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La Giustizia Sportiva: profili problematici del sistema giurisdizionale sportivo alla luce dei parametri costituzionali.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

“LA GIUSTIZIA SPORTIVA: PROFILI PROBLEMATICI DEL

SISTEMA GIURISDIZIONALE SPORTIVO ALLA LUCE DEI

PARAMETRI COSTITUZIONALI”

Relatore:

Prof. Giuseppe Campanelli

Candidato:

Giuseppe Rignanese

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INDICE

INTRODUZIONE. pag. 4 1. ORDINAMENTO SPORTIVO E GIUSTIZIA SPORTIVA.

1. Sport e Costituzione: il riferimento indiretto degli artt. 2 e 18 Cost. 7

1.1. La Riforma del Titolo V e il novellato art. 117 Cost. 9

2. L’ordinamento sportivo. 10

2.1. L’organizzazione dell’ordinamento sportivo: il CONI ed i rapporti con il Comitato Olimpico Internazionale. 14

2.2. Le Federazioni Sportive Nazionali. 18

2.3. Il tesseramento: libera associazione o associazionismo coattivo? 22

2.4. Professionismo e dilettantismo: storia di una ingiustificata discriminazione. 26

2.5. Brevi cenni sugli altri soggetti dell’ordinamento sportivo. 28

3. I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giuridico statuale. 30

3.1. L’ordinamento sportivo come ordinamento settoriale. 31

3.2. Sovranità dello Stato e autonomia dell’ordinamento sportivo. 33

4. La Giustizia sportiva: cenni introduttivi. 40

4.1. Giustizia sportiva endofederale. 42

4.2. Giustizia sportiva esofederale. 46

4.3. Il Tribunale Arbitrale dello Sport. 52

2. I RAPPORTI TRA GIUSTIZIA SPORTIVA E GIUSTIZIA ORDINARIA. 1. Il riparto di giurisdizione della giustizia sportiva e gli ambiti di intervento della giurisdizione statale. 55

1.1. La giustizia sportiva tecnica. 55

1.2. La giustizia sportiva disciplinare. 57

1.3. La giustizia sportiva economica. 58

1.4. La giustizia sportiva amministrativa e associativa. 59

2. Il vincolo di giustizia: caratteristiche e profili di problematicità costituzionale. 60

2.1. Vincolo di giustizia e tutela giurisdizionale. 65

2.2. La legge n. 280/2003: un tentativo non andato a buon fine. 69

2.3. Problematiche in merito alla normazione tecnica delle Federazioni quale esclusivo ambito della giustizia sportiva. 75

3. Le problematiche relative alla giustizia di tipo disciplinare. 79 3.1. La posizione della giurisprudenza amministrativa: la questione

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di legittimità costituzionale sollevata dal TAR del Lazio. 82

3.2. La sentenza n. 49/2011 della Corte Costituzionale: una (contestata) soluzione di ripiego. 84

4. Due giustizie e due velocità: gli esiti spesso contraddittori dei meccanismi giustiziali dello sport e dello Stato. 89

4.1. Il caso Calciopoli. 91

3. AUTODICHIA E GIUSTIZIA SPORTIVA. 1. La natura “amministrativa” della giustizia sportiva. 98

1.1. Il principio di effettività della tutela ed il giusto processo: profili di criticità della pretesa di autodichia della giustizia sportiva. 103

2. Il processo di omogeneizzazione della giustizia sportiva ed il difficile bilanciamento tra i canoni del giusto processo e l’autonomia delle Federazioni sportive: i profili di criticità del sistema. 109

2.1. Il diritto di accesso. 112

2.2. La mancanza di terzietà e di indipendenza degli organi giudicanti. 114

2.2.1. Astensione, incompatibilità e ricusazione. 117

2.3. La responsabilità oggettiva. 119

2.3.1. La responsabilità presunta. 124

2.4. L’acquisizione delle prove nel processo sportivo: aspetti problematici della utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche. 127

2.4.1. L’attuale sistema di acquisizione delle prove del giudizio sportivo della FIGC e la persistenza di alcuni problemi del previgente sistema. 132

2.5. La figura dei collaboratori. 137

3. I metodi di ADR nell’ordinamento sportivo italiano e la loro rilevanza a confronto con le esperienze giuridiche degli stati stranieri: il ruolo della conciliazione e dell’arbitrato. 141

CONCLUSIONI. 147

BIBLIOGRAFIA. 151

GIURISPRUDENZA. 155

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro si occupa di un tema – quello dell’organizzazione dello sport e della giustizia sportiva – di sempre maggiore rilevanza ed attualità, considerata l’enorme mole di interessi, siano essi economico-finanziari o sociali, che tale fenomeno coinvolge. Basti considerare che, al giorno d’oggi, lo sport rappresenta, non solo, per quanto concerne l’aspetto strettamente ludico ed agonistico, un tema di grande interesse per la collettività, ma anche uno dei maggiori fattori generatori di P.I.L nell’ambito dello Stato italiano, nonché un meccanismo capace di generare ingenti flussi di denaro anche su scala internazionale. Lo sport, infatti, soprattutto in considerazione della rilevanza economica del fenomeno, è stato protagonista di una evoluzione, ormai ventennale, di grande importanza, la quale ha comportato, assieme all’espandersi dei suoi confini, l’insorgere di stringenti problematiche precedentemente non considerate dal legislatore italiano. Non a caso, lo Stato, dalla seconda metà degli anni ’40, si è da sempre sostanzialmente disinteressato alle dinamiche riguardanti l’attività sportiva, relegandole nell’alveo dell’irrilevanza giuridica. Prova ne è il fatto che, all’interno della Costituzione italiana, fino alla Riforma del Titolo V, avvenuta nel 2001, non vi era alcun esplicito riferimento alla materia sportiva: il motivo, come avremo modo di vedere, potrebbe essere ricondotto ad una scelta ponderata da parte della Costituente, la quale si è in tal senso dissociata dalla grande opera di strumentalizzazione che il legislatore fascista adottò negli anni precedenti nei confronti dello sport, elevandolo (e distorcendolo) a concetto di fondamentale importanza per la protezione della “razza”. L’obiettivo del presente lavoro, dunque, consiste nell’analizzare un tema di sicura ed indiscussa rilevanza scientifica, posto che la trasversalità che lo caratterizza può costituire oggetto di trattazione anche da parte dello Stato. In particolare, nel primo capitolo si avrà modo di comprendere i motivi per i quali lo sport organizzato possa essere definito come un vero e proprio ordinamento giuridico, studiandone la natura ed i rapporti (spesso complessi) che esso intrattiene con l’ordinamento giuridico generale, nonché i soggetti e le istituzioni che lo compongono ed il ruolo da esse ricoperto. Infatti, un primo ed interessante aspetto riguarda proprio la genetica del fenomeno, la sua matrice di stampo internazionale, dunque l’inquadramento dello sport come ordinamento giuridico e, conseguentemente, la sua corretta collocazione nella struttura dell’ordinamento italiano. Del resto, sarà proprio il legislatore statale, attraverso l’emanazione di una tanto importante quanto contestata legge, la n. 280/2003, ad attribuire espressamente allo sport la qualifica di ordinamento giuridico, in quanto tale autonomo (ma non autosufficiente) rispetto allo Stato. La pubblicazione della legge del 2003 non è altro che l’esito di un lungo processo in cui il fenomeno sportivo, da una situazione di

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totale indifferenza agli occhi dello Stato, ha acquisito una dimensione sempre più importante, divenendo oggetto di un necessario intervento del legislatore. Quest’ultimo, infatti, fino a quel momento era intervenuto sulla materia soltanto in situazioni di urgenza, in momenti, cioè, in cui non sarebbe stato più possibile rimandare ulteriormente: questo atteggiamento di pigrizia e noncuranza, abbinato ad una costante evoluzione dello sport, ha contribuito a determinare dei veri e propri buchi normativi, ossia delle situazioni di forte deregulation, a discapito dei soggetti tesserati e affiliati presso le Federazioni sportive. Inoltre, nel corso del tempo, lo sport si è dotato di un proprio apparato interno di giustizia, che fosse idoneo a risolvere le controversie eventualmente insorte all’interno dell’ambito sportivo e senza che fosse necessario l’intervento della giurisdizione statale. A tal proposito, occorre sottolineare come, in riferimento al sistema di giustizia sportiva, sia possibile utilizzare indistintamente sia il termine “giustiziale”, sia il termine “giurisdizionale”. Da un punto di vista prettamente terminologico, infatti, andrebbe utilizzato il termine “giustiziale”, dal momento che, come sappiamo, per “sistema giurisdizionale” si intende normalmente il sistema di giustizia che fa capo allo Stato e non anche ad ulteriori ordinamenti giuridici settoriali. In realtà, però, si potrebbe far uso anche del termine “giurisdizionale” abbinato al sistema interno di giustizia dello sport, poiché, non già da un punto di vista formale, quanto da un punto di vista prettamente sostanziale, pratico e concreto, si tratta di una organizzazione riconducibile alla giurisdizione vera e propria. Infatti, la giustizia in ambito sportivo implica, in primo luogo, un necessario rapporto tra giurisdizioni, alla cui trattazione sarà dedicato il capitolo secondo: invero, come è stato autorevolmente affermato, «lo sport oggi è fenomeno sottoposto a due giustizie: quella sportiva che opera secondo le regole proprie dell’ordinamento sportivo, funzionale alle esigenze di competenza specifica e rapidità decisionale, e quella dello Stato, chiamata ad intervenire nelle ipotesi in cui l’attività sportiva viene ad assumere rilevanza esterna»1. Ed invero, molte delle discussioni di diritto sportivo hanno avuto ad oggetto proprio il difficile rapporto della giustizia sportiva con quella statale, posto che la prima, per poter operare legittimamente, deve necessariamente ricoprire un ruolo non già di contrasto, ma di complemento e di collaborazione con la giurisdizione generale. Per questo motivo, si avrà modo di analizzare l’istituto del vincolo di giustizia, in virtù del quale, al momento del tesseramento presso la Federazione sportiva di riferimento, lo sportivo si impegna a rispettare due obblighi molto importanti: da un lato, accettare ed onorare le norme ed i principi della suddetta Federazione, in ossequio ai valori universali dello sport; dall’altro, adire gli organi di giustizia sportiva nel caso in cui dovesse insorgere una controversia che lo

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riguardi. Non a caso, il tenore e la natura di tale vincolo sono stati bersaglio di numerose critiche da parte della dottrina, posto che, effettivamente, appare quantomeno dubbia la legittimità di una norma che neghi ad alcuni soggetti, che vogliano semplicemente difendere i propri diritti in giudizio, la possibilità di presentarsi dinanzi ai giudici dello Stato, dovendo essi necessariamente adire gli organi predisposti dalla giustizia sportiva. Inoltre, ci si soffermerà anche sulle diverse tipologie di giustizie sportive, cioè sul riparto di giurisdizione e di competenza in base alle differenti materie considerate (procedimento tecnico, disciplinare, economico e amministrativo) nonché l’eventuale possibilità di intervento dei giudici statali. Infine, il capitolo terzo offrirà l’occasione di addentrarci in modo più approfondito sugli aspetti problematici interni alla giustizia “privata” dello sport, definita come una forma sui generis (e, per questo, secondo molti di dubbia legittimità) di autodichia. In particolare, il presente lavoro cercherà di evidenziare (e, laddove fosse possibile, anche di individuare possibili margini di soluzione) gli istituti e, in generale, gli elementi della giustizia sportiva che presentano un evidente contrasto con alcuni principi fondamentali del nostro ordinamento, quali quello dell’effettività della tutela (sancito anche a livello comunitario) e del giusto processo (ex art. 111 Cost.). Il tutto, considerando il percorso intrapreso dall’ordinamento sportivo in seguito alla Riforma del 2014, attraverso il quale è stato istituito il nuovo Codice di Giustizia Sportiva, molto più ispirato ai suddetti principi rispetto a quanto accaduto nel sistema previgente, segnalando, però, al tempo stesso, come l’evoluzione della giustizia nel mondo dello sport presenti ancora ulteriori margini di miglioramento della disciplina in ottica della tutela e delle garanzie procedimentali da assicurare ai soggetti tesserati.

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CAPITOLO 1: ORDINAMENTO SPORTIVO E GIUSTIZIA SPORTIVA.

1. Sport e Costituzione: il riferimento indiretto agli artt. 2 e 18 Cost.

Ciò che noi al giorno d’oggi chiamiamo “sport”2 rappresenta senza dubbio un concetto che oramai caratterizza, direttamente o indirettamente, la nostra vita quotidiana. Eppure il fenomeno sportivo, pur essendo un ambito molto importante (dotato cioè di ampia visibilità) all’interno della nostra società, è direttamente entrato a far parte della nostra Costituzione solo alle soglie del ventunesimo secolo3, dunque in epoca assai recente. Ciò non significa, chiaramente, che prima di allora lo sport (e tutto ciò che esso rappresenta) non sia mai stato oggetto di riferimenti, seppur indiretti, da parte della nostra carta costituzionale. Di fatto, sono due gli articoli fondamentali da prendere in considerazione, attraverso i quali dottrina e giurisprudenza hanno da sempre ricondotto, seppur in modo indiretto appunto, un implicito richiamo del Costituente nei confronti dello sport. Il motivo per il quale si ritiene che l’Assemblea Costituente abbia deciso di non dedicare alcun esplicito riferimento a tale fenomeno va ricercato nel contesto storico in cui i padri costituenti si ritrovarono ad agire: durante il Ventennio Fascista, infatti, lo sport era divenuto oggetto di una forte strumentalizzazione da parte del Regime, al fine di affermare la potenza dello Stato totalitario, nonché il rinato spirito bellico del popolo italiano e la superiorità della razza4. Quale legittima reazione a tale stato di cose, dunque, la Costituente, eletta il 2 giugno del 1946, ritenne opportuno non occuparsi direttamente del tema qui in esame, ma lasciare che esso trovasse la sua disciplina normativa attraverso una lettura organica del contenuto di alcuni articoli della Carta Fondamentale.

In particolare, l’art. 2 Cost. afferma che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Ora, senza alcun dubbio è possibile affermare che certamente lo sport integra una attività di carattere sociale, all’interno della quale si svolge e si sviluppa la personalità dell’individuo. Esso rientra in uno di quei diritti fondamentali ed inviolabili della persona, la

2 Il termine inglese sport presenta delle radici lessicali di origine francese rinvenibili nel termine «desport», il

quale significa divagazione, divertimento.

3 Ci riferiamo al novellato art. 117 Cost., in virtù della Riforma del Titolo V del 2001.

4 F.P. LUISO, La giustizia sportiva, Milano, 1975, p. 25, afferma come nel clima, anche di indigenza materiale, in

cui è nata la Costituzione, lo sport non abbia assunto agli occhi del Costituente quella rilevanza che oggi, indubbiamente, ha”.

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quale certamente è libera di praticare sport sia individualmente che, per l’appunto, all’interno di differenti formazioni sociali. Inoltre, anche l’art. 18 della Carta Costituzionale stabilisce che «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare». Si tratta di un diritto, quello di associazione, estremamente importante all’interno del nostro ordinamento giuridico, il quale garantisce ad ogni cittadino la possibilità di associarsi liberamente all’interno di un gruppo composto da altri individui con cui possa condividere idee, valori, interessi, scopi ed attività comuni (a patto, chiaramente, che si rispettino i pochi ed espliciti divieti che in tal senso la Costituzione si preoccupa di sottolineare). Un riferimento chiaro, inoltre, al fenomeno sportivo, anche se aspetto meno centrale rispetto a quanto qui interessa, è individuabile anche all’interno dell’art. 32 Cost, il quale, come noto, riconosce e tutela la salute come «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» (da sempre infatti lo sport rappresenta l’emblematico simbolo della salute e del benessere psicofisico). Da questo punto di vista dunque non ci si riferisce allo sport come organizzazione, bensì come attività sportiva, riconoscendo e tutelando la salute, arricchendo di un ulteriore ed importante profilo il complesso di riferimenti rivolti al fenomeno ludico - agonistico.

Dunque, come precedentemente accennato, attraverso il combinato disposto degli artt. 2 e 18 Cost. è possibile identificare il riconoscimento e la tutela, seppur indirettamente disposta, che la nostra Carta fondamentale dedica nei confronti del fenomeno sportivo. Si tratta di due articoli essenziali, in quanto attraverso di essi il fenomeno sportivo trova considerazione sotto un duplice profilo: da un lato come pratica sportiva, e quindi come esplicazione di un diritto inviolabile dell’uomo, sia a livello individuale che in formazioni più ampie comprendenti una pluralità di individui; dall’altro, come associazionismo sportivo, inteso come libera e volontaria associazione di più individui che intendono svolgere attività sportiva in forma associata, stabile ed organizzata5. Inoltre, è proprio sulla base di tali due articoli che è possibile edificare una delle colonne portanti di tutto il fenomeno sportivo: si tratta del fondamento dell’autonomia dell’intero ordinamento sportivo6, sul quale ci soffermeremo più avanti nel corso della trattazione.

5 M. COCCIA, Diritto dello Sport, Firenze, 2004, p. 22 e ss.

6 AA.VV, REMO, MORZENTI, PELLEGRINI, L’evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento

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1.1. La Riforma del Titolo V e il novellato art. 117 Cost.

Per riscontrare un effettivo e concreto riferimento allo sport all’interno della nostra Costituzione è stato necessario attendere un importante e corposo intervento, avvenuto nel 2001, attraverso la Riforma del Titolo V, la quale ha, per quanto qui interessa, modificato il testo originale dell’Art. 117. Quest’ultimo, infatti, identifica espressamente quella materia come “organizzazione sportiva”, inserendola (e compiendo così una operazione che presenta notevoli perplessità sull’effettiva autonomia dell’ordinamento sportivo) tra quelle concorrenti sulle quali si alternano le differenti e complementari competenze di Stato e Regioni7. Il suddetto articolo, dunque, è chiamato a dare esplicita forma a tutto ciò che in precedenza la dottrina aveva implicitamente ricavato dagli altri articoli della Carta fondamentale, effettuando un chiaro ed esplicito riconoscimento di rango costituzionale allo sport (del quale comunque non si era mai effettivamente dubitato, posta la rilevanza del fenomeno nel contesto sociale). Questo intervento da parte del legislatore ha perciò assunto un significato molto importante, in quanto sembra riconoscere una sorta di “debito” a cui lo Stato si è da sempre esposto nei confronti del mondo dello Sport e di tutto ciò che esso rappresenta, riflettendosi poi nell’ambito pratico in una costante disattenzione e noncuranza verso un fenomeno che, nel corso del tempo, ha assunto incredibili dimensioni sociali ed economiche. Questo discutibile atteggiamento del legislatore nei confronti della materia sportiva ha prodotto, più volte nel corso della storia, una lunga serie di interventi legislativi caratterizzati da una palese urgenza, e mai figli (come del resto sarebbe auspicabile) di un attento e sereno ragionamento. Tutto ciò ha determinato una sorta di continua rincorsa del legislatore nei confronti di un fenomeno, quale appunto quello sportivo, in perenne evoluzione e cambiamento, determinando non poche ripercussioni anche e soprattutto nei confronti di un principio di fondamentale importanza all’interno dell’ordinamento giuridico, ovverosia il principio di certezza del diritto. Inoltre, questo atteggiamento di scarsa attenzione nei confronti del tema in esame da parte dello Stato ha determinato un ulteriore e fondamentale effetto, il quale ha rappresentato (e certamente rappresenta tuttora) uno snodo di cruciale importanza circa il rapporto sussistente tra i due ordinamenti in questione, per l’appunto quello sportivo e quello statuale. Ci si intende riferire, in tal senso, alla forte ed ostinata constatazione di autonomia che l’ordinamento sportivo ha da sempre rivendicato nei confronti dell’ordinamento generale8. In altri termini, questa situazione di sostanziale deregulation nella quale, per lungo tempo, hanno operato il Coni e le Federazioni sportive nazionali ha consentito

7 P. SANDULLI, Costituzione e Sport., in Riv. Dir. Sport., 2008, p. 2.

8 A. DE SILVESTRI, Il discorso sul metodo: osservazioni minime sul concetto di ordinamento sportivo, in

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a quest’ultime di provvedere autonomamente a tutte quelle che fossero le proprie e peculiari esigenze (comprese, come vedremo, quelle connesse alla risoluzione di conflitti) determinando la tanto aspra ed accesa discussione circa la cosiddetta autodichia o giustizia domestica dell’ordinamento sportivo.

2. L’ordinamento sportivo.

Quanto fin qui esposto ci offre la possibilità di analizzare un primo e rilevante aspetto del presente studio, relativo alla nozione di Ordinamento sportivo. Non v’è dubbio, infatti, che il fenomeno sportivo nel suo complesso venga considerato oramai unanimemente9 come un vero e proprio ordinamento giuridico, in quanto tale non dissimile nella struttura portante e nelle caratteristiche generali all’ordinamento per eccellenza, ovvero lo Stato. Ma per poter affermare ciò, è necessario in primis prendere le mosse dal dettato costituzionale, il quale riconosce, attraverso una attenta valutazione ed interpretazione dei due articoli già richiamati, la teoria pluralistico – ordinamentale10. Tale teoria afferma che lo Stato non rappresenta assolutamente l’unica forma di ordinamento giuridico esistente all’interno di una società, ma anzi esso si relaziona con altri ordinamenti giuridici, sicuramente di differente natura e dimensioni, ma indiscutibilmente presenti ed esistenti. La Costituzione infatti, riconoscendo la sussistenza di varie e distinte formazioni sociali, le quali insieme formano per l’appunto un sistema ed una organizzazione che può essere definita come “ordinamento” vero e proprio, afferma che lo Stato è tenuto a prenderle in considerazione, riconoscendole e tutelandole, dando massimo valore alla personalità dell’individuo, la quale si sviluppa non solo nella sua sfera strettamente individuale, ma anzi trova ampio respiro e vera ragion d’essere proprio all’interno di formazioni sociali11

9 La giuridicità dell’ordinamento sportivo ha rappresentato un profilo molto acceso nel dibattito all’interno della

dottrina, non sempre totalmente favorevole ad inquadrare il fenomeno sportivo all’interno di un vero e proprio ordinamento. In tal senso, è tato evidenziato come l’ordinamento sportivo debba essere esclusivamente riportato all’interno dei concetti dell’autonomia negoziale e quindi dello iure privatorum, in modo tale da escludere il riferimento alla nozione di ordinamento giuridico: «Il mondo del gioco è per eccellenza un mondo di azioni, comportamenti, situazioni, relazioni umane sciolte da ogni vincolo e da ogni impegno di ordine economico – giuridico». C. FURNO, Note critiche in tema di giochi, scommesse e arbitraggi sportivi, in Rivista trimestrale di diritto processuale civile, 1952, p. 638.

10 Il cui primo e grande interprete è senza dubbio Santi Romano, il quale si distacca fortemente dall’antica

concezione statualistica del diritto, elaborata in primis dal giurista tedesco Rudolf Von Jhering, in base alla quale una norma acquisisce efficacia giuridica solo in quanto elaborata e creata dallo Stato.

11 Il principio relativo al favore costituzionale dei corpi intermedi presenta alcuni corollari, tra i quali: l’ampia

libertà dei singoli di dar vita ad aggregazioni sociali per il perseguimento di diverse finalità, nonché la possibilità per tali formazioni di darsi un proprio ordinamento interno nello svolgimento dell’autonomia e dei poteri a loro riconosciuti.

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più vaste e aperte. La società pluralista, infatti, non può essere considerata come una mera sommatoria di più individui, ma anzi si articola in una molteplicità di formazioni intermedie (nel senso che esse si frappongono tra l’individuo e lo Stato). La concezione del pluralismo degli ordinamenti giuridici dunque, accettata e riconosciuta da parte della nostra Carta fondamentale, rappresenta il logico corollario di un’idea di fondo elaborata dal giurista Santi Romano, quella cioè relativa alla teoria istituzionale del diritto. Tale impostazione ha preso avvio a seguito dell’affiorare della convinzione circa l’insufficienza della teoria normativa12, caratterizzata da una concezione del diritto quale mero insieme di norme giuridiche, le quali troverebbero riconoscimento e validità non già da una reale efficacia intrinseca delle stesse, bensì dal fatto di essere poste e convalidate dall’ordinamento13. Secondo Santi Romano, sarebbe del tutto insufficiente ricondurre l’intera essenza del diritto ad un mero conglomerato di norme giuridiche, ma occorre procedere da una teoria di carattere istituzionale14, la quale spezza la logica sottesa alla concezione statualistica del diritto e considera quest’ultimo come un sistema di elementi non solo normativi, posti tra loro in una stretta relazione. A ben vedere, le norme non rappresenterebbero la struttura di una determinata organizzazione giuridica, ma l’oggetto che viene mosso dalla struttura stessa, costituita dall’organizzazione, da un insieme di ingranaggi e collegamenti di autorità e di forze. Ogni ordinamento ha dunque una forza propria, distinta da quella delle singole norme e dunque anche indipendente dalla volontà del legislatore che le ha emanate. Secondo tale dottrina, dunque, per poter effettivamente parlare di un ordinamento giuridico vero e proprio occorre la contemporanea sussistenza di tre requisiti fondamentali: a) Plurisoggettività, nel senso che l’ordinamento presuppone la necessaria esistenza di un gruppo, di un insieme di soggetti giuridici quali persone fisiche ed enti; b) Normazione propria, ossia si presenta come un complesso sistematico di norme regolatrici dei vari elementi ed aspetti presenti all’interno dell’ordinamento; c) Organizzazione, trattandosi di un complesso collegato di persone e strutture, di carattere duraturo, che costituisce l’ossatura del diritto e che sorregge l’intero ordinamento.

12 Sul tema in generale, H. KELSEN, La teoria pura del diritto, Torino, 1966. La dottrina pura del diritto è una

teoria del diritto positivo e generale, depurato da ogni tipo di legame con nozioni morali, politiche o sociologiche. La caratteristica specifica del diritto è quella di essere qualificante, poiché un fatto naturale è un fatto giuridico quando questo è contenuto in una norma posta dal legislatore.

13 AA.VV REMO, MORZENTI, PELLEGRINI, L’evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento

statale, Milano, 2007, p. 4 e ss.

14 S. ROMANO, L’ordinamento giuridico, 1918; ristampa, a cura e con un saggio di Mariano Croce, Quodlibet,

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Nonostante le dure critiche15 a cui è andata incontro tale dottrina, essa ha avuto il sopravvento e si è affermata come punto di riferimento per i giuristi, intenti nello studio degli ordinamenti giuridici e della loro natura. In dottrina, infatti, l’attribuzione del carattere di giuridicità all’ordinamento sportivo è stata riconosciuta, tra gli altri, anche da Cesarini Sforza, il quale ha considerato il diritto sportivo come manifestazione del “diritto dei privati”16, espressione che certo si riferisce alla unione e coordinamento di un gruppo di soggetti, i quali collaborano e cooperano al fine della realizzazione di uno scopo comune. Secondo l’autore, del resto, l’ordinamento sportivo rientra appieno nel novero di tutte quelle formazioni sociali e giuridiche non già sottoposte e subordinate all’ordinamento statuale, bensì parallele rispetto ad esso. Sul punto è intervenuto successivamente, e se vogliamo anche in modo più articolato, anche Giannini17, il quale rifacendosi espressamente alla teoria pluralistico – ordinamentale, inquadra il fenomeno sportivo come un vero e proprio ordinamento giuridico, dotato di un proprio apparato organizzativo e di un proprio sistema normativo. Per quanto invece concerne un riscontro della giurisprudenza, anche la Corte di Cassazione è intervenuta sul tema, riconoscendo la natura giuridica dell’ordinamento sportivo, in linea con lo schema ordinamentale di tipo pluralistico. La Suprema Corte, nel delineare la struttura del fenomeno sportivo ha chiarito infatti come l’ordinamento in questione sia originario e dotato di potestà amministrativa e normativa. La stessa, infatti, ha affermato che “Il fenomeno sportivo, quale attività disciplinata sia in astratto che in concreto, visto indipendentemente dal suo inserimento nell’ordinamento statale, si presenta come organizzazione a base plurisoggettiva per il conseguimento di un interesse generale. È un complesso organizzato di persone che si struttura in organi cui è demandato il potere-dovere, ciascuno nella sfera di sua competenza, di svolgere l’attività disciplinatrice, sia concreta che astratta, per il perseguimento del suddetto interesse. È, dunque, un ordinamento giuridico”18. Anche in tempi assai più recenti, del resto, la giurisprudenza ha avuto modo in altre occasioni di allinearsi a questa impostazione

15 L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, Università degli Studi di Camerino, 1999, p.

86 e ss., afferma che “assumere una prospettiva paritaria nei rapporti tra ordinamenti laddove invece si descrive di fatto il rapporto tra gli stessi in modo asimmetrico: le posizioni di rilevanza o di irrilevanza vengono decise unilateralmente dallo Stato”. In sostanza, tale teoria monista si contrappone a quella pluralistica, nella misura in cui sarebbe del tutto impossibile immaginare l’esistenza di un ordinamento giuridico ulteriore rispetto a quello statale, in quanto solo lo Stato ha la funzione ed il potere di organizzare la collettività. Carnelutti, inoltre, in Figura giuridica dell’arbitro sportivo, in Riv. Dir. Proc., 1953, p. 16, afferma che il fenomeno sportivo sarebbe in tutto estraneo alle regole del diritto ed anzi dominato dal principio del fair play, ossia del gioco caratterizzato da lealtà e correttezza: valori che, semmai, accompagnano la produzione normativa dei soggetti dell’ordinamento giuridico sportivo.

16 W. CESARINI SFORZA, Il diritto dei privati, ristampa, 1963, originariamente in Riv. It. Sc. Giur., 1929. 17 M. S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti sportivi, in Riv. Dir. Spor., 1949.

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interpretativa, sancendo dunque il definitivo approdo di un orientamento affermato più volte all’interno della nostra esperienza giuridica. Infatti, all’interno della sentenza n. 160/2019, la Corte Costituzionale si è espressa nuovamente su una questione già sottoposta alla sua attenzione nel 2011 da parte del TAR del Lazio, il quale aveva sollevato anche in quell’occasione questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 2 del d. lgs. n. 220/200319. La Corte, prendendo spunto dalla sentenza del 2011, si riferisce alla «natura, per taluni profili originaria e autonoma, dell’ordinamento sportivo, che di un ordinamento giuridico presenta i tradizionali caratteri di plurisoggettività, organizzazione e normazione propria». Affermare dunque che, accanto all’ordinamento giuridico dello Stato, esistono altri ed ulteriori ordinamenti giuridici di differente natura, significa di rimando – e per quanto qui interessa - porre in essere una teoria che va a riconoscere in modo forte e risoluto la giuridicità del fenomeno sportivo e dunque la sua natura di ordinamento giuridico (per quanto invece riguarda il rapporto tra ordinamento giuridico ed ordinamento sportivo ci soffermeremo in un secondo momento). Ed infatti, a ben vedere, è possibile riscontrare in modo lampante come il fenomeno sportivo rispetti tutti e tre gli elementi caratterizzanti dell’ordinamento sportivo, così come ideati dalla dottrina e, di fatto, così come riconosciuto anche all’interno della nostra Costituzione. L’ordinamento sportivo infatti è dotato di una grande e variegata plurisoggettività, data la compresenza al suo interno di tutto l’insieme di tesserati ed affiliati, nonché società, associazioni e le stesse Federazioni sportive; dal punto di vista organizzativo invece si snoda su due livelli fondamentali, l’uno sovranazionale e l’altro nazionale; mentre dal punto di vista normativo abbiamo un insieme di fonti normative di differente provenienza e natura – norme sovranazionali, norme statali, norme regionali e norme derivanti dallo statuto e dai regolamenti di Coni e Federazioni – a dimostrazione della complessa e variegata natura del fenomeno ludico – agonistico20.

Per concludere dunque, è chiaro che, se da un lato è certamente vera la natura di ordinamento giuridico del fenomeno, dall’altro non deve passare in secondo piano quella che è la peculiare natura dello stesso, che di fatto lo differenzia enormemente rispetto all’ordinamento giuridico

19 Corte Cost., sentenza n. 49/2011; qui la Corte aveva deciso sulla infondatezza della questione sollevata dal

giudice amministrativo, riconoscendo la legittimità dell’art. 2 del decreto del 2003, il quale riconosceva all’ordinamento sportivo la competenza esclusiva a decidere le controversie di carattere disciplinare. La Corte, in quell’occasione, afferma che la tutela riconosciuta al tesserato, che sia stato sanzionato da un provvedimento disciplinare illegittimo, è solo parziale e non inesistente (così come denunciato dal rimettente TAR), dato che si ammette la sola ed esclusiva tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo (e non anche la tutela demolitoria del provvedimento). Sul punto si tornerà più approfonditamente nel cap. II.

20 AA.VV REMO, MORZENTI, PELLEGRINI, L’evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento

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statuale. Infatti, mentre lo Stato rappresenta per eccellenza un ordinamento giuridico generale, comprensivo cioè di un insieme collettivo di interessi di differente natura, l’ordinamento sportivo, così come molti altri – potremmo ad esempio citare l’ordinamento Ecclesiastico o, addirittura, in modo assolutamente paradossale anche fenomeni illeciti legati a organizzazioni di stampo mafioso21 – si caratterizza per essere un ordinamento giuridico di carattere particolare o settoriale, il cui obiettivo cioè consiste esclusivamente nel regolare un insieme di fenomeni che si riconducono ad uno specifico e peculiare interesse o ambito giuridico – sociale (quale risulta essere, per l’appunto, il fenomeno sportivo). Il giurista, dunque, altro non può fare se non constatare che, all’interno di un singolo Stato, esistono vari ordinamenti giuridici di carattere particolare, il cui rapporto con lo Stato stesso risulta essere talvolta assai complicato se non, addirittura, conflittuale.

2.1. L’organizzazione dell’ordinamento sportivo: il Coni ed i rapporti con il Comitato Olimpico Internazionale.

Una volta aver definitivamente preso coscienza della natura giuridica dell’ordinamento sportivo, occorre procedere ad una analisi di quelli che sono i protagonisti di tale peculiare ordinamento. La nostra analisi a questo punto non può che partire da quello che rappresenta l’istituto cardine di tutto l’ordinamento sportivo, nonché centro focale e filtro dei rapporti che lo stesso ha avuto (e tuttora ha) nei confronti dell’ordinamento statale (e di cui ci occuperemo in seguito). Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) è un ente pubblico indipendente, non economico, necessario, associativo e federativo, la cui apicale posizione risulta essere connotata da alcune caratteristiche peculiari che lo rendono l’indiscusso punto di riferimento attorno al quale ruota l’intera galassia dell’ordinamento sportivo. La sua istituzione, avvenuta nel 1914, si verificò sulla scia della costituzione di un ulteriore organo di stampo sovranazionale, il Comitato Internazionale Olimpico (CIO)22, il quale aveva come scopo fondamentale quello di far rinascere i giochi olimpici dell’antica Grecia attraverso l’organizzazione di un evento sportivo quadriennale, dove gli atleti di tutti i paesi avrebbero potuto gareggiare tra loro. Il CIO, che ha sede a Losanna, in Svizzera, risulta essere un

21 Santi Romano, infatti, afferma chiaramente che ciò che fa di una determinata organizzazione sociale un vero e

proprio ordinamento giuridico non consiste affatto, contrariamente a quanto si possa pensare, nella liceità dell’obiettivo che lo stesso si prefigge. Non a caso egli ricomprende all’interno di tale definizione anche altre organizzazioni sociali che, per l’appunto, sono caratterizzate da un fine illecito, ma non per questo non suscettibili di essere definite come ordinamenti giuridici a sé stanti.

22 Il CIO è una organizzazione non governativa, creata nel 1894 da Pierre De Coubertin, il quale fu un dirigente

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organismo molto particolare, nel senso che si tratta di un ente sovranazionale composto da tutti gli stati all’interno dei quali esiste un Comitato Olimpico Nazionale. Esso si pone dunque come organo apicale in due distinti ordinamenti: quello sportivo mondiale, da un lato, e quello del singolo Stato, dall’altro. Ciò significa che, di fatto, l’autonomia dell’ordinamento sportivo viene in qualche modo ad essere delimitata in parte, sia dall’ovvia coesistenza con l’ordinamento statuale, sia con i rapporti sussistenti con la comunità internazionale, il cui organo apicale in ambito sportivo risulta essere per l’appunto il CIO. Non a caso, l’art. 2, d.lgs. n. 242/ 1999, afferma che “Il CONI è la Confederazione delle Federazioni sportive nazionali e delle discipline associate e si conforma ai principi dell’ordinamento sportivo internazionale, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato Olimpico Internazionale”. Da questo punto di vista è già possibile evincere una contraddizione di fondo tra quello che è il riconoscimento dell’ordinamento giuridico sportivo quale “articolazione” dell’ordinamento sportivo nazionale (considerando anche la oggettiva difficoltà di sistemazione, all’interno del nostro ordinamento giuridico, della nozione stessa di articolazione: si tratta forse di un organo di un altro soggetto? Sono rilevabili all’interno del nostro ordinamento altre articolazioni di ordinamenti internazionali? Corrisponde ad un fenomeno associazionistico in qualche misura rilevante per un soggetto terzo?) e gli avvertimenti, contenuti nello stesso testo normativo così come in altri, sulle limitazioni, in particolare con il CONI, derivanti dalle deliberazioni e dagli indirizzi del CIO23. Ma le perplessità circa la reale natura del CIO riguardano anche la sua intrinseca natura, poiché si tratta di un organismo privo di personalità giuridica internazionale e dotato di soggettività giuridica di diritto svizzero, il che ci induce a riflettere sulla composizione di tale organo, il quale, assieme a molti altri protagonisti del mondo sportivo – tanto a livello nazionale quanto appunto a livello comunitario – non sembra facilmente riconducibile ad alcun tipo di schema rigido e dogmatico, a dimostrazione, ancora una volta, della complessità del fenomeno e della variegata natura dei soggetti che lo compongono. Potremmo dunque dire che il CIO, nell’esercizio del suo jus postulandi, negozi su una posizione di sostanziale parità gli accordi con gli Stati che ospitano le manifestazioni olimpiche, imponendo a questi ultimi l’accettazione della Carta Olimpica, e nonostante stipuli veri e propri contratti con gli stessi ed i relativi Comitati Olimpici Nazionali, di fatto gli atti in questione non integrano affatto la natura di veri e propri accordi internazionali. Essi si concretizzano piuttosto e rispettivamente, i primi come impegni che lo Stato ospitante unilateralmente accetta, mentre i secondi come veri e propri contratti sottoposti alla legge nazionale svizzera, nonché alla

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cognizione del Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS)24. Si tratta dunque di norme di carattere convenzionale e pertanto di natura contrattuale, vincolanti in conseguenza della adesione degli Stati e delle Federazioni nazionali al CIO, le quali non appartengono né al diritto internazionale, né al diritto interno, ma piuttosto al c.d. diritto transnazionale, basato sulla autonomia della volontà delle parti contraenti.

Il CONI, dunque, rappresenta una sorta di diramazione nazionale del CIO (pur in presenza della oggettiva difficoltà, già richiamata, di inquadrare tanto la natura intrinseca del CIO, quanto quella dei rapporti che lo stesso ha con gli Stati ed i singoli Comitati Olimpici Nazionali) e si occupa di gestire, organizzare e disciplinare gli aspetti fondamentali dell’ordinamento sportivo nazionale. Tale organo si configurava inizialmente come un soggetto giuridico di natura privata, in quanto costituito su iniziativa dei rappresentanti delle preesistenti Federazioni ed organizzazioni sportive nazionali, e soprattutto con funzioni di carattere temporaneo, le quali consistevano essenzialmente e principalmente nella cura della partecipazione della rappresentativa italiana alle olimpiadi. Pur trattandosi di una associazione di fatto inizialmente considerata del tutto irrilevante da parte dello Stato, in pochi anni il CONI ha cominciato ad assommare funzioni sempre più importanti e durature, rispondenti non più soltanto al coordinamento delle discipline sportive comprese nel programma olimpico, ma anche, e più in generale, riguardanti l’attività sportiva italiana nel suo complesso. L’assunzione di funzioni sempre più di stampo pubblicistico, del resto, determinarono un crescente interesse del legislatore verso questa federazione di carattere associativo, verificatosi attraverso una progressiva ingerenza statale nella struttura, la quale si acuirà in modo spropositato durante la vigenza del periodo Fascista, stante l’evidente idoneità dello sport a fungere quale strumento di propaganda nazionalistica25. In seguito all’emanazione di una legge destinata a diventare tanto importante quanto discussa, la n. 426, 16 febbraio 1942, il CONI viene costituito come un ente dotato di personalità giuridica ritenuta dalla dottrina, a causa della mancanza di un espresso riferimento da parte del legislatore fascista, di diritto pubblico. La pubblicizzazione del CONI,

24 Il TAS è un tribunale arbitrale permanente, istituito direttamente dal CIO nel 1983. Inizialmente si prefigurava

come un’istituzione di arbitrato autonoma dal punto di vista organizzativo ma priva della personalità giuridica. Il suo legame genetico con il CIO, tuttavia, ha determinato l’insorgere di fortissimi e legittimi dubbi circa la sua effettiva idoneità ad agire come tribunale arbitrale, con riferimento al fondamentale presupposto dell’indipendenza rispetto al soggetto che ne aveva determinato la costituzione, soprattutto nelle ipotesi in cui il CIO fosse parte in casa di una controversia posta a giudizio di fronte al TAS. Fu per questa ragione che il CIO nel 1993 istituì un ulteriore organismo, il CIAS (Conseil International de l’Arbitrage en matière de Sport), il quale aveva lo specifico compito di assicurare la formale indipendenza del TAS, salvaguardando così i diritti giurisdizionali delle parti in causa.

25 C. ALVISI, Autonomia privata e autodisciplina sportiva. Il CONI e la regolamentazione dello sport, Milano,

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d’altro canto, ne ha lasciato sostanzialmente inalterata l’originaria struttura organizzativa di tipo associativo, ferma restando la capacità di tale ente sia di costituire nuove Federazioni, sia di approvarne i regolamenti interni. In seguito alla caduta del regime, la struttura organizzativa e funzionale del CONI rimane sostanzialmente inalterata, mentre le cariche dell’ente, divenute cariche di carattere prettamente politico sotto il regime fascista, riacquistarono la loro natura elettiva. Nel 1992, il legislatore ritenne di sottoporre l’ente in esame ad un regime di carattere differenziato, in modo tale da assicurarne tanto la funzionalità quanto la autonomia, abilitando il Consiglio Nazionale del CONI a deliberare le norme di funzionamento e di organizzazione, nonché l’ordinamento dei servizi ed il regolamento di amministrazione e contabilità. Infine, con il d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, si provvedeva al “riordino” della disciplina del CONI, abrogando la precedente disciplina della l. 426/1942 ed attribuendogli in modo esplicito la personalità giuridica di diritto pubblico, superando in tal senso il silenzio sul punto della legge istitutiva26. Allo stesso tempo, mentre riecheggiano le norme sull’organizzazione e sulle funzioni del CONI rispetto alla legge istitutiva, nonché l’obiettivo di promozione della pratica sportiva su tutto il territorio nazionale, viene confermata la precedente sottoposizione alla vigilanza governativa tramite il Ministero per i beni e le attività culturali.

Alla luce di quanto emerge da questo breve, ma necessario excursus di carattere storico, risulta evidente la natura peculiare del CONI: nato in primis come organo di matrice privata e divenuto in seguito un ente di diritto pubblico, avente funzioni apicali nell’ambito dell’ordinamento sportivo italiano e, soprattutto, caratterizzato da un forte grado di autonomia nei confronti dell’ordinamento giuridico statuale. Ed è proprio su questo aspetto fondamentale che si basa l’autonomia che contraddistingue - seppur con enormi difficoltà – l’intero ordinamento sportivo. In sostanza, lo Stato altro non ha fatto che, da un lato, procedere al mero riconoscimento delle funzioni esercitate dal CONI come articolazione settoriale del CIO e, dall’altro, conferire contestualmente a tale ente i compiti, di indubbio interesse pubblico, circa il governo e la regolamentazione generale delle attività sportive, da assolvere in piena autonomia di giudizio e di azione, dal momento che nessuna delle prerogative assegnate risulta in qualche modo subordinata a controlli o direttive da parte degli organi pubblici statali, dato che essi non detengono alcuna competenza generale in materia, fatto salvo il fondamentale rispetto dei principi dell’ordinamento statale e comunitario, oltre che di quelli dell’ordinamento internazionale. Concludendo sul CONI, una volta aver appurato la sua natura di organo di diritto

26 AA.VV REMO, MORZENTI, PELLEGRINI, L’evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento

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pubblico indipendente, posto a capo dell’intera organizzazione sportiva nazionale, occorre affermare che il problema dal quale sono molto probabilmente scaturite le discussioni più accese concerne la natura dei rapporti che lo stesso ha con le Federazioni sportive nazionali a cui fa capo.

2.2. Le Federazioni Sportive Nazionali.

Le Federazioni Sportive nazionali (FSN) nascono come associazioni di carattere nazionale, ciascuna delle quali rappresentativa dei soggetti praticanti di una determinata disciplina sportiva. In quanto al corretto inquadramento circa la loro effettiva natura – e dunque anche al loro rapporto con il CONI – le Federazioni sono da sempre state fonte di incertezza, sia per la dottrina che per la giurisprudenza, in assenza di un corretto e lineare intervento da parte del legislatore. Il punto di partenza di un problema perdurato per decenni all’interno del nostro ordinamento giuridico ha origine nell’art. 5, l. n. 426/1942, il quale afferma essere le Federazioni «organi» del CONI. Ed è proprio sull’interpretazione di tale termine che da subito la dottrina si è suddivisa in due differenti correnti: da un lato, si riteneva che il legislatore avesse usato il termine in senso strettamente tecnico, e che pertanto le Federazioni fossero organi in senso proprio del CONI (tesi pubblicistica); dall’altro, si riteneva invece che il legislatore avesse fatto uso improprio o, per meglio dire, a-tecnico del termine27(tesi privatistica).

La questione risulta essere focale per comprendere l’effettiva natura delle Federazioni e, di conseguenza, anche quello che è il loro rapporto con il CONI. Secondo la tesi pubblicistica, dunque, le Federazioni sono organi in senso proprio del CONI e in ragione di ciò partecipano della natura pubblicistica di tale ente. A sostegno di tale ipotesi sono stati sottolineati vari aspetti, quali ad esempio la sottoposizione ad un penetrante controllo da parte del CONI, la possibilità del CONI stesso di costituire nuove Federazioni, la possibilità delle stesse di avvalersi del personale del medesimo ente pubblico, come tale inquadrato in un’ottica di pubblico impiego, il potere di controllo sulle società sportive, nonché l’invocato art. 10, l. n. 91/1981, in base al quale si attribuisce alle Federazioni un importante potere pubblico, quale è quello di affiliazione, visto come atto di ingresso e dunque di ammissione delle società all’interno dell’ordinamento sportivo. Per quanto invece concerne la giurisprudenza, occorre

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segnalare un andamento ondivago e mai omogeneo sul punto, in quanto si è talvolta sostenuto la natura pubblica delle Federazioni sportive28, mentre in altri casi29 si è propeso verso una qualificazione privatistica delle stesse. Secondo la tesi privatistica, invece, le FSN vengono inquadrate come associazioni di diritto privato, facendo leva sulla libertà di associazione ex art. 18 Cost., il quale comporterebbe la libertà di autogoverno e la sottrazione da ogni ingerenza statale. Una prima ragione avanzata dalla dottrina a sostegno di tale teoria viene ricondotta nel contesto socio-culturale in cui sono nate le Federazioni, caratterizzato da una aggregazione spontanea e volontaria di alcuni soggetti legati dal comune intento di svolgere una determinata pratica sportiva, intervenendo solo in un secondo momento l’esigenza di costituire associazioni maggiormente articolate e complesse, dato il riconoscimento delle medesime da parte del CONI. Inoltre, e forse soprattutto, il riconoscimento in capo alle Federazioni, operato dall’art. 14 l. n. 91/1981, di una propria autonomia di tipo tecnico, in riferimento alla capacità delle stesse di darsi un proprio apparato organizzativo interno, con conseguente libertà circa lo svolgimento di tutte le attività riconducibili alla propria sfera di competenza, testimonierebbe la palese volontà del legislatore di voler trattare e considerare le Federazioni come organi separati e a sé stanti rispetto al CONI, con propri margini di autonomia caratteristici delle strutture di carattere privatistico30.

In realtà entrambe le teorie precedentemente esposte, dal loro punto di vista eccessivamente rigido e dogmatico, vanno inevitabilmente incontro ad alcune problematicità che non le permettono di inquadrare il tema nella sua completezza e complessità. Per quanto concerne la tesi pubblicistica, ad esempio, essa va a sbattere contro quello che sembra essere un muro invalicabile, dato che, ammettendo la natura prettamente pubblica delle Federazioni, il rischio che si corre è quello di ammettere conseguentemente una naturale e giustificata ingerenza dell’ordinamento statale nei confronti del fenomeno sportivo, andando dunque a minare alla base uno dei principi cardine del suddetto ordinamento, appunto l’autonomia rispetto all’ordinamento generale. La soluzione pubblicistica, infatti, avrebbe determinato la crisi dell’intero sistema di giustizia sportiva, dato che qualsiasi provvedimento federale (in quanto tale considerato come un vero e proprio provvedimento amministrativo) sarebbe stato

28 Cons. St., sez. VI, 18 gennaio 1996, n. 108.

29 Cort. Cass., sez. VI pen., 2 agosto 2000, n. 8727. Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, essa

ha categoricamente escluso la sussistenza del peculato, qualificando differentemente il fatto come appropriazione indebita aggravata, sulla base della negazione della natura pubblicistica delle Federazioni sportive, le quali sono dunque state considerate come associazioni di diritto privato.

30 AA.VV. REMO, MORZENTI, PELLEGRINI, L’evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento

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suscettibile di impugnazione direttamente innanzi agli organi di giustizia ordinaria31. Per quanto invece attiene la tesi privatistica, appare difficile inquadrare una associazione di carattere strettamente privato sotto il controllo di un organo pubblico indipendente, quale è appunto il CONI, senza che le stesse partecipino minimamente della natura pubblicistica dello stesso, qualificandole dunque come elementi completamente separati rispetto al Comitato32.

Ecco allora che, come spesso avviene, la verità – o quanto meno, la descrizione della realtà che più vi si avvicina – probabilmente si colloca nel mezzo alle due teorie contrapposte. Non a caso, nel corso della storia, ha preso sempre più piede una teoria più flessibile e, per questo, probabilmente più adatta a descrivere il difficile fenomeno legato alla natura giuridica delle Federazioni sportive. Quella a cui si intende fare riferimento, dunque, è la c.d. tesi mista (o della doppia natura giuridica) delle Federazioni, secondo la quale quest’ultime sarebbero caratterizzate da una duplice natura giuridica, essendo evidente come le stesse siano chiamate a spiegare compiti e di matrice pubblica e di matrice privata. Sulla base di tale prospettazione, l’elemento fondamentale per il quale occorre stabilire se applicare la disciplina privatistica o quella pubblicistica risulterebbe essere, non già la natura del soggetto agente, quanto piuttosto la natura della determinata e concreta attività posta in essere dalle Federazioni33. È stato osservato dunque come le Federazioni sportive acquisiscano la qualificazione pubblicistica a fini prettamente funzionali, da ricondursi quindi a quello che è il loro ruolo svolto in seno al CONI, ferma restando al tempo stesso quella che è la loro natura privatistica in merito al momento genetico34, caratterizzato da una aggregazione del tutto spontanea e su base volontaria da parte dei soggetti affiliati. Ciò sarebbe dunque riconducibile al fatto, del tutto in linea con quanto accade, che da un lato le suddette Federazioni svolgono comunque alcune funzioni riconducibili a quella che è la sfera di competenza del CONI, ma dall’altro conservano una struttura a carattere prettamente associativo costituita da soggetti privati, alla quale del resto l’ordinamento riconosce completa autonomia organizzativa, tecnica e di gestione. È proprio da questa teoria che emerge la qualificazione delle Federazioni sportive quali organi per così dire “indiretti” del CONI, in quanto soggetti privati abilitati ad emanare atti aventi natura

31 P. SANDULLI, M. SFERRAZZA, Il giusto processo sportivo. Il sistema di giustizia sportiva della Federcalcio,

Milano, 2015, p. 49.

32 F.P. LUISO, La giustizia sportiva, Milano, 1975, cit. L’autore procede ad una analisi molto dettagliata circa il

contrasto tra le due differenti teorie riguardanti la natura giuridica delle Federazioni sportive, giungendo alla conclusione che nessuna delle due, prese ciascuna dal loro esclusivo punto di vista, riesce a spiegare il fenomeno nel modo più completo possibile, perdendo inesorabilmente forza la loro forse eccessiva rigidità dinanzi alla complicata realtà giuridica di tali associazioni.

33 P. PIZZA, L’attività delle Federazioni sportive tra diritto pubblico e privato, in Foro amm. CdS, 2002, 3257. 34 A. MARANI TORO, Gli ordinamenti di liberazione, in Riv. Dir. Sport., 1977, p. 143.

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pubblicistica nello svolgimento di attività sostanzialmente proprie di un ente pubblico. Con la conseguenza, tra l’altro, che i regolamenti emanati dalle Federazioni sportive possono considerarsi pubblici solo se dettati per il perseguimento di finalità corrispondenti a quelle pubblicistiche del CONI, con l’ovvia difficoltà di individuare di volta in volta in che veste le suddette Federazioni abbiano agito per emanare un determinato atto. La suddetta natura duplice, e quindi per certi aspetti sicuramente ambigua, delle Federazioni sportive, unitamente alla difficoltosa definizione del loro rapporto giuridico intercorrente con il CONI, ha avuto termine con il d. lgs. n. 242/1999: tale nuova disciplina, nel confermare la natura pubblicistica della personalità giuridica del CONI all’art. 1, ha espressamente dichiarato di diritto privato la personalità giuridica delle Federazioni sportive. Così facendo, si è in qualche modo reciso anche il legame strutturale con il CONI, impedendo ogni possibile ricostruzione circa la doppia natura delle Federazioni stesse, così come un loro incardinamento nell’ente pubblico quali organi dello stesso. Secondo l’art. 15 infatti, le Federazioni sportive “hanno natura di associazioni con personalità giuridica di diritto privato”. L’articolo in esame procede puntualizzando due aspetti non marginali: in primo luogo affermando che l’attività delle Federazioni debba necessariamente svolgersi “in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI”; in secondo luogo predisponendo che l’attività delle stesse può avere, in relazione ad alcuni specifici aspetti, “valenza pubblicistica”. D’altronde, la previsione di una valenza di carattere pubblicistico di specifici aspetti dell’attività delle Federazioni, per quanto da un lato risulti del tutto evidente, non sembra dall’altro comportare conseguenze in ordine alla configurazione giuridica delle medesime. È del tutto evidente, infatti, che un soggetto privato possa svolgere anche delle funzioni di carattere pubblico35. Sembra quindi opportuno poter affermare che l’art. 15 abbia semplicemente inteso voler richiamare la possibile rilevanza pubblicistica relativa ad alcuni aspetti della attività delle Federazioni, affermandone al tempo stesso in modo esplicito la natura di associazioni di carattere privato. Anche dopo il d. lgs. n. 15/2004, del resto, le Federazioni sportive sono riconosciute come “associazioni con personalità giuridica di diritto privato, che non perseguono fini di lucro”. Tuttavia, nonostante la riconferma di tale natura da parte del legislatore, il nuovo comma 3 ex art. 15, in modo forse del tutto improprio con tale natura giuridica, sottopone i bilanci delle Federazioni sportive alla approvazione della Giunta nazionale del CONI. Sulla base di tali considerazioni si può dunque affermare che l’intervento del legislatore, se ha riconfermato la natura giuridica privata delle Federazioni, ha tuttavia senza alcun dubbio anche accentuato gli elementi di confusione maggiormente discussi in ordine alla

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tipologia dei compiti e delle attività svolte dalle suddette. Infatti, non risulta comprensibile il motivo in virtù del quale tali attività di valenza pubblicistica non siano direttamente individuate dalla legge, così come ancor meno sembra comprensibile perché esse debbano piuttosto essere individuate dallo statuto dell’ente pubblico. Inoltre non risulta comprensibile neanche il motivo per il quale i bilanci delle Federazioni debbano essere approvati dalla Giunta nazionale del CONI, se si tratta di autonome persone di diritto privato. Ecco che, dunque, e per concludere sul tema, alla luce di quanto detto circa gli ultimi interventi legislativi, appare del tutto evidente come da un lato essi abbiano cercato di disciplinare in modo netto e marcato la natura e l’attività delle Federazioni, non riuscendo però del tutto nel loro intento, in quanto permangono alcuni rilevanti dubbi soprattutto circa la loro attività; dubbi, tra l’altro, che inevitabilmente si riflettono nell’incertezza circa la natura di vero e proprio provvedimento amministrativo emanato dalle stesse o meno, andando dunque a creare delle perplessità anche sulla competenza del giudice che, nel caso, dovrà valutare la legittimità dell’atto emanato. Non a caso, infine, il risultato di tali interventi è senz’altro stato quello di rendere meno netta e marcata la linea di demarcazione tra CONI e Federazioni, comportando indubbi aspetti di sovrapposizione, per niente corrispondenti ad un criterio di chiara ed auspicabile distinzione tra ente pubblico e soggetti privati.

2.3. Il tesseramento: libera associazione o associazionismo coattivo?

Quanto sin qui affermato ci offre lo spunto per poter esaminare un tema assai delicato ed importante, che coinvolge non solo la natura delle Federazioni ed il loro rapporto con il CONI, ma anche e soprattutto il fondamentale rapporto giuridico sussistente tra le suddette Federazioni sportive ed i vari soggetti ad esse tesserati. Come sappiamo, e come in parte già anticipato36, sebbene la Costituzione abbia a lungo37 taciuto circa un suo riconoscimento ufficiale nei confronti dello sport quale materia costituzionalmente protetta e garantita, risulta senza alcun dubbio pacifico affermare che l’attività sportiva, all’interno del nostro - così come in qualsiasi altro ordinamento giuridico - risulti essere un diritto fondamentale dell’individuo. Come infatti già affermato, l’art. 2 Cost. tutela espressamente quelli che sono i diritti inviolabili dell’uomo, tra i quali certamente viene ricompresa la possibilità di praticare attività sportiva, sia

36 Si veda il paragrafo 1.1. circa il diritto fondamentale e costituzionalmente riconosciuto degli individui di

praticare sport.

37 Il riferimento è certamente rivolto al silenzio della Costituzione sino alla Riforma del Titolo V, avvenuta nel

2001, circa un esplicito riferimento nei confronti del fenomeno sportivo all’interno del dettato costituzionale. Si veda in tal senso il paragrafo 1.1.

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individualmente che all’interno delle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la sua personalità. Così anche l’art. 32 Cost. pone al centro dell’interesse non solo della persona, bensì dell’intera collettività, il dovere istituzionale di garantire e tutelare la salute quale diritto fondamentale - se non come il primo e più importante diritto – dell’individuo. E con ciò, il riferimento alla salute perseguita tramite l’attività sportiva, sia individualmente che in gruppi associati, risulta essere quantomai diretto ed appropriato. Per non parlare dell’art. 18 Cost., il quale come sappiamo si lega indissolubilmente all’art. 2, assieme al quale costituisce la base sulla quale si ergono le fondamenta dell’intero sistema sportivo italiano, per lo meno dal punto di vista costituzionale della sua disciplina, il quale riconosce la possibilità o, per meglio dire, il diritto di ciascuna persona di potersi liberamente associare assieme ad altre per il perseguimento di fini legittimi e che non siano in alcun modo in contrasto con il dettato costituzionale. Ma, per proseguire con questo nostro ragionamento, occorre procedere con il sottolineare un aspetto tanto importante quanto delicato, circa la necessaria distinzione tra attività sportiva ed attività agonistica. Se, infatti, da un lato per attività sportiva (che potremmo anche definire “sport amatoriale”) si intende quel tipo di attività praticata da tutti i soggetti non iscritti presso società sportive o enti di promozione sportiva, e dunque finalizzata al semplice mantenimento del benessere psico – fisico della persona (in quanto tale perfettamente rientrante nella tutela costituzionale quale diritto inviolabile dell’uomo), dall’altro per attività agonistica si intende quella attività che venga praticata continuativamente, sistematicamente ed esclusivamente in forme organizzate dalle Federazioni sportive nazionali e dagli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI. Ecco che, dunque, il tesseramento rappresenta all’interno del nostro ordinamento giuridico un elemento molto importante, attraverso il quale l’atleta acquista tale qualifica nel momento in cui entra a far parte della Federazione cui è affiliata la società sportiva per la quale lo stesso svolge la propria attività. L’atleta dunque si tessera alla Federazione per il tramite della associazione sportiva presso la quale svolge la sua attività: ecco che, per l’appunto, egli si vincola con la società sportiva e contemporaneamente si associa alla Federazione nazionale. A mero titolo esemplificativo, si ricorda che l’art. 5, punto 2, dello Statuto della F.I.N. (Federazione Italiana Nuoto) stabilisce che «gli atleti entrano a far parte della Federazione all’atto del tesseramento»; inoltre, il successivo punto 6 del medesimo articolo prevede che «per poter svolgere attività federale gli atleti devono essere muniti della tessera della F.I.N. valida per l’anno in corso, rilasciata per lo svolgimento dell’attività in favore di una società».

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Il tesseramento dunque, attraverso il quale lo sportivo in questione acquista il diritto di partecipare all’attività agonistica organizzata dalla Federazione, rappresenta il momento specifico tramite il quale un soggetto acquista la “cittadinanza sportiva” all’interno dell’ordinamento sportivo nazionale, qualifica essenziale per qualsiasi atleta che voglia non solo praticare sport per il semplice piacere di farlo, ma voglia ottenere un riconoscimento ufficiale della propria attività prestata e dei risultati conseguiti. Ciò significa, infatti, chesolo l’appartenenza alla comunità sportiva organizzata sotto l'egida del Coni e delle Federazioni sportive, nazionali ed internazionali, e Discipline associate, nonché enti di promozione sportiva, consente il riconoscimento a livello ufficiale dell'attività e dei risultati sportivi di un atleta. Da questo punto di vista dunque non sarebbe fuori luogo affermare che l’attività sportiva in Italia, intesa esclusivamente nel senso agonistico del termine, e quindi di competizione ufficiale tra sportivi, risulta essere sottoposta al monopolio legale del complesso organizzativo CONI-Federazioni. Il che non porrebbe di per sé particolari problemi, se non fosse che il tesseramento implica anche il necessario riferimento ad uno degli aspetti più dibattuti nel mondo dell’ordinamento sportivo e dei diritti dei soggetti appartenenti allo stesso, ossia il vincolo di giustizia sportiva, in virtù del quale ogni soggetto tesserato si impegna non solo a rispettare gli obblighi ed i doveri derivanti dai regolamenti delle varie Federazioni, ma anche e soprattutto ad adire gli organi di giustizia sportiva per la risoluzione di controversie eventualmente insorte all’interno dell’ordinamento sportivo (sul quale ci soffermeremo più avanti in modo più dettagliato). Il che pare per lo meno porre alcuni dubbi e perplessità in merito all’effettivo rispetto dell’art. 18 Cost.: risulta complicato, infatti, affermare la piena e totale libertà di associazione di uno sportivo, il quale, se per poter gareggiare ufficialmente e dunque vedersi riconoscere a livello ufficiale tutti i risultati conseguiti dalla sua attività, deve necessariamente procedere al tesseramento e dunque vincolarsi, assieme alla società alla quale appartiene, ad un complesso normativo facente capo alla Federazione38. Ciò appare ancora più evidente

soprattutto alla luce di tutte quelle che sono le conseguenze sul piano della tutela della posizione giuridica del tesserato stesso, dato che si vanno a toccare anche altri aspetti costituzionali che da sempre si pongono in frizione con il vincolo sportivo e con quanto esso determina in merito ad alcuni diritti fondamentali dell’individuo, primo fra tutti l’art. 24 Cost, che come sappiamo

38 F.P. LUISO, La giustizia sportiva, cit., p. 177 e ss. Il giurista si pone alcuni interrogativi circa la complessa

questione del tesseramento di un soggetto nei confronti di una determinata Federazione sportiva. Egli afferma che, se per poter svolgere un certo tipo di attività sia necessario iscriversi ad una associazione di carattere coattivo (la quale non per forza, per risultare tale, debba necessariamente essere avere la natura di ente pubblico), occorre certamente che l’iscrizione stessa da parte degli organi sociali sia ragionevolmente disciplinata. In realtà, la natura ed il regime giuridico di un’associazione ad appartenenza coattiva pongono rilevanti problemi, anche in ambito sportivo per l’appunto, che però non hanno mai ricevuto dalla dottrina la giusta attenzione che meritano.

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