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2. Il vincolo di giustizia: caratteristiche e profili di problematicità costituzionale

2.2. La legge n 280/2003: un tentativo non andato a buon fine

In realtà, così come in parte già anticipato, un intervento legislativo fu fatto, in seguito alle note vicende calcistico-giudiziarie relative all’esito della stagione sportiva 2002-2003113, attraverso l’emanazione di un decreto-legge (d.l. n. 220/2003), recante «disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva». Se da un lato, però, tale intervento rappresenta uno dei pochi e sporadici casi in cui il legislatore ha ritenuto doveroso (ed anzi, urgente) intervenire in ambito di diritto sportivo, nonché uno snodo fondamentale del percorso lungo ormai mezzo secolo relativo al rapporto tra ordinamento generale e ordinamento sportivo, non si può dire che esso abbia anche centrato gli obiettivi dichiarati114, permettendo il protrarsi di alcuni dubbi assai rilevanti sulla legittimità della disciplina, soprattutto per quel che concerne la certezza del diritto e la tutela dei soggetti coinvolti. Come sappiamo, inoltre, il rapporto tra Stato ed istituzioni sportive è sempre stato contrassegnato da «numerosi interventi d’urgenza, senza mai indicare in maniera compiuta i limiti, o meglio gli esatti confini, dell’autonomia dell’ordinamento sportivo»115.

113 Nella partita di calcio Catania – Siena del campionato di Serie B della stagione 2002-2003, e terminata con il

punteggio di 1-1, il Siena schierava nelle sue file il giocatore Luigi Martinelli, il quale, a giudizio della società Catania Calcio, non avrebbe potuto giocare in quanto, essendo stato squalificato per un turno due settimane prima, egli aveva giocato nella partita precedente a quella in questione nel campionato nazionale Primavera, non scontando così la sanzione a lui applicata dal giudice sportivo. Per queste ragioni il Catania Calcio fece ricorso dinanzi alla Commissione Disciplinare contro l’omologazione del risultato, sostenendo la violazione dell’art.17, comma 13 del CGS, in virtù del quale si afferma che «la squalifica irrogata impedisce al tesserato di svolgere qualsiasi attività sportiva, in ogni ambito federale, per il periodo della squalifica, intendendosi per tale le giornate in cui disputa gare ufficiali la squadra di appartenenza». La Commissione, però, attraverso una sentenza di discutibile contenuto, respinse il ricorso sostenendo che il concetto di “squadra” non può essere dilatato e confuso con quello di società sportiva. A questo punto il Catania Calcio impugna il provvedimento dinanzi alla Corte d’Appello Federale, la quale riformula la decisione della Commissione ed infligge al Siena la sconfitta per 0-2. La questione sembra risolta quando, invece ed in modo inaspettato, otto società militanti nel campionato di Serie B ricorrono alla Corte Federale affinché questa tutelasse i “diritti fondamentali propri ed associativi” che sarebbero stati lesi per effetto della pronuncia della CAF. La Corte Federale, pur non avendo il potere di annullare le decisioni prese dagli organi di giustizia sportiva, accolse il reclamo, annullando di fatto la decisione della CAF e confermando così il risultato di 1-1 conseguito sul campo tra Catania e Siena. Preso atto della decisione, il Catania si rivolge al TAR siciliano (di fatto violando il vincolo di giustizia sportiva) il quale accoglie l’istanza cautelare, sospendendo il provvedimento della CAF e facendo riottenere i due punti persi, che nel frattempo erano divenuti fondamentali per la lotta alla retrocessione del club in Serie C. Nel frattempo, però, essendo ormai il campionato finito, era del tutto impossibile determinare quale altra squadra dovesse retrocedere in Serie C1 al posto del Catania Calcio. In tale contesto, mentre si profila l’ipotesi di un campionato di Serie B 2003-2004 ampliato a 24 squadre, le tre società nel frattempo retrocesse (Cosenza, Genoa e Salernitana) presentano tre separati ricorsi ai rispettivi TAR locali: ma, mentre quello della Salernitana viene accettato, gli altri due rimangono pendenti, essendo fissati in periodi immediatamente precedenti all’inizio della stagione successiva. In tale situazione intervenne il Governo, il quale, tramite un decreto ad hoc, conferì al CONI e alla FIGC un potere straordinario per garantire l’avvio dei campionati, possibile solo ampliando eccezionalmente il numero delle squadre partecipanti per evitare, alla luce dell’ormai avvenuto collasso del sistema di giustizia sportiva, un ulteriore danno agli interessi dei singoli club interessati.

114 Secondo A. DE SILVESTRI, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, in La giustizia sportiva,

a cura di P. MORO, 2004, p. 87, l’obiettivo primario del provvedimento legislativo in esame di separare le due giustizie è stato clamorosamente mancato.

115 L. GIACOMARDO, Sanzioni disciplinari sportive e rapporti tra ordinamenti, in Giustiziasportiva.it, 2014, p.

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Entrando nel merito della disposizione, dunque, una volta aver ricordato all’art. 1 che «La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale»116, il legislatore sente in qualche modo il bisogno di ripetersi nel secondo comma del medesimo articolo, secondo il quale «I rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo». Dalla lettura dei primi due commi dell’art. 1 della legge in esame, dunque, si evince come il legislatore, dapprima riconosca solennemente la legittima autonomia dell’ordinamento sportivo, salvo poi immediatamente menzionare le ipotesi di connessione con l’ordinamento giuridico, in presenza delle quali risulta possibile e anzi doveroso l’intervento del giudice statale. Ciò che emerge in prima battuta, altro non è che la ripetizione, per quanto solenne, di un principio (quello di autonomia) in realtà già assodato riguardante i rapporti fondamentali tra ordinamento statale e ordinamento sportivo; mentre ciò che occorre sottolineare concerne il fatto per cui tali disposizioni tendano in qualche modo a consegnare all’ordinamento generale un “grimaldello”117 atto a scardinare l’autonomia stessa dell’ordinamento giuridico sportivo ogniqualvolta un interesse di matrice sportiva vada ad intersecarsi con una norma di carattere statale. Ciò significa che il tenore letterale normativo utilizzato dal legislatore fonda l’idea per cui, non appena un interesse di carattere sportivo risulti essere idoneo ad incidere sulla sfera del soggetto in questione, inteso non già come appartenente all’ordinamento sportivo quanto piuttosto (e soprattutto) come appartenente ad un ordinamento giuridico generale e sovrano, lo Stato sia legittimato ad intervenire con il proprio apparato giurisdizionale su qualsivoglia controversia di natura sportiva ritenuta di proprio interesse. Ciò, se da un lato risulta essere apprezzabile dal punto di vista della tutela piena ed effettiva delle situazioni giuridiche soggettive dei tesserati, i quali comunque appartengono ad un sistema, quello sportivo, che è caratterizzato da una struttura giustiziale non idonea a garantire e tutelare ogni forma di interesse (ed alla quale i soggetti in questione, attraverso il vincolo di giustizia, sono comunque obbligati ad aderire) come invece lo è quella dello Stato, dall’altro rappresenta

116 Ciò che balza immediatamente all’attenzione, leggendo il testo della normativa in esame, riguarda il tono, quasi

solenne, con cui il legislatore si è voluto esprimere: tono che, peraltro, sarebbe molto più consono e adatto ad un testo costituzionale, piuttosto che ad un decreto-legge. Il che, fa presumere come il legislatore voglia in qualche modo sdebitarsi nei confronti dello Sport e della mancanza di disciplina e di interventi regolatori che da sempre caratterizza il rapporto tra Stato ed Istituzioni sportive, riconoscendo in modo ufficiale l’autonomia dell’ordinamento giuridico sportivo, peraltro già certificata in seguito alla Riforma del Titolo V della Costituzione, con la modifica dell’art. 113 Cost.

117 AA. VV. REMO, MORZENTI, PELLEGRINI, L’evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento

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un chiaro smacco all’autonomia dell’ordinamento sportivo, in pieno contrasto con quanto formalmente affermato nel primo comma. D’altronde, l’esigenza di voler attrarre alla giurisdizione ordinaria tali controversie si evince anche nel successivo art. 2, comma 1, il quale ridisegna l’ambito di competenza della giustizia sportiva, attraverso un tentativo di distinzione degli aspetti che concernono il solo ambito sportivo da quelli che, invece, sono suscettibili di coinvolgere interessi di carattere generale. L’originario testo della normativa in esame prevedeva quindi ben quattro ipotesi di tutela riservate al solo ordinamento sportivo: oltre alle controversie tecniche e disciplinari, erano riservati alla giustizia sportiva anche altri due casi, concernenti il primo l’ammissione ed affiliazione alle Federazioni sportive dei singoli tesserati, ed il secondo l’organizzazione e lo svolgimento delle competizioni agonistiche e l’ammissione alle stesse delle squadre e degli atleti. Tuttavia, il Parlamento, in sede di conversione, ritenne di non dover sottrarre queste ultime due ipotesi al controllo finale dei giudici statali. Fu per questo che, per effetto della conversione del decreto nella l. n. 280/2003, la normativa vigente riserva esclusivamente all’ordinamento sportivo due soli degli ambiti inizialmente previsti: in primis, l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni, al fine di garantire il corretto svolgimento delle competizioni sportive (controversie tecniche); in seconda battuta, i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, nonché l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive (controversie disciplinari). Anche la giurisprudenza amministrativa, del resto, ha più volte affermato che «l’ordinamento sportivo nazionale, pur essendo dotato di ampi poteri di autonomia, autarchia e autodichia, è derivato da quello generale dello Stato con la conseguenza che il c.d. vincolo di giustizia opera con esclusivo riferimento alla sfera strettamente tecnico-sportiva ed in quella dei diritti disponibili, ma non nell’ambito degli interessi legittimi, i quali sono insuscettibili di formare oggetto di rinuncia preventiva, generale ed illimitata nel tempo alla tutela giurisdizionale»118, esattamente come accade per i diritti soggettivi. Tuttavia, spesso e volentieri la giustizia amministrativa, facendo leva sulla “valenza pubblicistica” di cui all’art. 15, comma 1, d. lgs. n. 242/1999, nonché sulla facile argomentazione delle conseguenze patrimoniali derivanti dall’applicazione di misure disciplinari, ha ritenuto più volte di doversi attribuire la giurisdizione in numerose controversie, anche relative ad attività sportive dilettantistiche, in cui però «di interessi legittimi non v’era nemmeno la minima traccia»119. In altri termini, contrariamente all’affermazione della natura

118 TAR Sicilia, Catania, sez. II., ord. 5 giugno 2003, n. 958.

119 A. DE SILVESTRI, Le questioni del lodo camerale: autonomia o discrezionalità delle Federazioni sportive

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privatistica delle Federazioni sportive, una parte della magistratura, di fatto operando una sorta di ripubblicizzazione di quanto invece il legislatore avesse precedentemente privatizzato, ha emesso nel giro di pochi anni tutta una serie di provvedimenti destinati a mettere in crisi l’intera giustizia sportiva, provocandone una sorta di scollegamento dal sistema delle stesse Federazioni sportive nazionali120. Siamo di fronte, dunque, ad un ordinamento sportivo sempre più messo alle corde da parte dell’ordinamento generale, dato che molto spesso la giurisprudenza, soprattutto di matrice amministrativa appunto, ha cercato di invadere le aree di competenza dei giudici sportivi, sovrapponendosi di fatto ad essi, ed andando a creare dei continui conflitti con la giustizia sportiva. in considerazione di tale atteggiamento, se vogliamo non molto coerente con quanto disposto dagli interventi legislativi nel settore, l’ordinamento sportivo ha cercato di reagire con forza, arrivando in taluni casi addirittura ad affermare che «le pronunce delle autorità giurisdizionali dello Stato non spiegano efficacia automatica nei confronti dell’ordinamento giuridico sportivo, i cui organi di giustizia rimangono liberi di non conformarsi alle predette statuizioni»121.

Dunque, la finale summa divisio concerne, per un verso, le questioni tecniche e disciplinari, rimesse all’esclusiva competenza degli organi e delle istituzioni sportive, mentre per altro verso, le questioni amministrative e patrimoniali sono oggetto di attenzione della giurisdizione statale. Per ciò che concerne le controversie c.d. associative, ovverosia quelle riguardanti l’ammissione e l’affiliazione alla Federazione, viene affermata la competenza giurisdizionale statale. Ciò significa, dunque, che è stata sottratta la competenza dei giudici sportivi circa le controversie di carattere associativo. L’art. 3 della legge in esame, invece, introduce un ulteriore istituto (anch’esso in parte contestato) che si affianca al vincolo di giustizia, assieme al quale determina gli equilibri dei rapporti tra i due ordinamenti. Si tratta della c.d. pregiudiziale sportiva, regola in virtù della quale la possibilità per il giudice statale di conoscere delle controversie sorte nel modo dello sport si realizza, esclusivamente, dopo che siano stati esauriti i gradi interni della giustizia sportiva. Rilievi di effettiva legittimità di un previsione simile non possono che emergere spontaneamente: non risulta eccessivo, infatti, dubitare della costituzionalità di una previsione, adibita a clausola generale di un intero sistema, la quale

120 A. DE SILVESTRI, Le questioni del lodo camerale: autonomia o discrezionalità delle Federazioni sportive

nazionali, in Giustiziasportiva.it., cit. L’autore sottolinea come anche la dottrina, perpetuando lo storico ed antitetico approccio culturale di fondo relativo alle problematiche del diritto dello sport, abbia dapprima tentato di svalutare l’inequivocabile disposizione del legislatore per la quale le Federazioni sportive nazionali si debbano intendere come associazioni di carattere privato, salvo poi in un secondo momento enfatizzare la successiva attribuzione del contenzioso sportivo alla giurisdizione esclusiva del TAR Lazio, giungendo anche ad una ricostruzione integralmente pubblica dell’intero fenomeno sportivo organizzato.

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subordini alla possibilità di adire la giurisdizione ordinaria il previo esaurimento di tutti i gradi di giustizia interna, dato che ciò risulta contrastare in modo netto con uno dei principi cardine della tutela giurisdizionale dei soggetti, legato alla ragionevole durata del processo, ex art. 111 Cost., nonché alla celerità dei procedimenti in generale. Invero, molto spesso si è parlato, a tal proposito, e qualora la controversia dovesse travalicare i confini della giustizia sportiva e giungere dinanzi ai giudici statali, di una giurisdizione non solo successiva ma anche condizionata. Infatti, a far discutere ampia parte della dottrina è anche il c.d. vincolo dei motivi, il quale implica che i motivi di ricorso dinanzi ai giudici statali devono necessariamente essere gli stessi di quelli posti a fondamento delle censure sollevate dinanzi agli organi della giustizia sportiva122. Ciò significa che - come peraltro già accennato - il sistema che si è venuto a prefigurare concerne due gradi di giustizia interna alle singole federazioni (endofederale) ed un grado di processo sportivo da svolgersi presso il CONI (esofederale), ai quali il soggetto interessato, che si veda violare una situazione giuridica soggettiva destinata a sfociare nella tutela della giurisdizione ordinaria, deve comunque necessariamente adire in virtù della c.d. volontarietà del tesseramento nei confronti della Federazione sportiva di appartenenza (su cui sono state avanzate delle perplessità già nel cap. I del presente lavoro). L’ultimo grado di giustizia sportiva dinanzi ai giudici del CONI, dunque, rappresenta uno snodo fondamentale per le discipline relative alle varie tipologie di controversie che possono nascere: si tratta, da un lato, del passaggio finale e definitivo dei procedimenti sportivi riguardanti questioni tecniche e disciplinari; mentre dall’altro, per le altre materie prospettabili, quali appunto quelle economico-patrimoniali ed amministrative, integra lo snodo necessario per far transitare le controversie dinanzi al giudice statale. Non a caso, infatti, l’assegnazione alla Camera di Conciliazione della cognizione finale sui procedimenti sorti all’interno dell’organizzazione sportiva, quale ultimo grado di giustizia interna, celava l’intento degli organi sportivi di voler in qualche modo istituire una sorta di filtro tra i due ordinamenti in questione, attraverso la predisposizione di un tentativo di conciliazione tra le parti, in modo tale che quest’ultime risolvessero le liti senza che queste sfociassero in controversie da decidere dinanzi al giudice statale, con possibili effetti dirompenti nei confronti dell’ordinamento sportivo123. In realtà poi, come sappiamo, tale organo venne inizialmente sostituito con l’Alta Corte ed il TNAS, i quali

122 Ciononostante, la pregiudiziale sportiva sembra comunque costituire un equilibrato contemperamento tra

differenti valori di matrice costituzionale, assicurando margini di intervento all’ordinamento sportivo senza pregiudicare in assoluto l’accesso ad una tutela piena ed effettiva delle situazioni soggettive coinvolte dinanzi agli organi giurisdizionali dello Stato all’uopo previsti.

123 P. SANDULLI, M. SFERRAZZA, Il giusto processo sportivo. Il sistema di giustizia sportiva della Federcalcio,

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però a loro volta nel giro di poco tempo vennero finalmente sciolti in favore dell’istituzione di un unico organo, competente in senso “nomofilattico” sull’intero sistema di giustizia sportiva, ossia la Commissione di Garanzia per lo sport. Ad essa, però, non è stata assegnata una prevalente potestà di mediazione, perdendosi così un’importante occasione per salvaguardare efficacemente l’autonomia dell’ordinamento sportivo. In questi termini sarebbe auspicabile ad esempio la creazione di un organo differente e ad hoc cui assegnare esclusivamente la competenza di mediazione e conciliazione delle controversie insorte in ambito sportivo. Inoltre l’art. 3 in esame, dopo aver attribuito alla cognizione della giustizia ordinaria i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti, afferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per tutte le controversie che abbiano ad oggetto atti del CONI o delle Federazioni, sottoponendola però ad un duplice vaglio di ammissibilità, il quale risulta legato in primis alla verifica che tali questioni non abbiano una rilevanza meramente sportiva, in quanto non incidenti su situazioni giuridiche soggettive che siano di interesse generale per l’ordinamento statale, nonché in secondo luogo alla ulteriore verifica relativa al previo esaurimento di tutti i gradi interni di giustizia sportiva. Per di più, il legislatore afferma che «in ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del CONI e delle Federazioni». Peraltro, la clausola compromissoria altro non è che una clausola di natura contrattuale, o comunque negoziale, che permette di devolvere a soggetti terzi (gli arbitri) l’insorgere di eventuali controversie. La clausola compromissoria determina dunque per l’associato o per il tesserato una alternativa rispetto alla giurisdizione statale, sovente sorretta dal rilievo che quest’ultima non è in grado di garantire la celerità decisionale richiesta per le controversie sportive. Per cui l’unica ipotesi di giurisdizione esclusiva riguarda la tutela di diritti soggettivi non patrimoniali, quali ad esempio il diritto al nome o all’immagine. Ma non può che lasciare perplessi, a tal proposito, l’idea del legislatore mirante a sottrarre al giudice ordinario ed al processo civile, che in realtà sarebbero ben più idonei ed adeguati a causa della loro natura, la tutela di diritti che nulla hanno a che vedere con l’amministrazione, impedendo contestualmente per essi il controllo di legittimità da parte della Suprema Corte. Il processo amministrativo non può evidentemente offrire una tutela idonea a tali diritti, dato che la sua fase istruttoria e le misure cautelari sono meno efficaci per la tutela di diritti considerati personalissimi124. In considerazione di quanto sin qui esposto, dunque, risulta evidente come in realtà, l’intervento legislativo di urgenza del 2003 non abbia

124 A. PANZAROLA, Riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo nella

giurisprudenza, a cura di R. MARINO, Giurisdizione nell’esperienza giurisprudenziale contemporanea, Milano, 2008, p. 164.

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centrato i propri obiettivi di separare in modo più chiaro e netto gli ambiti di rilevanza delle due giurisdizioni in contrasto tra loro, ma abbia in realtà posto nero su bianco quanto nella prassi era già emerso da molti anni. Ciò che però mette in risalto tale legge rappresenta un elemento sintomatico e di fondamentale importanza: in prima battuta, abbiamo una giustizia sportiva sempre meno idonea a tutelare gli interessi dei soggetti tesserati ed affiliati, in quanto questi ultimi sono sempre più legati in modo indissolubile anche a situazioni giuridiche soggettive di interesse per l’ordinamento statuale; accanto a ciò, inoltre, abbiamo l’ordinamento generale che cerca di penetrare nell’ambito di competenza dell’apparato giustiziale sportivo, mancando però di un importante requisito, che è quello della necessaria celerità richiesta per la risoluzione di controversie di questo genere (nonché probabilmente della tecnicità della competenza richiesta). Il risultato sembra essere una situazione di collasso del rapporto tra i due ordinamenti giuridici, con evidenti ripercussioni pratiche sui soggetti interessati e sulla tutela dei loro diritti e, in generale, delle loro situazioni giuridiche soggettive.

2.3. Problematiche in merito alla normazione tecnica delle Federazioni quale