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5. L’ORIENTALISMO NEL XX SECOLO SALMAN RUSHDIE, FRA VITA E OPERE

5.3 ANALISI DELL’OPER A

Nel paragrafo precedente ci si è occupati di fornire un quadro generale dell’opera, ora è necessario analizzare nel dettaglio gli elementi utili ai fini della nostra indagine.

È conveniente partire da una considerazione: in Orientalismo il nome di Salman Rushdie compare tre volte nel corso dell’opera. Questa considerazione può sembrare poco rilevante, tuttavia è un dato da tenere di conto, visto che Boccaccio non viene mai citato da Said, mentre Tasso appena accennato e

Sottomissione di Houellebecq verrà pubblicato quasi venti anni dopo Orientalismo. Pertanto, Rushdie risulta l’unico fra gli autori scelti su cui Said si

sia espresso in maniera esplicita. È ancor più interessante inoltre il fatto che le citazioni riguardino il rapporto di Rushdie con l’Islam che si rende manifesto ne I

Versi Satanici, cui questo paragrafo è dedicato.

Il primo passo in cui viene citato è a pagina 330 dove Said espone una 108

propria riflessione sul fondamentalismo islamico e su come viene percepito, citando nelle stesse righe anche un altro importante saggio di cui abbiamo già parlato, Covering Islam, in un gioco di rimandi e riferimenti.

“Per chi aderisce ad una visione restaurata o rinvigorita dell’islam delle origini, gli orientalisti sono pericolosi (come Salman Rushdie) perché manipolano questa visione, ne fanno oggetto di dubbio, ne mostrano la natura fraudolenta e non divina.

A loro quindi il mio libro non è piaciuto perché metteva in risalto il pericolo creato dalla malizia degli orientalisti e in qualche modo contribuiva a liberare l’islam dalle loro grinfie”.

Per il numero di pagina di questa e delle successive citazioni si utilizza l’edizione di 108

In questo passo Rushdie è accusato di orientalismo. Said fa riferimento senza ombra di dubbio a I Versi Satanici, pur senza citare l’opera, questo lo deduciamo dall’interesse verso l’Islam delle origini.

L’errore di Rushdie sarebbe quello di fornire una visione manipolata dell’Islam dalla quale scaturirebbe un’immagine fraudolenta e non divina della religione musulmana.

A mio avviso Said pecca ancora una volta nell’interpretazione, o meglio, strumentalizza un’opera per esporre considerazioni che, seppur in buona parte condivisibili, sono lontane dalla realtà letteraria presa in esame. Come vedremo nel prossimo paragrafo, Rushdie si preoccupò personalmente che I Versi

Satanici potessero offendere qualcuno, non era sua intenzione screditare

l’Islam, tanto che, come si è più volte detto, i nomi dei luoghi e dei personaggi in questione sono sostituiti da pseudonimi che ricordano vagamente gli originali e molti eventi sono romanzati.

Ciò che ci stiamo sforzando di affermare nel presente lavoro, e qui lo ribadiamo a gran voce, è che questo testo ha natura e finalità letterarie, non politiche. È vero semmai che questo libro è stato utilizzato come strumento politico e come tale ha arrecato tanti danni, a partire dalla fatwa: ma in questo caso è l’Islam, nelle vesti dell’ayatollah Khomeini, ad aver strumentalizzato I Versi Satanici, non il contrario.

La fatwa di cui sopra, è citata da Said a pagina 340:

“Di conseguenza, sia i mezzi di comunicazione cartacei che quelli elettronici sono stati sommersi da avvilenti stereotipi che fanno un unico fascio di islam e terrorismo, di arabi e di violenza, di Oriente e tirannia. E in diverse parti del Medio e Estremo Oriente c’è stato un ritorno alla religione indigena e al nazionalismo primitivo (di cui un aspetto particolarmente sgradevole è la fatwa iraniana contro Salman Rushdie).”

In questo passo Said riconosce lucidamente la negatività della fatwa scagliata contro Rushdie. Anche se, a voler esser puntigliosi, l’espressione utilizzata da Said: “particolarmente sgradevole” risulta un po’ troppo tenue e riduttiva per descrivere una violenta condanna che ha costretto Rushdie a vivere sotto copertura per anni e ha avuto effetti collaterali gravi e mortali per editori e traduttori.

D’altro canto ha però ragione quando afferma che i media associano sistematicamente Islam e terrorismo, arabi e violenza, Oriente e tirannia. Tuttavia questa prerogativa è, come dice lo stesso Said, appannaggio dei canali di comunicazione. La letteratura che si occupa di confronto interculturale, proprio in quanto tale, ha il compito di smascherare questi stereotipi e fornire una visione alternativa e inedita sulla questione, che induca il lettore ad una riflessione profonda, non più pregiudizievole e superficiale.

Ritengo che I Versi Satanici appartenga a quella parte di letteratura che è riuscita ad andare oltre gli stereotipi e i pregiudizi che riguardano la religione musulmana, rielaborandoli in un impianto narrativo creativo ed originale. Nonostante la critica accusi Rushdie proprio del contrario, ovvero di aver alimentato il fuoco della propaganda avversa all’Islam parlandone in termini negativi e dissacranti.

L’ultima citazione di Said su Rushdie avviene a pagina 449, in prossimità della conclusione del saggio:

“Ciò che auspicavo era un nuovo modo di leggere le separazioni e i conflitti che avevano provocato ostilità, guerre e l’affermarsi del controllo imperialista. E in effetti, uno dei più interessanti sviluppi negli studi postcoloniali è stato la rilettura delle opere culturali canoniche: non per togliere un po’ della polvere che le ricopre, ma per re- investigare alcuni dei loro presupposti, […] un effetto simile è stato sicuramente paragonabile a quello di romanzi sorprendenti come quelli di Salman Rushdie […]”

Qui Said sembra aver mutato parere nei confronti di Rushdie, definendo i suoi romanzi sorprendenti perché hanno il merito di rileggere in modo creativo le opere canoniche. Non si può non essere d’accordo con queste parole che, in fondo, rappresentano lo spirito di questo stesso lavoro: investigare come alcune opere letterarie si confrontino con gli stereotipi e i pregiudizi che definiscono la percezione comune di Oriente e Occidente.

Tornando all’opera in questione, possiamo vedere come anche in questo caso il riferimento a I Versi Satanici, sebbene non esplicito, sia evidente. Quest’opera come nessun’altra di Rushdie infatti rivisita la tradizione musulmana, andando a cercare l’episodio leggendario, eponimo del titolo, riguardo alcuni versetti del

Ciò che stupisce è che la prospettiva di Said muta diametralmente rispetto alla citazione di diciannove pagine prima. Certamente non si tratta di incoerenza, ma di un’osservazione innegabile su Rushdie, capace di mettere in discussione le opere canoniche, in questo caso il Corano, per farne scaturire nuovi spunti riflessivi. Questa qualità è riconosciuta da Said, ma le conseguenze di questa azione letteraria non sono sempre apprezzate dall’autore di Orientalismo, come deduciamo dalla citazione di pagina 330.

Dopo aver inquadrato Rushdie e I Versi Satanici nella critica orientalista, occorre adesso osservare da vicino i meccanismi letterari che animano l’opera in questione.

Si è detto che I Versi Satanici sono un romanzo articolato e complesso, fin quasi labirintico, in cui diverse storie si alternano e si intrecciano vicendevolmente. Tuttavia ciò che interessa per la nostra analisi emerge in modo deciso in due capitoli: Mahound e Ritorno a Jahilia.

Nel primo dei due capitoli si snoda l’intera vicenda dei versetti satanici, i cui eventi trovano conclusione nel secondo capitolo, che si svolge diversi anni dopo quanto accaduto nel primo.

“C’è il portatore d’acqua Khalid, e una sorta di barbone arrivato dalla Persia che porta lo strano nome di Salam, e, a completare questa trinità di canaglie, c’è anche lo schiavo Bilal, quello che Mahound ha liberato, un enorme mostro nero, con una voce degna delle sue dimensioni. I tre sfaccendati siedono sul muretto del recinto. “Quella marmaglia” dice Abu Smbel, “Sono quelli i tuoi bersagli […]” 109

Con queste parole Rushdie presenta i primi seguaci del Profeta, definiti con disprezzo dal sovrano Abu Simbel. Ciò che si vuole sottolineare è la modesta provenienza sociale di questi uomini. Una fede che parte dal basso per sfidare il potere religioso di Jahilia, città ricca di templi pagani, così piena di divinità venerate da perderne il conto. Contro questa moltitudine si oppone il credo del nuovo profeta Mahound, ribadito dallo schiavo liberato Bilal durante la tortura: “[…] quando il suo padrone gli domandò, davanti al tempio di Lat, di elencare gli dèi. “Uno” rispose con quel suo vocione musicale. Bestemmia, punibile con la morte. Lo

I Versi Satanici, p. 111

fecero sdraiare nella fiera con un macigno sul petto. Quanti hai detto? Uno, ripeté lui, uno. Fu aggiunto un secondo macigno al primo. Uno uno uno. Mahound versò al suo padrone una grossa somma e lo liberò.” 110

Religione di schiavi liberati ed emarginati, che in nome di un’unica divinità si ribellano al politeismo e all’idolatria. Ma l’episodio che ha portato il romanzo al centro delle proteste da parte degli integralisti islamici è quello dei presunti versetti satanici. Questi ultimi sono i versi del Corano che ammetterebbero la venerazione di tre divinità femminili pagane: Lat, Uzza e Manat . In cambio di 111

ciò Mahound verrebbe ammesso nel consiglio di Jahilia e la sua religione sarebbe ufficialmente riconosciuta. I seguaci si ribellano, ma alla fine, fra i vari compromessi proposti, si decide che sarà l’Arcangelo Gabriele, già ispiratore degli altri versi del Corano, a stabilire se Lat, Uzza e Manat saranno degne di lodi.

“Hai pensato a Lat a Uzza e Manat, la terza, l’altra?” Dopo il primo versetto Hind balza in piedi; il Grande di Jahilia è già perfettamente eretto. E Mahound, con occhi ammutoliti, recita: “Esse sono uccelli eminenti e la loro intercessione è assai auspicabile” 112

La mattina seguente però Mahound si ravvede e afferma che tali versi non gli sono stati suggeriti, come di consueto, dall’Arcangelo Gabriele, bensì da Satana in persona, che lo ha ingannato e condotto all’errore.

L’episodio in questione parafrasa palesemente una tradizione riportata dagli autori islamici più antichi, secondo i quali Maometto avrebbe pronunciato tali parole per ingraziarsi l’élite mercantile e politeista della Mecca, salvo ripensarci il giorno seguente.

Il rifacimento letterario di questo presunto evento non solo riporta in auge un episodio non accettato da molti musulmani, ma mette in dubbio la sacralità della rivelazione coranica stessa e dissacra pure la figura di Maometto, dipingendolo

I Versi Satanici, p. 112 110

Le sopracitate Al-Lāt, al-ʿUzzā e Manāt erano una triade di divinità femminili 111

preislamiche adorate dagli Arabi del Hijaz ossia dagli abitanti delle città di Ta'if, Mecca, Medina e dintorni.

I Versi Satanici, p. 125

come un uomo soggetto al compromesso religioso pur di essere politicamente accettato, non animato da una ferrea fede incrollabile, bensì sostanzialmente debole. Per molti musulmani romanzare la vita del loro Profeta è un fatto increscioso e controverso, affrontare poi uno degli argomenti più spinosi della loro tradizione è un’azione che va ben oltre la blasfemia.

La connessione fra la vicenda letteraria e la storia dell’Islam si salda ancor più nel capitolo Ritorno a Jahilia, in cui lo scriba pentito di Mahound, Salman, 113

racconta il proprio ruolo e le proprie vicende all’interno della ristretta cerchia del Profeta.

Rushdie ci informa, per bocca dello scriba che ha il suo stesso nome, delle minuziose e spesso incomprensibili regole dettate da Mahound che in poco tempo pervasero ogni aspetto della vita degli abitanti di Jahilia. Da ciò che dovevano mangiare, alle abitudini sessuali legittime e illegittime. Più il potere di Mahound si accresceva, più i dettami dell’Arcangelo diventavano pervasivi della vita quotidiana, più legati al pragmatismo che al metafisico:

“Fu allora che gli venne l’idea che distrusse la propria fede, perché ricordò che Mahound era stato un uomo d’affari, e anche di grande successo, una persona per la quale l’organizzazione e le regole erano cose normali, e quindi gli faceva sin troppo comodo tirar fuori questo efficientissimo arcangelo, che comunicava le decisioni di un Dio estremamente corporate, se non corporeo” 114

Lo scriba Salman piano piano nel proprio racconto smaschera e scredita il Profeta Mahound.

L’intento di Rushdie però è puramente letterario, non propagandistico. Prima di tutto si tratta di un romanzo il cui intento è quello, a mio parere, di farci riflettere sulla dimensione terrena della religione, non su quella metafisica. È infatti presentato un mondo estremamente umano, in cui diavoli e angeli vivono nella realtà contingente, in cui la religione ha un’alta valenza politica e sociale, prima ancora che morale.

Da notare che il nome dello scriba è il medesimo di Rushdie. È quindi

113

plausibile sostenere che l’autore si sia identificato con questo personaggio. I Versi Satanici, p. 388

Occorre ricordare che Rushdie non critica mai Allah, ma, richiamandosi all’episodio eponimo del romanzo, analizza le vicissitudini umane di un Profeta, umano, che pertanto è soggetto a fragilità ed errore. È chiaro che questi due capitoli possano esser visti come un’accusa a Maometto, tanto grave quanto un’eventuale accusa ad Allah, ma il mondo ultraterreno non esiste in questo libro, non c’è spazio per discussioni teologiche o filosofiche. A Rushdie interessa architettare una storia, non reale ma verosimile, delle vicende che hanno portato all’ascesa della religione musulmana, inserendole in un contesto letterario che non ha niente di propagandistico o politico.

La visione dell’Oriente islamico che ne emerge non è negativa, così come non è nemmeno positiva: Rushdie non dà giudizi, semplicemente narra una vicenda leggendaria trattandola alla stregua di un mito. Se non conoscessimo il legame fra l’evento esposto e la religione musulmana, comprenderemmo ugualmente la vicenda narrata, questo perché non vi sono altri fini se non quello unicamente letterario.

Joel Kourtti precisa poi che I Versi Satanici sono in generale una critica al fondamentalismo religioso, non alla religione in sé. È da condividere il pensiero del critico quando afferma che nel romanzo viene fuori la riflessione che 115

oppone il messaggio della rivelazione religiosa all’interpretazione, e strumentalizzazione, umana di quest’ultima.

Infatti, infine, Kourtti ribadisce che il bersaglio di Rushdie è il fondamentalismo religioso, che sia esso musulmano, o cristiano o di qualsiasi altra religione poco importa. Il concetto che a Rushdie importa colpire e accusare è l’interpolazione volontaria e accomodante del, presunto, messaggio divino, utilizzato per altri motivi.

Infine, ricordiamoci infatti che in questo caso le parole di Mahound riguardo alle tre divinità pagane sono utilizzate dallo stesso Profeta per essere visto di buon occhio dall’alta società di Jahilia ed entrare addirittura nel consiglio cittadino composto da un’oligarchia di ricchi mercanti e uomini d’affari, personaggi tra i quali lo stesso Mahound sapeva ben districarsi in quanto abile mercante lui stesso, come ricordato nel corso del romanzo.

A. Gurnah, The Cambridge Companion to Salman Rushdie; cap. 9, The Satanic 115