Introduzione
Nel mese di Giugno dell'anno 323 a.C. a Babilonia moriva, in circostanze ancora non del tutto chiare, Alessandro III di Macedonia. La sua morte lasciava senza guida un impero che si estendeva dal Mediterraneo all'Indo e che non sarebbe sopravvissuto a lungo senza il suo fondatore.
Negli stessi mesi, a qualche migliaio di chilometri di distanza, Candragupta Maurya stava raccogliendo un'armata per usarla contro la dinastia Nanda e conquistare il trono. Inoltre era pronto ad attaccare le satrapie orientali dell'impero macedone che, essendo troppo lontane dai principali centri di potere per essere adeguatamente controllate e protette, si sarebbero dimostrate da subito una facile preda.
Questi due personaggi storici condividono uno straordinario percorso militare e politico che li portò a creare due dei maggiori imperi del mondo antico, l'impero macedone e l'impero indiano; inoltre intorno ad essi si crearono fin da subito leggende ed aneddoti che li fecero distinguere nell'immaginario popolare e diedero loro lunga fama.
Lo scopo di questo elaborato è di mettere a confronto le figure di Alessandro Magno e Candragupta Maurya esponendo come essi arrivarono al potere, evidenziando chi li spronò ed aiutò nell'impresa, come decisero di gestire la propria autorità sui vasti territori conquistati e se tali decisioni si rivelarono opportune e lungimiranti alla luce dei fatti che seguirono la morte dei due conquistatori.
Intendo inoltre soffermarmi sul presunto incontro tra Alessandro e Candragupta, avvenuto al tempo della spedizione in India del re Macedone, che avrebbe grandemente influenzato il giovane Candragupta nella sua successiva ascesa al potere.
Questo incontro viene riportato da Plutarco nelle Vite Parallele; è necessario cercare di chiarire se si tratti di un fatto storico quantomeno probabile o solo di un'invenzione attribuibile all'autore che, è bene ricordarlo, scrisse l'opera in questione nel I° secolo d. C. ossia a circa
Candragupta Maurya ed il suo regno
Premesse cronologiche
Volendo parlare di Candragupta Maurya, il primo problema che ci si pone è quello di collocarlo nel giusto arco cronologico.
Nel corso degli anni il dibattito relativo a questo fondamentale problema è stato acceso ma un confronto tra fonti indiane e fonti ellenistiche ha portato a conclusioni quasi universalmente accettate.
Dalle fonti ellenistiche ricaviamo che Candragupta Maurya era già fermamente al potere nel 304 a. C. perché in quell'anno egli firmò un accordo di pace con Seleuco I, in seguito al vano tentativo di quest'ultimo di invadere e conquistare i territori indiani. All'interno di questo trattato si specificava non solo un matrimonio tra le due casate, una principessa seleucide venne data in sposa a Candragupta, ma anche il dono di 500 elefanti da guerra che furono poi fondamentali per le successive vittorie di Seleuco nelle estenuanti dispute tra i diadochi.
In particolare gli elefanti furono cruciali nella battaglia contro Antigono, di cui parleremo meglio in seguito.
Inoltre sappiamo che Megastene visse nella capitale indiana, Pāṭaliputra, come ambasciatore di Seleuco I alla corte di Candragupta.
Mentre svolgeva il suo ruolo, Megastene scrisse diversi rapporti sull'India e sul funzionamento dell'impero indiano che sono giunti a noi solo in modo frammentario, spesso perché citati da autori più tardi, ma nondimeno risultano essere una importante risorsa.
Le fonti ellenistiche ci permettono quindi di affermare con certezza che Candragupta e Seleuco erano al potere nello stesso periodo, perciò l'ascesa al trono di Candragupta dovrà essere posta in un anno compreso tra il 323 a. C ed il 304 a. C..
dinastia Maurya e la durata del regno del suo fondatore.
Secondo tutte le fonti indiane a nostra disposizione il regno di Candragupta durò 24 anni mentre i suoi successori, Bindusara ed Asoka, regnarono rispettivamente 28 e 37 anni1.
Dopo aver stabilito le durate dei regni di questi tre sovrani, possiamo ora concentrarci sul collocarli in cronologia assoluta; in questo siamo aiutati da uno degli editti emanati da Asoka.
Nel Marzo 1838 venne rinvenuto in Pakistan, a Shahbazgarhi, l'editto su roccia numero 13 di Asoka; il testo in questione è bilingue, scritto in greco ed aramaico, perché si rivolgeva appunto a comunità che usavano queste lingue.
In questo editto si parla in particolare delle conseguenze della guerra contro i Kalinga e dei rapporti diplomatici del re con sovrani lontani geograficamente dal suo regno, che, a detta di Asoka, ricevettero degli ambasciatori dall'India.
Tra i sovrani lontani vengono citati: Antioco (Amtiyoko), Tolomeo (Turamaye), Antigono (Amtikini), Megas (Maka) ed Alessandro (Alikasudaro).
Visto che sono citati tutti insieme dobbiamo dedurre che in quel particolare momento stessero tutti e cinque sui rispettivi troni, il che ci aiuta ad identificarli come: Antioco II (261-246 a. C.), Tolomeo II (285-247 a. C.), Antigono (276-239 a. C.), Megas (300-250 a. C.) e Alessandro di Corinto (252-244 a. C.).2
L'editto è quindi con ogni probabilità risalente al 250 a. C circa e, se
1 La durata dei regni di Bindusara e Asoka in realtà non è certa, alcune fonti fanno durare il regno di Bindusara 37 anni e quello di Asoka 28 o danno indicazioni ancora diverse. Si è qui deciso di adottare questa datazione in quanto è quella che viene proposta dalla maggioranza dei materiali consultati.
2 “Dov'è il regno degli Yona Antioco, e più lontano di questo Antioco nei dominii di quattro re, Tolomeo, Antigono; Magas e Alessandro “.G. Pugliese Carratelli, Gli editti di As'oka, Milano 2003, nr. XIII
mettiamo insieme questa informazione con altre indicazioni che ci vengono date in altri editti, come ad esempio il fatto che gli editti vengono pubblicati a partire dal dodicesimo anno dopo l'incoronazione di Asoka, possiamo ricavare per il regno di Asoka le seguenti date: 264 a. C circa come data di inizio regno e 227 a. C. come anno di fine regno.
Proseguendo a ritroso dalle date che abbiamo ricavato per il regno di Asoka possiamo porre il regno di suo padre Bindusara tra il 296 a. C. ed il 268 a. C. con la discrepanza di quattro anni tra i due sovrani che viene spiegata dal fatto che la successione non fu esattamente fluida visto che Asoka non era l'erede designato ed è quindi logico pensare che alla morte di Bindusara seguì un periodo di instabilità prima dell'incoronazione ufficiale di Asoka3.
Il regno del nonno di Asoka, Candragupta, viene quindi posto tra il 320 a. C. ed il 296 a. C. il che è coerente con le informazioni date dalle fonti ellenistiche.
Come accennato ad inizio capitolo, la collocazione cronologica dei re della dinastia Maurya fu un argomento di primo piano già nell'Ottocento, periodo in cui in India vennero ritrovati gli editti di Asoka; infatti diversi studiosi, in primis inglesi visto che all'epoca l'India era parte dell'impero britannico, vollero dedicarsi all'identificazione dei fatti e dei personaggi citati negli editti.
Negli editti Asoka si fa chiamare “Devanampiye piyadasi”, che potremmo tradurre come “l'amato degli dei, il re Piyadasi”, ma la certezza dell'identificazione4 di Asoka come Devanampiye piyadasi risale solo al
1915, anno in cui un ingegnere minerario aurifero britannico ritrovò a Maski uno degli editti minori su pietra di Asoka; in questo editto Asoka definiva se stesso come “Devanampiye piyadasi”.
3 L'ipotesi più plausibile è che Asoka sia asceso al trono nel 268 a.C. e sia stato incoronato ufficialmente solo quattro anni più tardi.
4 Ipotesi in questo senso erano già state fatte da George Turnour e da James Prinsep nel 1837 in base a delle iscrizioni in lingua Pali.
Dobbiamo invece a James Prinsep, archeologo, storico e numismatico britannico, la decifrazione degli editti ed in particolare l'identificazione dei re ellenistici citati nell'editto numero tredici e, conseguentemente, la datazione in cronologia assoluta della dinasta Maurya.
Un altro dubbio nella collocazione cronologica dei Maurya sorgeva per via delle datazioni dei loro regni nei testi indiani; in questi testi i sovrani venivano datati a partire dall'anno della nascita e della morte di Siddhartha Gautama Buddha, ma la data della vita di Gautama Buddha, che era già non completamente nota a chi scriveva quei testi5, è arrivata a noi
compromessa a causa di incomprensioni cronologiche, come spesso accade quando si cerca di equiparare datazioni create in un certo sistema cronologico particolare, come è quello indiano, con un altro tipo di griglia cronologica, ossia quella occidentale.
Secondo quanto riportato nel Dīvapaṃsa e nel Mahāvaṃsa, Siddhartha Gautama sarebbe nato 298 anni prima dell'incoronazione del re Asoka e morto 218 anni prima dello stesso evento, ma gli stessi testi indicano come data di incoronazione di Asoka il 326 a. C. che è un'ipotesi decisamente errata visto che in quell'anno l'India era sicuramente ancora divisa, minacciata dall'armata Macedone e sotto il controllo della dinastia Nanda.
Visto che le datazioni fornite dalle fonti indiane non sembrano essere attendibili, almeno dal punto di vista della cronologia assoluta, sono state fatte diverse altre ipotesi sulla collocazione cronologica della vita di Gautama Buddha ma l'unica certezza che abbiamo è che egli visse per ottanta anni. Ogni altro tipo di informazione cronologica non può essere che un'ipotesi formulata dai diversi studiosi in base ai dati posseduti che si ritengono essere più o meno veritieri.
Avendo deciso di datare i sovrani della dinastia Maurya secondo le fonti greche faremo lo stesso con Gautama Buddha e , unendo parte delle
5 Ad esempio non è chiaro il mese della morte di Buddha, mentre alcuni credono sia avvenuta nel mese lunare di Visakha (tra maggio e giugno ) altri pensano che sia avvenuta dopo la stagione delle piogge, cioè tra novembre e gennaio .
informazioni rilevate dalle fonti indiane con la cronologia assoluta ricavata dalle fonti greche, è possibile dire che è nato tra il 566 ed il 562 a. C. e morto tra il 486 ed il 482 a. C.6
Infanzia e formazione
Secondo la tradizione, Candragupta nacque intorno al 340 a.C. in una famiglia povera o, meglio, in un ramo collaterale di una famiglia di nobili origini, ormai ridotto alla povertà, che viveva in un'area rurale ai confini del regno Nanda, nell'odierno stato del Bihar.
Questa precisazione riguardo la famiglia di Candragupta è necessaria perché l'idea che una persona appartenente ad una delle ultime caste potesse riuscire a salire al potere senza incontrare ostacoli dovuti alla sua condizione sociale e senza una forte opposizione da parte delle classi dominanti è quantomeno improbabile. Il sistema delle caste è notoriamente assai rigido e se Candragupta lo avesse stravolto in modo così plateale ne avremmo sicuramente testimonianza.
Perciò è molto più esatto dire che Candragupta veniva da un ramo indigente ed ormai dimenticato di una antica famiglia nobile e che una serie di circostanze favorevoli gli permisero di riportare il nome di famiglia agli antichi splendori.
Alcuni lo vogliono vedere come un lontano parente dei regnanti Nanda se non addirittura come un figlio illegittimo dell'ultimo dei re Nanda.
Rimasto orfano fin da piccolo, Candragupta venne affidato agli zii che a loro volta lo allontanarono e lo affidarono ad un mandriano perché lo crescesse come suo. Questa particolare situazione potrebbe essere il motivo dell'ipotesi che vedeva il futuro imperatore Maurya come un esponente di una casta più umile.
Quella appena riportata non è altro che una delle più comuni ipotesi sulle
6 Ho preferito indicare un arco di 4 anni piuttosto che una data precisa per via dell'incertezza sulla data di effettiva e formale incoronazione di Asoka (pag. 5)
origini di Candragupta. Purtroppo non possediamo nessun documento che possa fare luce sulla prima infanzia del fondatore della dinastia Maurya perché tutto quello che sappiamo viene da autori più tardi ed anche più distanti geograficamente, come ad esempio Giustino, che spesso si contraddicono tra loro e non consentono di stabilire con certezza quale sia la verità.
In circostanze non del tutto chiare, il giovane Candragupta incontrò il filosofo e politico Kautilya, appartenente alla classe dei brahmani, che lo prese sotto la sua protezione e lo portò a Taxila dove il ragazzo venne istruito, tra le altre cose, alle tecniche militari, le arti e la politica.
In questo periodo si colloca il presunto incontro tra Candragupta ed Alessandro durante il quale il giovane indiano avrebbe cercato di allearsi con il condottiero macedone spronandolo a tentare la conquista del regno Nanda che, a detta di Candragupta, era debole e governato da persone non degne del proprio titolo e fortemente odiate dalla popolazione.
Come è noto, al momento della spedizione in India Alessandro era in una posizione delicata, visto che il suo esercito, ormai provato dai lunghi anni di campagna militare ininterrotta, non era incline ad assecondare oltre la fame di gloria e territori del suo leader. Forse consapevole del rischio che avrebbe corso nell'intraprendere una nuova pericolosa impresa senza aver prima risolto il malcontento dei suo soldati ed aver consolidato i nuovi confini dell'impero, Alessandro decise di non seguire il consiglio di Candragupta.
Incassato il rifiuto del re Macedone, Candragupta, sempre spronato da Kautilya, che era non solo il suo mentore ma anche il suo più fidato e longevo consigliere, conclusa la sua formazione scolastica, prese in mano la situazione ed iniziò a raccogliere intorno a sé un esercito composto da mercenari e, con il consenso della popolazione che si era premurato di ottenere fin da subito, mosse contro l'esercito Nanda in una prima battaglia che si concluse a favore dell'esercito irregolare ma non portò, in questa prima fase, all'eliminazione della dinasta Nanda.
Creazione dell'impero Maurya
In realtà, prima ancora della guerra di indipendenza promossa da Candragupta e prima della morte di Alessandro, si registrarono già dei tumulti nella porzione del territorio indiano che era sotto l'influenza macedone.
Tra il 325 ed il 323 a.C. vennero uccisi sia il governatore Nicanore che il suo immediato successore, il comandante Filippo; non è chiaro se gli omicidi vennero perpetrati da ribelli indipendentisti o da mercenari greci in cerca di gloria7.
Questi avvenimenti contribuirono certamente a creare il clima di incertezza di cui approfitterà Candragupta. Nel 321 a.C., quando i diadochi si ritrovarono per ridefinire nuovamente i confini e la divisione dell'impero, le province d'India non vennero menzionate negli accordi, segno che erano già state perse definitivamente e l'India era considerata indipendente. Nel 317 a.C anche l'ultimo comandante greco rimasto in India, tale Eudamus, abbandonò il paese per andare ad aiutare Eumene, che era il capo della sua fazione. Eudamos partì portando con sé anche centoventi elefanti da guerra che aveva sottratto ad un capo indiano suo alleato, da lui tradito ed ucciso, molto probabilmente Poro.
Quando Candragupta cominciò la sua campagna, liberò per prima la regione del Punjab, forse quasi in contemporanea con la morte di Alessandro. Da lì mosse verso il regno di Magadha forte di un esercito reclutato tra le tribù locali e di mercenari, forse anche di origine greca, arruolati con la promessa di una lauta ricompensa che sarebbe stata garantita dalle ricchezze del regno8 dei Nanda.
La conquista del regno dei Nanda risultò essere più difficile del previsto. Ci vollero tre diversi tentativi, cronologicamente posti tra il 323 ed il 321 a.C. , prima che Candragupta trovasse la strategia di attacco adeguata. 7 Radhakumud Mookerji propende per la prima ipotesi, mentre R.L.Fox è più orientato per la
seconda.
8 In realtà sarebbe più corretto parlare di impero perché diversi stati e ampi territori erano stati riuniti sotto il controllo dei Nanda
Le battaglie, di cui non abbiamo dettagli certi, devono essere state sanguinose.
In un primo momento l'esercito di Candragupta attaccò alcuni villaggi di frontiera, li saccheggiò e marciò direttamente verso Pāṭaliputra senza assicurarsi prima il controllo dei confini.
La mancanza di risultati concreti di questo primo scontro si deve al fatto che Candragupta era giovane ed ancora inesperto.
A tal proposito c'è una storia, riportata nel Mahavamsa Tika, in cui si fa un'analogia tra Candragupta ed un bambino che butta via una torta dopo averne mangiato solo il centro; entrambi fanno l'errore di non arrivare all'interno in modo logico, non danno la dovuta importanza ai lati e per questo finiscono per sprecare una cosa buona.
Al secondo tentativo Candragupta iniziò la campagna con la conquista delle frontiere del regno, ma non lasciò delle guarnigioni per assicurarsi il controllo dei territori e finì quindi per essere circondato dai popoli di frontiera, che si allearono contro di lui e lo sconfissero.
Per il terzo tentativo Candragupta preparò un piano più solido, iniziando la sua conquista dalle frontiere, lasciando man mano delle guarnigioni ed assicurandosi di pacificare le retrovie. In questo modo si avvicinò più lentamente, ma con più sicurezza, verso Pāṭaliputra che venne infine conquistata.
Non è chiaro cosa successe all'ultimo re Nanda, Dhana Nanda, quando Candragupta prese la città di Pāṭaliputra.
Le ipotesi fornite da fonti e studiosi sono diverse: potrebbe essere stato ucciso; gli venne risparmiata la vita e concesso di lasciare la città; oppure venne prima mandato in esilio e poi fatto uccidere su ordine di Kautilya. Dopo la conquista del regno di Magadha, Candragupta si fece incoronare re e, per un certo periodo, non sappiamo di preciso che cosa fece.
Abbiamo notizia che nel 305 o 304 a.C. Candragupta si scontrò con Seleuco I.
progettava di espandersi verso l'India: probabilmente voleva riprendere le aree che erano state parte dell'impero di Alessandro.
I due sovrani si scontrarono, ma giunsero presto ad un accordo; Seleuco si impegnava a cedere le satrapie delle odierne Kandahar e Kabul, e parte di Herat e del Beluchistan, al Maurya; in cambio Candragupta avrebbe dato a Seleuco circa cinquecento elefanti indiani, addestrati per la battaglia.
Alcuni, come Appiano, sostengono anche che ci fu un matrimonio tra le due famiglie, ma altri, come Strabone, ritengono più probabile che le due famiglie fossero solo legate da un'alleanza e da reciproca cordialità.
Seleuco e Candragupta rimasero in rapporti amichevoli per il resto della loro vita; l'intesa, almeno apparente, tra i due regni continuò anche con i loro successori con scambi di doni ed ambasciatori che attraversavano i due confini.
Candragupta volle poi espandere il proprio impero anche verso ovest e verso sud.
Non sappiamo di preciso in che anno, ma ci riuscì, lo sappiamo per certo grazie a delle iscrizioni su roccia in India occidentale in cui si parla di dighe costruite dal “governatore provinciale delegato di Candragupta” ed agli editti del nipote di Candragupta, Asoka, che menzionano i confini del regno e specificano che Asoka aveva conquistato Kalinga, quindi il resto delle terre citate era già sotto il suo controllo.
Si potrebbe pensare che non tutte le nuove annessioni all'impero siano attribuibili a Candragupta e che parte di esse siano dovute invece a suo figlio Bindusara.
Anche Bindusara regnò sotto la guida ambiziosa di Kautilya, ma Bindusara era forse troppo impegnato a mantenere la funzionalità dell'impero ed a sedare i tumulti in Taxila per potersi dedicare ad un'espansione dei confini.
Illustrazione 1: I confini dell'impero Maurya al tempo di Candragupta e Bindusara
L'impero Maurya ed il suo funzionamento
L'impero indiano unificato da Candragupta è stato uno dei più estesi della storia. La sua fortuna si deve innanzitutto alla creazione di un ottimo sistema di amministrazione modellato su quello della dinastia persiana achemenide e fortemente influenzato dal testo di Kautilya sulla politica, Arthashastra, in cui il filosofo spiegava i doveri di un buon re nei confronti della popolazione ed elargiva consigli riguardanti la corretta amministrazione dello stato.
Kautilya aveva inoltre la carica di Primo Ministro, posizione che gli permetteva di controllare personalmente tutta l'organizzazione interna dell'impero.
Il regno era diviso in quattro vicereami i quali erano suddivisi a loro volta in province rette da funzionari; questi avevano il compito di amministrare le province, raccogliere i dazi dovuti al re ed amministrare la giustizia locale attraverso un proprio apparato burocratico. Tutti i governanti locali dovevano inoltre rispondere ai funzionari centrali dell'impero e questi ultimi dipendevano direttamente dal re.
In questo sistema di governo basato sulle province divenne consuetudine che l'erede designato, come pure altri principi di sangue reale, venisse mandato ad amministrare una provincia9, molto probabilmente per inserirlo
gradualmente nel meccanismo di governo in modo che potesse essere ben preparato al momento dell'ascesa al trono.
Molte informazioni sulla divisione amministrativa dell'impero ci arrivano dagli editti di Asoka e sono quindi posteriori al periodo specifico di nostro interesse; nondimeno è logico pensare che la base dell'amministrazione dell'impero fosse già stata messa in atto da Candragupta al tempo dell'unificazione ed ampliata e riadattata a seconda delle esigenze dai suoi
9 G.M. Bongard-Levin, Mauryan India, New Delhi;Jalandhar;Bangalore:Sterling,c1985, pag. 272.
successori: ad esempio la divisione in province rurali ed urbane riportata già da Megastene era ancora usata ai tempi di Asoka.
Il re era quindi a capo di un complesso sistema amministrativo che doveva essere da lui direttamente controllato, inoltre egli era supremo giudice e aveva la facoltà di imporre nuove tasse in caso di necessità quali un periodo di guerra o di crisi.
Megastene scrive che il re si serviva di osservatori perché riportassero avvenimenti ed eventuali moti di protesta che si svolgevano nelle regioni periferiche; di fatto questi osservatori erano delle spie in contatto direttamente con il sovrano, in modo tale che questi potesse sapere se i governatori delle province stessero svolgendo un buon lavoro e, se fosse il caso, di intervenire direttamente per rassicurare la popolazione o rimuovere dall'incarico i funzionari corrotti.
Sempre Megastene ci dice che Candragupta era costretto a prendere misure preventive per sfuggire ad attentati alla sua vita quali dormire poco ed in ore diurne, spostandosi spesso all'interno del palazzo.
Il fatto che Candragupta prendesse tali precauzioni ed avesse a disposizione delle spie personali indica che egli fu certamente un uomo prudente, ma potrebbero anche essere una dimostrazione di quanto poco stabile fosse effettivamente la sua posizione sul trono e di quanto fosse reale il pericolo di un colpo di stato in questo primo periodo dell'impero. Non abbiamo però documenti che attestino che sia mai avvenuto un attentato alla vita di Candragupta; quindi non possiamo dire con certezza se il clima politico dell'epoca fosse in subbuglio, di certo sappiamo che le relazioni tra l'impero centrale e la provincia di Taxila non erano sempre pacifiche. Tale situazione era dovuta al fatto che Taxila si era alleata con Alessandro Magno ai tempi dell'invasione macedone ed era rimasta fondamentalmente filo-greca. Era stata annessa all'impero da Candragupta, ma mal sopportava i suoi nuovi regnanti e la perdita della supremazia dei sovrani locali. Sebbene la situazione si potesse definire sotto controllo durante il periodo di Candragupta sappiamo che ci furono
insurrezioni in Taxila sia sotto Bindusara sia sotto Asoka.10
Ogni città aveva gruppi di persone che si assicuravano che le leggi e le regole imposte dal governo centrale venissero seguite; queste persone sovrintendevano ai commerci, raccoglievano tasse, fungevano da anagrafe ed erano addette all'accoglienza di nuovi cittadini11, inoltre si
occupavano del buon funzionamento della città riparando edifici malridotti e mantenendone la pulizia.
L'esistenza di questi gruppi viene riportata da Strabone che si basa a sua volta su Megastene, ma è utile ricordare che Megastene riporta quel che vedeva e viveva in prima persona a Pāṭaliputra, capitale dell'impero; altre città potevano funzionare in modo un poco diverso, anche perché erano più decentrate, quindi più autonome, e non sotto lo sguardo diretto del re. Un particolare gruppo di funzionari era lo parishad ossia il consiglio reale che affiancava il re e poteva essere determinante nell'influenzare la successione come nel caso di Asoka, non amato dal padre Bindusara ma supportato dal consiglio. In realtà c'erano diversi consigli reali con diverse funzioni ed un gran numero di burocrati che svolgevano le più svariate mansioni.
Per quel che riguarda le cariche ufficiali che corrispondevano ai vari funzionari esse sono riportate da editti e testi del periodo di Asoka, quindi non è certo che ad una particolare carica corrispondesse al tempo di Candragupta la stessa funzione datagli due generazioni dopo.
Il sistema di tassazione era, come abbiamo già ricordato, presieduto dal re e variava in base a diversi fattori, ad esempio le terre vicine alla capitale pagavano più tasse mentre le terre di confine ne erano esonerate. In questo modo il re cercava di mantenere alta la sua popolarità tra gli abitanti di terre più facilmente soggette a lotte per il possedimento per via della loro posizione.
Inoltre la fertilità del suolo come pure il clima di una particolare regione
10 G.M. Bongard-Levin, Mauryan India, New Delhi;Jalandhar;Bangalore:Sterling,c1985, pag. 273
erano fattori che venivano considerati al momento della tassazione, così come il fatto che alcune terre fossero di proprietà reale e per questo doppiamente tassate12. Evadere le tasse era considerato un crimine assai
serio tanto che, secondo Megastene, era punibile con la morte.
Oltre ai propri doveri politico-amministrativi il re aveva anche la responsabilità di far prosperare e mantenere felice il popolo; questo particolare dovere è ben rispecchiato nell'elenco delle categorie di persone “protette” e per questo esonerate dal pagamento delle tasse. Commercianti e manifatturieri dovevano normalmente pagare le tasse. ma non se fabbricavano armi per l'esercito; in quel caso erano anzi pagati dal re e considerati al suo personale servizio poiché svolgevano un lavoro finalizzato al benessere ad alla protezione dello stato.
Anche i filosofi, o meglio i brahmani, erano esonerati dalle tasse, ma solo se svolgevano effettivamente il loro lavoro di studiosi. Se per caso decidevano di coltivare la terra in loro possesso per ricavarne un lauto profitto abbandonando lo studio dei veda, allora perdevano questo particolare privilegio e venivano tassati come tutti.
Altre categorie escluse dalla tassazione erano studenti e donne, che non potevano effettivamente mantenersi e versare un tributo allo stesso tempo, ed i guerrieri professionisti che costituivano l'esercito e godevano per questo di particolare libertà e vantaggi.
L'impero di Candragupta mantenne rapporti di alterna natura con i regni confinanti; dalla relazione inizialmente burrascosa con il regno di Seleuco ai più pacifici scambi con la Cina, ambasciatori provenienti da diversi paesi viaggiavano verso la corte dei Maurya con una certa frequenza. L'impero Maurya comprendeva inoltre un gran numero di popoli e culture diverse; quindi risultava essere assai eterogeneo e forse proprio per questo non destinato ad avere una lunga vita.
12 G.M. Bongard-Levin, Mauryan India, New Delhi;Jalandhar;Bangalore:Sterling,c1985, pag 261
Morte di Candragupta e successione
Secondo fonti Jaina, Candragupta si sarebbe convertito al Jainismo ed avrebbe di conseguenza lasciato volontariamente il trono al figlio Bindusara per poi ritirarsi dalla vita pubblica.
Tutto questo sarebbe accaduto intorno all'inizio del III secolo a.C. quando Candragupta aveva circa quarant'anni.
La decisione di Candragupta di convertirsi al Jainismo fu probabilmente dettata dal tentativo di sottrarsi dall'influenza della casta dei Brahmani ed il suo esempio venne poi seguito dal nipote Asoka che si avvicinò al Buddhismo; in questo modo il re si poneva in una posizione estranea alla casta dominante, indebolendo così la forte ascesa politica di cui questa aveva sempre goduto.
Sempre secondo fonti Jaina, dopo essersi allontanato dalla capitale dell'impero, Candragupta avrebbe deciso di seguire la dottrina Jainista fino all'estremo ed avrebbe condotto una vita da asceta per poi scegliere di lasciarsi morire di fame in una caverna a Shravanabelagola. La caverna in questione è indicata da un piccolo tempio fatto erigere in seguito su indicazione di Asoka.
Alessandro III di Macedonia ed il suo regno
Infanzia e formazione
Alessandro nacque a Pella nel luglio del 356 a.C. primo figlio di Filippo II e della principessa epirota Olimpiade.
Ci sono stati tramandati molti aneddoti, più o meno fantasiosi, riguardanti la sua infanzia, ma per ora ci limiteremo ad elencare solo i fatti concreti. L'iniziale educazione del principe Alessandro venne affidata a Leonida, un epirota parente di Olimpiade, ed a Lisimaco; ma ben presto Filippo decise che il figlio necessitava di un'educazione più vicina agli standard greci, o meglio ateniesi, e fece in modo di affidarlo al filosofo Aristotele.
Per circa tre anni Aristotele fu il tutore non solo di Alessandro ma anche di altri giovani aristocratici macedoni, figli di generali ed alleati di Filippo, che divennero poi i confidenti ed amici del giovane principe, le lezioni di Aristotele si svolgevano a Mieza quindi in un luogo staccato dalla corte di Pella e lontano dagli intrighi politici.
Oltre ad un'educazione scolastica basata principalmente sulla letteratura, notoriamente Alessandro era un grande estimatore dell'Iliade, ai giovani riuniti a Mieza venivano insegnate anche storia, geografia e filosofia. Un principe macedone doveva necessariamente essere avviato anche all'arte della guerra ed infatti Alessandro venne addestrato fin da giovane come un membro della cavalleria: aveva anche ottenuto il proprio cavallo personale, il notissimo Bucefalo, già poco prima che compisse dodici anni. All'età di sedici anni Alessandro ebbe brevemente la reggenza del regno macedone mentre il padre era impegnato in una campagna militare. Molto probabilmente in questo periodo di reggenza alcuni dei consiglieri di Filippo erano stati incaricati di aiutare, e forse controllare, l'operato del principe che in quel periodo fu anche impegnato in una campagna contro
una tribù Tracia, i Maedi.
Nel 338 a.C. Alessandro prese parte alla battaglia di Cheronea guidando la cavalleria. In tale occasione avrebbe battuto e sterminato il battaglione sacro, corpo scelto dell'esercito tebano che era rimasto sul campo di battaglia nonostante fosse ormai chiara la vittoria macedone.
Dopo la battaglia di Cheronea i rapporti tra Filippo ed Alessandro si fecero tesi. Filippo aveva da poco sposato Cleopatra Euridice, nipote del generale Attalo, e ripudiato Olimpiade che era tornata in Epiro alla corte del fratello; probabilmente Alessandro non si sentiva più sicuro del suo ruolo di erede al trono che avrebbe potuto essere messo in discussione in caso di eventuali figli maschi nati da Cleopatra Euridice che era macedone e non una straniera come Olimpiade, anche se quest'ultima aveva comunque mantenuto il titolo ufficiale di regina anche dopo il ripudio.
Nel 336 a.C. venne celebrato ad Ege il matrimonio tra Cleopatra, figlia di Filippo ed Olimpiade, ed Alessandro I d'Epiro, fratello di Olimpiade, forse per rinnovare l'alleanza tra Macedonia ed Epiro che aveva sofferto a causa del ripudio di Olimpiade.
In questa occasione Filippo venne assassinato da una delle sue guardie, un certo Pausania. Non è chiaro se Pausania uccise Filippo per motivi personali13 o se fosse coinvolto in una congiura ordita da Olimpiade14 o dal
re di Persia, Dario III, oppure se Alessandro fosse a conoscenza dell'eventuale congiura.
13 Come sostiene Aristotele, riportato da Diodoro Siculo nella “Biblioteca Historica”, libro XVI, capitoli 93 e 94
14 Plutarco punta il dito contro Olimpiade che aveva incoraggiato il risentimento di Pausania verso Filippo (“Vita di Alessandro” capitolo 10)
Conquista della Grecia
A vent'anni Alessandro venne quindi proclamato re di Macedonia e si impegnò subito per consolidare la sua posizione; dapprima eliminò potenziali pericoli che sarebbero potuti nascere all'interno della corte stessa facendo uccidere alcuni tra i possibili pretendenti al trono, primo fra tutti il cugino Aminta, ed eliminando Attalo che si sarebbe potuto dimostrare un pericoloso avversario in futuro, soprattutto dopo l'uccisione della nipote Cleopatra Euridice e dalla figlia di lei15 che fu voluta più
probabilmente da Olimpiade che da Alessandro.
Subito dopo Alessandro iniziò ad espandere l'influenza politica della Macedonia presentandosi come protettore dei greci contro eventuali attacchi persiani ed allo stesso tempo come comandante delle forze greche contro la Persia nell'imminente campagna militare che aveva intenzione di intraprendere e che era già stata progettata da Filippo prima della sua morte.
Con l'appoggio dei greci Alessandro intraprese nella primavera del 335 a.C. una campagna nei Balcani contro diverse popolazioni barbare considerate pericolose e, nel giro di pochi mesi, sconfisse i Triballi, i Geti ed i Dardani, il tutto subendo ben poche perdite umane.
Mentre l'esercito macedone era impegnato nei Balcani, in Grecia si sparse la voce che Alessandro fosse stato ucciso in battaglia e questo provocò una serie di disordini nelle polis; in particolare i tebani e gli ateniesi credettero di potersi ribellare e riconquistare la propria libertà, approfittando della presunta precoce scomparsa del re macedone. Alessandro reagì in fretta e fece subito ritorno dai Balcani. In due settimane arrivò ad assediare Tebe e la conquistò. La città venne rasa al suolo ad eccezione dei templi e della casa del poeta Pindaro; Atene,
15 O dei suoi figli: non è infatti chiaro se Cleopatra Euridice avesse effettivamente dato a Filippo anche un figlio maschio oltre alla primogenita Europa
seppur implicata nella rivolta, non venne distrutta ma in un primo tempo Alessandro chiese che fossero consegnati a lui i politici notoriamente antimacedoni, tra cui il famoso Demostene. Alla fine si accontentò di far esiliare il generale Caridemo che andò ad offrire i suoi servigi al re di Persia come mercenario.
A questo punto Alessandro aveva il controllo di tutta la Grecia, ad eccezione di Sparta, e poté volgere lo sguardo alla conquista della Persia, lasciando il regno di Macedonia e Grecia sotto la protezione di Antipatro.
Campagna di Persia e formazione dell'impero macedone
Conquista dell'Asia Minore e dell'Egitto
La campagna di Persia prese il via con l'attraversamento dello stretto dei Dardanelli ed una sosta presso l'antica città di Troia, città molto cara al principe macedone visto che la dinastia dei re dell'Epiro di cui faceva parte Olimpiade veniva fatta risalire fino ad Achille di cui Alessandro si riteneva degno erede.
Il primo scontro con i persiani ebbe luogo nel maggio del 334 a. C. presso il fiume Granico. In questa occasione l'esercito persiano non venne schierato al completo, le forze persiane erano composte da iranici, guidati dai satrapi e dai governatori, e dai i mercenari di Memnone, ma non era presente nessun contingente dalla regione della Persia e nessun arciere. Le fonti non concordano sui numeri precisi delle forze schierate da ambo le parti, ma convengono nell'affermare che l'esercito persiano era in considerevole svantaggio numerico nei confronti del contingente macedone.
Il fiume era piuttosto tumultuoso ed i persiani avevano scelto il campo di battaglia in modo tale che la loro cavalleria pesante potesse essere utilizzata al meglio; i cavalli ed i cavalieri persiani, appesantiti dalle armature, non erano molto mobili, ma si credeva che potessero resistere senza sforzo ad un attacco frontale.
Esistono due versioni principali riguardo a come si svolse la battaglia. Secondo Arriano, Alessandro arrivò sul campo di battaglia quando era ormai pomeriggio ed attaccò immediatamente, nonostante gli fosse stato consigliato da Parmenione di attendere l'alba del mattino seguente16.
Invece secondo Diodoro Siculo17, Alessandro si sarebbe accampato sulla
16 Arriano, “Anabasi di Alessandro” (᾿Ανάβασις ᾿Αλεξάνδρου), libro 1, 14.
17 Diodoro Siculo, Bibliotheca historica (in originale Βιβλιοθήκη ἱστορική), libro XVII, capitolo 19.
riva del fiume da dove poteva osservare le tende nemiche, che si trovavano ad una certa distanza dall'area preparata per il combattimento. Solo all'alba Alessandro, che comandava l'ala destra dell'esercito, attraversò il fiume e caricò la cavalleria persiana, che precedeva la fanteria da cui si era staccata a causa della velocità inaspettata dell'attacco. Nel frattempo anche il resto dell'esercito macedone, guidato da Parmenione, attraversò il fiume e si unì allo scontro.
La tecnica di Alessandro consisteva nel prendere di mira i satrapi ed i generali nemici ed ucciderli; questo per creare quanta più confusione possibile nelle file persiane. Tale mossa diede ben presto i suoi frutti e la cavalleria nemica venne costretta al ritiro.
Le truppe Macedoni arrivarono al campo persiano e ingaggiarono battaglia con la fanteria ed i mercenari che, in forte inferiorità numerica, vennero sconfitti e massacrati.
La battaglia si risolse con una vittoria schiacciate dei macedoni.
Le perdite macedoni furono poche, soprattutto se comparate con le migliaia di caduti nell'esercito persiano, e vennero ricordate con un monumento fatto erigere sul posto a cui si aggiunsero onori ed agevolazioni per le famiglie che erano rimaste senza mezzi di sostentamento.
I prigionieri di origine greca vennero mandati ai lavori forzati in Macedonia, questo per mandare un chiaro messaggio a tutti quelli che avrebbero potuto essere tentati di combattere sotto insegna persiana, sedotti da promesse di ricchezza.
Inoltre Alessandro mandò ad Atene trecento armature persiane18, perché
fossero dedicate ad Atena, da parte di: “Alessandro, figlio di Filippo, ed i Greci, eccetto gli Spartani”.
Un gesto con cui Alessandro otteneva una piccola rivincita contro i Lacedemoni, che si erano rifiutati di seguirlo nell'impresa persiana, ed allo stesso tempo omaggiava i suoi alleati Greci.
18 Numero simbolico, ricordava i trecento spartani che si erano opposti ai persiani nella battaglia delle Termopili (480 a.C.).
Grazie alla vittoria del Granico Alessandro poté avanzare in Asia Minore dove incontrò poca resistenza se non a Mileto. La città si era inizialmente arresa, ma la possibilità di ricevere aiuti da parte della marina persiana convinse le autorità cittadine a cambiare la propria posizione; la città venne subito assediata ed il suo porto occupato per impedire l'attracco delle navi giunte in suo soccorso. Dopo pochi giorni gli abitanti di Mileto furono costretti ad arrendersi ad Alessandro che in ogni caso impedì ritorsioni contro i cittadini, visto che aveva presentato la sua spedizione come necessaria per “liberare” le città greche dell'Asia ed un qualsiasi tipo di saccheggio o rappresaglia sarebbe stato controproducente.
Sardi ed Efeso si arresero senza colpo ferire, come pure altre città sulla costa che erano ben felici di affrancarsi dai persiani e ritornare sotto la sfera di influenza della Grecia, ma ad Alicarnasso la situazione si fece più complicata.
Alicarnasso aveva alte mura e le scorte necessarie per superare un lungo assedio. All'interno della città si era rifugiato Memnone con le forze che aveva a disposizione e la presa della città non fu affatto impresa facile. Alessandro impiegò le macchine da guerra che aveva a disposizione, ma i persiani non si limitarono a restare dentro le mura, uscirono armati di fiaccole con l'intenzione di incendiare le macchine e creare il caos tra i macedoni. Sebbene la tattica fosse ben impostata, Alessandro non si fece cogliere impreparato e l'attacco fallì miseramente. Inoltre i soldati persiani che tentarono di ritirarsi di nuovo all'interno delle mura vennero chiusi fuori per paura che con loro entrassero anche i macedoni e questo provocò forti perdite tra le fila degli assediati.
Vista l'impossibilità di continuare a difendere Alicarnasso, Memnone abbandonò la città che venne data alle fiamme e subì fortissimi danni. A questo punto Alessandro divise il suo esercito, lasciò buona parte dei soldati sotto il comando di Parmenione a Perge e continuò il percorso della costa con un contingente ridotto. Nel frattempo Memnone aveva conquistato Chio e Lesbo ed aveva iniziato i preparativi per invadere
l'Eubea ma si ammalò e morì poco dopo ed i piani da lui impostati non vennero portati avanti dai comandanti che gli succedettero.
Le due parti dell'esercito macedone si ricongiunsero a Gordio nel maggio del 333 a.C. e mossero verso la Cilicia, seguendo le informazioni geografiche date da Senofonte nella sua Anabasi, per arrivare fino a Tarso.
Nel frattempo, alla corte persiana, Dario III aveva iniziato a raccogliere un folto esercito e si preparava a muoversi personalmente per affrontare Alessandro sul campo.
Durante l'estate del 333 l'esercito di Dario si diresse verso Alessandro ma lo scontro tra i due avvenne solo a novembre quando entrambi si mossero verso Isso.
Il campo di battaglia venne deciso da Dario che aveva grande fiducia nella sua superiorità numerica, la pianura di Isso però non era abbastanza spaziosa per permettere ai persiani di dispiegare efficacemente tutte le proprie risorse ed è ipotizzabile che sia stata scelta per via di un fattore di tempo visto che l'avanzare dell'inverno avrebbe creato problemi di rifornimento a Dario che doveva mantenere un esercito enorme.
Ad aprire lo scontro fu un assalto della cavalleria persiana e dei mercenari greci diretto verso la falange macedone e la cavalleria dei Tessali che erano disposte sul fianco sinistro dello schieramento macedone.
Mentre questi gruppi si stavano affrontando, Alessandro guidò la cavalleria degli eteri verso il lato sinistro dello schieramento avversario e si aprì un varco fino a dividere completamente l'ala sinistra persiana dal resto dell'esercito. Questo portò Alessandro ad avvicinarsi minacciosamente al re Dario, che era schierato nelle retrovie a bordo del suo carro da guerra, tanto che il sovrano persiano fu costretto a darsi alla fuga.
Visto che la falange era in difficoltà Alessandro non andò all'inseguimento di Dario ma ricondusse la cavalleria verso il centro dello scontro; ad ogni modo i persiani si ritirarono disordinatamente quando realizzarono che il loro re non era più in campo e caddero sotto i colpi della cavalleria
macedone.
In questa occasione Dario perse le sue migliori truppe e diversi ufficiali e, nella sua fuga precipitosa, lasciò alla mercé del nemico anche la sua famiglia da cui era stato accompagnato in battaglia, ossia sua madre Sigisgambi, sua moglie Statira e le sue figlie che vennero comunque trattate con molto rispetto dal re macedone.
Dopo la battaglia di Isso Alessandro ricevette degli ambasciatori mandati da Dario che recavano una proposta di pace e la richiesta di riscatto dei prigionieri, i termini della proposta non vennero ritenuti adeguati dal re macedone che decise di continuare per la strada della conquista e si diresse verso l'Egitto.
Dapprima Alessandro si concentrò sulla conquista delle città costiere per eliminare del tutto il pericolo rappresentato dalla flotta persiana e perché il controllo delle coste avrebbe anche significato un maggiore controllo sulle provviste e sui rifornimenti, mentre alcune città si sottomisero senza scontri, ad esempio Abido e Sidone, altre volevano prima capire chi tra i due schieramenti stesse vincendo prima di dare la propria alleanza all'uno o all'altro.
In particolare Tiro non volle piegarsi alle richieste di Alessandro arrivando addirittura ad uccidere i messaggeri macedoni che erano stati inviati in città per negoziare un accordo.
L'assedio di Tiro durò circa sette mesi e tenne impegnati i macedoni per buona parte del 332 a.C.
In questo periodo viene ricordato un secondo tentativo di raggiungere un accordo di pace da parte di Dario: in questa proposta si prometteva ad Alessandro una parte dei territori dell'Asia, molti doni e la mano di una principessa persiana ma, nonostante i termini fossero ritenuti vantaggiosi da alcuni dei sui generali, Alessandro rifiutò nuovamente l'offerta di pace convinto di poter trionfare sul campo.
L'assedio di Tiro ebbe finalmente una svolta tra luglio e agosto quando gli sforzi coordinati dei macedoni sia per mare, grazie alla piccola flotta
raccolta sotto l'insegna di Alessandro, che per terra, con attacchi diretti alle mura della città, portarono alla resa.
Di nuovo Alessandro riprese a muoversi verso l'Egitto e di nuovo alcune città non opposero grande resistenza almeno fino a che l'esercito non arrivò a Gaza, dove era al comando un certo Batis, satrapo di Dario.
La città non si piegò ad Alessandro e venne assediata.
L'assedio di Gaza si distingue per l'accurato uso delle macchine da guerra e le ingegnose tecniche macedoni per indebolire le mura, ma anche perché, in occasione di un assalto alla città, Alessandro venne ferito in modo piuttosto serio ad una spalla. Quando Gaza capitolò la maggior parte degli uomini fu uccisa ed i sopravvissuti venduti come schiavi.
Alessandro arrivò in Egitto alla fine del 332 a.C. dove venne accolto con gioia e consacrato faraone. Di fatto l'Egitto non era stato a lungo sotto l'influenza persiana e non aveva grande simpatia per Dario.
La conquista dell'Egitto non era stata indicata nei piani di invasione presentati da Alessandro alla lega di Corinto ed era una prima chiara avvisaglia del fatto che il progetto di “liberare le città greche dell'Asia” non era altro che un pretesto, ormai obsoleto, per ottenere il consenso degli alleati Greci all'offensiva contro i Persiani.
In Egitto Alessandro si fece benvolere mostrandosi rispettoso verso le tradizioni e le divinità locali, sacrificò a Menfi per il dio Api ed andò a fare visita all'oracolo di Amon nell'oasi di Siwa, inoltre fondò sulle rive del Nilo una nuova città, la prima Alessandria.19
Gaugamela e morte di Dario
Alessandro sostò in Egitto per circa un anno, accolse tra le sue file dei rinforzi inviati da Antipatro e poi ripartì con la marcia verso oriente.
L'ultimo, decisivo, scontro tra Alessandro e Dario avvenne ad inizio ottobre
19 Dopo Alessandria d'Egitto molte altre città con lo stesso nome furono fondate dal re macedone, spesso in luoghi che commemoravano un particolare evento.
del 331 a.C. a Gaugamela, nell'odierno Iraq, una pianura ampia e lineare su cui Dario contava di poter dispiegare tutto il suo esercito, carri ed elefanti compresi.
Il numero esatto dei soldati dell'esercito di Dario non è stato tramandato con precisione ma era certamente impressionante e molto superiore a quello dei soldati di Alessandro.
Dario si mise al centro del suo schieramento, circondato dalla migliori truppe che aveva a disposizione. Poteva contare su Mazeo come comandante dell'ala destra della cavalleria e su Besso sull'ala sinistra. Alessandro invece divise in due tronconi il suo esercito, mettendo al centro la falange e prendendo il comando del gruppo di destra lasciando a Parmenione quello di sinistra.
I macedoni avanzarono per primi ed indussero Dario a sferrare l'attacco iniziale con i carri da guerra. Se non lo avesse fatto sarebbe stato spinto fuori dalla piana preparata per la battaglia, ma l'esercito macedone si era preparato ad un attacco con i carri ed aveva sviluppato una contromossa. Venne ordinato ai macedoni di aprire le prime file in modo tale che i carri passassero nel corridoio vuoto che si era creato; così i carri si ritrovarono bloccati dalle lance delle seconde file, che spaventavano e trafiggevano i cavalli persiani, finendo in trappola.
Mentre i persiani attaccavano, Alessandro si era mosso verso la retroguardia di Dario con l'intento di arrivare a scontrarsi direttamente con il gran re. Appena si creò un vuoto nello schieramento nemico Alessandro ne approfittò e lo attraversò, seguito dalla sua cavalleria, da pochi battaglioni di falangisti e da truppe ausiliarie, andando a scontrarsi con la guardia reale persiana.
Sulla sinistra Besso si trovò isolato ed iniziò a ritirare la sua cavalleria per evitare di finire intrappolato tra le unità macedoni; stessa cosa fece Dario che abbandonò il campo di battaglia insieme a quel che restava della sua guardia.
rinunciare perché ricevette una richiesta di aiuto da Parmenione che era in seria difficoltà, visto che la cavalleria di Mazeo era arrivata fino al campo macedone.
Alessandro quindi tornò indietro ma Mazeo ben presto si ritirò, perché aveva notato che Dario era fuggito, lasciandolo libero di lanciarsi all'inseguimento del gran re persiano che era però già troppo lontano. Anche dopo questa battaglia, come dopo Isso, Alessandro raccolse un notevole bottino che comprendeva anche il carro personale di Dario, abbandonato durante la fuga, e gli elefanti da guerra usati dai persiani, che vennero in seguito liberati visto che nessuno in Macedonia era in grado di addestrarli.
Dopo Gaugamela Alessandro andò verso Babilonia, dove si era rifugiato Mazeo, che si sottomise prontamente e lì passò alcune settimane facendo così riposare le truppe e inventariando le proprie risorse. Dopo Babilonia passò a Susa dove decise di far alloggiare i familiari di Dario e recuperò diversi tesori ed opere d'arte tra cui spiccava il gruppo dei tirannicidi che era stato portato via da Serse nel 480 a.C. e che Alessandro fece rimandare ad Atene come gesto simbolico.
Alessandro entrò quindi nel territorio degli Uxii e questi tentarono di opporsi alla conquista ed inoltre richiesero al re macedone un tributo per poter passare sui loro territori. Alessandro non si fece intimidire e li sconfisse per poi radere al suolo i loro possedimenti.
A gennaio del 330 a.C. Alessandro raggiunse Persepoli, città che era stata costruita da Dario I principalmente per poter ospitare le celebrazioni dedicate al nuovo anno persiano e che era una delle capitali del regno Achemenide, mentre Dario aveva trovato rifugio ad Ecbatana da dove intendeva radunare nuovamente un esercito.
A Persepoli Alessandro raccolse nuovamente un lauto bottino e si fermò per alcuni mesi. In primavera Persepoli venne devastata da un incendio, di cui non è chiara la causa20, che la distrusse; l'esercito macedone riprese la
20 Arriano nell'Anabasi, riportando quel che dice Tolomeo, scrive che l'incendio di Persepoli era stato provocato, su ordine di Alessandro, per vendicare l'incendio di Atene durante le guerre
sua marcia.
A metà del 330 a.C. Alessandro si diresse verso Ecbatana con l'intento di affrontare di nuovo Dario e sconfiggerlo definitivamente, ma Dario aveva ormai perso il rispetto e la fiducia dei suoi uomini e venne deposto e imprigionato da alcuni dei sui satrapi in una congiura guidata da Besso. Alessandro decise quindi di tentare di raggiungere il luogo dove era tenuto prigioniero l'ormai ex gran re.
I satrapi ribelli si spaventarono e si diedero alla fuga, ma prima ferirono a morte Dario che venne trovato agonizzante dai primi soldati macedoni arrivati sul posto. All'arrivo di Alessandro il re persiano era deceduto.
A questo punto Alessandro seppellì Dario con tutti gli onori dovuti e si preparò allo scontro con Besso che si era proclamato re di tutta l'Asia con il nome di Artaserse V. Nel frattempo il re macedone iniziò ad assumere alcune usanze proprie dei persiani, in particolare iniziò a vestirsi alla maniera orientale, cercando di presentarsi come vero erede di Dario e creando qualche conflitto con i più conservatori e tradizionalisti dei suoi generali macedoni.
Conquista delle province Orientali e tensioni interne
Ora Alessandro doveva vedersela con Besso e con gli altri satrapi coinvolti nella congiura contro Dario in modo da ottenere il controllo di tutti i territori dell'impero Achemenide.
Alcuni dei satrapi si arresero subito ad Alessandro, o trattarono con lui una resa, ma uno di essi, Nabarzane, satrapo della Bactriana, finse di sottomettersi al macedone per poi tradirlo ed uccidere la guarnigione di soldati che era stata lasciata a controllare quei territori. La notizia giunse ad Alessandro che ritornò subito indietro, ma non trovò Nabarzane che era fuggito per raggiungere Besso.
persiane. Plutarco aggiunge che Alessandro si pentì e ordinò di spegnere l'incendio. E rimane sempre possibile che l'incendio fosse di natura accidentale.
Alessandro continuò la ricerca di Besso, ed intanto fondò diverse Alessandria tra cui Alessandria degli Arii ed Alessandria del Caucaso, arrivando ad oltrepassare l'Hindu Kush tra molte difficoltà e privazioni. Nel frattempo Besso aveva perso il favore dei sui alleati e fu tradito da uno di loro, proprio come lui stesso aveva precedentemente tradito Dario. Besso venne consegnato ai macedoni ed in seguito giustiziato ad Ecbatana, ma colui che lo aveva tradito, Spitamene, si alleò con la tribù scita dei messageti e tenne occupati i macedoni con azioni di guerriglia in Sogdiana che durarono qualche mese, a cavallo tra il 329 ed il 328 a. C., fino a che anche lui cadde vittima di un tradimento.
Alessandro intanto affrontò un primo tentativo di congiura nato all'interno dei sui ranghi; alcuni giovani che facevano parte dell'esercito macedone stavano progettando un attentato alla vita del re. Tramite una serie di passaparola il complotto arrivò alle orecchie di un tal Cebalino che andò a riferirlo a Filota, figlio di Parmenione ed ufficiale fidato di Alessandro; però quest'ultimo non ne fece parola al re nonostante fosse stato informato anche della data imminente dell'attentato, Cebalino, preoccupato, si confidò quindi anche con un altro ufficiale che andò prontamente ad informare Alessandro.
Ricevuta questa informazione, Alessandro fece convocare la persona da cui erano partite le prime voci di un complotto ma questi si uccise, forse perché oltre ad averne parlato era anche uno degli organizzatori. Il re si ritrovò a dover affrontare il fatto che Filota non lo aveva informato delle voci o per negligenza o perché implicato in prima persona.
Arriano riporta21 che erano già state formulate accuse di tradimento contro
Filota mentre l'esercito si trovava in Egitto. In quell'occasione Alessandro non aveva avuto dubbi sulla fedeltà di Filota, ma in questa seconda occasione non poté fare a meno di dare peso alle accuse.
Filota venne imprigionato, interrogato, molto probabilmente torturato ed infine condannato a morte dal tribunale dell'esercito; a questo punto si
poneva il problema di cosa fare con Parmenione. Il generale era ormai vecchio ma aveva ancora a disposizione un certo numero di soldati che avrebbero potuto seguirlo in caso avesse deciso di andare contro Alessandro per vendicare il figlio ed il suo onore. Alessandro diede quindi l'ordine di uccidere Parmenione adducendo come scusa, di per sé anche plausibile22, l'esistenza di una corrispondenza tra padre e figlio in cui si
facevano velati richiami alla possibilità di sbarazzarsi del re tramite un complotto.
La decisione di far uccidere Parmenione venne accolta come necessaria e giusta da un buon numero di soldati che ritenevano fosse giustificata dal fatto che l'anziano generale, in quanto capo famiglia, doveva essere ritenuto responsabile del tradimento del figlio; il problema stava nel fatto che alcuni continuarono a dubitare della colpevolezza di Filota ed espressero un certo malcontento.
I soldati che diedero voce a tali dubbi, nelle loro lettere a casa o parlando con i compagni, vennero radunati in un'unità a parte, in modo tale che non avessero occasione di far crescere il malcontento influenzando l'opinione degli altri, in ogni caso non crearono mai dei reali problemi e non sono riportati complotti nati in seno a questa unità speciale.
I problemi per Alessandro non si placarono con la dipartita di Filota e Parmenione; anche altri personaggi importanti nella gerarchia macedone iniziavano ad accusare Alessandro di aver dimenticato le sue origini e di essere ormai troppo vicino ai costumi dei barbari persiani.
Nel 328 a.C. l'esercito si trovava a Samarcanda e la tensione tra un altro generale della vecchia guardia, Clito il nero, che aveva servito anche sotto Filippo II, ed il re esplose durante una serata di festeggiamenti.
Plutarco racconta23 che durante la serata un poeta di corte, Pranico o
Pierione, si mise a recitare dei versi in cui si faceva beffe dei generali che
22 Parmenione era un noto conservatore e non aveva fatto mistero di non apprezzare il
cambiamento di atteggiamento e costumi di Alessandro che si stava avvicinando sempre più ad essere un monarca di stampo orientale.
erano stati sconfitti dai barbari. Alcuni dei partecipanti non presero bene questi versi ed in particolare Clito che era piuttosto ubriaco, nonché irascibile per natura, iniziò a controbattere e finì per cominciare una lite con Alessandro, anch'egli ubriaco e collerico. Tra i due volarono gli insulti e Clito venne portato fuori di peso dalla sala dei festeggiamenti ma ben presto tornò citando dei versi dell'Andromaca di Euripide: “Ahimè! Pessimi costumi qui in Grecia!”.
A questo punto Alessandro prese una lancia da una delle sue guardie e trafisse Clito uccidendolo. Secondo le fonti si pentì subito di tale azione, che era stata dettata più dal vino che da altro, e passò un periodo di depressione tentando di riconciliarsi con il fatto di avere ucciso un uomo che gli era stato vicino fin dall'infanzia24. Venne infine convinto dagli
indovini e dai filosofi di corte che la sorte di Clito era stata dettata dagli dei e che era inutile sentirsi in colpa per una tragica fatalità.
L'anno seguente venne invece scoperta una seconda congiura per uccidere Alessandro, ordita da alcuni dei suoi paggi. I ragazzi vennero arrestati e giustiziati e nelle file dei traditori venne annoverato anche Callistene che era il maestro dei paggi. Costui era uno storiografo di corte ed aveva accompagnato il re per tutta la sua campagna, aveva criticato Alessandro in più occasioni per la sua politica di integrazione con i persiani ed era nipote di Aristotele quindi la sua morte causò tensioni tra il re ed il mondo politico-filosofico greco.
Nello stesso anno della congiura dei paggi, Alessandro fu anche impegnato sul campo di battaglia. La regione della Sogdiana era ancora turbolenta e i tumulti erano fomentati dal satrapo Ossiarte che non si era ancora arreso al nuovo Gran Re.
Ossiarte aveva lasciato la sua famiglia su una rocca, ritenuta inespugnabile, nei pressi del fiume Osso; Alessandro riuscì a conquistare la roccaforte nel marzo del 327 a.C e lì incontro Rossane, la giovane figlia del satrapo, che divenne ben presto sua moglie e regina. A questo punto
anche Ossiarte si arrese e venne riconfermato satrapo da Alessandro che anzi ampliò la sua area di influenza nominandolo satrapo anche del Paropamiso ossia dell'Hindu Kush25.
Pacificata la Sogdiana Alessandro si lanciò in una nuova impresa, voleva ora estendersi al di fuori dei confini dell'impero Achemenide fino a raggiungere il limite delle terre emerse ed iniziò quindi la campagna in India.
25 Paropamiso è il nome greco della regione, Hindu Kush è più precisamente il nome della catena montuosa.
Campagna in India
L'India era stata esplorata dai re Achemenidi ed era in parte sotto il loro controllo, almeno nominalmente. In realtà il controllo persiano di quelle terre era stato quasi inesistente ed i regnanti locali erano in una situazione di eterno conflitto tra loro.
Nella primavera del 326 a.C. Alessandro iniziò la sua marcia e trovò subito un alleato nel re di Taxila, nell'odierno Pakistan, che forse sperava di sbarazzarsi dei sui vicini/rivali grazie al suo aiuto, per poi trovarsi a fronteggiare Poro re di Paurava.
Poro era stato alleato di Dario ed era stato lui ad inviare i 15 elefanti che figurano tra le schiere persiane a Gaugamela.
Lo scontro diretto con Alessandro ebbe luogo presso il fiume Idaspe: in questa occasione gli elefanti da guerra utilizzati da Poro furono 200 ed erano il suo punto di forza.
L'Idapse era un fiume piuttosto tumultuoso e non era semplice attraversarlo, Poro si era schierato sulla riva sinistra e controllava a vista lo schieramento avversario pronto ad attaccare non appena avessero tentato la traversata. Alessandro fece credere a Poro di essere in difficoltà e lasciò il grosso dell'esercito sulla riva mentre lui attraversava il fiume più a monte con un contingente limitato. Il re indiano non si preoccupò troppo dell'incursione e mandò contro i macedoni solo un piccolo contingente che venne facilmente sconfitto.
Alessandro tentò di usare la parte della cavalleria posizionata sulla riva destra per attaccare da dietro l'esercito di Poro e creare un varco tra le linee nemiche ma gli elefanti spaventarono i cavalli e fu necessario un cambio di strategia, venne quindi deciso che una parte della cavalleria macedone avrebbe impegnato il fianco sinistro di Poro composto dalla sua cavalleria pesante ed un'altra sarebbe passata da dietro chiudendo i cavalieri indiani in una morsa e mantenendo l'azione lontana dagli elefanti
che costituivano il fronte dello schieramento indiano.
Intanto una forte pioggia aveva reso il terreno pericoloso per i maestosi carri da guerra indiani. Nonostante questo i carri furono lanciati verso la fanteria macedone dove crearono molte perdite ma finirono anche con il ribaltarsi lasciando a terra, morti o feriti, chi li occupava.
A questo punto Poro fece avanzare gli elefanti. Lui stesso era alla guida di uno di essi, e dietro di loro mise la fanteria e gli arcieri. Gli elefanti si scontrarono con la falange creando il panico tra le sue file; uomini vennero calpestati o scagliati lontano dalle proboscidi, e solo il pronto intervento della fanteria leggera degli Agriani con i loro giavellotti e dei Traci impedì che la falange si ritirasse.
Visto che la falange aveva ripreso la sua marcia Poro decise di lanciare un nuovo attacco, questa volta contro la cavalleria macedone, i cavalli erano terrorizzati e disarcionavano i propri cavalieri che diventavano una facile preda per gli arcieri nemici, il vantaggio indiano però non durò a lungo. Poro venne circondato e attaccato dalle lance macedoni; lo stesso Alessandro attaccò l'elefante reale ma dovette rinunciare per via della morte del suo cavallo, Bucefalo, e continuò a spronare i suoi uomini perché uccidessero il re indiano, che era già stato colpito più volte.
Infine Poro iniziò a scivolare giù dal suo elefante che venne fatto piegare sulle ginocchia dal conducente. Di conseguenza anche tutti gli altri elefanti si fermarono e la battaglia si concluse.
Nonostante le numerose ferite, Poro sopravvisse e venne riconfermato alla guida della regione come re vassallo dell'impero macedone.
Alessandro tentò di proseguire il viaggio verso est, ma, sulle rive del fiume Ifasi, l'esercito si oppose e si rifiutò di proseguire oltre; i soldati erano troppo provati dai lunghi anni di battaglie e spaventati dall'addentrarsi sempre più in terre selvagge e sconosciute. Alessandro non poté fare altro che piegarsi al volere dei sui uomini ed invertire il cammino, ma il viaggio di ritorno finì con il rivelarsi assai pericoloso.
parte, sotto il comando di Cratero, andò verso l'Afghanistan, mentre l'altra, comandata da Alessandro stesso, passò per la inospitale regione della Gedrosia.
Mentre Cratero non incontrò grossi pericoli, Alessandro si ritrovò a dover fronteggiare azioni di guerriglia continue e venne ferito seriamente durante l'assalto ad una rocca nemica. Inoltre il deserto si rivelò fatale per molti soldati, provati dal clima, dalle battaglie e dagli scarsi viveri a disposizione; solo il ricongiungimento con la flotta guidata da Nearco, che era stato mandato ad esplorare il golfo persico, salvò l'esercito ed Alessandro dal morire sulla strada verso Susa.
Ritorno dall'India, morte di Alessandro e successione
Una volta arrivato a Susa, Alessandro si preoccupò di rimuovere dall'incarico tutti i satrapi ed i funzionari, sia macedoni che persiani, che si erano comportati con negligenza durante la sua assenza; inoltre organizzò un matrimonio collettivo.
Nel 324 a.C. moltissimi tra ufficiali e soldati macedoni si unirono in matrimonio, più o meno consenzienti, con donne persiane. Lo stesso Alessandro sposò una figlia di Dario, Statira, ed un'altra nobildonna imparentata con i precedenti re di Persia.
Nello stesso periodo congedò i veterani che cominciarono il viaggio verso la Macedonia guidati da Cratero, che doveva andare a sostituire Antipatro come reggente.
Antipatro sarebbe poi dovuto partire verso oriente, portando con sé nuove reclute; Alessandro infatti, ben lontano dal volersi fermare e riposare, stava già pensando a dove poteva dirigersi per una nuova campagna. L'inverno tra il 324 ed il 323 a.C. Alessandro e la corte lo passarono ad Ecbatana. Qui morì improvvisamente Efestione. La sua morte gettò Alessandro nella disperazione.
In un solo colpo il re aveva perso non solamente il suo amico più caro, ma anche il suo più fedele consigliere ed alleato; per di più con la sua morte si andava a creare un pericoloso vuoto di potere visto che Efestione era notoriamente la seconda persona più importante dell'impero; era a capo della cavalleria degli eteri, aveva la carica di chiliarca26 ed era diventato
ufficialmente parte della famiglia reale attraverso il suo matrimonio con Dripetide, sorella di Statira.
In pratica Efestione era in una posizione tale da dover essere ritenuto l'eventuale successore27 di Alessandro nel caso in cui il re fosse morto
26 Carica simile a quella di Gran Vizir, in pratica una sorta di primo ministro.
27 Robin Lane Fox lo definisce "sostituto e successore" di Alessandro (Robin Lane Fox,
Alessandro Magno ,traduzione di Guido Paduano, Torino, Einaudi, 2004 pag. 478) in quanto
questo spiegerebbe perchè in occasione della sua morte vennero spenti i fuochi sacri, gesto che si faceva solo quando moriva il Gran Re.
senza eredi, o con eredi troppo giovani per governare, la sua prematura dipartita è da annoverarsi tra le cause del caos politico che seguì alla morte di Alessandro.
Nella primavera del 323 a.C. Alessandro scese in battaglia per l'ultima volta contro i Cassiti, popolo proveniente da monti Zagros, ed iniziò a preparare dei piani d'invasione per l'Arabia e ad accarezzare l'idea di spingersi ad occidente verso i territori di Cartagine.
A giugno venne colpito da una misteriosa malattia e, dopo dodici giorni, morì al tramonto del 13 giugno, poco prima di compiere trentatré anni. Lasciò, forse, un testamento in cui chiedeva di continuare la politica di integrazione tra Persiani e Greci, ma i suoi generali non avevano alcuna intenzione di seguire le sue volontà ed iniziarono subito delle forti tensioni. Parte dei generali riconobbe come erede di Alessandro il figlio ancora nel grembo di Rossane mentre altri protendevano verso l'idea di dare la corona a Filippo Arrideo, fratellastro di Alessandro, in entrambi a casi serviva un reggente e si decise per dare la carica a Perdicca, ma già l'anno successivo cominciarono i primi scontri che portarono alla cosiddette guerre dei Diadochi.
L'impero Macedone, tanto grande quanto caotico, non sopravvisse quindi al suo fondatore.