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2. Il processo di omogeneizzazione della giustizia sportiva ed il

2.5. La figura dei collaboratori

Quella dei collaboratori è una posizione emersa molto spesso, in passato, durante lo svolgimento di un procedimento per illecito sportivo. Si tratta di tutti coloro che, sottoposti ad un accertamento di carattere disciplinare, ammettono la propria responsabilità al fine di fornire una collaborazione fattiva agli organi della giustizia sportiva per il proseguo del processo. Nei confronti di tali soggetti gli organi giudicanti avevano la facoltà di ridurre, su proposta della Procura Federale, le sanzioni previste dalla normativa federale, ovvero commutarle in prescrizioni alternative o ancora determinarla in via equitativa. Ciò significa che, a fronte di un intervento propositivo da parte dei soggetti indagati nel processo, era rimesso alla completa

la verità sia maggiormente perseguibile attraverso la predisposizione di un procedimento in cui prevalga la figura del giudice inquisitore, non certo quella delle parti della controversia).

217 L’espressione definisce l’ordinaria funzione dell’appello, il quale non dà luogo ad un ulteriore giudizio di

merito, ma solo ad un riesame delle questioni che sono già state analizzate nel processo di primo grado. Infatti, normalmente, nel giudizio di appello dei procedimenti della giurisdizione ordinaria non si possono proporre nuove domande, mentre la disciplina dell’ammissibilità di nuove prove è ridotta a casi tassativi e restrittivi, legati per lo più all’impossibilità della precedente esibizione.

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discrezionalità degli organi di giustizia sportiva la possibilità di ridurre considerevolmente l’eventuale applicazione della pena disciplinare nei loro confronti. In effetti, questo significava ridurre, o perlomeno, facilitare in maniera consistente le indagini e rendere più svelto il procedimento disciplinare, in ottemperanza al principio di celerità e tempestività della giustizia in ambito sportivo. Ed infatti, molto spesso218 tali collaboratori hanno richiesto ed ottenuto pene molto contenute, soprattutto se paragonate a quelle cui sono andati incontro soggetti che, invece, avvalendosi del proprio diritto di difesa in giudizio, hanno deciso di difendersi nel processo dalle accuse avanzate nei loro confronti. Ebbene, alla luce dell’evidente vantaggio ottenuto dai collaboratori, quello delle istituzioni della giustizia sportiva si ritiene essere stato un atteggiamento poco consono ai valori ed alle garanzie che un normale processo dovrebbe prevedere ed applicare nei confronti di tutti i soggetti coinvolti all’interno della controversia, e questo perché, molto spesso, alle dichiarazioni dei “pentiti”, sebbene non fossero supportate da un sufficiente materiale e riscontro probatorio, seguivano delle inevitabili ripercussioni contro i soggetti da questi ultimi nominati in cambio di un corposo sconto della sanzione219. È evidente, infatti, come l’attendibilità di questi soggetti avrebbe dovuto essere vagliata con molta più attenzione rispetto a quella effettivamente prestata dalla Procura Federale, visto e considerato, non solo il vantaggio connesso alle dichiarazioni accusatorie, ma anche e soprattutto la scarsa possibilità di controbattere a queste in maniera efficace. Se, infatti, si fornisce una attendibilità a prescindere a tali dichiarazioni, presumendo che si tratti di informazioni reali e veritiere, si corre il grande rischio di mettere il soggetto accusato in una posizione di grande difficoltà, su cui grava una prova che difficilmente potrà essere confutata. E questa è, a tutti gli effetti, una conseguenza assai pericolosa nei confronti della effettiva genuinità e correttezza del processo sportivo. Questa pratica molto diffusa denuncia, in effetti, una certa superficialità da parte delle istituzioni della giustizia sportiva, ma soprattutto un mal funzionamento del sistema istruttorio del processo, posto che non può non essere considerata una anomalia (grave, per giunta) l’acquisizione di materiale probatorio, sottoforma di testimonianze e dichiarazioni dei soggetti direttamente coinvolti nella vicenda, senza una attenta verifica della loro credibilità ed attendibilità. Del resto, un procedimento giustiziale (a prescindere dall’ambito di diritto

218 Quella del “pentitismo” sportivo ha rappresentato una pratica assai diffusa soprattutto durante i processi relativi

allo scandalo (purtroppo, più volte presentatosi nella nostra realtà calcistica) del clacioscommesse.

219 M. NICOLINO, Calcioscommesse: pentiti sconfessati e figuraccia per la (in)giustizia sportiva, editoriale sulla

pagina web del giornale “La Gazzetta Sportiva”, 2012. Il giornalista afferma «promettere sconti a chi ha taroccato partite, in cambio di nomi – meglio se altisonanti – è una pratica barbare ed incostituzionale che mai ci stancheremo di denunciare. Rivendicare l’indipendenza della giustizia sportiva è un’inutile affermazione che altro non fa, se non mascherare un totale dispregio dei diritti umani, sacrificati sull’altare della celerità dei procedimenti sportivi».

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considerato) poggia tutta la sua credibilità ed effettività sul materiale probatorio raccolto, posto che quello dell’istruzione rappresenta non solo il momento più importante e decisivo del processo, ma anche e soprattutto l’occasione in cui effettivamente le parti in causa possono difendersi in giudizio, adducendo prove favorevoli alla loro posizione e che siano idonee a convincere il giudice della veridicità delle loro affermazioni. Insomma, un processo “giusto” non può prescindere da una attenta selezione delle prove e da una ancor più attenta valutazione delle stesse da parte dell’organo giudicante: cosa che non si ritiene essere avvenuta nell’ambito dei procedimenti sportivi più importanti, come quelli relativi agli scandali del calcioscommesse e di Calciopoli, dove invece la Procura Federale, servendosi del suo potere “inquisitorio”, ha tentato di risolvere la controversia affidandosi alla mera presunzione di verità automaticamente concessa alle dichiarazioni dei soggetti collaboratori. Il che ha comportato, evidentemente, un danno rilevante nei confronti dei soggetti accusati, i quali non hanno potuto difendersi nel migliore dei modi contro le dichiarazioni mosse nei loro confronti, peraltro da parte di soggetti implicati nelle stesse vicende, la cui attendibilità avrebbe dovuto perlomeno essere vagliata con molta più attenzione da parte del giudice sportivo (il quale, invece, si è erroneamente affidato all’attività inquisitrice della Procura). Come abbiamo già avuto modo di vedere, inoltre, un processo che giunga ad una decisione di fatto sommaria, al termine di una fase delicatissima, quale è quella istruttoria, scarna della necessaria attenzione e valutazione del collegio giudicante, non può essere riconosciuto come giusto e credibile da parte di tutti i soggetti facenti parte di quello specifico ordinamento giuridico. Con la naturale conseguenza che, in assenza della necessaria credibilità della giustizia agli occhi dei soggetti tesserati ed affiliati del settore sportivo, viene a mancare la sua stessa legittimazione quale vero ed efficace apparato giustiziale interno220.

Nonostante l’approccio sbagliato da parte della Procura Federale e dei giudici sportivi, l’allora vigente TNAS ha spesso dato ragione a chi chiedeva che le testimonianze dei collaboratori venissero analizzate e vagliate con maggior attenzione221. Il pentitismo, tanto utilizzato durante

220 Sul tema si è già avuto modo di affermare come un ordinamento giuridico, a prescindere dalla sua natura e dal

riconoscimento della stessa fattone da altri ordinamenti giuridici, tragga la propria legittimazione anche e soprattutto dalla credibilità che esso manifesta e dimostra, in tutte le sue componenti, agli occhi degli associati. Nel nostro caso, nonostante l’ordinamento sportivo sia di fatto riconosciuto come tale da parte dell’ordinamento giuridico dello Stato (che pure ne riconosce l’autonomia di organizzazione e normazione) è innegabile come la giustizia interna di cui esso si è dotato si sia resa protagonista in moltissime vicende di una scarsa capacità di giungere l’efficacia richiesta in tempi rapidi, obiettivo principale e dichiarato da parte degli organi interni dello sport. Il che risulta essere ancora più evidente, soprattutto se si considerano le già citate perplessità ed i dubbi di natura costituzionale che stanno alla base della stessa esistenza di un sistema di giustizia che si professa assolutamente alternativo ed autonomo rispetto a quello dello Stato.

221 Un caso emblematico fu quello dell’ex portiere del Novara Calcio, Alberto Fontana: secondo uno dei pentiti

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i processi sul calcioscommesse, ha dunque vacillato dinanzi agli organi di ultima istanza dello sport previgenti rispetto all’istituzione dell’attuale Collegio di garanzia. Ecco allora che, sulla spinta della giurisprudenza sportiva, nonché sulla progressiva presa di coscienza della necessità di rifondare il sistema di giustizia sportiva attraverso le riforme, si è avuto modo di arginare sempre di più il fenomeno in questione. Ad oggi, infatti, la giustizia sportiva, seppur caratterizzata da alcuni elementi ancora problematici, ha compiuto significativi ed evidenti passi in avanti, soprattutto nel campo delle garanzie e dei diritti processuali riconosciuti alle parti in causa. Ed è lo stesso Codice della FIGC (in ossequio alle disposizioni del Codice CONI), attraverso le sue disposizioni sul giusto processo e sui principi della giustizia sportiva, che ha reso categorica una più attenta valutazione del materiale probatorio (soprattutto per quanto concerne la testimonianza) raccolto durante la fase istruttoria del procedimento. In base all’art. 60 CGS FIGC, infatti, interamente dedicato alla prova testimoniale, «1. La testimonianza di uno dei soggetti di cui all’art. 2 può essere disposta dagli organi di giustizia sportiva su richiesta di una delle parti o d’ufficio quando, dal materiale acquisito, emerga la necessità di provvedere in tal senso. 3. Le testimonianze devono essere rese previo ammonimento che eventuali falsità o reticenze produrranno per i tesserati le conseguenze derivanti dalla violazione degli obblighi di lealtà e correttezza», e ancora, «5. La testimonianza ha luogo in udienza. 6. Lo svolgimento della testimonianza è regolato dall’organo giudicante e le domande sono rivolte ai testimoni solo da questo»222.

– Novara, terminata con il risultato di 3-0 per i veneti. Ebbene, secondo il TNAS, al quale si giunse in seguito all’impugnazione della sentenza che condannò il portiere, Fontana non avrebbe preso parte a nessuna combine, né ad una divisione di soldi, per mancanza di materiale probatorio sufficiente ed idoneo a sostenere l’accusa. Ancora, si potrebbe citare il caso di Mavillo Gheller, il quale ricevette sei mesi di squalifica in appello, in seguito alle dichiarazioni di Carobbio, che lo aveva indicato come uno dei promotori della combine di Novara – Siena del maggio 2011 (anche lui successivamente scagionato dal TNAS per mancanza di prove). Gheller, successivamente, ebbe anche modo di affermare di aver perso due anni di contratto con il Pavia a causa della vicenda, nonché che dovette sostenere le spese necessarie per la difesa in giudizio.

222 L’unico elemento di dubbia legittimità della vigente disciplina concerne quanto disposto dal comma 2 del

medesimo articolo, secondo il quale «i testimoni sono convocati a cura e a spese delle parti che ne fanno istanza, previa ammissione degli stessi da parte dell’organo di giustizia». Si prospetta, dunque, un ulteriore elemento di progresso della disciplina in tal senso, che potrebbe assicurare anche dal punto di vista economico la testimonianza alle parti in causa che ne facciano richiesta, sempre previa ammissione da parte del giudice.

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3. I metodi di ADR nell’ordinamento sportivo italiano e la loro rilevanza a confronto