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Indagine sull'Orientalismo attraverso quattro campioni della letteratura occidentale

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

TESI DI LAUREA

Indagine sull’Orientalismo attraverso quattro campioni della

letteratura occidentale

CANDIDATO

RELATORE

Lorenzo Pellegrini

Chiar.mo Prof. Sergio Zatti

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Stefano

Brugnolo

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“Pourtant, la matin qui suivit la soutenance de ma thèse (ou peut-etre le soir meme), ma première pensée fut que je venais de perdre quelque chose d’inappréciable, quelque chose que je ne retrouverais jamais: ma liberté.”

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INDICE

INDICE………..pag. 3 1. PRESENTAZIONE………..pag. 6 2. INTRODUZIONE………..…..pag. 10 2.1 Il Mediterraneo come luogo di incontro……….pag. 11 2.2 Radici storiche………..………pag. 13 2.3 L’Orientalismo oggi………..………pag. 19 2.4 L’Occidente e l’Asia: genesi letteraria………..pag. 23 2.5 Edward Said………..………pag. 29 2.6 L’Orientalismo come invenzione occidentale……..………pag. 32 2.7 Orientalismo e Islam………pag. 34 2.8 Critiche a Said………..………pag. 38 2.9 Altri filoni di studio………..………..pag. 40 3. L’ORIENTALISMO IN GIOVANNI BOCCACCIO: PRESENTAZIONE E ANALISI DI QUATTRO NOVELLE SCELTE DAL DECAMERON………pag. 45 3.1 Novelle scelte………pag. 46 3.2 Giornata Prima, Novella Terza………pag. 48 3.3 Giornata Seconda, Novella Settima………..pag. 54 3.4 Giornata Quarta, Novella Quarta………..…pag. 62 3.5 Giornata Decima, Novella Nona………pag. 67 3.6 Considerazioni finali………pag. 74

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4. L’ORIENTALISMO IN TORQUATO TASSO: PRESENTAZIONE E ANALISI DI QUATTRO CANTI SCELTI DALLA GERUSALEMME LIBERATA…..pag. 77 4.1 L’Oriente in Tasso, una visione generale………..pag. 78 4.2 L’Orientalismo nella Gerusalemme Liberata………pag. 82 4.3 La tensione culturale della Gerusalemme Liberata………pag. 84 4.4 Canto Quarto………pag. 86 4.5 Canto Dodicesimo………pag. 92 4.6 Canto Sedicesimo………pag. 97 4.7 Canto Ventesimo………pag. 102 4.8 Valutazioni conclusive………pag. 108 5. L’ORIENTALISMO NEL VENTESIMO SECOLO: SALMAN RUSHDIE, FRA VITA E OPERE……….pag. 111 5.1 Salman Rushdie………..pag. 112 5.2 The Satanic Verses………pag. 118 5.3 Analisi dell’opera……….pag. 123 5.4 Fede e fatwa: il rapporto di Rushdie con l’Islam………pag. 130 5.5 The Moor’s Last Sigh……….…pag. 135 5.6 Analisi conclusiva………pag.138 6. L’ORIENTALISMO NEL VENTUNESIMO SECOLO, IL CASO DI SOUMISSION DI MICHEL HOUELLEBECQ………..pag. 142 6.1 Autore e opera……….pag. 144 6.2 Soumission, una visione generale………..…pag. 149 6.3 Oriente e Orientalismo in Soumission……….………pag. 136 6.4 La Gerusalemme Liberata e Soumission: due opere espressione di una tensione storica………..pag.162 6.5 Houellebecq e l’Islam……….pag. 165 6.6 Notazioni finali……….pag. 171

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7. CONCLUSIONI……….pag. 176 7.1 Le ragioni di Said nella visione orientalista della letteratura…………pag. 177 7.2 Cosa è emerso dall’analisi delle opere scelte………pag. 183 7.3 L’Orientalismo dopo Said………..pag. 190 7.4 Riflessioni finali………..…pag. 194 BIBLIOGRAFIA………pag. 199 Testi Primari………..….pag. 199 Testi Secondari………..…pag. 200 Articoli, riviste, interviste………..…pag. 202

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1. PRESENTAZIONE

In questo lavoro verranno esaminati gli stereotipi, i luoghi comuni e le categorie culturali utilizzate dalla letteratura occidentale nel descrivere l’Oriente. In particolare cercheremo di capire se questo agglomerato di pregiudizi e luoghi comuni costituiscano o meno un canone indirizzato a screditare la reale identità dell’Oriente oppure siano parte di qualcosa di diverso. Infatti, più che un canone cui conformarsi, tali stereotipi potrebbero sì alimentare una tradizione letteraria diffusa in Occidente, ma una tradizione, per così dire, attiva, che non solo mette in scena pregiudizi e luoghi comuni, ma li elabora, li smaschera e, soprattutto, li supera.

Per condurre la nostra analisi si partirà da un testo critico fondante, ovvero

Orientalismo (1978), opera di Edward W. Said (1935 - 2003); procedendo poi

ad una panoramica sulle cause e sugli esempi storici che hanno contribuito alla nascita e alla diffusione di tali giudizi culturali.

Verranno citati diversi testi della cultura occidentale dai quali emergerà una sostanziale omogeneità delle caratteristiche attribuite alla cultura e ai popoli orientali, caratteristiche che, come vedremo, sfociano perlopiù in stereotipi e pregiudizi. In particolare si esaminerà una branca dell’orientalismo, ovvero l’islamismo e il suo rapporto speciale con la critica occidentale, isolando quei testi in cui esso è al centro della rappresentazione e del dibattito.

L’indagine condotta nel presente elaborato partirà necessariamente da una panoramica storica sul rapporto fra Occidente ed Oriente, iniziando la nostra ricerca con due esempi, i Persiani di Eschilo e le Baccanti di Euripide, provenienti dalla Grecia classica, notoriamente considerata la culla della civiltà europea.

In seguito verranno accennate nel corso dei secoli le tappe fondamentali che hanno segnato il rapporto fra queste due culture: dalla nascita accademica della

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“materia orientale”, fino alla visione del “differente” e del concetto di “alterità” nel corso dei secoli XVII, XIX e XX, con le reciproche differenze e analogie, giungendo fino ai giorni odierni, sui quali ci soffermeremo grazie all’analisi di due opere contemporanee. Inoltre, alla fine del capitolo introduttivo, verrà fatto un accenno agli altri filoni di studio sul tema dell’alterità e del confronto con il diverso, per comprendere come, in definitiva, temi come l’Orientalismo, i gender

studies e i post-colonial studies possano essere collegati fra loro.

Il cuore del lavoro da me svolto sarà l’analisi ravvicinata e specifica di opere provenienti da cronologie distanti e appartenenti a contesti culturali differenti fra loro. Testi rappresentativi di costanti e varianti di un atteggiamento dell’Occidente nei confronti dell’alterità islamica e orientale in generale.

Si partirà con una selezione di brani dalla stessa opera, scelti in quanto fortemente rappresentativi dei temi trattati.

Nello specifico, verranno analizzate le seguenti quattro novelle tratte dal

Decameron:

-

Giornata Prima, Novella III

-

Giornata Seconda, Novella VII

-

Giornata Quarta, Novella IV

-

Giornata Decima, Novella IX

Tutte queste novelle sono accomunate, e hanno come protagonista, sia il tema orientale che il confronto fra diverse culture e stili di vita, come vedremo più avanti in dettaglio.

Successivamente verranno esaminati altrettanti Canti della Gerusalemme

Liberata di Torquato Tasso:

-

Canto Quarto

-

Canto Dodicesimo

-

Canto Sedicesimo

-

Canto Ventesimo

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Anche in tale opera si prenderà in esame lo scontro, più che confronto, culturale fra Oriente e Occidente, giocato sullo sfondo storico della crociata.

A seguire verranno presi in considerazione due autori contemporanei, ovvero Salman Rushdie e Michel Houellebecq. Per il primo ripercorreremo la biografia travagliata e sarà analizzato il suo romanzo più importante, ovvero: I Versi

Satanici, che tanto scandalo ha creato, provocando anche reazioni violente e, in

un caso, mortali. Non mancheremo però anche di accennare all’opera immediatamente successiva, ovvero: L’ultimo sospiro del Moro, testo che riconduce Rushdie nella chiassosa, colorata ma violenta India delle proprie origini.

Per quanto riguarda lo scrittore francese sarà invece analizzato Sottomissione, romanzo uscito in Francia nel 2015, creando immediatamente scalpore, non solo in patria ma in tutta Europa. Ciò anche a causa della sventurata coincidenza che prevedeva l’uscita del libro il giorno seguente all’attentato alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo. L’opera di Houellebecq divenne un caso mediatico anche e soprattutto per le questioni trattate, drammaticamente vicine agli eventi avvenuti.

Così come per Rushdie, anche per Houellebecq parleremo poi del rapporto biografico dell’autore con la religione islamica, utilizzando ampiamente interviste e articoli.

Le idee di questi quattro autori, con le loro rispettive opere, saranno funzionali a indagare e scoprire il modo in cui la letteratura occidentale dipinga e giudichi la mentalità e il comportamento orientale, con costanti e elementi ricorrenti che si possono riscontrare pure tra epoche e contesti così distanti.

L’Orientalismo è, sostanzialmente, un cosmo di idee e ideologie, espresse e trasmesse attraverso una miriade di opere artistiche, siano esse pittoriche, letterarie come in questo caso, cinematografiche, teatrali e altre.

È doveroso quindi riconoscere che l’indagine sul rapporto fra Occidente ed Oriente non può esaurirsi con i testi sopra citati. Per concludere il dibattito fra Occidente e Oriente, e su quali elementi o preconcetti il primo costruisca l’immagine di quest’ultimo non ci basterebbe l’intera letteratura ma dovremmo, appunto, studiare una vasta gamma di opere artistiche.

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Tuttavia è pur vero che tali testi sono stati scelti sia per la loro grandezza letteraria, sia perché su questo tema ragionano in modo costruttivo e rappresentativo del contesto storico in cui sono stati composti. Garantendo quindi un affresco chiaro, e letterariamente eccezionale, del modo di pensare del proprio tempo, con affinità e differenze peculiari che verranno esposte e ragionate.

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2. INTRODUZIONE

Il mondo occidentale si è sempre confrontato con l’oriente in ogni campo e settore, da quello scientifico, a quello economico, politico, sociale, artistico in senso lato e letterario. A noi interessa indagare quest’ultimo campo. Non si tratta però di comparare le rispettive letterature e trovarvi punti di contatto o di scontro, bensì capire come la letteratura europea ed occidentale veda e interpreti l’ ”altro”, nella vasta e generica accezione di Oriente. L’Oriente così inteso non è quindi solo una semplice definizione geografica, bensì un contenitore di comportamenti, idee e luoghi comuni che rientrano sotto l’etichetta dello stereotipo, perlopiù ingiustificato.

Abbiamo detto che non è una definizione geografica; infatti ciò che nella letteratura è stato definito orientale spazia sull’atlante dall’Asia al Medio Oriente fino all’Africa, con una continuità che non solo non tiene conto della geografia, appunto, ma nemmeno delle profonde differenze culturali che incontriamo, non fornendo quindi in letteratura una definizione di “orientale” più precisa della pressappochista “tutto ciò che non è occidentale”.

Infatti come evidenzia Edward Said già nell’introduzione di Orientalismo , 1

l’Oriente, così come l’Occidente, non sono entità geografiche, appunto, bensì il prodotto degli sforzi materiali e intellettuali dell’uomo; d’altro canto bisogna anche tenere conto delle forze storiche che hanno avuto un ruolo fondamentale nel definire tali categorie. Il rapporto fra Occidente e Oriente è anche e soprattutto una questione di dominio, potere ed egemonia, prima di tutto coloniale.

L’Orientalismo è un fattore assieme culturale e politico, in cui l’ideologia politica agisce attraverso i prodotti letterari, eruditi, economici, storiografici e filologici costruendo la diffusione sulla base di un impari confronto egemonico. E. W. Said, Orientalismo, l’immagine europea dell’oriente, traduzione a cura di 1

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L’Occidente si è così imposto, grazie alla sua tendenza imperialistica e colonialista, in molteplici ambiti, dal potere politico a quello tecnologico, da quello culturale a quello linguistico, dai canoni estetici e di gusto ai sistemi di valore, cercando di controllare, colonizzare, l’Oriente e uniformarlo a sé.

Prima di analizzare le opere degli autori scelti, ovvero Giovanni Boccaccio, Torquato Tasso, Salman Rushdie e Michel Houellebecq, e appositamente collocati secondo cronologie diverse, è necessaria una panoramica, anzitutto storica, sul tema ricorrente che le unisce, ovvero la rappresentazione dell’Oriente da parte dell’Occidente europeo e cristiano. Parlo di rappresentazione, in quanto vedremo come l’immagine che viene data da questi testi riguardo all’Oriente non sia una descrizione criticamente accurata, bensì, appunto, una visione condizionata da modelli e sovrastrutture ricorrenti anche in testi cronologicamente distanti fra loro, come quelli presi in esame.

2.1 IL MEDITERRANEO COME LUOGO D’INCONTRO

Se nell’immaginario occidentale l’Oriente ha confini geografici indefiniti e mutevoli, si può però trovare un luogo, sia esso geografico che metaforico, di incontro fra questi due “poli”, ovvero il Mediterraneo.

Il Mediterraneo è un mare crocevia, luogo di incontro per eccellenza, scelto già da Omero ed assoluto protagonista dei testi che verranno analizzati. Tra le quattro novelle scelte dal Decameron di Boccaccio è presente con un ruolo decisivo in tre.

Nella novella VII della Seconda Giornata, il Mediterraneo è il luogo del naufragio di Alatiel, figlia del re di Babilonia, ma anche il luogo delle sue altre peripezie, inoltre è pure il mezzo tramite il quale tornare finalmente a casa e di nuovo imbarcarsi sulla nave che stavolta la porterà veramente dal re del Garbo, suo futuro sposo. Mare quindi come inizio di sciagure, i venti delle passioni fatali incontrate dalla donna e le peripezie, ma anche mare di speranza per il ritorno a casa e il successivo viaggio verso il legittimo matrimonio. Il mare

nostrum è anche e soprattutto presente nella IV novella della Quarta Giornata,

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opera di Gerbino, ma anche la morte della stessa fanciulla. Nella novella IX della Decima Giornata vedremo come il Mediterraneo sarà il luogo in cui il Saladino viaggerà di nascosto verso l’Europa per spiare i preparativi delle armate cristiane, ma anche il luogo dove naufragherà la nave con la lettera di Torello per la futura moglie in cui le scrive di aspettarlo e non darlo per disperso. Anche in questo caso il mare è luogo di viaggi, aspettative e speranze infrante. Passando alla Gerusalemme Liberata vedremo il Mediterraneo come un mare in guerra, strada per le crociate in Terra Santa e crocevia di soldati cristiani e infedeli.

Infine analizzando Rushdie e Houellebecq ci accorgeremo come il Mediterraneo è una sorta di spartiacque fra l’Europa occidentale, laica ma cristiana, e un Oriente islamico e totalitario. Un confine però non invalicabile, infatti in

Soumission Houellebecq mostrerà un Islam che ha ormai messo le radici in

Europa, in special modo in Francia, conquistando tramite la politica le istituzioni occidentali e plasmandone a proprio vantaggio una fragile e decadente democrazia.

Secondo l’interessante definizione di Fernand Braudel il Mediterraneo è uno spazio “eteroclito” , un mare-Fortuna che decide a suo piacimento le sorti di chi 2

vi entra in contatto, sia in modo puramente geografico, sia culturale. Il Mediterraneo come luogo di incontro, quindi, di confronto con l’Altro che spesso è filtrato da vicendevoli stereotipi.

Raffaele Girardi , riflettendo sul tema del Mediterraneo come spazio di incroci e 3

contaminazioni culturali, afferma che in Occidente è nata un’immagine complessa e perturbante dell’Altro causata dalla carenza di strumenti idonei a fissare una plausibile misura della diversità, un’apparente inconciliabilità di temi e destini.

Ciò che viene scritto dall’Occidente sull’Oriente è frutto di un interesse sempre attuale verso le regioni mediterranee viste come più esotiche e sconosciute, narrazioni che cercano di razionalizzare e spiegare la propria idea di oriente; non l’oriente in sé, questo è il nocciolo della questione.

F. Braudel, La Méditerranée, Flammarion, Paris, 1985; trad. it. Bompiani, Milano, p. 9. 2

R. Girardi, Raccontare l’Altro - L’Oriente islamico nella novella italiana da Boccaccio a 3

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Fondamentalmente per la cultura occidentale narrare l’Altro è sempre stato visto come una sfida ai propri modelli mentali, una validazione della propria razionalità. Quasi come se l’europeo effettuasse una sorta di stress test del proprio sistema di valori cercando il confronto, lo scontro con un modello, più immaginario che reale, ritenuto polarmente opposto al proprio. Ecco così che l’Oriente, come vedremo più avanti, diventa un contenitore di simboli, ansie e paure occidentali avvolte nella penombra del culturalmente ignoto e del geograficamente lontano.

In definitiva il Mediterraneo è il luogo metaforico di un’autoanalisi occidentale, spesso della contaminazione e dell’ibridazione, come emergerà nei testi qui esaminati.

2.2 RADICI STORICHE

I contatti artistico - letterari fra Europa ed Asia, prima ancora che fra le nostre categorie di Occidente ed Oriente, si perdono ovviamente nella notte dei tempi. Abbiamo già citato il Mediterraneo che ha sicuramente avuto un ruolo chiave nel contatto commerciale e culturale fra l’Europa e l’Asia fin dai tempi più remoti, agendo come zona neutrale di confine e di contatto, di scambio e di scontro fra i popoli che congiungeva.

Anche se cronologicamente distante dagli esempi riportati in questo lavoro, può essere utile come punto di partenza della nostra indagine un accenno alla cultura greca classica; prendiamo la prima tragedia ateniese a noi pervenuta, i

Persiani di Eschilo, e l’ultima, le Baccanti di Euripide. Tramite il coro Eschilo

mette in scena il senso di impotenza e di disfatta nel momento in cui i persiani apprendono che la loro armata, guidata dall’imperatore, è stata sconfitta dai greci. L’Europa è vista quindi come trionfante; di contro, all’Asia, mondo ostile e “altro” al di là del mare, sono attribuiti lutto e distruzione, inevitabili conseguenze della sfida lanciata all’Europa. All’Asia, alla Persia, è inoltre associato il sentimento di rimpianto per un glorioso passato in cui era riuscita a vincere i nemici.

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Nelle Baccanti Dioniso è esplicitamente legato all’Asia, sia per le proprie origini, sia per i misteri orientali per i quali è venerato. Penteo, non avendogli riconosciuto divinità e potere, si scontra con Dioniso, accorgendosi troppo tardi della tremenda potenza del dio che agisce per mezzo delle baccanti. Le caratteristiche dell’Oriente, che nei due drammi lo differenziano dall’Occidente, rimarranno fondanti nello stereotipo che ha l’Europa riguardo all’Asia. La prima è civilmente strutturata, la seconda luttuosa e sconfitta. Eschilo dà voce all’Asia per mezzo dell’anziana regina persiana, la madre di Serse, mentre Atene è l’emblema dell’egemonia occidentale, sia essa civile che militare. D’altro canto si ravvisa in entrambi i drammi il tema della pericolosità orientale, dell’insidia del diverso e dell’alterità. La razionalità occidentale è indebolita fin dalle fondamenta dalla propensione orientale per l’eccesso e il misterioso, oscuramente attraente, che si offre come alternativa ai valori considerati normali.

Secondo Said, che affronta anche questo tema nel primo capitolo di

Orientalismo , la tesi che Euripide vuole esporre è drammaticamente 4

rappresentata in scena dai due anziani sapienti, Cadmo e Tiresia, consapevoli della prudenza necessaria con cui bisogna valutare la forza del potere straniero, con il quale è utile e indispensabile giungere a compromesso. I misteri orientali, continua Said nel suo saggio, sono dunque da prendersi molto sul serio, se non altro perché rappresentano una sfida positiva alla razionalità occidentale la cui mentalità può aprirsi verso nuove prospettive.

Dopo i greci, sarà Alessandro Magno a lasciarsi ammaliare dai tesori orientali e più tardi ancora i Romani che etichetteranno come “orientale”, in un’accezione negativa, prima la cultura greca e in seguito i Parti, l’Egitto e il medio oriente. Anche Roma dovrà quindi scontrarsi non solo militarmente ma anche e soprattutto culturalmente con l’oriente, vicino e lontano, in un costruttivo confronto che le permetterà di diventare una civiltà cosmopolita.

Questa premessa, seppure lontana cronologicamente con i temi trattati, ritengo sia inevitabile per mostrare come la nostra cultura europea, fin dalle sue origini greco-romane, sia cresciuta nel confronto con l’oriente e in esso abbia trovato

E. W. Said, Orientalismo, l’immagine europea dell’oriente, pp. 37 e sgg. 4

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lo stesso humus culturale e gli stessi stereotipi che verranno rielaborati anche in seguito nei testi e negli autori qui trattati.

Un confronto che quindi si basa fondamentalmente su temi uguali e schematizzati nella loro essenzialità, oriente irrazionale e occidente razionale, oriente spirituale e occidente materiale, ma ricorrenti, in cui cambia solo il contesto storico.

Dopo questa premessa, bisogna fare un salto in avanti e scendere più nel dettaglio per capire cosa sia l’Orientalismo, conviene risalire fino al XIV Secolo. L’inizio dell’Orientalismo come disciplina accademica si può far coincidere con il Concilio di Vienne del 1312, nel corso del quale fu decisa l’istituzione di una serie di cattedre di “arabo, greco, ebraico e siriaco a Parigi, Oxford, Bologna, Avignone e Salamanca” . 5

Facendo un ulteriore balzo in avanti giungiamo a XVIII Secolo, durante il quale una serie spedizioni esplorative degli Europei intorno al globo permisero di conoscere l’Oriente ben oltre i territori islamici.

Queste scoperte geografiche, vere e proprie imprese avventurose per l’epoca, vennero accompagnate dalla pubblicazione di diari di viaggio, dai resoconti mirabolanti e spesso favoleggianti, dei luoghi visitati, a vere e proprie pubblicazioni scientifiche e studi sulle tradizioni e i costumi dei popoli lontani. Tutto ciò contribuì ad arricchire e ridefinire l’immagine dell’Oriente per i lettori occidentali.

L’approccio al diverso e all’esotico divenne più critico e meno soggetto a pregiudizi ingiustificati, anche grazie al contributo degli storici che iniziarono a confrontare il passato e il presente dell’Europa con quello di altre civiltà, lontane nello spazio e nel tempo.

Spesso vennero addirittura utilizzate fonti orientali, come ad esempio la traduzione del Corano ad opera di George Sale (1697-1736) . Quest’ultimo fu 6

un orientalista e avvocato inglese, educato alla King’s School di Canterbury, quindi anch’egli, come sarà Said, figura di intellettuale ibrido, teso fra due

R. W. Southern, Western views of Islam in the Middle Ages, Harvard University Press, 5

Cambridge, 1962; p. 72.

P. M. Holdt, The treatment of Arab history by Prideaux, Ockley and Sale in historians 6

of the Middle East, a cura di B. Lewis e P. M. Holdt, Oxford University Press, London,

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culture. La sua iniziativa di traduzione fu un’operazione quasi rivoluzionaria dal punto di vista letterario, in quanto si basò quasi unicamente su fonti arabe, per ricostruire gli eventi storici e diede largo spazio ai commentatori musulmani del testo sacro dell’Islam.

A partire dal Settecento quindi, il concetto di Oriente si allargò geograficamente sempre di più, spostando i limiti tradizionali, ovvero i territori islamici e in generale quelli biblici, sempre più in là verso l’India, la Cina, il Giappone, i sumeri, e indagando religioni e filosofie considerate esotiche come il buddismo, l’animismo, lo zoroastrismo.

In questi studi, dal respiro più ampio, non vennero eliminati del tutto i pregiudizi e il senso di superiorità propri dell’Occidente, però almeno si iniziò ad avere una visione più critica e storica delle culture analizzate. Così ad esempio Maometto venne studiato da Edward Gibbon , nel suo The history of the decline and fall of 7

the Roman Empire, come un personaggio storico che aveva influenzato le

vicende europee, non più come un profeta diabolico e falso, un infedele un po’ stregone e un po’ mago. Vedremo più avanti, nel capitolo 2.5, come il profeta dell’Islam è stato descritto e giudicato da Dante, nella Divina Commedia.

L’Ottocento provocò, a mio avviso, dei passi indietro nell’approccio critico alla “materia orientale”. È infatti in coincidenza con l’invasione napoleonica dell’Egitto nel 1798, praticamente alle porte del XIX Secolo, che Said pone l’inizio del moderno imperialismo globale e coloniale dell’Occidente nei confronti dell’Oriente.

Il filosofo e filologo Joseph Ernest Renan (1823-1892) viene citato da Said come esempio di studioso dalle idee antisemite e razziste, le cui teorie sui semiti e orientali, sfociano in generalizzazioni culturali che avevano però iniziato ad indossare la maschera dell’enunciato scientifico, in trattati comparativi che non erano solo puramente descrittivi, ma anche e soprattutto valutativi, utilizzando come metro di giudizio preconcetti e stereotipi. Basta un rapido sguardo ad una citazione di Renan per capire come durante l’Ottocento si è paurosamente tornati indietro rispetto alle descrizioni critiche, accurate e precise, se vogliamo, del secolo dei lumi.

E. W. Said, Orientalismo, l’immagine europea dell’oriente, p. 123. 7

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“Ognuno vede come in tutti gli aspetti la razza semitica si riveli una razza incompleta, in virtù della sua semplicità. Questa razza, se mi è consentito ricorrere ad un’analogia, sta alla famiglia indoeuropea come uno schizzo a matita sta al quadro vero e proprio; le mancano quella varietà, ampiezza e abbondanza di vita che sono le condizioni della perfettibilità.

Come quegli individui interiormente così poco fecondi da conseguire, dopo una promettente fanciullezza, una maturità affatto mediocre, le nazioni semitiche hanno conosciuto una splendida fioritura all’inizio della loro storia, ma non sono pervenute alla piena maturità8

È evidente come testi del genere siano colmi di esempi che ai nostri occhi risultano quanto meno bizzarri. I giudizi ci appaiono arbitrari, dovuti più a suggestioni e pregiudizi da parte dell’autore piuttosto che a studi critici e storici, eppure testi del genere all’epoca riscuotevano consenso ed erano ritenuti autorevoli.

Se Renan si era scagliato contro l’ebraismo, François René de Chateaubriand si scagliò invece contro l’Islam. Sembrano più lontani di un secolo gli anni in cui Sale effettuava un’edizione critica straordinaria del Corano, cui si è poco fa accennato, nel momento in cui Chateaubriand definì il testo sacro dell’Islam unicamente come:

“il libro di Maometto” che non conteneva “alcun principio di civiltà né precetti che potessero elevare gli animi […] quel libro non predicava né l’odio per la tirannia né l’amore per la libertà9”.

Per lo scrittore francese, l’Oriente era come una tela decrepita in attesa degli interventi occidentali di restauro e l’arabo come un uomo, un tempo civile, ora ricaduto nella barbarie. Il pensiero di Chateaubriand pretende di essere rivestito da un’aura cristiana, la sua idea di conquista è sovrapponibile a quella di una

J. E. Renan, Oeuvres completes, ed. a cura di H. Psichari, Calmann-Lévy, Paris, 8

1947-1949; vol. 8, p. 156

F. R. de Chateaubriand, Oeuvres complètes, ed. a cura di B. Didier, Honoré 9

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sorta di liberazione e, oseremmo dire, di evangelizzazione. Gli orientali hanno bisogno di essere conquistati , di redenzione, a suo dire. 10

Oltre che con un antisemitismo, un anti islamismo e più in generale un razzismo, serpeggiante, nel XIX Secolo l’Oriente dovette fare i conti con il Romanticismo. In Orientalismo è considerato un tratto caratteristico dell’orientalismo romantico l’idea che l’Europa dovesse rigenerare un’Asia decadente e decaduta, una vera e propria missione.

È qui evidente il connubio di egemonia culturale e potere cui si è fatto cenno poco fa, infatti questa rigenerazione sarebbe passata inevitabilmente attraverso la conquista coloniale da parte dell’Occidente delle, presunte, incivili terre d’Oriente.

L’Europa doveva farsi carico di esportare ed imporre la propria cultura in virtù della propria, supposta, superiorità storica, tecnologica e politica, de-orientalizzando, o occidentalizzando, l’Oriente. In sostanza era diffusa l’idea che la civiltà fosse una sola, quella occidentale, e che l’uomo bianco avesse l’onere e il dovere di insegnarla al resto del mondo, in particolare ai popoli orientali, visti come indolenti e incivili.

Nel capitolo successivo si metteranno sotto la lente di ingrandimento le istanze dell’Orientalismo, e in generale della percezione dell’Oriente da parte dell’Occidente, nella società contemporanea; tuttavia, per completezza, è necessario già accennare al XX Secolo.

Durante il Novecento, dopo la Seconda Guerra Mondiale, senza addentrarci nella questione palestinese-israeliana, nelle fantasticherie sull’Oriente la figura prevalente è quella dell’arabo, arbitro del prezzo del petrolio, ad esempio, quindi figura sospettosa e temuta, ma anche, nell’immaginario occidentale, incarnazione di valori civili negati.

Dall’altro lato l’Occidente è incarnato dagli Stati Uniti che hanno soppiantato le potenze europee nell’egemonia mondiale. Pare così che il confronto si sia appiattito sempre più sull’antagonismo fra America e Islam, esasperandosi negli ultimi anni con i ben noti attacchi terroristici in Occidente e le guerre in Medio Oriente.

E.W. Said, Orientalismo, l’immagine europea dell’oriente, p. 174. 10

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Questi ultimi eventi richiederebbero argomentazioni più ampie che, se affrontate, farebbero divagare dall’argomento di indagine questo lavoro. Ne è tuttavia necessario l’accenno in quanto è evidente come l’ultimo testo che cronologicamente verrà affrontato, Soumission, abbia trovato in questo contesto storico un terreno fecondo per nascere, e difatti il romanzo verrà analizzato proprio in relazione al tempo contemporaneo, in modo da osservare da vicino lo sviluppo della questione orientale ai giorni nostri.

2.3 L’ORIENTALISMO OGGI

La globalizzazione del XXI Secolo si trova a dover gestire una gran quantità di materiale umano, intellettuale ed artistico. Pertanto, tende inevitabilmente a generalizzare e a categorizzare, quindi ad essenzializzare, i tratti culturali, sempre sfumati e mai definiti, di gruppi umani o nazioni.

Said, in Orientalismo , afferma che in realtà l’identità di “sé” e di “altro” è 11

sostanzialmente liquida, quindi mutevole e variabile a seconda di determinati contesti, su tutti quello storico. Questo perché il bagaglio identitario di “noi” e “altro” si costruisce sulla base di idee, stereotipi e pregiudizi soggettivi, e direi anche emotivi, che variano col succedersi delle generazioni; ogni epoca e società ri-crea i propri “altri”.

L’identità, quindi, non è una condizione statica, bensì un processo storico in continuo divenire, influenzato da, e che a sua volta influenza, società e politica, costruendosi nel dibattito fra persone e istituzioni, queste ultime da intendersi come la somma dei tratti identitari degli individui che le compongono. L’identità umana, continua Said, non è quindi naturale e stabile, ma il prodotto di una costruzione, spesso anche radicalmente inventata e variabile.

Dal secondo dopoguerra ad oggi il dibattito culturale fra Occidente ed Oriente si è manifestamente polarizzato attorno alla dicotomia che vede opposte la cultura laica, ma con radici cristiane propria dell’Occidente, e l’Islam.

Da queste premesse tuttavia il terreno di scontro si porta ben al di là del contesto religioso, in quanto l’Occidente attribuisce a sé valori che hanno radici

E.W. Said, Orientalismo, l’immagine europea dell’oriente; p. 300 11

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nel Cristianesimo, la laicità delle istituzioni e propugna come propri emblemi la democrazia, la libertà di pensiero ed espressione e l’eguaglianza. Di contro, si tende ad attribuire all’Islam il totalitarismo religioso dei Paesi con regimi islamici, la repressione delle libertà individuali e una profonda disuguaglianza di genere, con la donna stereotipicamente sottomessa all’autorità patriarcale. Bisogna poi considerare che il concetto di Occidente si è esteso, lasciando decadere l’impronta eurocentrica, con l’avvento, prepotente sulla scena mondiale, degli Stati Uniti. Gli USA, dal dopoguerra ad oggi, hanno sicuramente soppiantato Francia e Gran Bretagna nel palcoscenico internazionale e nei legami con le colonie, con le quali più che rapporti di potere politico e amministrativo, tipici della dominazione europea, intrattengono interessi di stampo economico.

Nell’ultima parte del libro Said traccia il modo in cui la visione dell’arabo da 12

parte degli americani sia stata studiata quasi a tavolino e come sia cambiata nel corso degli anni. La figura dell’arabo, dipinto dai media nell’immaginario collettivo americano con l’abbigliamento del nomade a dorso di cammello, mutò notevolmente dopo la crisi energetica del 1973. Da quel momento assunse connotati più minacciosi, venendo sovente ritratto come uno sceicco in atteggiamento imperioso di fianco ad una pompa di benzina. I tratti divennero poi marcatamente semitici, con sguardo torvo, naso adunco e folte sopracciglia corvine; in sostanza una figura fortemente negativa che, gestendo il prezzo del greggio, ricattava a proprio piacimento l’Occidente.

Fino a non pochi anni fa, e con echi che si avvertono tutt’oggi, i testi accademici sulla materia orientale prodotti e fruiti negli USA erano colmi di giudizi arbitrari, ascientifici e pregiudiziali. In tal proposito è interessante leggere due estratti da

Modern Islam: The Search for cultural identity , opera di Gustav Edmund von 13 Grunebaum, orientalista austriaco che lavorò sia alla University of Chicago che alla University of California a Los Angeles.

“È essenziale comprendere che la civiltà musulmana è un’entità culturale che non condivide le nostre aspirazioni fondamentali. Non ha interesse per lo studio scientifico

E.W. Said, Orientalismo, l’immagine europea dell’oriente; pp. 281 e sgg. 12

G. von Grunebaum, Modern Islam, The Search for Cultural Identity, Vintage Books, 13

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delle altre culture, vuoi come fine a se stesso vuoi come strada per una migliore comprensione di sé e della propria storia.

Se ciò dovesse rivelarsi valido solo per l’Islam contemporaneo, si potrebbe essere tentati di considerarlo una conseguenza della condizione di profondo turbamento nella quale oggi esso si trova e che non gli permette di guardare al di là di se medesimo a meno di esservi costretto.

Ma essendo valido anche rispetto al passato, è forse più corretto tentare di connetterlo col fondamentale antiumanesimo di questa civiltà, vale a dire la sua tenace opposizione ad accettare, sia pur parzialmente, l’uomo come arbitro e misura di ciò che lo circonda, e la tendenza ad accontentarsi della verità come descrizione di strutture mentali o, in altre parole, ad accontentarsi di verità psicologiche.”

"Il nazionalismo arabo o islamico manca, a dispetto del suo occasionale uso come slogan, del concetto di diritto divino di una nazione, manca di un’etica formativa, e manca anche, a quanto pare, della fede tardottocentesca in un processo tecnologico; soprattutto manca di vigore intellettuale. Tanto il potere quanto la volontà di possederlo sono fini a se stessi. Il risentimento per le offese politiche genera impazienza e impedisce a livello teorico l’analisi e la pianificazione a lungo termine.” 14

Testi come questi erano considerati ortodossi, nonostante il peccato d’origine, in quanto considerano l’Islam come un’unica entità monolitica e immutabile, senza evidenziare le differenze organiche al suo interno. Una visione di tal tipo è indubbiamente non imparziale e anzi politica, e rientra senz’altro nel filone di testi criticati da Said, in quanto non offre altro se non la costruzione di un’immagine dettata da stereotipi e idee del tutto lontane dalla realtà.

Grunebaum non è però l’unico a produrre scritti con argomentazioni soggettive presentate nella veste di dogmi e verità obiettive. Vale la pena citare un passo tratto da Temperament and Character of the Arabs di Sania Hamady. 15

“Gli arabi si sono sinora dimostrati incapaci di disciplina e di unità d’intenti. Si abbandonano a ondate collettive di entusiasmo ma non perseguono pazientemente obiettivi specifici comuni, anzi, questi in genere sono poco sentiti. Rivelano mancanza di armonia e coordinazione nell’organizzazione e nelle funzioni, e non sembrano avere

G. von Grunebaum, Modern Islam, The Search for Cultural Identity; pp. 55, 261. 14

S. Hamady, Temperament and Character of the Arabs, Twayne Publishers, New 15

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alcuna attitudine alla cooperazione. L’idea di un’azione collettiva finalizzata al beneficio comune o all’aiuto reciproco è estranea alla loro mentalità.16

Un testo del genere manca completamente di riferimenti scientifici ed antropologici che ne supportino le affermazioni, o per meglio dire i giudizi, scaturiti più dalle convinzioni personali dell’autrice che da ricerche effettuate. Già la parola “arabi” è di per sé una generalizzazione di popoli assai diversi fra loro. Lessicalmente parlando poi, verbi come “dimostrare”, “rivelare” e “apparire” sono utilizzati a sproposito, in quanto manca loro l’oggetto, ovvero, gli arabi si dimostrano verso chi? Si rivelano a chi? Sembrano a chi?

Eppure Sania Hamady, quando pubblicò il suo libro nel 1960, era una professoressa dell’Università di Miami in Florida, con dottorato di ricerca in filosofia, quindi una fonte piuttosto autorevole.

A dispetto di ciò però Hamady sostanzialmente, e in modo riduzionistico, tratta coloro che definisce “arabi” come un materiale inerte a cui applicare etichette, nel tentativo di definire ciò che nell’immaginario occidentale non riesce a definirsi da solo.

È anche questo un punto di critica su cui si rifletterà nel prossimo capitolo: la letteratura occidentale vuol farsi carico di costruire una rappresentazione dell’Oriente perché ritiene che l’Oriente stesso non voglia per inerzia, o semplicemente non sia riuscito, a dare un’immagine, moderna, di sé. Come se mancasse alla base un impianto di ideologie, letteratura, arte, … finalizzate a giustificare l’esistenza stessa dei popoli e della cultura orientale. Da ciò l’affannoso tentativo della letteratura orientalista di categorizzare un “Altro”, sfuggente, nascosto e ancora incompreso.

Said chiude la questione riguardo l’Orientalismo odierno affermando che, sebbene molti stereotipi e pregiudizi non siano stati abbandonati e non siano decaduti dall’immaginario comune, oggi si ha perlomeno una visione più critica di questi difetti di giudizio.

Consensualmente, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, ovvero quando tale opera venne pubblicata, si aveva finalmente la percezione che tutto ciò non fosse uno status immutabile, bensì un’esperienza storica il cui fine era a

Ivi, p. 160. 16

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portata di mano. Oggigiorno tuttavia la situazione sembra essere precipitata e ben lontana dall’ipotizzata, e sperata, conclusione. Gli eventi storici più recenti vedono inasprirsi i rapporti fra Occidente e Oriente, con il primo che si barrica sempre più dietro le proprie frontiere, culturali e politiche, per proteggersi da una civiltà, quella araba, vista come pericolosa e violenta, ormai identificata nella figura dell’attentatore fondamentalista. Se negli anni ’70 la figura stereotipata dell’arabo era quella dello sceicco di fianco alla pompa di benzina, oggi, nell’immaginario comune, è quella dell’attentatore armato che sventola la bandiera dell’IS . 17

Basta ciò per capire quanto la rottura fra Occidente e Oriente sia profonda e, contrariamene a quanto sosteneva Said, insanabile nel breve periodo. D’altro canto si può notare come taluni paesi arabi stiano per proprio conto occidentalizzando l’Occidente, in un’operazione speculare a quella qui trattata. Nel loro immaginario Europa, Stati Uniti e Israele rappresentano, seppur in gradi diversi e con sfumature peculiari, l’incarnazione di un’ideologia, quella consumistica e imperialista, da combattere ed estirpare perché egemone e dominante, prima di tutto militarmente.

2.4 L’OCCIDENTE E L’ASIA: GENESI LETTERARIA

Nel capitolo 2.6 verrà approfonditamente analizzato il rapporto fra Dante e l’Oriente, prendendo in esame il trattamento che riserva l’autore a Maometto nella Commedia. Si passerà da Boccaccio a Tasso, poi, per la contemporaneità, da Rushdie a Houellebecq. Tuttavia è fondamentale prendere in esame anche altri capisaldi della letteratura, opere che hanno lavorato attivamente sulla “materia orientale” contribuendo a creare quel bagaglio di istanze e caratteristiche proprie dell’orientalismo.

l’Italia è sempre stato il crocevia geografico per l’Oriente, non solo, come abbiamo visto, mediorientale e arabo, ma anche verso l’Asia e le Indie. Lo

Acronimo di Islam State, noto anche come ISIS, ovvero l’autoproclamato Califfato 17

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storico Jacques Le Goff definisce la Penisola “la porta dell’Oriente” , fin dal 18

Medioevo:

“Ma l’Italia […] la solcano anche importanti itinerari commerciali. Infatti essa ha un suo preciso ruolo nell’articolazione dei rapporti fra Occidente ed Oriente, tra Islam e la Cristianità: protesa nel Mediterraneo, funge da tramite tra i mondi e le diverse culture che si affacciano su questo mare.

Intermediaria nel flusso delle merci e dei beni, anzitutto, ma anche nella diffusione dei morbi e delle conoscenze. Stoffe pregiate giungono dal’Oriente insieme a preziose reliquie, antichi manoscritti, abominevoli eresie e pestilenze.

La penisola assimila, metabolizza questi apporti, e diffonde in ogni parte del mondo missionari, intellettuali, mercanti e artisti” . 19

Il contatto con l’alterità orientale può essere fonte di contagio non solo culturale ma anche epidemico, come le due pesti che gli italiani introducono in Europa dall’Oriente, nel 542, ai tempi di Giustiniano, e nel 1348, quest’ultima portata dalla Crimea attraverso le navi genovesi.

L’interesse europeo per l’Asia è sempre stato molto alto, non solo a causa dei suddetti motivi commerciali, ma anche per l’importazione di filosofie, ideologie, eresie e culti misterici. Il contenitore letterario di questi scambi umani sono sicuramente i resoconti di viaggio e i diari di mercanti e missionari.

Tzvetan Todorov afferma che i letterati europei apprendono le notizie su 20

popoli esotici o attraverso racconti di cui sono autori i viaggiatori stessi, oppure tramite cronache orali di autori rimasti sul posto. Paradossalmente, continua, i racconti precedono, e incentivano, i viaggi. Todorov ci dice che i racconti di viaggiatori si contano a centinaia in ogni paese europeo e l’interesse del pubblico verso di essi, meglio ancora se conditi da particolari fantasiosi e sensazionali, era elevato fin dall’alto Medioevo.

Ma la cosa più importante è che a questa eterogenità geografica dei racconti, si è aggiunta, durante il Rinascimento, negli europei, una consapevolezza della propria eterogeneità storica: cominciano a riconoscersi figli di due identità

J. Le Goff, Il Bel Medioevo, a cura di Francesco Sircana, Einaudi, Torino, 1974. 18

Ivi, pag. 205, cap. XII 19

T. Todorov, Viaggiatori e indigeni, cap. contenuto in L’uomo del Rinascimento, a cura 20

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distinte, da un lato quella greco-romana, dall’altro quella giudaico cristiana. Questo, secondo Todorov è il prodotto più interessante di questa apertura geografica, cui segue un’apertura culturale verso l’esotico.

Fra le innumerevoli figure di viaggiatori, almeno due vanno messe in rilievo in questo paragrafo, il primo è l’autore del Milione, Marco Polo, mercante veneziano che dettò la storia delle proprie avventure, assieme al padre e allo zio, a Rustichello da Pisa, il quale le mise per iscritto probabilmente nel 1298, sicuramente dopo il 1295.

L’intera opera narra il viaggio di Polo in Oriente, riportando informazioni su città, battaglie e costumi; ma la parte centrale del libro è focalizzata sulla corte del Gran Khan, capo politico dei Mongoli, dal quale giunse nel 1275. Attorno a questa vera e propria impresa geografica, (fu inoltre il primo a trasmettere in Occidente notizie sul Giappone), vi era un alone di leggendario e fantastico, che determinò sicuramente la fortuna dell’opera.

Polo conosceva diverse lingue orientali, non il cinese ma sicuramente il persiano, lingua franca in Asia. Questo fatto, unito alle sue grandi capacità affaristiche e diplomatiche, lo rese uomo di fiducia del Gran Khan, tanto da diventarne ambasciatore privilegiato; forse fu perfino governatore per tre anni della regione dello Yang-chou . 21

Ciò lo portò a viaggiare in lungo e in largo in Cina e nelle vaste terre asiatiche, osservando usi e costumi, riportando racconti e leggende, spesso anche descrivendo luoghi non visitati di persona ma sulla base di testimonianze, perlopiù fantasiose e poco credibili. Quest’ultima peculiarità potrebbe forse non essere apprezzata da un lettore moderno, avvezzo al realismo cronachistico, ma dobbiamo ricordarci del contesto storico in cui i racconti di Polo si diffusero, ovvero un Occidente medievale ancora favoleggiante nel descrivere terre ignote e lontane.

Marcello Ciccuto, nell’Introduzione all’edizione Rizzoli del 1981 del Milione , ci 22

dice che l’Oriente si offriva al pubblico medievale europeo come il mondo delle utopie, uno spazio “altro”, sicuramente attraente, influenzato e plasmato Provincia corrispondente all’odierna regione dello Jiangsu (in cinese: 江蘇, 江苏), 21

collocata lungo la costa est della della Repubblica Popolare Cinese, di cui oggigiorno fa parte.

M. Polo, Il Milione, Introduzione e note a cura di M. Ciccuto, Rizzoli, Milano, 1981 22

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dall’esuberanza fantastica medievale. Questa indeterminatezza era senza dubbio causata dalle approssimative cognizioni medievali sulla geografia orientale, tant’è che per lungo tempo, continua Ciccuto, ci si basò ancora sui resoconti di viaggiatori antichissimi come Erodoto. L’immagine europea del mondo era ancora endocentrica e, ad esempio, leggende come quella di Giovanni Marignolli , il quale narra che i corsi d’acqua del Caucaso 23

provengono direttamente dal Paradiso Terrestre, è ancora viva decenni dopo i viaggi di Polo. Da ciò ben si capisce come chiunque si avventurasse in Asia venisse considerato un esploratore del fantastico, un viaggiatore che si muoveva in terre immerse in leggende e utopie, prima ancora che pregiudizi e stereotipi, alimentate dall’immaginario medievale e cristiano.

In sostanza, Marco Polo seppe molto bene coniugare la propria identità veneziana, più che occidentale, a quella asiatica, sicuramente perché nato e cresciuto in una famiglia di mercanti, in cui l’immedesimazione nell’altro, la vocazione per il viaggio e l’apertura alla comprensione di nuove culture e lingue erano prerogative imprescindibili per quello che era, non solo un mestiere, ma una vera e propria missione di vita.

Altro viaggiatore di primaria importanza per il suo legame con l’Oriente è Matteo Ricci. Missionario gesuita, nacque a Macerata nel 1552 e morì, tra gli onori, a Pechino nel 1610. Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella

Cina , noto anche come Commentari della Cina, è la sua opera più importante 24 ed emblematica, tradotta in latino, e conosciuta in Europa grazie al sacerdote Nicholas Trigault. Ricci fu sì un dotto gesuita, ma i suoi viaggi e le su intenzioni non si appiattirono unicamente su questioni religiose ed evangeliche.

Egli tradusse in cinese le opere di Euclide, perfezionò le conoscenze astronomiche dei cinesi e costruì per loro orologi e mappamondi aggiornati, a fronte di “soli” duemila, circa, cinesi convertiti al cristianesimo, alla morte di Ricci. Fu anche, e forse soprattutto, per questo che le sue azioni non riscossero particolare consenso presso la curia papale, tanto che, come ci riporta la

A. Scafi, Il Paradiso in terra - Mappe del Giardino dell’Eden, Mondadori, Milano, 23

2007; p. 207

M. Ricci, Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina, ed. a cura 24

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Prefazione dell’edizione citata in nota a cura di Filippo Mignini , pare che a 25

Roma si perse traccia del manoscritto dell’opera e il suo metodo di evangelizzazione fu criticato aspramente durante il Settecento. Queste sono le cause, sempre secondo Mignini, per le quali quest’opera rimase per gran tempo nel cono d’ombra della letteratura di viaggio orientale, pur non essendo inferiore al Milione di Marco Polo, ad esempio. La Chiesa si ravvederà sul suo conto soltanto nel 1939 con papa Pio XII, dopo che nel 1911 il manoscritto venne finalmente pubblicato.

La postura mentale assunta da Ricci è quella dello studioso che più avanti definiremo go between, dell’intellettuale di frontiera, dello studioso che si immerge nella cultura che incontra e da essa si lascia travolgere. Egli stesso si fa cinese, si immedesima totalmente nell’alterità per comprenderla a fare di sé un ponte interculturale, tanto da dare la seguente definizione di se stesso “Mi sono fatto barbaro per amore di Cristo” . 26

Mignini afferma che l’impegno missionario di Ricci non è tuttavia costituito solo dalla predicazione della fede religiosa e della dottrina morale espressa in sentenze. Ricci deve trasmettere una fede fortemente strutturata in una forma organica di civiltà, che possiamo chiamare civiltà cristiana.

Ecco che quindi, almeno nelle intenzioni, sarebbe dovuto essere un ambasciatore dell’Europa cristiana, ma nei fatti si scoprì molto più influenzato dalla cultura orientale di quanto egli stesso la avesse influenzata. Ricci fonda la propria strategia missionaria sull’accettazione e valorizzazione del confucianesimo antico che, nella sua interpretazione, avrebbe conosciuto la dottrina di un Dio riconducibile a quello della tradizione giudaico-cristiana e avrebbe favorito l’assimilazione di precetti morali perfettamente coerenti con quelli della morale cristiana.

Il suo rapporto con l’altro si struttura anche su una completa conoscenza del taoismo e del buddismo, tanto da definire quest’ultimo una religione, o filosofia, sostanzialmente atea. In definitiva, è evidente come la sua esperienza con l’altro sia stata sapientemente articolata nel comune campo della laicità morale, Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Macerata, tra il 2001 25

e il 2011 ha diretto l’Istituto Matteo Ricci per le relazioni con l’Oriente.

M. Ricci, Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina; 26

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cercando principii comuni e condivisi. In questo sta quindi la grandezza del suo esempio, nella non imposizione di una cultura, ma nel dialogo e nella capacità di immedesimazione di chi lo conduce.

In conclusione, bisogna chiederci come mai la testimonianza di Ricci non sia stata immediatamente accolta dalla Chiesa. Eugenio Garin afferma che la 27

scuola dei Gesuiti, ordine dal quale Ricci proviene, era molto severa nella missione che un buon cristiano doveva compiere verso l’altro. Da una parte rivestì di toni classicheggianti il Cristianesimo, recuperando l’uso del latino, dall’altra avvertiva la necessità di convertire gli eretici in Europa e i pagani nel resto del mondo.

Alla luce di ciò possiamo ben comprendere che la figura di Ricci fu borderline rispetto al proprio ordine, egli non si curò più di tanto di convertire gli orientali, quanto invece di comprendere la loro religione e i loro usi, in uno scambio culturale che agli occhi dei suoi superiori risultò sicuramente sovversivo e pericoloso.

Le Goff ci ricorda che l’Occidente, a partire dal Medioevo, ha avuto due grandi 28

serbatoi onirici, ovvero il mondo celtico con il fortunato filone arturiano, e l’Oriente, nella fattispecie l’India. Lo storico francese individua in quest’ultima regione la porta delle fantasie europee verso l’Oriente fin dai viaggi e dalle conquiste di Alessandro Magno ( 336-323 a. C. ), creando questa immagine dell’India come zona franca dalla razionalità, in cui il meraviglioso si intreccia al terrificante.

Tuttavia le fonti medievali attinsero anche alla Historia Naturalis di Plinio il Vecchio ( 23-79 d. C. ), mediata da un lungo compendio del retore latino Solino, del III Secolo d. C. nelle sue Collectanea rerum memorabilium.

Dall’India quindi, anche grazie a missionari e viaggiatori, il fantastico si estenderà nel Medioevo a tutta l’Asia, scrigno di leggende e racconti fantastici per i secoli avvenire.

E. Garin, L’educazione in Europa (1400 - 1600), Laterza, Bari, 1957; pp. 212-214 27

J. Le Goff, Un lungo Medioevo, trad. a cura di M. Giovannini, Edizioni Dedalo, Bari, 28

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2.5 EDWARD SAID

Ritengo sia necessario fare un breve accenno a questo autore che con la sua opera, Orientalism, ha profondamente analizzato come l’Occidente abbia dipinto nel proprio immaginario culturale l’Oriente, secondo stereotipi e pregiudizi che come un fil rouge uniscono le opere che verranno prese in analisi, sebbene esse provengano da cronologie distanti l’una dall’altra.

Edward Said nacque a Gerusalemme nel 1935. Di origine palestinese, studiò in Egitto, al Cairo, in una scuola coloniale britannica, il Victoria College, terminando gli studi negli Stati Uniti, dove in seguito vi insegnò Letterature comparate, presso la Columbia University fino alla morte, avvenuta nel settembre 2003.

Gli accenni biografici sono molto importanti perché già ad un primo sguardo ci fanno capire quanto abbia vissuto sulla propria pelle una sorta di ibridazione culturale. Said è infatti sospeso fra Occidente e Oriente, essendo non solo americano di origine palestinese, ma anche professore universitario umanista e inoltre un intellettuale profondamente coinvolto nel dibattito politico mediorientale, sia dal punto di vista orientale, quindi interno ad esso, sia esternamente dal punto di vista occidentale.

Prototipo di scrittore e intellettuale impegnato, in un’intervista del 2001 definì così il rapporto fra scrittura e impegno civile:

“È difficile per me separare la letteratura dal mondo, dalla storia anche se la letteratura ha convenzioni e aspetti che non hanno nulla a che vedere con la politica. D'altra parte il linguaggio della letteratura e della politica è lo stesso: può esserci una differenza di scopi, una differenza estetica ma il linguaggio è lo stesso29”.

Orientalism, senza dubbio la sua opera principale, fu pubblicata nel 1978 da

Pantheon Books negli USA, mentre in Italia venne tradotto solo nel 1991.

L’architettura del saggio è finemente strutturata e sicuramente densa, basti pensare che si snoda in circa 350 pagine, a cui vanno aggiunte più di venti di bibliografia.

Intervista a E. Said a cura di G. Casagrande, 26/10/2001, reperibile all’indirizzo 29

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Numericamente è quindi evidente come l’autore abbia attinto a piene mani, e con grande maestria, dalla letteratura non solo occidentale, ma mondiale in genere. Ad una densità così fitta di opere citate fanno da spalla una cronologia e geografia dei testi presi in esame decisamente, e volutamente, vasta. Said spazia infatti dalla Grecia classica fino alle soglie della contemporaneità e prende in considerazione opere lontane geograficamente, oltre che temporalmente, fra loro.

Nonostante siano passati ben quarant’anni dall’uscita dell’opera è evidente come essa sia ancora attuale e fondamentale per comprendere i rapporti fra Occidente ed Oriente.

Dopo la pubblicazione, questo libro, sulla cui critica si basa gran parte del lavoro da me svolto, attirò grande interesse e critiche. In particolare l’autore venne subito riconosciuto come anti occidentale non solo dagli stessi paesi occidentali, ma anche dal mondo arabo, benché egli affermi di non voler definire, né tantomeno esaltare, l’identità araba o islamica. Said prova unicamente a teorizzare e storicizzare il rapporto artistico e culturale, evidenziandone le disparità egemoniche e i rapporti di potere, fra Occidente ed Oriente.

Per capire il senso del suo lavoro è interessante citare un estratto di un articolo dello scrittore egiziano Sabry Hafez, tradotto per la rivista Allegoria Online da 30

Anna Baldini.

“In quanto intellettuale di cultura arabo-occidentale, Said è stato l’erede, o il prodotto, del complesso e spesso doloroso processo di interazione degli Arabi con l’Occidente, o piuttosto dell’attrazione dei primi per il secondo.

Said rappresenta per molti intellettuali arabi un’incarnazione araba dell’Occidente (cioè del principale oggetto di desiderio dell’intera loro cultura), di cui possono appropriarsi per suo tramite senza correre il rischio di venire accusati di tradire la propria identità o di estraniarsi dalle proprie origini.

Se ogni individuo è figlio della propria cultura, non possiamo definire Said un prodotto di quella araba, che per decenni ha dovuto lottare per liberarsi dalle proprie catene mentre subiva il peso di sconfitte, tirannie e schizofrenie; è piuttosto un erede della corrente più nobile – razionale, liberale e umanitaria – della cultura occidentale, e in

Rivista Allegoria Online, numero 67, brano reperibile all’indirizzo: https:// 30

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particolare di quella che si è espressa nelle lingue dominanti inglese (a sua volta lingua egemone), francese e tedesca.” 31

Edward Said è quindi un intellettuale ibrido, sospeso fra due identità culturali apparentemente distanti, ma amalgamate nella sua biografia dal vivere in zone di confine culturale: sia il tollerante Egitto, in cui studiò da giovane, convivendo con la cultura britannica ed europea mischiata a quella araba, sia i multietnici Stati Uniti dove lavorò per il resto della sua vita.

Nel saggio La scrittura e il mondo - Teorie letterarie del Novecento , Edward 32 Said è definito come un “intellettuale migrante” che attraversando i confini può attivare vitali connessioni fra le varie culture in cui opera e di cui è parte.

Questa tipologia di intellettuale di frontiera, di cui ovviamente non solo Said fa parte, ha una prospettiva privilegiata, in quanto il suo incarnare più culture e costumi fornisce una revisione critica degli stereotipi prodotti dalle varie discriminazioni, siano esse razziali o culturali, della società in cui opera. Said fa quindi parte di un’élite di intellettuali che potremmo definire go between fra le culture di appartenenza, sospeso fra istanze culturali spesso in contrasto fra loro.

Tuttavia, nonostante il respiro intellettuale ampio, multi e inter culturale del lavoro di Said, più avanti vedremo come mai la sua opera sia stata anche accusata di essere, sotto certi aspetti, riduzionista.

Per introdurre tale argomentazione è utile partire, alla fine di questo capitolo, da un estratto di un’intervista a Stefano Brugnolo del 2011, a cura di Renata Schiavo per la rivista Aeolo, reperibile online all’indirizzo in nota.

“Concludendo: va dato atto a Said che è stato capace di enucleare con grande dottrina e competenza i tanti pregiudizi di cui grondavano le immagini dell’oriente prodotte dagli scrittori occidentali, ma tenere presente questa verità non dovrebbe impedirci di vedere che la letteratura quando è grande non è mai prigioniera di quei pregiudizi. E

Rivista Allegoria Online, brano reperibile all’indirizzo: https://www.allegoriaonline.it/ 31

index.php/i-numeri-precedenti/allegoria-n67/85-il-tema/678/646-edward-said-nella-cultura-araba-contemporanea.

S. Brugnolo; D. Colussi; S. Zatti; E. Zinato, La scrittura e il mondo - Teorie letterarie 32

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comunque, al di là dell’ambito orientalista, mi pare che gli studi ispirati a questo approccio enfatizzino il lato conformistico della letteratura e ne disconoscano troppo quello utopico.” 33

2.6 L’ORIENTALISMO COME INVENZIONE OCCIDENTALE

Per Orientalismo, secondo Said, si intende l’intero universo di pregiudizi, stereotipi ed etichette culturali che vengono attribuite dall’Occidente ad un’entità, non reale ma a sua volta costruita, ed identificata dal vago appellativo di “Oriente”. Questa costruzione è stata architettata dall’Occidente nel corso della storia, come è stato detto nel capitolo 2.2, per comprendere l’Oriente, travisandolo volontariamente, volontariamente o meno, e trasformandolo nel luogo dove risiede l’ “Altro” per antonomasia, ciò fatto con l’intento di dominarlo. Questo processo è a tutti gli effetti un’operazione di colonizzazione intellettuale che si esprime in un vero e proprio stile di pensiero ormai consolidato. Per parlare infatti di oriente ci si appella ad un bagaglio culturale, ma anche ad un lessico specifico, creato ad hoc dall’ideologia imperialista, prima europea, poi americana, con l’intento di accrescere le differenze con l’altro e giustificarne il dominio.

Questo secondo il, in parte condivisibile, parere di Said. Egli tuttavia nella postfazione di Orientalismo tende ad attenuare, e forse sminuire, la carica 34

rivoluzionaria derivante da una tale interpretazione, ma ciò non toglie l’evidenza degli errori interpretativi della cultura occidentale nei confronti dell’alterità orientale.

Di fatto l’Orientalismo non esiste, in quanto si basa su spiegazioni, volutamente o meno, fuorvianti e su ideologie fittizie verso le quali bisogna porsi con un atteggiamento critico e volutamente scettico.

All’opposto, è quindi vero che l’Orientalismo esiste come filtro culturale occidentale, filtro che spesso appanna lo sguardo critico di chi studia o in generale si approccia alla materia orientale. Orientalizzare l’Oriente, renderlo Intervista a S. Brugnolo, rivista Aeolo, a cura di R. Schiavo, numero VII, 2012; pp. 33

66-73.

E.W. Said, Orientalismo, l’immagine europea dell’oriente; pp. 327 e sgg. 34

(33)

diverso più di quanto in realtà non lo sia, è una vera e propria pratica storica dell’Occidente, che ai nostri giorni comincia a disvelarsi. Secondo Said, questa pratica dovrebbe essere sorpassata dai nuovi studiosi che, uscendo da questo vero e proprio modus cogitandi, promuoverebbero la comunità umana nella sua interezza al di là delle presunte differenze razziali, etniche e nazionali.

Stereotipi razziali, ideologici e imperialisti sono superflui in funzione di una reale e costruttiva indagine critica nei confronti dell’Altro, che dovrebbe invece essere studiato partendo dall’empatia e dall’immedesimazione. Infatti nell’ambito delle scienze umane degli ultimi decenni, secondo Said, vi sono stati dei significativi passi in avanti in questo senso.

È interessante ora riportare le parole con le quali lo stesso Said affronta il nocciolo del problema e ne argomenta una possibile soluzione.

“Ritengo che il fallimento dell’orientalismo sia stato insieme intellettuale e umano, dovendo assumere un atteggiamento di ostinata opposizione verso una regione del mondo considerata estranea e minacciosa, l’orientasmo non ha potuto entrare in sintonia con un’esperienza umana, anzi gli è persino stato impossibile riconoscerla come tale.

L’egemonia mondiale dell’orientalismo, con tutto ciò che implica, può oggi essere sfidata, se si sa trarre profitto dalla consapevolezza storica politica che tanti popoli della Terra hanno saputo conquistarsi.35

In queste parole, infatti, lo studioso non solo mette a nudo il fallimento dell’Orientalismo come sistema egemonico e strumento di potere, ma fa leva sulla consapevolezza storica dei popoli, come strumento di autodeterminazione identitaria, necessaria per sradicare i pregiudizi.

Beninteso, Said non ritiene che la soluzione sia quella di occidentalizzare l’Oriente, anzi, lancia un monito a tal proposito.

L’Oriente non deve assolutamente rinunciare alla propria identità per omologarsi a quella occidentale, semmai la deve esaltare, e sopratutto non deve a sua volta traslare le proprie paure e giudizi in una visione semplicistica e riduzionista dell’Occidente, perché effettuerebbe in questo caso una degradazione della conoscenza.

E.W. Said, Orientalismo, l’immagine europea dell’oriente; pag 326. 35

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Semplicemente bisognerebbe uscire dal dualismo Occidente e Oriente, scoprendo che non sono due mondi antitetici e polari, bensì compenetrati, cresciuti nel vicendevole scambio intellettuale, commerciale e culturale. Due mondi che hanno sì differenze, ma che non devono essere estremizzate e utilizzate ideologicamente con fini politici ed egemonici.

2.7 ORIENTALISMO E ISLAM

L’equazione secondo la quale all’Oriente corrisponde l’Islam non è ovviamente corretta, anzi, appare come una generalizzazione, o un’essenzializzazione, per dirla con il lessico di Said.

Ciò che definiamo “Oriente” è una vasta regione culturale che abbraccia differenti ideologie, filosofie e religioni, come dicevo poco prima, di cui l’Islam è una parte non meno, né più, importante delle altre.

Occorre però analizzare questa religione in quanto è presente in tutte le opere che verranno prese in esame in questo lavoro.

L’Islam, così come l’Oriente in generale, è stato anch’esso oggetto di rappresentazione occidentale, che si porta dietro pregiudizi non solo culturali ma anche religiosi.

In Covering Islam Said spiega come lo stesso termine “Islam” sia usato oggi in 36

maniera riduttiva per indicare tale religione, in quanto vi è già un enorme iato fra ciò che designa in Occidente e ciò che è in realtà. Infatti non si tiene conto del fatto che nel mondo esistono oltre 800 milioni di musulmani, suddivisi principalmente fra Asia e Africa, che vivono in realtà molto diverse fra loro, siano esse sociali, culturali ed economiche: dai più ricchi principi sauditi alle poverissime zone del Sud Est asiatico; è chiaro che abbracciando zone così variegate, la religione agisca e sia percepita in maniera assai differente.

Per analizzare la visione che la letteratura occidentale ha dell’Islam, si potrebbe partire da molto lontano.

Particolarmente emblematico è l’esempio della Commedia di Dante Alighieri, sia per l’autorevolezza del testo sia perché esso è un affresco significativo dei E.W. Said, Covering Islam - How the media and the experts determine how we see 36

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