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Il ruolo della Digitalizzazione nelle strategie di Marketing Museale: analisi di alcune realtà museali toscane

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Marketing e Ricerche di Mercato

Tesi di laurea Magistrale

Il ruolo della Digitalizzazione nelle strategie di marketing

museale: analisi di alcune realtà museali toscane

Relatore:

Prof.ssa Antonella Angelini

Candidato:

Andrea Di Martino

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Indice

Introduzione

1

Capitolo I - Dal Marketing Tradizionale al Marketing Esperienziale

1.1 Marketing definizione ed origini 2

1.2 I paradigmi che hanno guidato il passaggio al Marketing Esperienziale 6

1.2.1 Marketing Concept 6

1.2.2 Customer Satisfaction 7

1.2.3 Customer Relationship Management 9

1.3 Il Marketing Esperienziale 9

1.3.1 Customer Experience Management 11

1.3.2 La creazione di valore secondo la prospettiva customer-based 14

1.3.3 Il sistema esperienziale d’offerta 15

1.4 Come progettare un’esperienza di consumo 19

1.4.1 Servicescape e consumer behavior 21

1.4.2 Il modello Mehrabian – Russel 22

Capitolo II - Il Marketing Culturale in ambito Museale

2.1 Nascita ed Evoluzione della disciplina 26

2.1.1 Il modello Colbert 27

2.1.2 Il modello Diggle 28

2.1.3 Il sistema degli Stakeholders 30

2.2 Il Museo: Definizione e Attività 31

2.2.1 Il Prodotto - Servizio Museale 35

2.2.2 Domanda e offerta 37

2.3 Il marketing di nuova generazione 42

2.3.1 Millennials e digitalizzazione 43

2.3.2 I dieci miti da sfatare 45

2.3.3 I millennials e la cultura 46

Capitolo III - Digitalizzazione in ambito Museale

3.1 L’attuale contesto di riferimento 49

3.1.1 Internet of Everything 51

3.1.2 Tecnologie On site 55

3.1.3 Realtà aumentata, realtà virtuale e realtà mista 58

3.2 Comunicazione digitale 60

3.2.1 Comunicazione online 63

(3)

3.2.3 Facebook 71

3.2.4 Instagram 73

3.2.5 YouTube 76

3.3 Trasformazione del Museo tra online e on site 78

Capitolo IV - Il Sistema museale in Toscana

4.1 Quadro generale della Toscana 80

4.1.1 Offerta museale e flussi di visita in Toscana 82

4.1.2 Il rapporto con la digitalizzazione dei Musei Toscani 84 4.1.3 Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa 85

4.1.4 Museo Galileo di Firenze 88

4.2 Ricerca – Scopo e obiettivo 92

4.2.1 Metodologia di ricerca 93

4.2.2 Piano di campionamento 94

4.2.3 Strumenti di ricerca e test 95

4.3 Analisi dei dati 96

4.3.1 Sezione A 96

4.3.2 Sezione B 102

4.3.3 Sezione C 106

4.3.4 Sezione D 112

4.5 Conclusioni e limiti della ricerca 114

Conclusioni

117

Appendice

118

Bibliografia

124

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(5)

1

Introduzione

Il presente elaborato ripercorre i principali cambiamenti in ambito di marketing, con una particolare attenzione verso tutti quei modelli che hanno avuto un grande impatto non solo sulla società dei consumi ma anche in ambito museale.

A partire dalle politiche neoliberiste e dai nuovi modelli di consumo, nel settore culturale, per la prima volta entra in gioco la questione della competizione. Il museo non è più quel luogo dedito esclusivamente all’esposizione delle opere d’arte, ma diventa un’organizzazione fortemente orientata all’educazione, alla divulgazione scientifica e al dialogo col pubblico di riferimento. L’ulteriore avvento delle ICT e lo sviluppo delle tecnologie ad alto coinvolgimento hanno avuto, negli ultimi anni, delle forti implicazioni in ambito museale, modificando la comunicazione che ora risulta essere sempre più online rispetto ad un tempo. Tutte le organizzazioni culturali, durante le fasi di pianificazione strategica, cercano di fornire prodotti e servizi adeguati alle differenti fasce di pubblico.

Una volta analizzato l’attuale sistema museale Toscano e dopo aver approfondito le riforme che hanno portato alla nuova definizione di museo da parte del MiBACT, la tematica verterà principalmente sull’analisi di due differenti realtà museali.

Il confronto è nato dall’esigenza di analizzare il modo in cui due musei, di natura differente, operano in ambito digitale e cosa riescano a proporre al loro pubblico di riferimento.

La ricerca, invece, si occuperà di colmare il gap sulla mancanza di dati relativi alle app museali: a) indagando i principali aspetti che spingono un individuo a visitare un museo; b) se abbia mai utilizzato le tecnologie messe a disposizione dal museo; c) infine come queste vengono percepite.

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2

Capitolo I

Dal Marketing Tradizionale al Marketing Esperienziale

1.1 Marketing definizione ed origini

Il termine marketing deriva dall’inglese “to market” che significa mettere sul mercato, commercializzare. Già Shakespeare, nel Cinquecento, utilizzava il termine marketable che significa vendibile/smerciabile. Le organizzazioni - siano esse aziende di prodotti o servizi, enti o istituzioni - sono strutture complesse, composte da risorse umane, mezzi e conoscenze, preposte al raggiungimento di un determinato fine.

Sono organismi dinamici, in continuo sviluppo, i cui obiettivi, che si possono riscontrare nella mission, vengono perseguiti attraverso l’attività, i valori e le regole, che costituiscono i suoi tratti distintivi1.

Le organizzazioni vivono all’interno di un Microambiente - costituito da concorrenti, consumatori, altre organizzazioni, cittadini, fornitori e intermediari - che possono influenzare ed essere influenzate a loro volta; e di un Macroambiente, costituito dal contesto generale da cui è influenzata ma sul quale difficilmente potranno essere in grado di intervenire.

Figura 1: Microambiente e Macroambiente

Fonte: Ferrari T., 2005, p.34.

(7)

3

Una delle principali funzioni del marketing è quella di connettere il mondo esterno e quello interno. L’evoluzione di un’organizzazione comporta lo sviluppo di specifiche aree come:

▪ l’area pubblicitaria: inerente all’istituzione, al prodotto, al merchandising, ecc.; ▪ l’area promozionale: cioè quella incentrata sulla forza vendita, sul trade e sui consumatori. Le attività promozionali si decidono in stretto contatto con la direzione commerciale-vendite e sono supportate, durante la realizzazione, dalla direzione comunicazione;

▪ l’area di public relation: tali attività risultano ampie, variegate e molto complesse, poichè si trovano ad operare sia per le relazioni interne sia per quelle esterne. Le prime, riguardano attività di comunicazione con i dipendenti sviluppate in sinergia con l’ufficio di risorse umane; le seconde, invece, riguardano tutte le relazioni con i consumatori, stakeholders, istituzioni, associazioni di categoria ecc. Entrambi le aree possono dipendere sia dal marketing che dalla direzione generale.

I primi studi nell’ambito del marketing si possono fare risalire già a partire dagli anni Venti, anche se la disciplina teorica, però, si svilupperà maggiormente intorno alla seconda metà del XX secolo, portando all’evoluzione del marketing in nuovi ambiti applicativi2. Per gli studiosi il marketing si basa su un approccio interdisciplinare dei mercati competitivi, in grado di innestare nel corpo dell’economia d’impresa diverse discipline come: sociologia, psicologia, design, ecc. Secondo la prassi, al marketing è affidato, nell’ambito dell’impresa, il compito di impostare e realizzare la relazione, che costituisce un elemento fondamentale di ogni attività economica. Infatti, nel settore dell’impresa, al marketing vengono affidate funzioni di dialogo con3:

▪ la produzione: per la creazione di nuovi prodotti o la determinazione dei volumi di produzione;

▪ la finanza: per valorizzare le vendite in armonia con le esigenze di equilibrio economico-finanziario;

▪ la distribuzione: per presidiare e consolidare in canali distributivi più adeguati; ▪ la clientela: per instaurare a lungo termine dei legami fiduciari e di scambio di

valore;

▪ gli stakeholders: per generare un clima favorevole all’interno e all’esterno l’impresa;

2 Kotler P., Marketing Management, ISEDI, Milano, 1976.

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4

▪ i concorrenti: definendo strategie di confronto competitivo sostenibili ed efficaci, nel rispetto dell’etica, della correttezza commerciale e della legalità.

Figura 2: Lo spazio relazionale del marketing.

Fonte: Mattiacci A., Pastore A., 2014, p.7.

Oltre alla funzione di dialogo, al marketing viene affidata anche quella di individuare i bisogni reali o latenti del consumatore e di indirizzarlo, attraverso strumenti di comunicazione, verso un prodotto o un servizio che soddisfi tali bisogni, stimolando così la sua domanda4.

Il principale problema per il marketing fu quello di identificare e definire la combinazione migliore dei parametri d’offerta5. La gestione di tali parametri, riguardanti il marketing transazionale, veniva attuata mediante la politica del “marketing mix”6. Il termine è stato introdotto da Neil Borden nel 1953, durante il suo discorso all’American Marketing Association (AMA), uno dei più rinomati istituti inerenti alla disciplina del marketing. Egli si riferiva ad una miscela di elementi utili a perseguire una certa risposta del mercato7. Per agevolare l'attuazione pratica del concetto, all’interno della concreta prassi

4 Ferrari T., Comunicare l’impresa. Realtà e trend polisensoriale-emozionale, CLUEB, Bologna, 2005. 5 Varaldo R., Stanton W., Marketing, Il Mulino, Bologna, 1986.

6 Borden N., “The Concept of the Marketing Mix”, in Journal of Advertising Research, vol. 4, No.2, 1964,

pp. 2-7.

7 Van Waterschoot W., Van den Bulte C., “The 4P Classification of the Marketing Mix Revisited”, Journal

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5

operativa, i primi scrittori che hanno trattato di marketing mix, hanno cercato di dettagliare il maggior numero di influenze sulle risposte del mercato.

Frey e Borden adottarono un approccio checklist, fornendo un utile dispositivo per comprendere la natura complessa e correlata delle attività di marketing. Altri autori, invece, svilupparono classificazioni delle attività di marketing più sintetiche e convenienti da memorizzare. Dei numerosi schemi proposti, però, solo quello di McCarthy è sopravvissuto, diventando il disegno dominante.

Il paradigma delle 4P (Product, Placement, Promotion, Price), elaborato da McCarthy, grazie alla sua riproduzione molto sintetica, sia nella letteratura che nella pratica, è diventato il sistema di classificazione più citato e più usato per il marketing mix8. Nonostante questo strumento fosse stato adottato dalla maggior parte delle imprese, anch’esso aveva dei limiti. L’autonomia funzionale del marketing management, infatti, non rese possibile individuare e sviluppare sinergie derivanti da un orientamento strategico maggiormente integrato. Questo approccio poneva una scarsa attenzione al contesto internazionale e mancava di un orientamento adattivo nei confronti dell’ambiente.

A partire dagli anni Settanta, i limiti dell’approccio tradizionale di marketing sono stati resi più evidenti da tutti quei cambiamenti strutturali che hanno interessato il contesto competitivo in cui le imprese operavano. L’attenzione posta esclusivamente sulla definizione delle variabili che compongono il marketing mix si traduceva conseguentemente in una limitata ricerca di vantaggi competitivi di lungo periodo. Le imprese odierne operano, invece, in un contesto estremamente complesso e diverso da quello passato.

A fronte di questa situazione, esistono molteplici cause che hanno spinto le imprese ad adattarsi: tra queste, le più importanti sono l’avvento della globalizzazione e l'informatizzazione della società. A partire dagli anni Ottanta, tali fenomeni imposero il confronto e agevolarono il contatto non solo tra individui ma anche tra imprese provenienti da ogni parte del mondo. Oggi, grazie alla diffusione di internet, che ha consentito di accorciare le distanze tra compratore e venditore, e grazie anche all’esponenziale crescita dei dispositivi elettronici posseduti dagli individui, i consumatori possono compiere scelte d’acquisto più programmate e consapevoli rispetto al passato.

(10)

6

1.2 I paradigmi che hanno guidato il passaggio al Marketing

Esperienziale

Negli anni Novanta l’AMA definiva il marketing come: «il processo di pianificazione e implementazione volto alla realizzazione del concetto, del prezzo, della comunicazione e della distribuzione di idee, prodotti e servizi»9. Tale processo, finalizzato a creare scambi per soddisfare i bisogni di individui ed organizzazioni, dalla pianificazione all’implementazione, interessa i tipici elementi del marketing mix.

Successivamente l’AMA, in anni recenti, ha rivisto la definizione del concetto descrivendolo come: «l'attività, l'insieme di istituzioni e il processo di creazione, comunicazione, consegna e scambio di offerte che hanno valore per i clienti, i partner dei clienti e la società in generale»10. Con questa nuova definizione l’AMA ha deciso di estendere lo scopo del marketing anche alle specifiche attività e a tutte le figure coinvolte nel processo. Secondo quest’ottica, il processo è finalizzato alla creazione di valore, scambiando offerte che abbiano un valore anche per i partner dell’impresa e per la società in generale e non solo per i clienti, incorporando così implicitamente il concetto di “corporate social responsibility”11.

I principali paradigmi che hanno guidato il passaggio dal marketing tradizionale al marketing esperienziale sono tre: 1) il Marketing Concept; 2) la Customer Satisfaction; e il Customer Relationship Management.

1.2.1 Marketing Concept

Il Marketing Concept nasce negli anni Cinquanta negli Stati Uniti e si può definire come una vera e propria filosofia di gestione delle imprese e delle organizzazioni, in base alla quale l’impresa per avere dei profitti, deve soddisfare i desideri della clientela. Il compito del marketing sarebbe, quindi, quello di analizzare i bisogni del consumatore, e sulla base di questi, mettere poi sul mercato i relativi prodotti e servizi a prezzi adeguati12.

Il marketing concept non riguarda semplicemente una funzione del marketing: non è infatti possibile realizzare questi obiettivi semplicemente impiegando ricerche di mercato, pubblicità e rapporti con la distribuzione. Sarà necessario, invece, che tutta

9 Castaldo S., Marketing e Fiducia, Mulino, Milano, 2009, p. 17. 10 Ibidem

11 http://www.treccani.it/enciclopedia/corporate-social-responsability

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7

l’organizzazione ruoti attorno al cliente. È a partire dagli anni Novanta che le aziende hanno riconosciuto l'importanza di “orientarsi al cliente” e “farsi guidare dal mercato” piuttosto che rimanere focalizzati sul prodotto, sulla tecnologia o sulle vendite13.

Gli studiosi svilupparono di fatto una misura formale del grado in cui le aziende mettono in pratica il marketing concept, ovvero la cd. “Market orientation scale”14.

Tale scala si articola in tre fasi principali:

▪ produzione delle informazioni: mediante ricerche di mercato si recepiscono informazioni sui bisogni dei clienti e sulla concorrenza;

▪ distribuzione delle informazioni: mediante la diffusione delle informazioni raccolte trasversalmente alle funzioni aziendali di tutta l’organizzazione;

▪ capacità di risposta: agire mediante l'utilizzo delle informazioni raccolte al fine di soddisfare i clienti.

Monitorando continuamente le reazioni della clientela alle proposte commerciali, e tramite il supporto operativo della distribuzione e della comunicazione, l’impresa dovrebbe stimolare in tal modo la domanda: così facendo, si innescherebbe un circolo virtuoso, secondo cui un cliente soddisfatto dovrebbe incrementare i profitti dell’azienda15.

Ciò che non convince di questo paradigma è che fa apparire come orientati al cliente concetti e metodi focalizzati invece sul prodotto: in tal modo, se si dovesse fare affidamento solo a questo paradigma e alle sue metodologie, risulterebbe improbabile comprendere a fondo i bisogni dei propri clienti.

1.2.2 Customer Satisfaction

Oggi le condizioni per la sopravvivenza aziendale sono collegate da un lato, alla capacità di soddisfare i clienti con un'offerta migliore di quella dei concorrenti, dall’altro alla disponibilità dei clienti a pagare un prezzo per un servizio superiore al suo costo di produzione16. Secondo la letteratura, la Customer Satisfaction è un concetto in continua evoluzione. Esso risulta fondamentale per tutte le imprese che desiderano vendere i propri

13 Ferraresi M., Schmitt B.H., Marketing Esperienziale, cit.

14 Kohli A.K., Jaworski B.J., Market Orientation: the construct, Research propositions, and Managerial

Implications, Journal of Marketing, vol. 54, No. 2, 1990, pp. 1-18.

15 Mattiacci A., Pastore A., Marketing il management orientato al mercato, cit.

16 Carù A., Cugini A., Profitability and customer satisfaction in services An integrated perspective between

marketing and cost management analysis, International Journal of Service Industry Management, vol. 10, No. 2, 1999, pp. 132-156.

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8

prodotti e/o i propri servizi. Questo obiettivo è raggiungibile solo se le aziende adottano efficaci politiche di marketing, che consentano loro di concepire e realizzare prodotti e servizi richiesti e apprezzati dal target di riferimento. Valdani sostiene che la Customer Satisfaction sia una filosofia di gestione che caratterizza lo stile di comportamento di un’impresa. Essa viene definita come la manifesta capacità dell’impresa di generare valore, anticipando e gestendo le attese della clientela. Il cliente, rispetto ad un tempo, ha molteplici fonti da cui attingere le informazioni: fonti istituzionali, riviste, siti web. In tali spazi vengono messi a paragone determinati prodotti o servizi, rendendo il cliente più informato, più esigente e meno “manipolabile”.

Un cliente soddisfatto, infatti, è il presupposto per avere un cliente fedele. Esso risulta costituisce una risorsa fondamentale da mantenere, anche in considerazione del fatto che acquisire nuovi clienti costa cinque volte di più che mantenere quelli esistenti17.

La soddisfazione del cliente dunque rappresenta un valore fondamentale per l’impresa poiché un cliente soddisfatto vale molto di più di un cliente indifferente o insoddisfatto. Per soddisfazione del cliente, generalmente si intende quella sensazione a veder realizzate le proprie aspettative.

Da un punto di vista temporale, la soddisfazione del cliente non è legata necessariamente alla fase di consumo o utilizzo del prodotto, ma può nascere anche durante l’acquisto o in momenti precedenti allo stesso, quando cioè il consumatore ha già valutato cosa acquistare. La soddisfazione però risulta essere influenzata da diversi fattori: l’idoneità o l’eccessività del prezzo; le caratteristiche del prodotto/servizio; fattori situazionali; emozioni del consumatore. Proprio in base a quest’ultimo fattore si può notare come la customer satisfaction non faccia riferimento esclusivamente all’ambito cognitivo ma si riferisca anche all’ambito affettivo.

Quindi beni e servizi realizzati dalle imprese assumono un ruolo nuovo e differente rispetto a prima: che non è più quello di soddisfare esclusivamente bisogni primari, ma è anche quello di appagare emotivamente il consumatore.

17 Myers J. H., Measuring Customer Satisfaction: hot button and other measurement iusses, American

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9

1.2.3 Customer Relationship Management

L'ultimo paradigma che precede l'approccio esperienziale è quello del Customer Relationship Management (CRM). Tale processo integrato è orientato a costruire relazioni a medio-lungo termine con i clienti (customer oriented o marketing oriented).18 Secondo quest’orientamento l’impresa, tramite il soddisfacimento dei bisogni dei consumatori e la loro fidelizzazione, tende a perseguire i propri profitti aziendali. Gli strumenti tendenzialmente utilizzati sono: a) direct mailing; b) mass customization; c) gestione dei database19. L’obiettivo prioritario è quello di gestire il consumatore attraverso un’offerta personalizzata di prodotti e servizi che ne aumenti il livello di soddisfazione (customer satisfaction) e di fedeltà (customer loyalty).

Secondo una definizione il CRM è: «un processo attraverso il quale un venditore o un fornitore di servizi gestisce le aspettative dei clienti per garantire relazioni a lungo termine e un costante allineamento con le esigenze dinamiche dei clienti»20.

Esso richiede una filosofia aziendale e una cultura incentrate sul cliente. I tre paradigmi sopracitati, nonostante possano aiutare il Manager a comprendere meglio i propri clienti, si dimostrano per alcuni aspetti miopi e limitanti, poiché distolgono lo stesso dall’attenzione sul cliente. Il management necessita invece di un approccio che comprenda il meglio possibile la clientela: un approccio che sia focalizzato non solo sugli attributi del prodotto e sulle transazioni ma anche su qualsiasi altro elemento che possa creare valore durante il processo decisionale, di acquisto e di utilizzo.

1.3 Il Marketing Esperienziale

Etimologicamente il termine esperienza deriva dal latino “experientia” che significa: esperienza diretta, acquisita personalmente. Il concetto di esperienza non si limita all’economia ma abbraccia diverse discipline come la psicologia, la sociologia e l’antropologia. Secondo il filosofo John Dewey, esso nasce dall’interazione dell’uomo con ambiente che lo circonda. L’uomo, infatti, non è uno spettatore passivo, ma interagisce con tutto ciò che lo circonda.

18 Farinet A., Ploncher E., Customer Relationship Management, Etas, Milano, 2002. 19 Ferraresi M., Schmitt B.H., Marketing Esperienziale, cit.

20Saeed K.A., Grover V., Kettinger W.J., Guha S., Organizational Interventions and the Successful

Implementation of Customer Relationship Management (CRM) System Projects, “a process through which a seller or service provider manages customer expectations to ensure long-term relationship and ongoing alignment with dynamic customer needs”, vol. 42, No. 2, 2011, pp. 9-31.

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10

Il suo pensiero nasce dunque dall'esperienza sociale21. L’esperienza viene esplorata mediante il suo rapporto con la sensazione (elemento centrale del rapporto che l’uomo intrattiene con l’ambiente in cui vive), con l’azione e con il pensiero22.

Il concetto di “relationship marketing”, si sviluppa intorno agli anni Settanta sulla base di studi empirici che vedevano nel marketing management un modello inadeguato per il settore industriale e dei servizi. L’obiettivo del marketing relazionale era: «negoziare e gestire le relazioni di scambio con gruppi di interesse al fine di perseguire vantaggi competitivi sostenibili in specifici mercati, sulla base di accordi a lungo termine con clienti e fornitori»23. Secondo Philip Kotler: «il marketing relazionale costituisce una svolta significativa nel paradigma del marketing; si passa da una valutazione esclusivamente in termini di competizione e di conflitto alla competizione e di conflitto alla valutazione in termini di reciproca interdipendenza e cooperazione»24.

Queste sono le principali caratteristiche del marketing relazionale secondo Kotler: a) si concentra su partner e su clienti piuttosto che sui prodotti dell'impresa; b) pone l'accento sulla Customer retention e sullo sviluppo dei clienti più che sulla loro semplice acquisizione; c) si basa su team inter-funzionali più che sul lavoro a livello dipartimentale; d) attribuisce più importanza all'ascolto e all'apprendimento che alla promozione.

Secondo tale prospettiva uno dei fattori più importanti per l'impresa sono le sue relazioni. Esso definisce tale capitale relazionale come «l'insieme del capitale di conoscenze, dell'esperienza e della fiducia del quale essa dispone nei confronti dei suoi clienti, dipendenti, fornitori e partner della distribuzione»25.

Generalmente queste relazioni hanno un valore maggiore rispetto agli asset fisici di un'impresa e determinano il futuro valore dell'azienda. Qualsiasi passo falso in queste relazioni compromette la performance aziendale: le imprese devono possedere un "indicatore relazionale" (Relationship scorecard) che descrive i punti di forza, i punti di debolezza, le opportunità e i rischi di una relazione, qualora occorresse rimediare agli eventuali indebolimenti delle relazioni più importanti.

21 Dewey J., Esperienza e Natura, Mursia, Milano, 2014. 22 Ibidem

23 Hakansson H., Wootz B., A Framework of Industrial Buying and Selling, in Industrial Marketing

Management, No. 11, pp. 23-39, 1979.

24 Kotler P., Il Marketing dalla A alla Z, Gruppo 24 ore, Milano, 2010. 25 Ibidem

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11

Secondo Ferraresi e Schmitt, invece, le esperienze sono eventi privati che si verificano in risposta ad uno stimolo. Le esperienze coinvolgono gli individui mediante l’osservazione diretta o la partecipazione ad eventi (reali, fantastici o virtuali26).

Il marketing esperienziale si differenzia dal marketing sulla base di quattro concetti: a) esperienza del cliente; b) consumo come esperienza olistica; c) clienti come animali razionali ed emozionali; d) eclettismo dei metodi.

Figura 3: Customer Experience Management.

Fonte: Ferraresi M., Schmitt B.H., 2018, p.30

1.3.1 Customer Experience Management

Il marketing esperienziale fa parte del Customer Experience Management (CEM) che può essere definito come: «il processo di gestione strategica dell’intera esperienza del cliente con un prodotto o con un azienda»27. Il CEM supera di gran lunga i tradizionali paradigmi del marketing (Marketing Concept, la Customer Satisfaction e il Customer Relationship Management).

Il Customer Experience Management è suddiviso in 4 fasi 28:

I. analizza il mondo esperienziale del cliente: al fine di comprendere quali sono

state le precedenti esperienze che i clienti hanno vissuto, quali devono ancora vivere e quali vorrebbero provare;

II. costruisce la piattaforma esperienziale: utilizzando il posizionamento classico29

e i suggerimenti ricevuti mediante ricerca;

26 Ferraresi M., Schmitt B.H., Marketing Esperienziale, cit. 27 Ibidem

28 Scozzese G. Di Falco F., Marketing esperienziale e neuromarketing: nuove frontiere del consumo,

Edizioni Kappa, Bologna, 2011.

29Il concetto di posizionamento è quello di un obiettivo strategico, che corrisponde al tipo di percezione

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12 III. progetta l’esperienza di marca: creando un’identità esperienziale del prodotto

(slogan, packaging, pubblicità, ecc.);

IV. struttura la relazione con il cliente: nel momento in cui il consumatore entra in

contatto con il prodotto.

Le quattro fasi sopracitate devono procedere congiuntamente e nessuna di esse può essere tralasciata. Secondo quest’approccio, per il quale i prodotti di un’azienda devono essere adeguati allo stile di vita del cliente, cerca di comprendere il perché alcuni individui decidano di acquistare un prodotto piuttosto che un altro. Alcuni prodotti, come ad esempio le automobili, sono associati ad un determinato stile di vita e proiettano l’identità dell’individuo che li possiede30.

Il CEM non si limita semplicemente alle dinamiche esterne all’impresa ma anche a quelle propriamente interne: esso, infatti, mediante un approccio integrato sull’esperienza del dipendente, riesce a creare un valore che influenza le percezioni dei clienti. Affinché si possa creare un’esperienza piacevole, i dipendenti dovranno essere motivati, competenti nel modo di lavorare e innovativi nel modo di pensare. Il Marketing Esperienziale costituisce un importante rivoluzione nel campo del Marketing; esso risulta essere il primo approccio che prende seriamente in considerazione il cliente finale. Le imprese che, attraverso il monitoraggio del cliente durante le fasi pre e post-acquisto, riescono a creare un valore aggiunto per il cliente, hanno una maggiore possibilità di poter creare un vantaggio competitivo sui concorrenti.

Schmitt approfondisce la natura multidimensionale delle esperienze, individuando cinque tipologie di esperienze note come SEM (Strategic Experential Module) 31:

▪ Sense: esperienza che mira a coinvolgere i 5 sensi (vista, udito, gusto, olfatto e tatto);

▪ Feel: esperienza il cui intento è quello di far scaturire emozioni di qualsiasi intensità (durante il consumo);

▪ Think: esperienza che mira a stimolare i consumatori a livello cognitivo;

▪ Act: esperienza che coinvolge i comportamenti e gli stili di vita dei consumatori mediante l’utilizzo di alcuni prodotti;

▪ Relate: esperienza che rapporta l’individuo con altre persone e con altre culture.

30 Ferraresi M., Schmitt B.H., Marketing Esperienziale, cit. 31 Ibidem

(17)

13

L’attivazione di questi moduli strategici avviene mediante gli ExPro (Experience Provider), definiti come componenti tattici d’implementazione a disposizione dei manager per creare campagne incentrate sui diversi moduli esperienziali.

Secondo Schmitt la vera “attrazione esperienziale” si ha mediante l’incrocio tra i SEM ed ExPro. Gli Experience Provider più precisamente sono:

▪ la comunicazione (pubblicità, comunicazione aziendale interna ed esterna, campagne di relazioni pubbliche e annual report);

▪ l’identità visiva e verbale (nomi, loghi e codici di marca);

▪ la presenza del prodotto (design, packaging, product display, personaggi di marca); ▪ il co-branding (eventi di marketing e sponsorizzazioni, alleanze e partnership,

licensing, product placement);

▪ gli spazi espositivi (edifici, uffici, stabilimenti, chat, acquisto e vendita); ▪ i siti web e media elettronici (banner pubblicitari, chat, acquisto e vendita);

▪ le persone (personale di vendita, rappresentanti aziendali, erogatori di servizio oppure qualsiasi persona che può essere ricondotta alla marca o all’azienda). Attraverso la combinazione di questi elementi il manager può creare delle offerte ibride e delle esperienze olistiche che riescono ad aggregare tutte e cinque le categorie di esperienza. Oggigiorno, i consumatori vivono all’interno di un’economia esperienziale caratterizzata da: offerte esperienziali, shopping esperienziale e comunicazione esperienziale. Concetti come esperienza, emozione e sensorialità sono alla base delle decisioni e degli investimenti aziendali32.

Figura 4: Differenza tra marketing tradizionale ed esperienziale.

Fonte: Ferraresi M., Schmitt B.H., 2018, p.29.

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14

1.3.2 La creazione di valore secondo la prospettiva customer-based

Il valore di un’impresa, secondo una prospettiva customer-based, può analizzarsi mediante la correlazione tra la dimensione del capitale economico e i rapporti con i clienti. Tali rapporti vengono costruiti attraverso tutte quelle risorse tangibili e intangibili a disposizione dell’impresa, come ad esempio: le conoscenze aziendali, la notorietà, l’immagine, la rete di vendita, il portafoglio prodotti. Questo insieme di elementi determina la quantità e la qualità delle relazioni che l’impresa è in grado di avere con i clienti33. Rispetto ad un tempo, la logica virtuale imposta dai vari sviluppi tecnologici e concorrenziali ha rovesciato l’organizzazione produttiva, spostando la catena del valore34 verso il cliente finale. La flessibilità che consente di adattare l’offerta alla domanda dipende dalla capacità dell’impresa nel relazionarsi con i vari interlocutori del mercato. Una teoria in grado di esprimere concettualmente il legame fra gli investimenti finalizzati al potenziamento della value proposition offerta ai clienti, il valore di questi ultimi e il valore dell’impresa è la c.d. Customer Based View.

Secondo Busacca, la Customer Based View «riconduce i meccanismi causali che spiegano il legame fra le risorse dell’impresa e il suo successo economico/competitivo alla sequenza circolare». La creazione di valore viene posta come requisito inderogabile per la sopravvivenza e il successo dell’impresa, requisito il cui soddisfacimento è garantito dalla focalizzazione dei processi aziendali sul valore offerto ai clienti.

Tutto ciò garantisce lo sviluppo del patrimonio aziendale, attraverso il circolo di relazioni che legano la customer-based alle risorse fondate sulla conoscenza e sulle relazioni con altre categorie di stakeholder. Secondo quest’ottica il valore del capitale economico non dipende tanto dai flussi di reddito o di cassa prodotti dall’impresa, quanto piuttosto dalle potenzialità accumulate di produrre in futuro tali flussi positivi, dalla correlazione tra le differenze nella dotazione di risorse (scarse e difficili da imitare) e le differenze di performance35.

33 Busacca B., Consumatore, concorrenza e valore - Una prospettiva di marketing, Egea, Milano, 2004. 34 Catena del valore: Elaborata da Michael Porter, identifica le attività d’impresa seguendo una linea

sequenziale evidenziando la centralità delle attività di trasformazione e vendita. Porter distingue tra: 1) attività primarie ovvero produzione, marketing, vendite e attività a loro funzionali (logistica in entrata e in uscita e servizi); 2) attività di supporto, che giocano a supporto delle prime (infrastrutture, gestione delle risorse umane, sviluppo della tecnologia e approvvigionamenti). Mattiacci A., Pastore A., Marketing il management orientato al mercato, cit. p.87.

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15 Figura 5: I fondamenti teorici e il ciclo della Customer based view.

Fonte: Busacca B., 2004, p.225.

1.3.3 Il sistema esperienziale d’offerta

Il Marketing orientato all’esperienza rappresenta un nuovo modo di relazionarsi col mercato e si distingue per alcuni tratti particolari: esso presuppone un ambiente caratterizzato da una domanda imprevedibile e si attua mediante strategie sperimentali adatte ad uno scenario complesso. In tale orientamento i consumatori sono visti come soggetti dotati di una buona capacità cognitiva che rende il mercato imprevedibile e difficilmente influenzabile.

Il comportamento d’acquisto può essere definito come un insieme di attività che un individuo svolge nella ricerca, acquisto, utilizzo, valutazione e post-utilizzo di beni e servizi, finalizzati alla soddisfazione dei propri bisogni. Il bisogno, secondo Adam Smith, è la molla per l’agire umano e rappresenta uno stato di privazione percepita, una carenza o un vuoto da colmare attraverso l’acquisizione di un prodotto o un servizio. Il concetto

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16

di bisogno è stato analizzato, invece, dallo psicologo statunitense Abraham Maslow, con un modello piramidale, che distingue cinque categorie di bisogni36:

▪ fisiologici: di tipo biologico come mangiare, bere, dormire; ▪ di sicurezza: rifugio, protezione, incolumità;

▪ sociali: si riferiscono agli affetti, amicizia, accettazione; ▪ di stima: riguardano prestigio, successo, autostima;

▪ di autorealizzazione: comprende la piena soddisfazione di sè.

L’ordine gerarchico dei bisogni, presuppone che debbano essere soddisfatti primariamente i bisogni fisiologici, per poi passare in successione agli altri.

Questa è una regola a carattere generale, ma potrebbero essere rappresentate significative eccezioni: come è stato affermato, ad esempio, esistono individui che hanno sacrificato i propri bisogni fisiologici per realizzare grandi ambizioni37.

Il consumatore, infatti, prima di compiere un acquisto svolge delle fasi di tipo cognitivo38:

I. percezione del bisogno: rappresenta il momento in cui il soggetto percepisce il

bisogno, cioè il momento in cui si verifica un gap tra lo stato attuale e quello desiderato;

II. ricerca delle informazioni: una volta percepito il bisogno, il consumatore si

attiva andando alla ricerca di informazioni con l’obiettivo di individuare le soluzioni migliori per soddisfarlo;

III. valutazione delle alternative: una volta raccolte le informazioni il consumatore

procede alla loro valutazione. Generalmente viene considerato solo il “set evocato” cioè una gerarchia ristretta di preferenze idonee al soddisfacimento del bisogno;

IV. acquisto del prodotto: si passa dal pensiero all’azione, dove il consumatore

sceglie di acquistare il prodotto più idoneo. A volte è bene ricordare però che possono accadere degli eventi, come quello dell’assenza del prodotto nel punto di vendita, che potrebbero spingere il consumatore ad acquistare un prodotto diverso da quello scelto.

36 Zeithaml V.A., Bitner M. J., Gremles D.D., Bonetti E. Marketing dei servizi, McGraw – Hill, Milano,

2012.

37 Dalli D., Romani S., Il comportamento del consumatore, cit. 38 Castaldo S., Marketing e Fiducia, cit., pp. 82-84.

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17 V. utilizzo del prodotto: è il momento in cui il consumatore decide di

utilizzare/consumare il prodotto e si riferisce a tutte le attività finalizzate alla produzione di valore per la domanda;

VI. valutazione post-acquisto: nota anche come “momento della verità” perché è il

momento in cui il consumatore potrà sapere se le sue aspettative sono state rispettare o meno;

VII. fedeltà: qualora il prodotto dovesse soddisfare le sue aspettative è possibile che il

consumatore possa sviluppare una fedeltà dei confronti del prodotto o del brand.

Bisogna tenere in considerazione però che, al variare del grado di coinvolgimento psicologico i processi cognitivi del consumatore possono essere più o meno complessi.

Figura 6: Stadi del processo d'acquisto nelle ipotesi di alto e basso coinvolgimento psicologico.

Fonte: Castaldo S., 2009, p.85.

Da quanto si è detto si può evincere come nel marketing legato all’esperienza manchi la certezza di conoscere e soddisfare le esigenze dei consumatori in modo mirato e come la componente cognitiva del consumatore rende il mercato più imprevedibile. Questi elementi hanno fatto sì che l’articolazione delle conoscenze finora acquisite fosse arricchita di qualcosa di nuovo e diverso rispetto al passato e che fosse necessario introdurre all’interno del paradigma un elemento di risposta: il sistema esperienziale d’offerta. Il sistema esperienziale d’offerta può essere definito come: «l’insieme di prodotti, servizi ed altri elementi del contesto, atto ad interessare più dimensioni della personalità umana attraverso benefici funzionali e simbolici che il consumatore può

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scegliere in modo da realizzare la propria effettiva configurazione di valore»39. L’obiettivo prioritario è quello di coinvolgere l’individuo nelle proprie esperienze di acquisto e di consumo, permettendogli di individuare e di aggregare le diverse utilità disponibili al fine di soddisfare bisogni e desideri. Secondo tale logica le imprese possono accrescere il valore di prodotti e servizi riuscendo ad inserirli in un contesto con altri benefici (sia utilitaristici che edonistici) complementari dal punto di vista funzionale e simbolico. Secondo un’ampia accezione, il concetto di sistema di offerta, tiene conto della distinzione tra prodotto e servizio e comprende tutte le forme e i mezzi di contatto tra impresa e consumatore durante la loro relazione. Il valore di un sistema di offerta dipende fondamentalmente da quattro requisiti40:

▪ la capacità di coinvolgere il consumatore su più dimensioni della personalità (cognitive, emotive, sensoriali) e di fargli “vivere” più pienamente le attività di acquisto e di consumo;

▪ la rilevanza del valore simbolico rispetto a quello funzionale;

▪ la plurifunzionalità in relazione alla soddisfazione di bisogni/desideri compositi; ▪ la facoltà di autodeterminazione dell’offerta da parte del consumatore.

Le dimensioni sensoriali ed emozionali rappresentano il fulcro del marketing esperienziale, secondo il quale la base essenziale è rappresentata dal fatto che bisogna aumentare l’interazione emotiva tra prodotti, servizi e ambiente, da un lato, e il consumatore, dall’altro, rimuovendo le possibili barriere ed evidenziando gli stimoli sensoriali. Un altro elemento peculiare dell’approccio esperienziale è l’importanza dei benefici simbolici, ovvero relativi a ciò che il bene/servizio rappresenta sul piano psicologico e sociologico, rispetto a quelli funzionali41. Mediante processi mentali e sociali, tutti quei prodotti e i servizi che vengono arricchiti di significati, diventano delle vere e proprie esperienze. Un noto esempio in materia è rappresentato dal fenomeno Harley-Davidson: i marketer di Harley-Davidson trascorrono molto tempo a pensare ai clienti e al loro comportamento di acquisto, cercando di capire chi sono i loro clienti, cosa pensano, come si sentono e perché acquistano una Harley piuttosto che una Kawasaki o una Honda42.

39 Resciniti R., Il marketing orientato all'esperienza - L'intrattenimento nella relazione con il consumatore,

Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2004.

40 Ibidem

41 Simonson A., Schmitt B.H., Marketing Aesthetics, Simon & Schuster, New York, 2009. 42Kotler P., Armstrong G., Principles of Marketing, Pearson, Londra, 2008

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1.4 Come progettare un’esperienza di consumo

In letteratura economico-manageriale, la nozione di Customer Experience assume significati differenti a seconda della prospettiva di analisi con cui viene affrontata. Il termine “esperienziale”, nell’ambito degli studi di consumer behaviour, fu elaborato nei primi anni Ottanta da Holbrook e Hirschman, i quali definiscono l’experiential view come un approccio, complementare all’information processing view, focalizzato sulla natura simbolica, edonistica ed estetica del consumo, in cui l’esperienza di consumo viene vista come un’attività volta alla ricerca di fantasie, sensazioni e divertimenti43.

Tuttavia, l’elemento edonistico e quello estetico non sono identici: una risposta estetica riguarda fondamentalmente l'apprezzamento del consumatore per la bellezza, il consumo edonistico, invece, riguarda essenzialmente il piacere, per il quale può essere anche un elemento di apprezzamento estetico che porterà quasi sicuramente a una risposta edonistica44. Oltre all'esperienza edonistica di un prodotto estetico, i teorici del marketing hanno anche notato la possibilità di connotazioni simboliche, facendo eco ai filosofi che ritengono che trasmettere un significato o un’emozione sia una parte fondamentale del processo estetico. Infatti, è stato dimostrato che le opere culturali popolari possiedono un significato simbolico di estetizzazione della vita quotidiana45. Creare un’esperienza di consumo significa: «creare un interazione positiva con il consumatore e far sì che quest’ultimo attivi i suoi processi cognitivi ed emotivi per interpretare ciò che vive nel momento dell’interazione»46. Solo se l’interazione tra l’individuo e il sistema di offerta è altamente coinvolgente si potrà parlare di esperienza: le imprese quindi devono garantire e offrire, ai loro clienti, un’esperienza memorabile.

Per farlo dovranno utilizzare tre componenti47: a) componente partecipativa: ovvero il livello di partecipazione richiesto all’individuo;

b) componente tecnologica: il ricorso alla tecnologia migliora il livello di coinvolgimento; c) componente sensoriale: per creare un unicum dell’esperienza in cui avvolgere il consumatore.

43 Holbrook M.B., Hirschman E.C., The Experiential Aspects of Consumption: Consumer Fantasies,

Feelings, and Fun, Journal of Consumer Research, vol. 9, No. 2, 1982, pp. 132-140.

44 Charters S., Aesthetic Products and Aesthetic Consumption: A Review, Consumption, Markets and

Culture, vol. 9, No. 3, 2006, pp. 235-255.

45 Ibidem

46 Castaldo S., Marketing e Fiducia, cit., pp. 409-416. 47 Ibidem

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20

Affinché l’individuo possa vivere appieno l’esperienza di consumo, il solo momento di interazione con il sistema di offerta non è sufficiente, in quanto sarà prima necessario attribuire un senso a questa interazione.

È in questa fase che il processo sviluppa due dimensioni, quella “cognitiva” e quella “affettiva”: nella prima fanno parte tutte le attività relative alla cognizione (stati mentali), nella seconda rientrano le attività che danno senso all’interazione mediante processi di etichettamento e di riconoscimento.

Solo attraverso la gestione dei processi affettivi e cognitivi l’impresa può creare un’esperienza di consumo che abbia valore, e per fare ciò dovrà fare leva su tutti gli strumenti idonei ad interagire col consumatore. Questo comporta che più cresce l’interazione tra il sistema d’offerta e il consumatore più il legame tra queste entità sarà intenso, con la conseguente immersione del consumatore nell’esperienza di consumo. Oggi una leva fondamentale per creare esperienze per i consumatori è l’entertainment. Molte imprese, infatti, integrano le loro offerte con elementi estetici ed edonistici per incrementare il coinvolgimento del cliente durante le proprie esperienze di acquisto e consumo. Spesso questo concetto è legato a quello di “innovazione”, il quale può contribuire all’esperienza del cliente in numerosi modi: può valorizzare gli affari dell’azienda, in quanto le aziende devono creare innovazioni su base costante, offrendo attrezzature che potenzino le funzioni del prodotto o che creino dei modelli con le stesse caratteristiche dei prodotti in commercio48.

I benefici degli investimenti per la creazione e la gestione di esperienze sono particolarmente rilevanti, specialmente se l’impresa ha alla base della sua strategia la consumer confidence49. Il raggiungimento di tali benefici, però, non è facile ed immediato, perché richiede una profonda conoscenza dei processi di interazione e relazione con i clienti50. Infatti, affinché si possano ottenere benefici di differenziazione e di preferenza, sarà necessario che le imprese acquisiscano competenze simili a quelle delle imprese artistico-culturali. Tutto questo si traduce nel “mettere in scena” un’esperienza di consumo tale da trasformare il consumatore in spettatore o addirittura in attore51.

48 Ferraresi M., Schmitt B.H., Marketing Esperienziale, cit.

49 La fiducia dei consumatori è un indicatore economico che misura il grado di ottimismo che i consumatori

provano riguardo allo stato generale dell'economia e alla loro situazione finanziaria personale.

50 Castaldo S., Marketing e Fiducia, cit., pp. 409-416. 51 Ibidem

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21

1.4.1 Servicescape e consumer behavior

Il marketing esperienziale trova la sua massima espressione nell’ambito dei servizi52, in quanto generalmente i servizi vengono consumati nel momento in cui vengono prodotti e hanno luogo durante l’interazione tra impresa e cliente.

Oggi ciò che determina il comportamento del consumatore, oltre all’ambiente complesso in cui vive, è indubbiamente la dimensione evocativa ed emozionale. L’ambiente di servizio, noto come Servicescape, riguarda lo stile e l’aspetto delle strutture fisiche e di altri elementi esperienziali incontrati dal cliente nei luoghi in cui viene erogato un servizio. Progettare l’ambiente di servizio è un’arte che richiede un investimento considerevole di tempo e di lavoro, la cui implementazione può risultare molto onerosa. Gli ambienti di servizio comunicano e determinano il posizionamento del servizio, influiscono sulla produttività dei dipendenti e dei clienti, guidano il cliente lungo il sistema di erogazione e possono rappresentare un fattore centrale nel tentativo di raggiungere un vantaggio competitivo53. La complessità dipende dalla natura degli ambienti, poiché esistono ambienti semplici (con struttura essenziale) e ambienti complessi (con una serie di elementi caratterizzanti e complessi).

Le organizzazioni si differenziano in base alla tipologia di servicescape.

Si possono distinguere tre tipologie di organizzazione che differiscono in base al suo utilizzo54:

▪ ambiente self-service: dove opera solo il cliente. La mancanza di interazione tra clienti e dipendenti limita l’azione dell’impresa sulla definizione del prezzo, della comunicazione o degli obiettivi di marketing;

▪ servizi a distanza: opera solo il dipendente. Il servicescape corrisponde all’ambiente lavorativo, pertanto dev’essere realizzato in modo da facilitare la produttività e l’efficienza operativa dei dipendenti;

▪ servizi interpersonali: in cui operano cliente e dipendente. L’impresa si concentra maggiormente sul luogo in cui avviene l’interazione tra dipendenti e clienti rendendolo allo stesso tempo funzionale all’attività.

52 Secondo Gronroos, il servizio: «è un processo che consiste in una o più attività più o meno intangibili

che normalmente ma non necessariamente, hanno luogo nell’interazione fra impresa e i clienti, fornite come soluzioni/risposte ai problemi del cliente» Zeithaml V.A., Bitner M. J., Gremles D.D., Bonetti E. Marketing dei servizi, cit.

53 Lovelook C., Wirtz J., Marketing dei servizi – Risorse umane, tecnologie e strategie., Pearson, Londra,

2007.

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22

Il servicescape svolge essenzialmente quattro ruoli55:

▪ confezione: poiché vi sono una serie di elementi che assieme al servicescape incartano il servizio e trasmettono al consumatore l’immagine esterna di ciò che esso contiene;

▪ facilitatore: poiché semplifica il flusso del processo di erogazione del servizio; ▪ mezzo di socializzazione: poiché agevola la socializzazione tra i dipendenti e i

clienti oltre che tra i clienti stessi, aiutando a comunicare i ruoli, i comportamenti e le relazioni attese;

▪ mezzo di differenziazione: poiché i cambiamenti apportati all’ambiente possono essere usati per riposizionare l’azienda e/o attrarre nuovi segmenti di mercato. La struttura architettonica dell’ambiente fisico può anche differenziare le diverse aree di una stessa organizzazione di servizi.

I servizi, essendo intangibili, risultano essere difficili da valutare in termini qualitativi per i clienti, ed è per questo motivo che questi ultimi considerano l’ambiente di servizio come un indicatore importante. Secondo Kotler, infatti, gli stimoli ambientali contribuiscono a modificare il comportamento del consumatore, agendo sia a livello cognitivo sia a livello affettivo.

1.4.2 Il modello Mehrabian – Russel

Un modello semplice ma fondamentale per capire come le persone reagiscono agli ambienti è quello di Mehrabian – Russel, ideato nel 1974.

Secondo tale modello, l’ambiente, la sua percezione (cosciente ed incosciente) e la sua interpretazione influenzano gli stati emozionali delle persone, che a loro volta determinano le risposte all’ambiente stesso. Al riguardo Mehrabian e Russell hanno proposto che gli stimoli ambientali conducano a una reazione emotiva che, a sua volta, guidi la risposta comportamentale dei consumatori, basata sul paradigma Stimolo - Organismo - Risposta (S - O - R).

Vengono individuati tre stati emotivi che gli individui hanno in risposta a stimoli ambientali: piacere, eccitazione e dominanza.

Secondo il loro studio, queste risposte emotive portano a due comportamenti contrastanti: approccio o evitamento.

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23

Il comportamento di approccio implica il desiderio di rimanere, esplorare e affiliarsi con gli altri nell'ambiente, mentre il comportamento di evitamento implica la fuga dall'ambiente e l'ignoranza di qualsiasi tentativo di comunicazione da parte di altre persone.

Usando questo modello, molti studi sono stati condotti sul ruolo degli stimoli ambientali come predittore di risposte emotive, come piacere o eccitazione, e come predittore del comportamento dei consumatori, come il tempo extra che trascorrono in un negozio e la loro effettiva spesa incrementale.

Nel loro modello di ricerca, gli stimoli sono essenzialmente situati esternamente alle singole persone e costituiti da vari elementi dell'atmosfera fisica. Inoltre, l'organismo si riferisce alla struttura e ai processi interni che, di conseguenza, intervengono nella relazione tra gli stimoli esterni delle persone e l'atteggiamento a cui viene dimostrata o cui si risponde.

Ciò suggerisce che l'impatto degli stimoli sulle intenzioni comportamentali umane è mediato dall'emozione.

Secondo Mehrabian e Russell, ci sono tre forme di emozione: a) piacere;

b) passione; c) potere.

La risposta all'ambiente può essere sempre di approccio o evitamento.

Il comportamento dell'approccio include cose come: desiderio di rimanere, osservare l'area intorno a sè, esplorare l'ambiente e comunicare con gli altri elementi dell'ambiente. Il comportamento di elusione, invece, è l'opposto del comportamento di approccio.

Figura 7: Modello di Mehrabian e Russell.

Fonte: Lovelook C., Wirtz J.,2007, p.357.

Secondo questa prospettiva, il contatto tra consumatore e servizio diventa di assoluta centralità, attraverso nuovi spazi che consentono di creare ambienti in grado di connotare non solo i prodotti proposti ma anche i valori simbolici che essi richiamano.

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24

Gli stati d’animo, influendo sulla percezione dell’ambiente, condizionano la risposta del consumatore che mediante le proprie caratteristiche condiziona la percezione della qualità del prodotto56.

È possibile individuare quattro dimensioni dell’ambiente del servicescape57:

a) le condizioni ambientali: sono le caratteristiche ambientali che agiscono sui

cinque sensi, anche quando queste non sono percepite in maniera cosciente, possono produrre degli effetti. Ad esempio: la musica può avere un potente effetto sulle reazioni emotive e sulla percezione dei tempi di attesa, una musica veloce e ad alto volume aumenta i livelli di eccitazione, altro tipo di musica può ridurre i livelli di stress in una sala di attesa, una musica piacevole migliora il modo in cui i clienti valutano il personale. Il profumo può avere effetti importanti sulle attitudini e sulle intenzioni d’acquisto. Il colore può avere, invece, degli effetti sui sentimenti delle persone, i colori caldi ad esempio sono associati ad uno stato d’animo felice, mentre i colori freddi sono preferiti quando i clienti hanno bisogno di tempo per fare acquisti ad alto coinvolgimento;

b) layout e funzionalità: il layout si riferisce alla pianta del locale, e alla

disposizione degli elementi interni di mobilio, la funzionalità, invece, si riferisce alla capacità che questi elementi hanno di facilitare le performance delle transazioni;

c) cartellonistica: cioè tutti quei messaggi espliciti ed impliciti in grado di

comunicare l’immagine aziendale, di aiutare i clienti a trovare la loro strada e di illustrare operativamente le modalità di organizzazione del servizio;

d) le persone: l’aspetto e il comportamento del personale e dei clienti può rinforzare

o indebolire l’impressione creata dall’ambiente del servizio. Infatti, molte imprese reclutano personale da abilitare in ruoli specifici, dotarli di uniformi che siano coerenti con gli elementi del servicescape in cui lavorano.

I consumatori sono alla ricerca di punti di vendita che possono offrirgli una qualità emotiva positiva: la combinazione tra un profumo disperso nell’ambiente e una tipologia di musica comporta una reazione emotiva positiva, poiché i consumatori reagiscono

56 Petruzzellis L., Chebat J.C., Comportamento del consumatore. Teoria e casi di studio, Pearson, Londra,

2010.

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meglio alla combinazione di una fragranza piacevole con una musica stimolante, o alternativamente alla combinazione di una fragranza delicata e una musica rilassante58. La progettazione del servicescape deve, quindi, essere vista secondo una prospettiva olistica, cioè nessuna dimensione del design può essere ottimizzata se considerata singolarmente.

Gli elementi devono essere considerati congiuntamente, e solo dalla migliore combinazione tra essi si potrà ottenere un ambiente piacevole e coinvolgente. Solo così è possibile offrire al consumatore un’esperienza di acquisto e di consumo memorabile.

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Capitolo II

Il Marketing Culturale in ambito Museale

2.1 Nascita ed Evoluzione della disciplina

La storia del Marketing consente una lettura dell’evoluzione della disciplina che procede parallelamente e in stretta correlazione con quella dell’economia, del mercato, del sistema dei consumi e della società nel suo complesso.

La storia del Marketing Culturale consente di arricchire questo parallelismo, aggiungendo un ulteriore elemento di interpretazione sui fenomeni che hanno caratterizzato i diversi sistemi culturali dell’ultimo secolo.

Per Marketing Culturale si intende: «il marketing applicato ai processi di produzione, organizzazione e messa in offerta di prodotti ed esperienze artistico-culturali»59.

La disciplina si sviluppa nella decade che va dagli anni Settanta agli Ottanta, a seguito della riaffermazione dei valori conservatori e del pensiero neoliberista che trovò la sua massima espressione nei governi di Reagan negli Stati Uniti e della Thatcher in Gran Bretagna.

I cambiamenti furono profondi, sia per l’economia sia nei rapporti tra le parti: la logica keynesiana venne sostituita da un forte processo di privatizzazione e di deregolamentazione del mercato. Ed il sistema culturale ne fu pienamente coinvolto, in quanto la revisione del welfare, da un lato registrò una drastica riduzione del supporto pubblico al patrimonio culturale e alle sue attività, dall’altro i privati, mediante un approccio più manageriale e meno burocratico, resero il sistema più efficiente nel suo complesso.

Per la prima volta nella storia, irruppero nel mondo delle organizzazioni culturali alcuni concetti tipicamente economici come: marketing, management, sponsorship, competition, che avvicinarono l’ambito culturale a quello economico.

Quel contesto costringeva il settore culturale a trovare nuovi modelli di sostenibilità principalmente mediante: l’autofinanziamento, la ricerca di fondi privati, l’ampliamento della domanda e di un nuovo pubblico. Difatti, già alla fine degli anni Settanta, diversi accademici consigliarono alle diverse strutture operanti in quest’ambito (musei, teatri e altre organizzazioni culturali) di riporre la loro attenzione ai bisogni e ai desideri del

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27

pubblico. E proprio in questa fase, grazie al contributo di Philip Kotler, il marketing assunse un’importanza centrale60. Durante la fine degli anni Sessanta, infatti, con l’ulteriore sviluppo del processo di industrializzazione, le esigenze dei consumatori risultavano essere meno legate ai bisogni primari e articolate attorno a gusti e bisogni personali.

Le imprese, rispetto gli anni precedenti, si trovarono a svolgere dei ruoli più complessi, dovendo attenzionare non solo la produzione ma anche considerare tutti quei fattori che determinavano la domanda.

La prima edizione del manuale di “Marketing Management” di Philip Kotler uscì nel 1967 e grazie ai suoi studi, per la prima volta, i principi e i processi del “marketing moderno” furono applicati ad un insieme di organizzazioni no profit.

Egli sosteneva che le organizzazioni culturali, al pari delle imprese, risultavano in competizione tra loro, sia per il mercato che per l'assegnazione dei fondi statali61. Sino ad allora il marketing culturale veniva considerato unicamente come uno strumento di supporto a tecniche pubblicitarie, di promozione, e di audience. Da questo si può evincere come il rapporto tra cultura e marketing non sia mai stato idilliaco, in quanto per quest’ultimo la cultura e la sua logica non erano assuefatte dalla logica della competizione62. Successivamente alle teorie elaborate da Kotler, diversi studiosi appartenenti alla scuola anglosassone e nordamericana cercarono di descrivere e realizzare nuovi modelli per il marketing culturale.

Il focus verteva su due dimensioni interconnesse tra loro: la descrizione del rapporto con l’invenzione artistica e il modus operandi assunto dalle organizzazioni orientate al marketing63.

2.1.1 Il modello Colbert

François Colbert cercò di far convivere le due dimensioni (rapporto con l’invenzione artistica e modus operandi) attraverso una sola definizione: «il marketing è l’arte di raggiungere quei segmenti di mercato che possono potenzialmente essere interessati al prodotto, adattando le variabili commerciali (prezzo, distribuzione e promozione) al

60 Ibidem

61 Colbert F., Marketing delle arti e della cultura, Etas, Milano, 2009.

62 Cherubini S., Marketing culturale - prodotti servizi eventi, Franco Angeli, Milano, 2013. 63 Bollo A., Il marketing della cultura, cit.

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prodotto, per mettere il prodotto in contatto con un sufficiente numero di consumatori e per raggiungere gli obiettivi coerenti con la missione dell’impresa culturale»64.

Si tratta di un modello circolare che, attraverso un sistema di feedback, si modula e si perfeziona con lo svilupparsi delle relazioni tra i diversi soggetti coinvolti.

Secondo Colbert è il prodotto che conduce al pubblico ed è il marketing a doversi adattare alla visione dell’impresa culturale, non viceversa. Inoltre, egli afferma che, per il raggiungimento degli obiettivi generali, gli strumenti operativi privilegiati dal marketing devono riguardare: il prezzo, la distribuzione, la promozione e le azioni sul prodotto culturale65.

Figura 8: Il modello di Colbert.

Fonte: Bollo A., 2017, p38.

2.1.2 Il modello Diggle

Un diverso modello di marketing è stato elaborato da Keith Diggle. Tale modello, di stampo olistico, è noto col nome di ADAM (Audience Development Arts Marketing) che coniuga e rende inscindibili l’azione di marketing e lo sviluppo del pubblico.

Come si può evincere dalla figura il pubblico viene suddiviso in due grandi categorie: 1) il “pubblico disponibile”, composto dai soggetti disponibili, cioè coloro che hanno

sviluppato un atteggiamento positivo e sono predisposti alla fruizione delle differenti proposte culturali;

2) il “pubblico indisponibile”, composto dai soggetti indisponibili, cioè coloro che hanno sviluppato un atteggiamento negativo e risultano ostili o indifferenti nei

64 Ciappei C., Surchi M., Cultura. Economia e Marketing, Firenze University Press, Firenze, 2010. 65 Colbert F., Marketing delle arti e della cultura, cit.

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confronti di tutti quei prodotti artistico-culturali con i quali non sono mai entrati in contatto.

Figura 9: Modello ADAM.

Fonte: Bollo A., Il marketing della cultura, 2017, p.39.

È proprio grazie a quest'ultimo aspetto che le attività di marketing dirette ad entrambe le categorie di pubblico risultano differenziate. Inoltre la necessità di coordinare le risorse, non solo economiche, funzionalmente dirette all'attuazione dei processi di Audience Development, estende ulteriormente l'interdisciplinarietà di tale concetto, coinvolgendo anche le sfere del project management culturale e dello stakeholder management66. Secondo Diggle: «Lo scopo del marketing dell’arte è di portare un numero adeguato di persone, rappresentanti la più ampia e differenziata casistica di persone in termini di background sociale, condizioni economiche, età in contatto appropriato con l’artista e, in questo modo, ottenere il miglior risultato finanziario compatibile con il raggiungimento di quell’obiettivo»67. Infatti, organizzazioni, prodotti, processi e fattori produttivi racchiudono dei significati funzionali, storici, etici ed estetici, che al tempo stesso riflettono e determinano un sistema di valori socialmente condiviso68. Nel corso degli

66 Bollo A., Il marketing della cultura, cit.

67 Diggle K., Guide to Arts Marketing: The Principles and Pratctile of Marketing as They Apply to the

Arts., Rhinegold, London, 1986.

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30

ultimi anni, il settore culturale è stato attenzionato maggiormente sia dalla comunità scientifica che dal mondo industriale.

Con riferimento al contesto italiano è possibile osservare il continuo aumento di studi, pubblicazioni e analisi aventi ad oggetto i luoghi della cultura, ritenuti come dei fattori di sviluppo economico69. Le organizzazioni culturali, aumentando il loro grado di apertura verso l’esterno, hanno elaborato forme di management che mirano a coinvolgere gli utenti sin dalle prime fasi70.

Con l’evoluzione di questo contesto l’impresa non viene più vista solamente come un soggetto economico ma come attore di rilievo culturale, artefice dello sviluppo sociale in tutte le sue componenti71. Affinché possa esserci una crescita culturale della collettività è necessario però che ciascun’impresa disponga di un’adeguata dotazione di risorse, materiali e immateriali funzionali allo svolgimento delle attività istituzionali tipiche di ogni ambito culturale.

2.1.3 Il sistema degli Stakeholders

Indipendentemente dall’attività svolta gli operatori del settore culturale intrattengono rapporti con una pluralità di stakeholders72 diversi.

È possibile distinguere due tipologie di stakeholders, primari e secondari.

La differenza tra i due è data dal grado d’influenza esercitato sulle imprese culturali e dall’arco temporale in cui tale influenza produce i suoi effetti.

Nel primo caso l’impatto è maggiore ed immediato, nel secondo, invece, l’influenza è più contenuta e ha più importanza nel lungo periodo73.

Dal punto di vista strategico e direzionale la gestione di questi rapporti genera specifici bisogni. In riferimento agli stakeholders primari si pensi la dicotomia che si viene a formare tra proprietà e controllo, dove coloro che esercitano il controllo il più delle volte, avendo un ridotto potere strategico, devono dare la priorità ad obiettivi politico -istituzionali. I dipendenti, ad esempio, sono portatori d’interesse individuali, i quali non coincidono necessariamente con gli obiettivi dell’istituzione per cui lavorano, e proprio

69 Solima L., Management per l’impresa culturale, Carrocci editore, Roma, 2018. 70 Ibidem

71 Montella M.M., I musei d’impresa – Heritage e total relationship marketing, cit. 72 http://www.treccani.it/enciclopedia/stakeholder/

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