurisprudenza, Ed. Maggioli, Repubblica di San Marino,

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28

II. In positivo: la necessarietà di arrivare ad una misura ablativa della capacità per

assicurare la protezione richiesta.

Tutto il ragionamento ruota attorno al rispetto della persona umana che impone di procedere

con cautela preferendo la misura che riesca a valorizzare l’individuo senza menomarne oltre

lo stretto indispensabile la capacità.

Una risposta differente fu data dal Tribunale di Catania con pronuncia del 26 ottobre luglio

2008.

Per detta Corte la graduabilità prenderebbe le misure dalla “maggiore o minore gravità del

disagio” che necessariamente influenzerebbe l’invasività dell’attività svolta in nome e per conto del beneficiario.

Quindi mentre per un’attività minima, semplice e poco rischiosa corrisponderà l’amministrazione di sostegno viceversa per operazioni complesse che possano arrecare un notevole pregiudizio sarà indispensabile una misura più invasiva.

Questa impostazione fu da subito criticata facendo leva sul dato letterale, infatti l’articolo 404 Cod. Civ. estende l’applicabilità dell’amministrazione di sostegno anche nel caso di

incapacità totale e permanente che prima del 2006 sicuramente era sussumibile sotto l’alveo dell’interdizione37.

Nonostante le critiche il criterio basato sulla quantificazione della gravità del disagio divenne

la regola seguita dalla quasi unanimità dalla giurisprudenza.

Usando le parole del Tribunale di Catania “l’interdizione si applicherebbe in caso di persona

totalmente incapace di provvedere alla cura dei propri interessi; l’inabilitazione per il caso di persona incapace di provvedere da sola alla cura dei propri interessi, ma capace di farlo con

l’assistenza di altri; l’amministrazione di sostegno per il caso di persona tendenzialmente

37 G. BONILINI, Dell’amministrazione di sostegno. Artt. 404 - 413, in G. BONILINI - F. TOMMASEO, Il codice civile. Commentario, Giuffrè, 2008

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29

capace di compiere da sola le scelte relative alla cura dei propri interessi, ma bisognosa di

un’assistenza per così dire di supporto materiale”38.

Il vero problema continuava ad essere il vacum legis che non dava riferimento alcuno

all’interprete che fosse alla ricerca di un parametro in grado di risolvere il nodo del discrimen tra le varie misure di protezione.

In realtà gli studiosi più inclini alla valorizzazione della personalità del beneficiario, già

all’indomani della riforma, fecero notare come il criterio a cui il Giudice dovrebbe conformarsi sia quello dell’idoneità della misura nel caso concreto39, ut supra dictum est con

rifermento all’equiparazione tra Giudice e colui che confeziona abiti cuciti su misura.

Tutto ruota attorno al superamento della paralisi del soggetto incapacitato e questo

espressamente viene suggellato dagli articoli 409 e 427 del codice civile.

Quindi non solo la persona sottoposta ad amministrazione di sostegno conserva la capacità di

agire per quegli atti per cui non sia stata ritenuta incapace dal Giudice ma anche l’interdetto

può essere autorizzato dal Giudice a porre in essere atti di ordinaria amministrazione anche

senza l’intervento o l’assistenza del tutore.

Finalmente il Tribunale di Venezia sollevò la questione di legittimità costituzionale

evidenziando come la novella abbia creato una irragionevole sovrapposizione tra i 3 istituti

toccati dalla riforma del 2004. L’ordinanza di remissione denunciava come da un punto di

vista pratico risultava difficile individuare distintamente l’alveo applicativo di ognuno dei tre

istituti in oggetto e questo avrebbe comportato l’eccessiva discrezionalità dell’organo giudicante ed una conseguente vulnus al principio di certezza del diritto.

Oggetto della censura furono gli articoli 404, 405 numeri 3 e 4, 409, 413 ultimo comma e 418

ultimo comma del codice civile.

38 Vedasi sentenza del Tribunale di Catania, 26 ottobre 2004, su www.diritto.it

39 G. AUTORINO STANZIONE - V. ZAMBRANO, Amministrazione di sostegno. Commento alla legge 9 gennaio 2004 n. 6, IPSOA, Milano, 2004.

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30

Tuttavia la Corte Costituzionale adottò con sentenza del 9 dicembre 2005 n. 440 una

pronuncia interpretativa di rigetto per ognuna delle questioni sollevate argomentando come

segue40.

Per quello che riguarda la mancanza di caratteri distintivi tra i diversi istituti la Corte afferma

che questa considerazione si basa sull’errato presupposto che l’ambito di operatività dell’amministrazione di sostegno possa coincidere con quello dell’interdizione e dell’inabilitazione.

La Corte prosegue: “… la complessiva disciplina inserita dalla legge n. 6 del 2004 sulle

preesistenti norme del codice civile affida al Giudice il compito di individuare l'istituto che,

da un lato, garantisca all'incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall'altro, limiti

nella minore misura possibile la sua capacità e consente, ove la scelta cada

sull'amministrazione di sostegno, che l'ambito dei poteri dell'amministratore sia puntualmente

correlato alle caratteristiche del caso concreto. Solo se non ravvisi interventi di sostegno

idonei ad assicurare al beneficiario siffatta protezione, il Giudice può ricorrere alle ben più

invasive misure dell'inabilitazione o dell'interdizione, che attribuiscono uno status di

incapacità, estesa per l'inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione e per l'interdetto

anche a quelli di ordinaria amministrazione”. In nessun modo i poteri dell’amministratore

possono coincidere integralmente con quelli del tutore o del curatore, e questa conclusione

evita un’interpretatio abrogans delle misure tradizionali. La diversità è ontologica infatti anche qualora in concreto i poteri dell’amministratore si sovrapponessero perfettamente con

quelli del tutore o curatore la nuova misura oltre alla protezione del soggetto è strumentale

40 Sentenza Corte Costituzionale del 9 dicembre 2005, n.440 in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata,

2006, parte I, vol. 22, fasc. 11 con nota di VENCHIARUTTI, Il discrimen fra amministrazione di sostegno,

(31)

31

alla valorizzazione delle aspirazioni che portino alla maggior realizzazione possibile della

persona del beneficiario41.

In seconda battuta la Consulta affronta un profilo più squisitamente processualistico. Infatti

potrebbe concretizzarsi un conflitto tra Giudice Tutelare che decide in merito ai presupposti

d’applicazione dell’amministrazione di sostegno, e Tribunale che a sua volta fa lo stesso in tema di interdizione e inabilitazione. Può accadere che l'uno decida di non attivare

l'amministrazione di sostegno e l'altro di non dichiarare l'interdizione o l'inabilitazione.

Tuttavia questa possibilità non deve spaventare poiché in questo caso i provvedimenti

risultano impugnabili innanzi alla Corte di Appello, rispettivamente con il reclamo contro il

decreto del Giudice Tutelare (art. 720-bis del codice di procedura civile, aggiunto dall'art. 17

della legge n. 6 del 2004) e con l'appello avverso la sentenza del Tribunale. Il meccanismo

dell'impugnazione costituisce quindi la sede naturale per la soluzione dei paventati contrasti.

Ma la Corte continua: “… le norme impugnate prevedono specifici strumenti di raccordo tra il

procedimento di amministrazione di sostegno e quelli di interdizione o inabilitazione, in forza

dei quali – ove tra Giudice Tutelare e Tribunale sorgano conflitti sulla maggiore idoneità

dell'uno o dell'altro istituto ai fini della più adeguata protezione dell'incapace – questi non

rimane comunque privo di tutela”: si fa qui particolare riferimento agli artt. 413 comma 4, 418 comma 3 e 429, comma 3 del codice civile.

La pronuncia 440/05 della Corte Costituzionale, richiamata anche da una più recente sentenza

della Corte stessa la n. 51 del 2010, non ha risolto in modo definitivo l’agognata questione del discrimen. Infatti se sembra definitivo l’abbandono del criterio quantitativo non è dato sapersi

quale sia in concreto il parametro per individuare la misura più adeguata nel caso concreto.

A distanza di pochi mesi dalla pronuncia della Consulta è chiamata ad intervenire sul punto

anche la Suprema Corte di Cassazione I Sez. Civ. con la sentenza n. 13584 del 12 giugno

2006.

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32

La Corte evidenzia come il mero criterio quantitativo già previsto dall’articolo 415 Cod. Civ.

sia sufficiente solo a tracciare il discrimen tra interdizione ed inabilitazione non coprendo

anche il confine tra queste misure e l’amministrazione di sostegno. Nei casi di impossibilità totale e/o permanente di curare i propri interessi le misure risulterebbero del tutto fungibili nei

presupposti applicativi e lasciate dunque alla discrezionalità del Giudice.

E’ l’inciso finale dell’articolo 414 Cod. Civ. che agli occhi della Corte assume un ruolo decisivo. Infatti affermare che l’interdizione sia praticabile in quei casi in cui questa risulti necessaria per assicurare l’adeguata protezione del soggetto affetto da abituale infermità di

mente che lo rende incapace di provvedere ai propri interessi equivale a sancire il carattere

residuale di tale misura.

Questo sembrerebbe essere l’unico aggancio normativo espresso fornito dal legislatore all’interprete ma tuttavia ci riconduce nuovamente alla necessità già emersa in precedenza di definire il criterio dell’ adeguatezza.

Qui la Suprema Corte prova a fare un passo ulteriore asserendo che l’adeguatezza della misura non andrà giammai valutata alla luce dello stato di incapacità del soggetto ma piuttosto

in relazione allo scopo protettivo in concreto.

La metamorfica natura dell’amministrazione di sostegno è la peculiare caratteristica che le consente, nel rispetto del principio di graduabilità, di non intaccare la capacità delle persone

oltre quanto strettamente funzionale alla loro protezione.

Per non rischiare di perdere il contatto con la realtà la Corte enuclea tre sottocriteri che di

volta in volta accorrano in aiuto del Giudice onerato del compito di decidere.

1) Con riguardo alla complessità dell’attività da porre in essere deve preferirsi

l’amministrazione di sostegno nei casi meno impegnativi, restando le ipotesi residuali confinate alla fattispecie interdittiva.

La complessità dovrà tenere conto non solo della semplicità delle operazioni ma anche

(33)

33

risulterebbe però iniquo concludere che i soggetti con patrimoni ingenti siano più

facilmente aggredibili con misure incapacitanti. Infatti gli effetti incapacitanti

verranno in considerazione solo se garantiranno una maggiore protezione al soggetto.

2) Non tutti i soggetti deboli sono in grado di nuocere a se stessi in egual misura. Lo sono

maggiormente coloro i quali preservano una normale vita di relazione e che per questo

sono esposti ad un rischio maggiore. Viceversa chi non può avere contatti con

l’esterno richiederà una tutela mitigata ovverosia l’applicazione dell’amministrazione di sostegno.

Questo sotto criterio in realtà è stato ampiamente criticato proprio perché sembrerebbe

andare contro la ratio stessa della legge 6/2004 laddove ha pensato la nuova misura

come via di fuga dallo stigma sociale della pronuncia interdittiva42.

3) Da ultimo si deve avere particolare attenzione all’indole e alla personalità del

soggetto. Qualora questo tenda a sfuggire alle maglie dell’assistenza e sostituzione

ponendosi in contrasto sistematico con le attività ed i risultati della gestione svolta in

nome e per conto suo sarà necessaria la misura massima dell’interdizione.

In verità questa interpretazione si pone in contrasto con i valori costituzionali e sembra

far riemergere lo spettro della pericolosità sociale dell’infermo43 da cui bisogna prendere le distanze.

In conclusione nonostante gli sforzi interpretativi posti in essere dalla giurisprudenza la

questione in esame risulta tutt’altro che prossima ad una soluzione pacifica.

Per questo anche la più prudente dottrina capeggiata da Cendon sembra ad oggi schierarsi a

favore di un ulteriore intervento legislativo chè espunga dal nostro ordinamento l’interdizione

e l’inabilitazione44.

42 M. SESTA, Amministrazione di sostegno e interdizione: quale bilanciamento tra interessi patrimoniali e personali del beneficiario? In Famiglia e Diritto, 2007, p.36

(34)

34

CAPITOLO II

LA PECULIARE DISCIPLINA DELL’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO

2.1 Linee - guida e finalità della nuova normativa

L’entrata in vigore della Legge n. 6/2004, avvenuta il giorno 19 marzo del medesimo anno, ha avuto un impatto di “straordinario rilievo etico e sociale” per la tutela della dignità e della

qualità della vita dei soggetti non autosufficienti45.

Si rilevi in primis come la decisione di attivare il nuovo istituto non abbia natura necessitata,

ma risponda piuttosto ad una libera scelta del beneficiario e/o degli altri soggetti qualificati e

legittimati ai sensi dell’art. 406 del codice civile. Non può sfuggire agli occhi degli osservatori più attenti come analoga soluzione comportante il superamento del regime di

doverosità emerga altresì dalla nuova formulazione dell’art. 414 Cod. Civ. in tema di

interdizione.

Detto criterio di c.d. non obbligatorietà della misura costituisce un evidente sintomo della

volontà del legislatore di creare una frattura con la disciplina previgente.

A completamento del novero dei principi informanti l’ossatura della nuova misura di

protezione si fa qui esplicito riferimento alla flessibilità, proporzionalità46 ed esaltazione

dell’autodeterminazione del soggetto beneficiario, il quale conserva la facoltà di designare in prima persona il proprio amministratore anche in vista di una futura incapacità (art. 408 Cod.

Civ.).

44 P. CENDON - R. ROSSI, Proposta di legge per abrogazione interdizione, in www.personaedanno.it

45 S. VOCATURO, L’amministrazione di sostegno: dignità dell’uomo al di là dell’handicap, in Notariato, 2004,

III, p. 241.

46 G. FERRANDO, Protezione dei soggetti deboli e misure di sostegno, in La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, in Familia. Quaderni a cura di S. PATTI, Milano, 2002, p. 129 ss.

(35)

35

Per quanto concerne la flessibilità e proporzionalità ancora una volta si potrà comprendere a

pieno la loro portata in un ottica di comparazione rispetto alla bistrattata rigidità delle misure

tradizionali.

Il nuovo istituto infatti attribuisce al Giudice Tutelare il dovere di individuare nel caso di

specie i compiti devoluti all’amministratore di sostegno, specificando in modo puntuale gli

atti che questo potrà porre in essere in nome e per conto del beneficiario e quelli per cui

invece indispensabile risulti la sua assistenza.

Col termine flessibilità si suole indicare infatti la necessità che Giudice Tutelare, dopo aver

vagliato la vastità delle aree di consapevolezza e lucidità del beneficiario, modelli il suo

decreto guardando al caso in esame e nel rispetto delle esigenze di protezione e valorizzazione

del disabile47.

La duttilità di questo strumento può anche ricavarsi dalla lettura dell’articolo 407, co. 4 Cod.

Civ. il quale consente allo stesso Giudice di ridefinire, in relazione alle sopravvenute esigenze

del beneficiario, compiti ed atti di spettanza dell’amministratore.

Giova ricordare inoltre che, per espressa volontà del legislatore (art. 409 Cod. Civ.), per tutti

gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria

dell'amministratore di sostegno il beneficiario conserva la piena capacità di agire.

Significative in questo senso, meritano di essere citate le parole del Professor Paolo Cendon:

“l’amministrazione di sostegno ha in sé un potenziale di morbidezza, di elasticità, di duttilità sufficiente per adattarsi in maniera proporzionata, calibrata e di distinguere le difficoltà

specifiche di ciascuna persona”48.

Restando da esaminare il carattere della proporzionalità si può osservare come questa

consenta di soppesare il provvedimento in modo tale da non scalfire la capacità d’agire del

47 P. BACCARANI, L’amministratore di sostegno, in Fatto & Diritto, collana diretta da P. CENDON, Giuffrè,

2006, p. 25.

48 P. CENDON, La tutela civilistica dell’infermo di mente, in La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, Familia. Quaderni a cura di S. PATTI, cit., p. 33.

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