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5. L’ORIENTALISMO NEL XX SECOLO SALMAN RUSHDIE, FRA VITA E OPERE

5.6 ANALISI CONCLUSIVA

Nel corso di questa analisi abbiamo visto come il rapporto fra Oriente e Occidente sia importante nelle opere di Rushdie, ma anche nella propria vita privata occupa un posto rilevante. Oseremmo dire che l’autore ha un legame quasi biologico con le istanze che abbiamo analizzato, diviso fra due culture e due mondi, fin dalla gioventù.

Sicuramente la sua autobiografia è presente ne I figli della Mezzanotte, romanzo di cui non abbiamo parlato, ma che si connette a L’ultimo sospiro del

Moro, cui abbiamo accennato, il quale, a sua volta, è immediatamente

successivo a I Versi Satanici; opere interconnesse e rese omogenee dall’esperienza di vita dell’autore, che emerge in tutti e tre i libri.

Da un certo punto di vista Rushdie rappresenta un inedito fra gli autori trattati in questo lavoro. Giovanni Boccaccio, Torquato Tasso e Michel Houellebecq sono infatti autori occidentali che si occupano di descrivere l’Oriente e, nel farlo vengono accusati di utilizzare stereotipi negativi. Salman Rushdie è sì uno scrittore occidentale, e più specificamente anglosassone, ma deve costantemente fare i conti con il proprio passato orientale, con le proprie radici musulmane.

Se il modo di descrivere l’Oriente per gli altri tre autori è un modo di scoprire, e scoprirsi, in un’alterità fantastica ed esotica, in Rushdie è invece predominante l’aspetto nostalgico di tale narrazione, elemento sconosciuto agli altri tre. La sua tensione verso l’Oriente è una sorta di richiamo verso un mondo fiabesco, fantastico e perduto, non verso un ignoto indefinito.

Pertanto non bisogna mai dimenticarsi della duplice identità di Rushdie, sospeso fra due mondi. Di conseguenza, l’Oriente che ne deriva non è scalfito da stereotipi taglienti o da pregiudizi gratuiti, bensì ha la connotazione di un Eden perduto, dal quale però è necessario fuggire.

È bene infatti notare come, nel caso specifico de I Versi Satanici, i due protagonisti emigrino in Inghilterra, pur mantenendo un legame con la propria origine indiana. Legame che sovente è screditato e spiacevole, ma indissolubile. La sensazione che avverto è che Rushdie rimpianga in qualche

modo quel mondo caotico e lontano che è l’India, ma al contempo ne giudichi necessario l’allontanamento per tutta una serie di motivi.

Primo fra tutti la libertà, sia essa religiosa che di espressione. In molte conferenze e interviste l’autore infatti ha ribadito la necessità di queste due libertà, spesso negate in Oriente, da regimi fondamentalisti. Nelle parole di Rushdie sull’Oriente possiamo sovente scorgere una sorta di amarezza di fondo, seppur racchiusa in un guscio di colorate descrizioni, una sensazione di disincanto connessa alla propria terra natale. Una sorta di disillusione diffusa che lo porta a criticare, egli stesso, l’Oriente, utilizzando il filtro degli usi e costumi occidentali.

Infatti, al contrario quindi degli altri autori, i quali descrivendo l’Oriente volevano criticare il proprio Occidente, Rushdie, parlando da occidentale vuole criticare certi aspetti della sua cultura di appartenenza orientale, per cui il meccanismo è un po’ diverso rispetto agli altri casi analizzati.

In un’intervista alla rivista letteraria online Inkroci, Rushdie parla in questi termini del rapporto fra scrittura e realtà contemporanea e del ruolo fra scrittore e mondo che lo circonda:

“Il suo ruolo è scrivere e raccontare il mondo, con onestà. La sfida è pubblicare. Sono tempi difficili per tutti: giornalisti, intellettuali, gente comune… Non sono del tutto convinto, però, che sia un bene scrivere subito, a caldo, degli eventi drammatici che stiamo vivendo.

Non è detto che ne escano buoni romanzi. “Guerra e pace” è stato scritto 60 anni dopo la campagna di Russia di Napoleone. Credo che i romanzi che arriveranno tra 40 anni sugli attentati del fondamentalismo islamico saranno migliori di quelli che potrebbero essere pubblicati oggi.” 127

In Rushdie pertanto vi è la consapevolezza dell’importanza di una letteratura onesta nei confronti della realtà contingente, anche se scrivere di cose contemporanee o comunque controverse è operazione complessa e spesso difficile.

Intervista a cura di F. Cappelli del 2015 per la rivista online Inkroci, reperibile al 127

seguente indirizzo: https://www.inkroci.it/racconti-brevi/interviste-a-scrittori-famosi/ salman-rushdie.html

Da questo possiamo comunque comprendere che le sue intenzioni sono quelle di indurre alla riflessione su temi di primaria importanza, non di attaccare l’Islam, come gli è stato imputato. Si può ben dire che le sue parole hanno scaturito l’effetto opposto a quello auspicato, nella circostanza della condanna a morte tramite la fatwa.

La letteratura dovrebbe, in definitiva, offrire una visione più onesta possibile del mondo, cercando di scardinare repressione e regressione, senza però dimenticare che il mondo odierno è complicato e stratificato.

In un’intervista apparsa su Repubblica nel 2016 Rushdie parla in questo modo dell’Islam:

"La lotta tra luce e tenebre è sempre esistita, non c'è bisogno di andare fino ad Averroè e al Dodicesimo secolo. Negli anni Cinquanta, Beirut era una città piena di vita culturale e libertà, era stata ribattezzata la "Parigi del Medio Oriente".

Lo stesso era per Damasco, Teheran, Bagdad: erano posti di grande raffinatezza, città cosmopolite e moderne dove si poteva fare tutto, non c'erano donne col burqa, gli scrittori non erano condannati a morte per ciò che scrivevano e neppure gli omosessuali.

La regressione è andata molto veloce. Io, come molti, l'ho potuta osservare nel corso di una vita. Purtroppo questo volto dell'Islam è in parte scomparso, ma possiamo sperare che torni. È per questo che non amo l'espressione "scontro di civiltà". È riduttiva e sbagliata. Tutto è molto più complicato, dietro c'è soprattutto la lotta tra sciiti e sunniti". 128

La definizione di “scontro fra civiltà” la definisce riduttiva, in quanto un certo tipo di Islam, tollerante e cosmopolita, è esistito nel corso della storia, e anche recentemente. Pertanto lo scontro non è fra Oriente e Occidente, ma fra popoli liberi e popoli oppressi.

Sicuramente le idee sulla necessità vitale della libertà di espressione sono nate in Rushdie in seguito alla condanna da parte di Khomeini che ha messo in serio pericolo le proprie.

Artcolo a cura di A. Ginori del 15/09/2016 per la pagina online di Repubblica, 128

reperibile al seguente indirizzo: http://www.repubblica.it/esteri/2016/09/15/news/ rushdie_aboliamo_lo_scontro_di_civilta_l_unica_nostra_arma_restano_le_parole_-147 825349/

In ultima istanza è poi interessante notare come, ancora una volta, Rushdie non utilizzi l’Oriente per parlare di Occidente, ma faccia l’esatto opposto. Le caratteristiche auspicate in quest’ultima intervista per le città orientali seguono tutte i canoni di una modigeratezza e libertà personale che, con le dovute cautele e proporzioni, si avvicinano più alle città occidentali, o comunque a quelle di Paesi moderati.

6. L’ORIENTALISMO NEL XXI SECOLO, IL CASO DI SOUMISSION DI