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FEDE E FATWA: IL RAPPORTO DI RUSHDIE CON L’ISLAM

5. L’ORIENTALISMO NEL XX SECOLO SALMAN RUSHDIE, FRA VITA E OPERE

5.4 FEDE E FATWA: IL RAPPORTO DI RUSHDIE CON L’ISLAM

Il rapporto fra Rushdie e Islam travalica il contesto artistico e, pur partendo dall’ambito letterario, ha conseguenze sulla vita dell’autore e di chi è entrato in contatto lavorativo con I Versi Satanici, come ricordato già per le esperienze di Igarashi, Capriolo e Nygaard.

La fatwa lanciata a Rushdie più che punto di partenza di questa analisi ne è la chiave di volta, episodio dai molteplici significati.

Il 14 febbraio del 1989 l’ayatollah Ruhollah Khomeini, il leader politico e religioso dell’Iran, annunciò alla radio la condanna a morte di Salman Rushdie. La colpa di Rushdie, che in quel momento si trovava a Londra per lavoro, era, appunto, di aver scritto I Versi Satanici, un romanzo blasfemo in cui, secondo il parere di Khomeini, Rushdie insultava la religione islamica e il suo profeta Maometto.

Quella di Khomeini era una fatwa, cioè la sentenza emessa da un’autorità religiosa e teoricamente vincolante per tutti i musulmani. Questo gesto ebbe la conseguenza di obbligare Rushdie a vivere nascosto, sotto scorta, con la protezione del governo britannico per molti anni.

Christopher Hitchens, scrittore e giornalista morto nel 2011 e amico di Rushdie, scrisse nella sua biografia, Hitch 22, che Rushdie aveva inviato una copia del manoscritto ad un amico con un biglietto che diceva più o meno: “Vorrei che ci dessi un’occhiata perché potrebbe turbare qualche credente" . 116

Rushdie all’epoca aveva 42 anni ed era già un famoso scrittore affermato, arrivato al suo quarto romanzo, pertanto si preoccupava di non creare troppo clamore o disagio nelle comunità religiose.

Quello che avrebbe turbato una parte del mondo islamico, nella previsione di Rushdie, era l’aneddoto che dava il nome al libro, ovvero la vicenda dei presunti “versi satanici”. Si tratta di un racconto apocrifo e molto antico che riguarda la vita di Maometto e che Rushdie romanzò in un capitolo del suo libro. Nel racconto Maometto viene ingannato dal diavolo che gli suggerisce un passo del Corano (episodio di cui abbiamo già parlato nell’analisi del romanzo).

Episodio reperibile presso la pagina online de Il Post, al seguente indirizzo: https:// 116

In Occidente, almeno all’inizio, furono pochi i lettori che capirono a cosa Rushdie si stesse riferendo in quell’aneddoto.

Infatti i nomi dei luoghi e dei personaggi erano stati cambiati: Maometto era diventato Mahound e la città della Mecca era stata cambiata in Jaihilia. Fuori dall’Europa e dagli Stati Uniti, invece, i riferimenti vennero colti molto in fretta. I

Versi Satanici venne pubblicato il 5 ottobre del 1988 e appena nove giorni dopo

il parlamento indiano, lo Stato dove ricordiamo Rushdie era nato, ne vietò l’importazione in tutto il Paese.

Inizialmente la cosa non destò particolare attenzione nei media, ma rapidamente, alla fine di dello stesso mese, quasi tutti i Paesi a maggioranza musulmana del mondo, assieme a Sudafrica e Thailandia, avevano vietato la vendita del libro.

Già alla fine di ottobre la casa editrice del libro, la Viking Penguin, aveva ricevuto decine di migliaia di lettere di proteste, allo stesso tempo Rushdie cominciò ad annullare i viaggi e a farsi accompagnare da alcune guardie del corpo, ma le cose peggiorarono rapidamente.

Nel dicembre del 1989, nel Regno Unito, qualche migliaio di musulmani si riunirono nella città di Bolton, nella zona di Manchester, per bruciare in piazza alcune copie del romanzo. A gennaio una folla ancora più grande organizzò un secondo rogo, mentre numerose associazioni musulmane chiesero al governo britannico di utilizzare una vecchia legge mai applicata, il Blasphemy Act, per bloccare la stampa e la vendita de I Versi Satanici. In poco più di tre mesi la controversia era sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, creando uno scalpore tale che si sarebbe rivisto forse solo dopo l’uscita di Sottomissione di Houellebecq.

Gli episodi più gravi, però, dovevano ancora avvenire. Il 12 febbraio, a Islamabad, capitale del Pakistan, circa diecimila persone si riunirono per protestare contro il libro di Rushdie. Durante la manifestazione un gruppo di loro cercò di assaltare un centro culturale americano.

La polizia sparò sulla folla e ben sei persone vennero uccise, mentre almeno altre cento rimasero ferite. Il giorno dopo, il 13 febbraio, ci fu un altro morto e altre decine di feriti durante una manifestazione a Srinagar, in India. Il giorno successivo, il 14 febbraio, l’ayatollah Khomeini, malato e oramai vicino alla

morte, si rivolse a tutti i musulmani del mondo con un messaggio alla radio di stato iraniana:

“Informo tutti i buoni musulmani del mondo che l’autore dei Versi satanici, un testo scritto e pubblicato contro la religione islamica, contro il profeta dell’Islam e contro il Corano, insieme a tutti gli editori e coloro che hanno partecipato con consapevolezza alla sua pubblicazione, sono condannati a morte. Chiedo a tutti i coraggiosi musulmani, ovunque si trovino, di ucciderli immediatamente, cosicché nessuno osi mai più insultare la sacra fede dei musulmani. Chiunque sarà ucciso per questa causa sarà un martire per il volere di Allah” . 117

Rushdie racconta che venne a sapere della sua condanna a morte da un giornalista della BBC. Poco dopo venne contattato dal governo britannico ed entrò in un programma di protezione che gli mutò per sempre la vita, in quanto si trovò costretto a cambiare residenza ogni tre giorni, ad isolarsi da amici e conoscenti, fino addirittura a divorziare dalla moglie.

Tutto sommato il programma di protezione personale funzionò, in quanto Rushdie non subì alcun attentato. Proteggere un uomo era semplice, impossibile fu mettere al sicuro traduttori ed editori, con le gravi conseguenze di cui abbiamo già parlato.

Movimenti terroristici legati all’Islam radicale, come il gruppo libanese

Hezbollah, risposero all’appello di Khomeini promettendo di farsi carico

dell’assassinio. Nel maggio del 1989, ad esempio, alcuni cittadini britannici vennero presi in ostaggio in Libano: furono liberati dopo alcuni mesi di trattative, ma i rapitori promisero che ci sarebbero state altre rappresaglie contro Rushdie e chi lo proteggeva.

Nonostante il clamore suscitato e la retorica esasperata, nel corso degli anni le autorità iraniane hanno più volte lasciato intendere la possibilità di perdonare Rushdie, anche se hanno sempre finito col tornare sui propri passi. Tuttavia la controversia è rimasta: per molti anni alle scuse di Rushdie hanno fatto seguito nuove accuse da parte dei fondamentalisti islamici, e poi nuove accuse dell’autore, secondo un’alternanza inconcludente.

Articolo a cura di G. Meotti del 12/09/2012 per la pagina online de Il Foglio, presso il 117

seguente indirizzo: https://www.ilfoglio.it/articoli/2012/09/17/news/la-prima- fatwa-58322/

Recentemente, nel 2016, la fatwa contro Rushdie è stata addirittura potenziata “economicamente”, una nuova taglia infatti è stata messa a disposizione per chiunque uccida Rushdie. In particolare 40 media statali in Iran si sono uniti per raggiungere la cifra di 600 mila dollari, corrispondenti a circa 540 mila euro, incrementando la ricompensa complessiva disponibile che, adesso, ammonterebbe a qualche milione di dollari.

Può sembrare banale affermare che queste accuse siano ingiustificate e infondate, avendo però scatenato caos occorre soffermarci a valutarle. La fatwa non può essere più annullata, questa prerogativa è propria di chi la scaglia e a farlo è stato Khomeini, defunto ormai da anni.

D’altro canto è chiaro come essa sia fondamentalmente un’operazione di propaganda politica anti occidentale, in quanto è vero che, nonostante il cambio dei nomi, si parla di un episodio delicato per i musulmani e da loro non accettato, tuttavia il libro non si esaurisce unicamente intorno a questa argomentazione.

Abbiamo visto come il romanzo sia in realtà molto ricco e articolato, chiaramente l’episodio in questione è un passaggio fondamentale, ma occupa solo due capitoli, seppur ispiri, in effetti, il titolo dell’intera opera. Viene quindi ora da chiedersi se eventualmente i critici di Rushdie si siano fermati alla sola lettura del titolo, o poco più, dubbio sollevato dallo stesso autore in numerose interviste; o che ancor peggio abbiano letto l’intero volume, strumentalizzandolo per altri, politici, scopi.

Leggendo il testo della fatwa, oltre a ravvisare enfatici proclami religiosi e ridicoli richiami addirittura alla jihad, con conseguente gloria ultraterrena per l’assassino di Rushdie, vi si scorge poco altro. Ovvero, non vi è una critica articolata e strutturata, se non all’opera in sé, quantomeno all’ideologia dello scrittore, cui tra l’altro non si fa mai cenno direttamente. Risulta pertanto difficile e forse inutile commentare un testo come quello della fatwa che non apporta nulla in termini sostanziali ad un’eventuale, e comunque legittima, critica a Rushdie.

Un testo del genere serve solo a fomentare l’odio religioso di esaltati con le conseguenze che abbiamo visto. I Versi Satanici non ha causato morti o feriti, in

quanto non è propaganda ma letteratura; la fatwa, che più che religione è propaganda, ha causato invece entrambe le cose.

Queste sono le vicende che legano Rushdie alle istituzioni islamiche. Vediamo però che significato hanno avuto nella sua vita e come egli stesso si ponga nei confronti della cultura e della religione islamica.

Nato e cresciuto in un ambiente musulmano, è stato educato nella laica Inghilterra e i suoi studi sulla storia dell’Islam sono indice di un approccio critico o quantomeno intellettualistico verso il proprio habitat culturale di origine. Sostanzialmente, prima de I Versi Satanici, non ha avuto nel corso della propria vita interesse o occasione per esternare le propria devozione religiosa o meno, mantenendo un atteggiamento perlopiù laico e, presumibilmente, agnostico. Negli anni seguenti alle polemiche scaturite dalla pubblicazione del romanzo ha avuto più di una, convinta o meno, riflessione religiosa che lo ha portato perfino a proclamarsi musulmano, ma ciò non ha spento, né tantomeno attenuato, le critiche rivoltegli, portandolo infine a rinnegare la fede islamica.

In anni recenti, dopo la fine del programma di protezione e con il conseguente ripristino di una parte di libertà quotidiana, ha mutato ulteriormente, almeno per il momento, le proprie idee. Egli stesso si è infatti dichiarato definitivamente ateo, seppur abbia riconosciuto all’Islam una parte fondamentale della propria formazione.

Infatti, come dichiarato al programma Newsnight in onda sul canale inglese

BBC2, si dichiara laicamente “secular Muslim” , alla stregua di molti cristiani 118

ed ebrei. In lui vi è infatti l’idea di voler mantenere separata la sfera culturale ed intellettuale dall’ambito religioso.

Rushdie, come dichiarato in molteplici interviste e occasioni, più che interessarsi al dibattito religioso, è attento alla libertà di parola che spesso, immancabilmente, si trova a scontrarsi con le istituzioni religiose.

Egli è fermamente convinto che la libertà di parola sia un diritto inalienabile, anche se è stato meno fortunato di Houellebecq, ad esempio, che, come vedremo nel prossimo capitolo, si è visto riconoscere in tribunale il diritto a criticare le dottrine religiose.

La puntata del programma BBC2 Newsnight cui si fa riferimento è quella del 118