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Come abbiamo visto, l’incontro letterario ed artistico con l’ ”Altro” è stato per la cultura occidentale un’occasione, manifesta o criticamente celata, di confrontarsi in realtà con se stesso e di crescere, rapportandosi con costumi e pensieri differenti dalla propria identità. Brevemente, è interessante vedere S. Brugnolo; D. Colussi; S. Zatti; E. Zinato, La scrittura e il mondo - Teorie letterarie 41

del Novecento.

M. Foucault, L’archeologia del sapere, BUR - Rizzoli, Milano, 1999 42

come il concetto di alterità, da assimilare o respingere, abbia in realtà un respiro ben più ampio della sola, seppur grande, sfera orientale.

Nell’immaginario europeo ed occidentale, l’Altro si è infatti incarnato in molteplici istanze e ambiti, uno di questi è senza dubbio la letteratura colonialista e post colonialista, che si muove, anch’essa, secondo la già nota gerarchia di egemonia e subalternità.

Lo sbarco di Colombo in America ne è di sicuro l’esempio più lampante: egli infatti battezza le terre scoperte con il nome spagnolo e cristiano, cancellandone storia e cultura indigene.

Le stesse popolazioni autoctone sono quindi immaginate come nate nel momento stesso dell’incontro con l’europeo.

Vi è già quindi una sostanziale differenza con gli stereotipi nei confronti dei

nostri orientali, visti come barbari degenerati; infatti i nativi scoperti da Colombo

sono considerati un vero e proprio “contenitore vuoto” da riempire con la cultura europea e cristiana, non una cultura da correggere e restaurare.

Spesso gli indigeni sono utopisticamente idealizzati, liberi dalle regole sociali e dalle incombenze della modernità e dello stile di vita occidentale. Addirittura per Rousseau indigeni e “uomini civilizzati” sono uguali di fronte a Dio e la differenza risiede solo nell’agire degenerante dell’essere umano, infatti, come afferma nella frase iniziale del suo romanzo, Emile, del 1762 : 43

“Tout est bien sortant des mains de l'Auteur des choses, tout dégénère entre les mains de l’homme” 44

Rousseau non è il solo a pensarla così, anche Montaigne si esprime riguardo 45

la purezza primigenia dei popoli indigeni:

"Quei popoli dunque mi sembrano barbari in quanto sono stati in scarsa misura modellati dallo spirito umano, e sono ancora molto vicini alla loro semplicità originaria. Li governano sempre le leggi naturali, non ancora troppo imbastardite dalle nostre; ma

J. J. Rousseau, Emile ou de l’Education, libro I, Flammarion, Paris, 2009 43

Trad. it.: “Ogni cosa è buona mentre lascia le mani del Creatore delle cose; ogni 44

cosa degenera nelle mani dell’uomo.”

M. de Montaigne, Saggi, a cura di F. Garavini, Milano, Adelphi, 2007, libro I, cap. 45

con tale purezza, che talvolta mi dispiace che non se ne sia avuta nozione prima, quando c’erano uomini che avrebbero saputo giudicarne meglio di noi.” 46

Il selvaggio vive quindi a contatto diretto con la natura, in una maniera più affine all’animo umano; leggendo tali parole verrebbe da pensare che i barbari siamo “noi”, imbastarditi, come dice Montaigne, dalle leggi che ci governano.

infine, è necessario citate anche Bartolomé de Las Casas, vescovo cattolico spagnolo, impegnato, durante il ‘500, nella difesa dei diritti dei nativi americani, che argomenta:

“Si dimostra che le popolazioni di queste Indie sono naturalmente di ottima intelligenza, mediante la buona conformazione delle membra, la conveniente proporzione degli organi e dei sensi. Infatti gli indi di tutte queste Indie, per la maggior parte sono di corpi ben fatti, e tutte le loro membra ben proporzionate e delicate, anche nei più plebei e contadini; non molto carnosi né molto sottili, ma a metà tra magrezza e grassezza. [...] Queste membra sono unite, disposte e tali e così proporzionate che sembra che tutti siano figli di principi, nati e allevati negli agi.

[...] I sensi esterni li hanno meravigliosi: essi vedono molto da lontano e distinguono ciò che vedono, meglio di altri; pare che con la vista penetrino nei cuori degli uomini e hanno comunemente gli occhi molto belli. [...] Le facce e i visi e gli atti li hanno comunemente graziosi e belli, uomini e donne, fin dalla nascita e dall’infanzia […]”47

Ancora più spesso invece sono immaginati come veri e propri subumani, feroci e cannibali, come ad esempio avviene nella Tempesta di Shakespeare, in cui 48

il personaggio di Caliban, è, appunto, un cannibale.

In sostanza, l’occidentale vede nella figura dell’indigeno un essere al di fuori della propria civiltà, non soggetto a leggi e regole sociali e per questo ne è al contempo attratto e spaventato.

Nondimeno lui vede anche reincarnato il mito dell’età dell’oro: un passato, più che lontano, atemporale, in cui l’essere umano viveva a contatto con la natura

Ibidem 46

B. De Las Casas, La leggenda nera - Storia proibita degli spagnoli nel Nuovo Mondo, 47

Feltrinelli, Milano 1959, pp. 258-259.

W. Shakesperare, La Tempesta, Mondaori, Milano, 2002. 48

in uno stato di felice incoscienza, un modo d’essere più puro e autentico, in un contesto idealizzato, pastorale ed edenico. D’altro canto l’indigeno è pure l’emblema dell’umano al di fuori della società, non assoggettato e non guidato da nessuna legge o consuetudine se non dall’istinto, che si esprime attraverso la brutalità animale, generando nell’europeo sentimenti contrastanti di repulsione e attrazione verso uno stato di regressione culturale e sociale.

Insomma, l’operazione compiuta dall’europeo nei confronti dell’indigeno, sia che abbia come motore la repulsione che l’attrazione, è quella dell’empatia e dell’immedesimazione che ben si può sintetizzare nella famosa formula del

going native . 49

Ulteriore, importante, filone di studio dell’alterità sono i gender studies. La diversità di genere sessuale, pur basandosi su un inevitabile presupposto biologico, è sempre stata pretesto per innaturali differenziazioni sociali, e spesso culturali, nonché terreno fertile per stereotipi e pregiudizi. Questo filone di studio si intreccia con quello dell’Orientalismo, qui preso in esame, in quanto la condizione della donna nei paesi islamici, arabi e orientali in genere, percepita come sottomessa e subalterna all’uomo, fa notoriamente parte della critica occidentale.

L’accenno ai gender studies è doveroso perché si intesse con gran parte dei testi che vengono analizzati in questo lavoro. Nelle novelle tratte dal

Decameron di Boccaccio, il tema della donna e del suo rapporto con l’alterità

maschile è decisamente presente in ben due delle quattro selezionate. Come vedremo più avanti, nella Novella VII della Quarta Giornata, dove le peripezie che affronta la giovane Alatiel sono dovute proprio alla sua condizione di donna, tra l’altro sperduta in terra straniera, che non perde solo la propria verginità fisica ma anche, con essa, la propria rispettabilità ed onorabilità ed è costretta a riacquisirla con l’inganno e l’astuzia. Troviamo la condizione femminile, e il suo rapporto con il genere maschile, presente e fondante anche nella Novella IV della Quarta Giornata dove il possesso della donna diviene pretesto di scontro e conflitto.

La femminilità, è anche ben presente nella Gerusalemme Liberata di Tasso con i personaggi di Clorinda ed Armida su tutti. Infine, la questione è affrontata S. Brugnolo, La tentazione dell’altro - Avventure dell’identità occidentale da Conrad a 49

anche in Sottomissione di Houellebecq. In queso romanzo infatti la figura della donna è utilizzata dall’autore per mettere in mostra i costumi musulmani che creano scandalo in in Europa, anche se poi nel romanzo verrà mostrato come in Francia finiranno per essere accettati. Tali costumi sono sia i dettami sugli abiti femminili da indossare, velo e burqa, sia la poligamia alla quale perfino il protagonista del racconto finisce per cedere.

In conclusione, vediamo come il complesso sistema di stereotipi e pregiudizi nei confronti di qualsiasi tipo di alterità si annodano e si sovrappongono fino a coprire più categorie, confondendole tra loro e attivandone collegamenti, siano esse colonial e post colonial studies, siano gender studies o studi orientalistici come in questo caso specifico.

In questo lavoro ci si concentrerà chiaramente sul filone dell’Orientalismo, e su come il suo peculiare impianto di giudizi ed etichette culturali si mostri e si celi dietro alcune opere selezionate per la loro esemplarità.

Tuttavia è pur sempre doveroso tener presente che molti testi, tra cui anche alcuni fra quelli prescelti, come abbiamo visto, offrono una caleidoscopica visione di stereotipi argomentati in più settori di ricerca.

Cercherò però di mostrare perché le opere letterarie non sono portatrici di un’unica istanza ideologica, bensì abbracciano un cosmo di valori ed elementi culturali che verranno analizzati nella loro funzione, facendo sì emergere le istanze di Said, ma al contempo dimostrando che sono istanze letterarie, più che ideologiche e politiche.

3. L’ORIENTALISMO IN GIOVANNI BOCCACCIO. PRESENTAZIONE E