• Non ci sono risultati.

Il principio di effettività della tutela ed il giusto processo: profili d

3. AUTODICHIA E GIUSTIZIA SPORTIVA.

1.1. Il principio di effettività della tutela ed il giusto processo: profili d

L’ordinamento giuridico sportivo, in ragione della sua evoluzione nel corso degli anni, ha istituito, come sappiamo, un proprio apparato giustiziale interno, votato alla risoluzione delle controversie eventualmente insorte tra soggetti tesserati, affiliati e Federazioni sportive. Ma, la previsione di una giustizia domestica, se per un verso risulta essere assolutamente in linea con ciò che rappresenta lo sport organizzato (e cioè un ordinamento giuridico a sé stante e settoriale, per certi aspetti una sorta di riproduzione in scala ridotta della struttura dell’ordinamento generale dello Stato) per altro verso comporta alcuni profili di criticità nei confronti della effettività della tutela. Tale principio, sebbene a prima vista possa sembrare un tema rivolto esclusivamente al sistema giurisdizionale generale dello Stato, a ben vedere coinvolge qualsiasi tipologia di struttura e meccanismo giustiziale, a prescindere dalla tipologia dell’ordinamento giuridico in cui esso è istituito. In altri termini, l’effettività della tutela rappresenta uno dei principi più importanti cui si debba rivolgere un determinato ordinamento giuridico, e ciò perché, in effetti, è proprio dalla effettività della tutela predisposta nei confronti dei “cittadini”

104

di quel determinato ordinamento, che l’ordinamento stesso trae la propria credibilità e la propria legittimità. Infatti, è proprio sulla tutela (e prima ancora sulla sua effettività ed efficacia) nonché sulla fiducia riposta dai relativi soggetti nei confronti degli organi giudiziari o giustiziali e, più in generale, nei confronti di tutte le istituzioni di quel determinato sistema, che alla fine si regge l’ordinamento in questione166. La tutela delle situazioni giuridiche soggettive considerate da esso rilevanti, dunque, costituisce non solo una prerogativa imprescindibile per la vigenza ed esistenza di quel determinato sistema ordinamentale (e ciò, va ricordato, si ritiene che valga anche qualora si tratti di ordinamenti settoriali o infra statuali, quale di fatto è quello dello sport organizzato) ma prima di tutto rappresenta in realtà una conquista di civiltà giuridica167. Si tratta, dunque, di un principio universale e di indiscutibile rilevanza, il quale trova il suo riconoscimento in tutta una serie di fonti normative non solo statali, ma anche e soprattutto internazionali. La Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, nota anche con l’acronimo di CEDU, ad esempio, prevede all’art. 13 che «ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali»168. Per quanto invece concerne il diritto comunitario, invece, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE prevede una disposizione sostanzialmente analoga, secondo la quale «ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto ad un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste dal presente articolo». Anche il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), del resto, prevede all’art. 19 che «gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione». Per quanto invece concerne il piano nazionale, spicca innanzitutto il già citato art. 24 Cost., in forza del quale «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi», così come, peraltro, si presume anche dalla lettura dei successivi artt. 103

166 S. M. CARBONE, Principio di effettività e diritto comunitario, Napoli, 2009, p. 7, osserva che «il principio di

effettività, come è noto, rappresenta una nozione imprescindibile per comprendere e giustificare ogni ordinamento giuridico».

167 A ben vedere, il principio in esame trae fondamento dal secolare processo di affermazione della cultura delle

garanzie dei diritti e delle prerogative dei cittadini dell’ordinamento giuridico. Il riferimento, in tal senso, non può che andare, in primis, alla Magna Carta Libertatum, nonché a tutta una serie di carte che ad essa si sono ispirate nel corso del tempo, come la Costituzione degli Stati Uniti (il cui quinto emendamento stabilisce che «nessuno potrà essere privato della vita, della libertà o dei beni senza un equo processo») oppure la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948.

168 Come sappiamo, le norme contenute all’interno della CEDU hanno natura interposta, ciò significa che,

all’interno della gerarchia delle fonti interne del nostro ordinamento, si collocano sostanzialmente a metà strada tra le norme della Costituzione, da un lato, e le leggi ordinarie, dall’altro.

105

e 113 della stessa Carta fondamentale. Ecco dunque che, dalla lettura degli articoli e delle disposizioni citate, si evince in modo chiaro come il principio di effettività della tutela trovi la sua ragion d’essere non solo come principio rivolto, in senso assoluto, ad un determinato ordinamento giuridico in generale, quanto piuttosto si riferisca in modo diretto sul piano strettamente processuale, attraverso la previsione di determinati moduli procedurali che possano garantire lo svolgimento di un giusto processo. A ben vedere, sotto tale profilo, il principio del giusto processo rappresenta certamente una declinazione del più ampio e generale principio dell’effettività della tutela. Infatti, si può dire che è solo attraverso un processo equo e garantista dei più importanti diritti procedurali (si veda, ad esempio, il principio del contraddittorio, quello della terzietà ed indipendenza dell’organo giudicante, il diritto alla prova ecc.) che il soggetto, che si ritenga leso delle proprie situazioni giuridiche, può ottenere, ricorrendo al giudice, la loro concreta tutela. Tale principio, del resto, trova esplicita regolamentazione all’interno di una apposita disposizione della Costituzione: l’art. 111 Cost., infatti, nei suoi primi due commi, afferma che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato per legge», e che «ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata». Ora, sebbene i successivi commi del presente articolo si riferiscano esclusivamente al procedimento di tipo penale, è chiaro come la statuizione si riferisca ad «ogni processo», con ciò intendendo tutti i procedimenti incardinati innanzi a ciascuno dei sistemi giurisdizionali e giustiziali previsti all’interno dell’ordinamento generale (civile, penale, amministrativo e contabile). Ciò significa, di fatti, che, la particolarità o settorialità che contraddistingue l’ordinamento giuridico sportivo non può in alcun modo significare che al suo sistema interno di giustizia (a prescindere dal fatto che manchi della ordinaria qualificazione propriamente “giurisdizionale”) non si applichino le norme ed i principi che concernono, tanto l’effettività della tutela, quanto il giusto processo. Infatti, in considerazione del fatto che comunque, nonostante l’indiscussa autonomia di cui gode l’ordinamento sportivo, esso agisca all’interno dell’ordinamento generale dello Stato, ciò non permette che esso non possa considerarsi coinvolto dalle disposizioni generali della Costituzione, poiché il rispetto della Carta fondamentale è ad ogni modo categorico, dovendo le istituzioni sportive (quali le Federazioni ed il CONI stesso) rispettare necessariamente il dettato costituzionale. E questo, se vogliamo, altro non è che una ulteriore prova del fatto che, in ipotesi di contrasto di normative tra i due ordinamenti, quello sportivo debba necessariamente cedere il passo a quello generale dello Stato, a nulla valendo tutte le considerazioni (seppur veritiere) circa la natura internazionale del fenomeno sportivo. Del resto, in assenza di un sistema processuale rispettoso

106

delle garanzie, la tutela assicurata alle singole situazioni giuridiche non sarebbe di fatto effettiva e, di conseguenza, tale da mettere in discussione la stessa sopravvivenza dell’intero ordinamento giuridico sportivo.

Alla luce di quanto detto sinora, occorre capire in che modo, effettivamente, l’esistenza di un sistema di giustizia domestica (e dunque basato sulla autodichia dell’ordinamento sportivo) possa creare i presupposti per il manifestarsi di alcune criticità e doglianze nei confronti dei due principi cardini richiamati. Tali criticità, in linea generale, si manifestano soprattutto sulla base di due elementi fondamentali: in primo luogo, in ordine alla sua stessa legittimazione e compatibilità con l’ordinamento giuridico generale, all’interno del quale il fenomeno sportivo esiste; in secondo luogo, anche sul piano strettamente applicativo vi sono numerosi aspetti problematici, riguardanti soprattutto il piano prettamente processuale ed il rispetto del principio del giusto processo: essi, sebbene siano stati in parte arginati attraverso la Riforma del 2014 (che, come anticipato, ha riguardato l’intero sistema giustiziale interno del fenomeno sportivo), tuttavia permangono in certa misura anche nell’attuale sistema di giustizia sportiva (denunciando, in tal senso, la necessità di un ulteriore intervento legislativo sul tema). Per quanto concerne la legittimazione della pretesa di autodichia, da sempre manifestata da parte degli organi e delle istituzioni sportive, occorre ancora una volta sottolineare come l’ordinamento sportivo sia una organizzazione di carattere infra statuale, esistente ed operante nell’ambito dell’ordinamento giuridico generale dello Stato, ove fenomeni di autodichia sono eccezionalmente ammessi e tollerati (peraltro, non senza perplessità) solo ed esclusivamente nei confronti di alcune particolari tipologie di organi costituzionali. Com’è noto, infatti, nell’ambito del nostro ordinamento l’autodichia, intesa come la facoltà di decidere autonomamente ed in deroga al principio di separazione dei poteri i ricorsi avanzati dai propri dipendenti avverso gli atti di amministrazione prodotti dagli organi stessi, viene espressamente riconosciuta ad alcuni organi costituzionali, ed in particolare alle Camere parlamentari ed alla Presidenza della Repubblica169. La Costituzione, d’altro canto, prevede una forma di autodichia solo all’art. 66, secondo il quale «ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità»; ragion per cui, in assenza di una effettiva ed espressa previsione di carattere generale, si è a lungo discusso (ed in parte si continua a discutere tuttora170) in ordine alla legittimazione di una giustizia domestica

169 Per una lettura più approfondita sul tema, si rimanda alla monografia di A. LO CALZO, L’autodichia degli

organi costituzionali. Il difficile percorso della sovranità istituzionale alla garanzia della funzione, Ed. scientifica, Napoli, 2018.

170 M. TEDDE, Autodichia: è l’ora di una svolta? Commento a Corte Cass. SS. UU. Civ., ord. 19 dicembre 2014,

107

per tali organi. Dunque, in mancanza di un veto posto dalla Corte Costituzionale sulla disciplina, si deve ritenere che essa continui a vigere come sempre, considerando anche il fatto che la giurisprudenza abbia sempre perpetuato la giustificazione dell’istituto nei soli limiti necessari a garantire la funzione costituzionale alla quale i suddetti organi sono predisposti. Questo perché l’autodichia, secondo quanto osservato dalla Consulta171, comprime in parte la «grande regola dello Stato di diritto», e dunque non può in nessun modo avvenire oltre i suddetti limiti. La stessa Corte Costituzionale, del resto, nella recente sentenza 13 dicembre 2017, n. 262, ha avuto modo di affermare che le «Camere e la Presidenza della Repubblica hanno il potere di decidere tramite gli attuali organi interni di autodichia, le controversie di lavoro dei rispettivi dipendenti. L’autonomia normativa degli organi costituzionali investe infatti anche gli aspetti organizzativi, ovvero tutto ciò che riguarda il funzionamento degli apparati amministrativi serventi, che consentono ai suddetti organi di adempiere liberamente e in modo efficiente alle proprie funzioni costituzionali». Alla luce della giurisprudenza costituzionale intervenuta in materia, dunque, non si può non notare come emergano in modo lampante le criticità generate dall’autodichia di un ordinamento giuridico comunque settoriale, come è quello sportivo, soprattutto quale presidio di aspetti di autonomia che hanno un fondamento sicuramente meno solido, sul piano dei valori costituzionali, rispetto a quello su cui poggia la giustizia domestica degli organi costituzionali (che, pure, non ha impedito l’insorgere di dubbi e dibattiti, peraltro ancora aperti). Dunque, il fenomeno dell’autodichia può essere affermato solo ed esclusivamente nei confronti delle attività e delle funzioni di matrice costituzionale cui sono preposti gli organi richiamati dalla legge, cosa che si ritiene non avvenga con riferimento alla giustizia domestica comunque prevista e tollerata all’interno dell’ordinamento sportivo, pur assumendo quest’ultimo non solo una qualificazione di autonomia espressamente prevista dal legislatore, ma anche un sicuro rilievo costituzionale. Proprio per queste motivazioni, allora, stupisce non tanto la (potremmo dire, giustificata) pretesa di autodichia e giustizia domestica da sempre sostenuta da parte delle istituzioni sportive, quanto piuttosto come un fenomeno di tale rilevanza giuridica sia stato, per lunghi tratti della storia, accantonato nell’alveo delle materie c.d. indifferenti all’ordinamento giuridico statale. D’altro canto, già sul piano strettamente ontologico si può dire come la previsione di una forma di giustizia domestica comporti una forma di tutela delle situazioni giuridiche soggettive “differente” rispetto a quella assicurata dagli organi deputati all’esercizio della funzione giurisdizionale statuale, quantomeno nell’ottica della titolarità degli organi cui è

108

preposta questa particolare tipologia di funzione (che pure viene ammessa da parte dell’ordinamento giuridico generale). Non è un caso, infatti, che proprio la previsione di siffatto sistema organizzativo e giustiziale, in cooperazione con il disinteresse (perlomeno iniziale) dello Stato, abbia determinato l’insorgere di irrisolti dubbi circa il reale confine della giustizia sportiva, causando uno degli aspetti più problematici che da sempre contraddistinguono il difficile rapporto tra ordinamento sportivo ed ordinamento generale. Come sappiamo, inoltre, sebbene sia vero che la giustizia sportiva eserciti in via esclusiva la propria attività e le proprie funzioni solo per quanto concerne le c.d. controversie di natura tecnica e disciplinare (peraltro in presenza di criticità più volte richiamate) ciò non significa che non vi siano ripercussioni concrete sul piano dell’effettività della tutela. Basti pensare, in primis, alla tutela esclusivamente risarcitoria in ambito disciplinare, qualora la controversia giunga, in sede di impugnazione del provvedimento, dinanzi al giudice amministrativo; così come ai dubbi sull’effettiva irrilevanza giuridica delle controversie di carattere tecnico, da sempre lasciate alla competenza esclusiva della giustizia sportiva da parte dell’ordinamento giuridico dello Stato. E, da questo punto di vista, non sono mancati in dottrina autori che abbiano addirittura sostenuto la possibilità di prevedere fenomeni di giustizia sportiva esclusiva in termini più ampi rispetto a quelli esistenti, sulla base dell’assunto che quello dell’autodichia altro non sarebbe che un falso problema, poiché ciò che realmente assume concreta rilevanza non è tanto la legittimità o meno dell’esistenza stessa di una giurisdizione domestica esclusiva, quanto piuttosto le garanzie che essa sia di volta in volta in grado di offrire e garantire172. Ebbene, è proprio dal punto di vista delle garanzie effettivamente riconosciute e garantite dalle istituzioni sportive ai soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo, nonché dell’effettivo rispetto dell’art. 111 Cost. e del principio del giusto processo, che si celano gli aspetti di più profonda problematicità e criticità nei confronti del rispetto del dettato costituzionale.

172 S. GATTAMELATA, Autodichia: il giudice domestico è compatibile con la Costituzione repubblicana? in

Amministrativamente.it, 2014, p. 14, afferma che, di fatti, l’unico principio che sia assolutamente inderogabile sarebbe quello di garantire ad ogni individuo un giudice che sia reale per funzioni svolte al fine di ottenere il rispetto dei propri diritti, mentre invece le sue caratteristiche soggettive non acquisirebbero alcuna rilevanza, laddove colui che sia chiamato a giudicare sia comunque in grado di garantire la funzione da lui svolta. In realtà, però, occorrerebbe precisare un aspetto di fondamentale importanza, in forza del quale le garanzie formalmente previste e riconosciute nei confronti dei soggetti interessati e coinvolti nella controversia devono anche “apparire” come tali. In tal senso, si pensi ad esempio alla figura del giudice, il quale, nell’esercizio delle proprie funzioni, non deve solo essere effettivamente terzo, indipendente ed imparziale (aspetto, questo, che a ben vedere manca all’interno della giustizia sportiva), ma deve altresì apparire come tale agli occhi dei soggetti stessi. E ciò, proprio in ottica della credibilità su cui si poggia la legittimazione di tutto l’ordinamento giuridico (a prescindere dalla sua natura, poiché questo è un principio che vale in senso generale per qualsiasi tipologia di ordinamento). Del resto, è proprio la qualità della imparzialità e dell’indipendenza che contraddistingue la figura del giudice rispetto a quella di qualsiasi altro funzionario esercente funzioni di pubblica rilevanza.

109

2. Il processo di omogeneizzazione della giustizia sportiva ed il difficile bilanciamento