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3. L’ORIENTALISMO IN GIOVANNI BOCCACCIO PRESENTAZIONE E ANALISI DI QUATTRO NOVELLE SCELTE DAL DECAMERON

3.4 GIORNATA QUARTA, NOVELLA QUARTA

La quarta giornata si svolge sotto il reggimento di Filostrato e il tema scelto è quello degli amori dall’esito infelice e doloroso.

A narrare la novella precedente era stata Lauretta, questa invece viene raccontata da Elissa. È interessante soffermarci già sul nome della narratrice Elissa infatti è un nome non casuale, in quanto rimanda esplicitamente all’Eneide, in particolare ai versi 335 e 610 del Libro IV, in cui la protagonista Didone viene designata col suo secondo nome, appunto, Elissa.

Si traccia fin da subito un legame indissolubile con l’Oriente e l’amore infelice. L’amore di Elissa è infatti definito da Boccaccio come turbato e triste, forse anche a causa della sua giovane età, infatti è la più giovane, avendo diciotto anni. Inoltre bisogna anche notare come uno dei luoghi fondamentali della novella da lei narrata sia Tunisi, nei pressi della quale sorgeva la Cartagine governata dalla Didone virgiliana, in un intreccio ancor più saldo e manifesto con l’Eneide. Infatti la protagonista femminile del racconto è figlia del re di Tunisi, quindi principessa di Tunisi, come Didone era a sua volta sovrana di Cartagine.

La novella è introdotta da un piccolo discorso sulla fenomenologia d’amore che può suggestivamente rievocare le idee di Cavalcanti, con l’amore che entra nel cuore come una saetta attraverso gli occhi: “assai son coloro che credono Amor solamente dagli occhi acceso le sue saette mandare”. Ciò serve per spiegare invece, in maniera opposta, come sia possibile altresì innamorarsi per fama senza essersi mai visti di persona, che è quanto accaduto ai protagonisti della novella che si appresta ad essere narrata.

Segue poi una contestualizzazione storico-geografica della vicenda, in quanto viene detto che Guglielmo II di Sicilia aveva due figli: Ruggero e Costanza. Il primo, appena diventato padre muore, così il giovane Gerbino viene allevato dal nonno paterno come un figlio. Gerbino cresce in cortesia e valore, tanto che la sua fama giunge fino in Tunisia, regione tributaria del Regno di Sicilia, dove la principessa del luogo si innamora del giovane sentendone tessere le lodi da mercanti e soldati.

D’altra parte appena arriva in Sicilia la fama della bellezza e del valore della figlia del re di Tunisi, subito il cuore di Gerbino si infiamma, cosicché il giovane si infatua a sua volta. Allora il principe siciliano incarica un suo amico ambasciatore di andare là e dichiarare alla fanciulla i suoi sentimenti amorosi verso di lei, al che la figlia del re di Tunisi afferma di ricambiare l’amore di Gerbino e fra i due, grazie all’amico come intermediario, inizia una corrispondenza fatta di lettere, doni e progetti su come incontrarsi.

Tuttavia il padre della ragazza, ignaro dei sentimenti della figlia, l’aveva già promessa in sposa al re di Granata, e Gerbino, saputa la notizia, medita immediatamente di impedire tale matrimonio. A sua volta il re di Tunisi, venendo a scoprire l’amore fra i due, chiede il permesso a Guglielmo per celebrare le nozze. Il re di Sicilia, all’oscuro di tutto ciò dà l’assenso e la propria parola d’onore, certificandola con un guanto, inviato come pegno a Tunisi.

La principessa dal canto suo, per provare a sfuggire ad un matrimonio non voluto invia a Palermo un servitore per dire all’amato che avrebbe valutato il suo valore in tale circostanza. Gerbino, udendo ciò, si infiamma ancor di più e decide di imbarcarsi con due galee alla volta della Sardegna per impedire all’amata di giungere a Granata.

Incontrate le navi tunisine e vista la giovane, ancor più bella di quanto l’avesse immaginata, la reclama per sé. I saraceni d’altro canto mostrano, inutilmente, il guanto di re Guglielmo, non riuscendo tuttavia a dissuadere il giovane Gerbino. I tunisini decidono così, per non arrendersi né combattere, di portare la fanciulla sul ponte e dissanguarla sotto gli occhi del principe siciliano. Ciò provoca una furia disumana in Gerbino che, saltato sulla nave, fa a pezzi i saraceni incendiando poi la loro imbarcazione. Rientrato in Sicilia, fa seppellire l’amata ad Ustica.

Re Guglielmo, saputa la vicenda dagli ambasciatori del re di Tunisi, nonostante le preghiere della propria corte, decide di punire in modo esemplare il nipote, facendolo decapitare per tradimento e per non venire meno alla promessa d’onore fatta al re di Tunisi.

Così, nel giro di pochi giorni i due amanti periscono entrambi a causa del loro amore, mai vissuto né consumato.

La novella, al contrario delle due precedenti ha un esito drammatico e violento. Il motivo del contendere è ancora una volta, come nella novella di Alatiel, una donna, ma se in quel caso l’amore era inteso nella sua sfera carnale e puramente sessuale, in questo caso la dimensione occupata dall’impulso amoroso è sentimentale e “platonica”. Si può addirittura affermare che l’amore tra Gerbino e la principessa di Tunisi sia infantile e fanciullesco.

Ciò perché si basa su prerogative caste, benché ci sia l’idea comune di un futuro incontro, inoltre è un amore idealizzato, entrambi non si amano a vicenda, bensì amano l’idea, e la fama, che sentono riguardo al proprio amato e alla propria amata, senza essersi mai visti. È il topos dell’innamoramento per fama o ex auditu:

“E tra gli altri alli cui orecchi la magnifica fama delle virtù e della cortesia del Gerbin venne, […]. La quale, volentieri de' valorosi uomini ragionare udendo, con tanta affezione le cose valorosamente operate dal Gerbino da uno e da un altro raccontate raccolse, e sì le piacevano, che essa, seco stessa imaginando come fatto esser dovesse, ferventemente di lui s'innamorò, e più volentieri che d'altro di lui ragionava e chi ne ragionava ascoltava.

D'altra parte era, sì come altrove, in Cicilia pervenuta la grandissima fama della bellezza parimente e del valor di lei, e non senza gran diletto né in vano gli orecchi del Gerbino aveva tocchi; anzi, non meno che di lui la giovane infiammata fosse, lui di lei aveva infiammato.”

L’unico contatto possibile fra i due è l’ambasceria dell’amico di Gerbino che, facendo da tramite, permette lo scambio fra i due di doni e lettere d’amore. La loro storia è quindi cristallizzata in una dimensione idealizzata e atemporale, scandita dalla corrispondenza epistolare che nega però ogni contatto. Tuttavia ciò per Boccaccio non sembra essere un problema in quanto, nel momento in cui i due giovani si vedono dalle rispettive imbarcazioni, l’amore di Gerbino si infiamma ancora di più, trovando egli l’amata molto più bella di quanto non si fosse immaginato:

“Gerbino, il qual sopra la poppa della nave veduta aveva la donna troppo più bella assai che egli seco non estimava, infiammato più che prima, al mostrar del guanto

rispose che quivi non avea falconi al presente perché guanto v'avesse luogo; e per ciò, ove dar non volesser la donna, a ricever la battaglia s’apprestassero.”

Questo amore idilliaco si scontra con le necessità di Stato e la crudeltà prima dei saraceni che svenano la ragazza, poi del re Guglielmo che fa decapitare il proprio nipote.

Si potrebbe anche avallare una lettura in chiave didascalica e pedagogica: ciò la avvicinerebbe alle intenzioni paraboliche della novella di Melchisedec, della novella che da un lato mostrerebbe possibile l’amore anche a distanza, quindi non solo fenomeno fisico come esemplificato nell’incipit del racconto, ma allo stesso tempo sottolineerebbe anche tale amore come pericoloso, se non di più, almeno allo stesso modo di quello carnale.

In altre parole, l’amore fisico e quello ideale non sono tanto distanti per quanto riguarda le cause e le conseguenze che, come abbiamo visto, possono facilmente essere disastrose e tragiche.

Ulteriore insegnamento può essere è l’importanza della ragion di Stato e della parola data, la cui funzione è simbolicamente oggettivata nel guanto che i due sovrani si scambiano come pegno, un gesto codificato dell’etica cortese, così come la paura di Guglielmo di perdere la propria onorabilità, paura così grande che lo spinge a far decapitare il nipote Gerbino, reo di aver compiuto strage di saraceni e di essersi opposto al matrimonio della figlia del re di Tunisi con il re di Granata.

“Di che il re Guglielmo turbato forte, né vedendo via da poter lor giustizia negare (ché la dimandavano), fece prendere il Gerbino; ed egli medesimo, non essendo alcun de'baron suoi che con prieghi da ciò si sforzasse di rimuoverlo, il condannò nella testa e in sua presenzia gliele fece tagliare, volendo avanti senza nepote rimanere che esser tenuto re senza fede.

Adunque così miseramente in pochi giorni i due amanti, senza alcun frutto del loro amore aver sentito, di mala morte morirono, com'io v'ho detto.”

Scendendo nel dettaglio di una visione orientalistica di tale novella, possiamo individuare prima di tutto l’ambientazione principale, ancora una volta quel Mediterraneo che torna come costante terreno di incontro e scontro di quasi ogni rappresentazione artistica e letteraria dell’Occidente sull’Oriente.

Il Mediterraneo, se in Alatiel era stato luogo di peregrinazioni e rapimenti, ora è luogo di guerra, di inaudita violenza e di morte; anche se nella prima sezione della novella il Mediterraneo era stato il teatro dell’andirivieni per le ambascerie degli amanti.

Nella parte cruciale del racconto emerge prepotente la proverbiale crudeltà dei saraceni, nel momento in cui la figlia del re di Tunisi viene uccisa in modo brutale davanti agli occhi di Gerbino. Lo stereotipo secondo il quale i saraceni sono aggressivi e violenti non è certo un’anomalia di Boccaccio, è invece un

topos che precede e segue il Decameron. Anche in un altro novellista

successivo a Boccaccio, Matteo Bandello, la ferocia dei saraceni, e in generale dei mussulmani, è un tema ricorrente. Nello specifico Girardi afferma:

L’Oriente di Bandello […], è una febbre, un’ombra che cala pesante sulla scena umana delle Novelle. Aleggia sinistro in quell’ombra il fantasma di una crudeltà che nel drammatico presente Bandello in realtà si sforza di far apparire come una perversione che non conosce differenze […]” 62

Lo stereotipo della crudeltà, perlopiù gratuita o comunque ingiustificata, dell’ “infedele” è quindi ampiamente ricorrente nella letteratura occidentale che parla dell’Altro, secondo la dicotomia che vede contrapposto un Occidente razionale, valoroso e intriso di misericordia cristiana, ad un Oriente quasi bestiale, dove la vita non ha valore ed è soggetta all’istinto del momento.

Tornando al nostro racconto di Boccaccio, a mio avviso è importante evidenziare questa tematica, in quanto, delle quattro novelle prese in esame, solo in questa i saraceni fanno uso così esplicito di violenza. Bisogna tuttavia aggiungere che Boccaccio non contrappone ideologicamente un Oriente negativo e feroce ad un Occidente positivo e pacifico.

Se da una parte, come detto, la fanciulla viene sì svenata in modo crudele, dall’altra è messo sotto una cattiva luce il comportamento di Gerbino, preso da una vera e propria follia, più che da un impulso giovanile, che a sua volta lo fa esplodere in atti di violenza feroce quando fa strage di tunisini ed incendia le loro navi per vendetta.

R. Girardi, Raccontare l’Altro; p. 144 62

A ripianare questa reciproca rottura dell’ordine delle cose ci pensano le due autorità regali della novella, il re di Tunisi che invia l’ambasceria in lutto a chiedere giustizia e il re Guglielmo di Sicilia, che ordina una punizione esemplare per il nipote, dimostrando che il proprio dovere istituzionale è superiore all’affetto familiare e la ragion di Stato viene prima di ogni cosa. Infine, possiamo anche considerare un’ulteriore chiave di lettura della novella. La figlia del re di Tunisi come emblema e incarnazione, ancora una volta femminile, delle istanze orientali e Gerbino, rappresentante di quelle Occidentali.

Una chiave di lettura dualistica che vede così Oriente e Occidente reciprocamente attratti e sedotti l’una dall’altro e viceversa, sulla base dell’idea reciproca che hanno dell’alterità, ma impossibilitati a incontrarsi ed unirsi. Anzi, nel momento dell’incontro di questi due mondi non così lontani si assiste alla negazione violenta e mortifera che nega la fusione amorosa e culturale di queste due realtà.