UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Economia e Management
Corso di Laurea Magistrale in Consulenza Professionale alle Aziende
TESI DI LAUREA
Valutazione delle aziende in crisi: aspetti economici e patrimoniali
Candidato Relatore
Andrea Conforti Prof. Roberto Verona
A mio nonno, Fanteria Italiano
A mio zio, Fanteria Mauro
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Indice tesi di laurea
Introduzione
1. Definizione, diagnosi e previsione della crisi
1.1
Definizione1.2
Diagnosi1.3
Analisi di bilancio1.3.1
Lo stato patrimoniale finanziario1.3.2
L’analisi della liquidità1.3.3
Gli indicatori di sintesi Economico-Finanziaria1.3.4
Il confronto con i parametri esterni1.4
Modelli di scoring nella previsione dell’insolvenza1.4.1
I modelli teorici1.4.2
I modelli empirici1.4.3
Modello Z’ Score2. Principali procedure concorsuali
2.1
Il fallimento2.1.1
Apertura della procedura2.1.2
Gli organi2.1.3
Effetti della sentenza2.1.4
Adempimenti iniziali2.1.5
Accertamento del passivo2.1.6
Liquidazione e ripartizione dell’attivo2.1.7
Chiusura del fallimento2.2
Piano attestato di risanamento2.3
Accordi di ristrutturazione dei debiti4
2.4
Il concordato preventivo2.5
Crisi da sovraindebitamento3. Valutazione delle aziende in una situazione fisiologica
3.1
Metodo Patrimoniale3.2
Metodo Reddituale3.3
Metodo Finanziario3.4
Metodo Misto patrimoniale – reddituale3.5
Metodo dei multipli4. Valutazione delle aziende in crisi
4.1 Contesto valutativo e base documentale 4.2 Scelta del metodo ed azioni correttive
4.3 Le valutazioni in ipotesi di cessione d’azienda o di rami d’azienda
4.4 La valutazione di aziende in crisi in presenza di patrimoni destinati ad uno specifico affare
4.5 Valutazioni e implicazioni di diritto tributario
Conclusioni Sitografia Bibliografia
5
Introduzione
La mia tesi ha come punto di partenza, l’esame del contesto economico attuale, dove le imprese si trovano ad affrontare una forte e duratura crisi economica. L’idea di questo elaborato ha preso vita da un documento del 1CNDCEC e 2SIDREA, che nel dicembre scorso hanno pubblicato le “linee guida per la
valutazione di aziende in crisi” rivolto alle piccole e medie imprese, il quale è stato realizzato grazie ad un adeguato team di professionisti interdisciplinari. Negli ultimi anni, a seguito dell’incremento di casi di insolvenza, la gestione della crisi e del risanamento ha visto sempre più figure come professionisti, consulenti e manager coinvolti in questo ambito.
La mia analisi attraverserà molte aree disciplinari a partire da quella giuridica per arrivare a quella economico-aziendale.
Innanzi tutto verrà data una definizione al concetto di crisi aziendale, come processo degenerativo, al fine di delinearne i confini e individuarne le varie tipologie.
L’elaborato oltre a riprendere i tratti essenziali delle principali procedure concorsuali, scenderà nei particolari andando a vagliare le metodologie valutative di un’azienda, in primis in una situazione fisiologia e successivamente in un ottica di recessione.
Non va ulteriormente sottovalutata l’importanza della fase previsionale e di diagnosi della crisi, quando questa ci consente di poter adottare gli opportuni rimedi per salvare l’azienda.
1Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili 2Società Italiana dei Docenti di Ragioneria e di Economia Aziendale
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1. Definizione, diagnosi e previsione della crisi
1.1 Definizione
3Proporre una definizione sintetica di crisi e risanamento d’impresa è un compito
arduo, dove tuttavia i ricercatori non si sono sottratti ed hanno affrontato il binomio “crisi-risanamento” sotto tre prospettive4:
Macro-economica: ove si presta attenzione alle variabili di portata strutturale, come le materie prime, il costo e la disponibilità dei fattori produttivi ecc.
Di settore: dove l’interesse è rivolto a declinare in ambiti settoriali i fattori precedentemente elencati
Aziendale: la quale include i sistemi di misurazione degli indicazioni di crisi, l’analisi delle cause, l’impostazione e l’esecuzione di una strategia di risanamento, coinvolgendo il vertice aziendale e i dipendenti della medesima, nonché tutti coloro che hanno un interesse in gioco che vanno sotto il nome di stakeholders.
La definizione di crisi da parte di Guatri in termini di teoria del valore,5 è basata
da un lato sulla consapevolezza che l’azienda durante la sua vita avrà dinnanzi a se dei momenti di crisi (qui nasce il bisogno di realizzare una dottrina del “risanamento permanente”)6, e dall’altro che questa dipende sia da eventi
aziendali ma anche dal mutamento dell’ambiente esterno. Realizzando così l’equazione fondamentale del valore: W = R/i7
3Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 5
4Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Crisi aziendali e processi di risanamento modelli
interpretativi, prevenzione e gestione della crisi d’impresa, casi aziendali; 2012, p. 5
5Cfr. Manifesto dell’impresa valore: appello ad un comune impegno per la definizione
dell’impresa modera,Finanza Marketing e Produzione, X, 3, 1992, p. 10
6Cfr A. Danovi Crisi d’impresa e risanamento finanziario nel sistema italiano, Giuffrè, Milano
2003, p. 12.
7
8La crisi è connessa ad una variazione negativa, evidenziando come declino e
crisi possano dipendere non solo da eventi interni (diminuzione dei flussi) ma anche da eventi esterni (mutamento delle condizioni di rischio).
Difatti quest’ultime essendo difficilmente identificabili sono le più pericolose9. 10Con questa definizione di crisi è possibile darne anche una di risanamento,
come il rilancio della creazione di valore successiva alla rinnovata sintonia con il sovra sistema.
11Si è soventemente discusso se la ristrutturazione sia un evento industriale e/o
finanziario, difatti tale perplessità scaturisce dal fatto che ci sono più concezioni di crisi che ne evidenziano gli aspetti finanziari, ovvero gli aspetti più industriali.12La ristrutturazione può essere difatti un fenomeno sia industriale sia
finanziario in funzione delle cause che hanno determinato lo stato di crisi.
13A partire dagli anni ’30 nell’approccio classico negli studi della crisi, che ha
coperto circa un ventennio, troviamo contributi come quello di Altman14 sui
modelli di misurazione e prevenzione della crisi e quelli di Schendel15 sulle strategie di risanamento in situazioni di incertezza.
Innanzi tutto crisi e risanamento sono un binomio indissolubile, in quanto le azioni di risanamento sono consequenziali a fenomeni di recessione.
16Questa formulazione viene proposta da Guatri, per cui la crisi aziendale si
compone come un processo consequenziale di fasi: 1. Squilibri/ inefficienze
8Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 6
9L. Guatri, Turnaround: declino crisi e ritorno al valore, Egea, Milano 1995, pp. 77 e segg. 10Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 6
11Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 7
12Ibidem 13Ibidem
14E. Altman, Financial ratios, discriminant analysis and the prediction of corporate bankruptcy,
in Journal of Finance, vol.23, n.4, (1968), pp. 414-429
15D. Schendel, G. Patton, Corporate stagnation and turnaround, in Journal of Economics and
Business, III (1976) pp. 236-241; D. Schendel, G. Patton, J. Riggs Corporate turnaround strategies, in Journal of General Management, III (1976), pp. 3-11
16Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
8
2. Perdite economiche 3. Insolvenza
4. Dissesto
Questo processo provoca una demolizione progressiva della capacità reddituale e del consenso sociale e il risanamento è possibile solo se non si è superato il punto di non ritorno.
Altri autori hanno posto l’accento su diverse cause come: la dispersione delle competenze distintive17, la perdita di capacità “proiettiva” dell’impresa18 ecc. 19Tuttavia l’approccio classico guarda alla crisi come una patologia, come un
male invitabile ma necessario, il quale consente una selezione naturale delle aziende meritevoli, decretando invece la fine di quelle incapaci di gestire competenze, relazioni e processi.
Lo stesso Guatri20 afferma che:“la crisi aziendale e la scomparsa di singole
aziende sono il prezzo da pagare per il riequilibrio di settore. Si tratta di un processo naturale di selezione”.
21Contestualmente all’approccio classico alcune riflessioni, hanno posto l’accento
sull’incertezza ambientale e sulla precarietà di ciascuna posizione di vantaggio competitivo.
22Un netto stacco si è concretizzato con l’interveto di Peters e Waterman, fino
agli studi di Norman e Ramirez, che introducono una serie di contributi, dove il binomio crisi-risanamento nell’ottica darwiniana viene ribaltato.
17L. Sicca, Creazione di valore, conoscenza e gestione delle crisi aziendali, in Finanza,
Marketing e Produzione, IX, 2, 1993
18A. Farinet, Lo sviluppo come fattore di crisi dell’industriale, in Finanza Marketing e
Produzione, III, 1987
19Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 8
20L. Guatri, Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè, Milano, 1986, p. 4
21Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 9
9
23Ogni impresa, indistintamente deve considerarsi perennemente in crisi, ovvero
si deve porre nella condizione di non smettere la ricerca e la riformulazione delle proprie strategie.
Il punto centrale del nuovo modello è di intervenire frequentemente sulla configurazione della catena del valore24, coinvolgendo direttamente i clienti,
partners e in generale gli stakeholerds chiave.
Facendo un passo indietro, è possibile raggruppare in quattro gruppi una serie di elementi caratteristici della crisi:
1) Le cause di crisi;
2) I sistemi di misurazione; 3) Gli eventi scatenanti; 4) I modelli di intervento
25Per quanto concerne il primo punto (gli altri verranno esaminati nei successivi
paragrafi), non esiste una check list onnicomprensiva che possa esaurire le possibili cause di crisi, difatti si ravvedono cause macro-economiche solo se l’azienda opera in contesti multinazionali, dove questo fattore assume una certa portata. In secondo luogo, l’analisi va declinata a livello di settore, in quanto ognuno di questi sarà dotato di fattori competitivi propri26, per arrivare in fine all’ultimo livello di analisi che è quello aziendale.
27Non tutte le aziende, nonostante siano collocate nel medesimo contesto
nazionale, perfino nello stesso settore, si trovano nella equivalente posizione competitiva.28Diversità nella dotazione di risorse, di accesso ai canali distributivi,
23Ibidem
24Franco Tatò ha affermato sul punto “ Bisogna fare di più: affermare un’attitudine generale al
cambiamento, che renda possibile cambiare continuamente qualsiasi situazione”;F. Tatò soluzioni innovative alla crisi, in L’impresa – Quaderni, II (1992), p. 26
25Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 18
26A tal fine risulta far riferimento al modello delle cinque forse competitive di Porter. 27Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 18
10
di capacità di influenza degli stakehoders, individuano una più alta o meno esposizione alle forze competitive ed ai fattori tecnologici ed ambientali.
Nell’ambito delle cause che danno vita alle crisi aziendali, la letteratura si è interrogata a lungo e sono emersi così due filoni, contrapposti come afferma Guatri29:
Soggettivo-comportamentista, il quale ravvede come principale causa del declino il fattore umano e in ultima analisi la cattiva gestione.
Obiettivo, che riconosce l’esistenza di alcune condizioni che rendono l’impresa indifesa, come il rialzo del costo dei fattori, la caduta della domanda ecc.
30L’avvio di un processo di crisi aziendale è dovuto sia all’inadeguatezza delle
competenze dell’imprenditore, sia del manager rispetto la gestione dei problemi da affrontare o alle difficoltà della situazione in relazione alla qualità del managment31.
32La manifestazione della crisi, anche se intravista e talvolta compresa, viene
trascurata, o per errori diagnostici o per non accettare possibili errori strategici posti in essere o per una resistenza al cambiamento; quindi gli eventuali interventi vengono ritardati fino a quando lo stato di crisi si manifesta in modo acuto e ne diventa molto complesso il superamento.
La crisi che di per sé era reversibile rischia di diventare un punto di non ritorno33.
29Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
p. 27
30Ivi, p. 28
31Cfr. Amigoni F., Il controllo di gestione e le crisi d’impresa, 1977, pp. 122 e ss.
32Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
p. 29
33Corno F., Prevenzione e terapia della crisi d’impresa, Cedam, Padova, 1988, p.37;
Paolini M., La crisi della piccola impresa tra liquidazione e risanamento, Giappichelli, Torino, p. 189
11
34Per quanto concerne le tipologie di crisi possiamo ravvisare secondo l’autore
una serie di tipi di crisi, qui elencate:
Competitiva
Sociale
Dell’innovazione e dell’apprendimento
Economico-finanziario
Si realizza una crisi competitiva, quando l’azienda non riesce a conquistare o mantenere e preservare il successo competitivo nella sfera del business di riferimento. 35Questo può avere origine o da non prevedibili (o non previsti)
cambiamenti delle condizioni della domanda o dai competitor, collegati all’improvvisa incapacità di adeguamento dell’offerta aziendale ai tramutati fattori critici di successo.
36Più in generale, l’analisi dell’ambiente competitivo in cui si trova ad operare
l’impresa rappresenta un punto di partenza per capire la crisi e le cause scatenanti.
37Il mercato può trovarsi, in tal senso, in queste situazioni:
a) Mercato in crisi strutturale: siamo in una situazione di recesso destinata a perdurare, in una situazione del genere la crisi è anche settoriale e le responsabilità dei manager sembra meno accentuata;
b) Mercato in crisi congiunturale: è possibile il verificarsi di una ripresa nel breve/medio periodo senza mutamenti significativi della sua struttura: c) Mercati in situazioni di stazionarietà: è dovuta a una perdita di
competitività nei confronti dei competitors;
34Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
p. 29
35Ibidem 36Ivi, p. 30 37Ibidem
12
d) Mercati in crescita: la crisi è spiegabile come nel punto precedente ed è ipotizzabile che essa sia dovuta all’incapacità di raggiungere condizioni di efficienza e di competitività in un mercato in espansione.
Viene definita 38crisi di legittimazione sociale quando l’impresa non riesce a
trovare un’armonia con le aspettative degli interlocutori sociali e degli stakeholder, creando così un clima di sfiducia.
39La perdita di legittimazione sociale può determinare tensioni con la comunità,
intesa come popolazione residente, sia come associazioni di cittadini e consumatori, sia come sistema delle istituzioni e enti pubblici.
40Queste tensioni possono sfociare in comportamenti non collaborativi, i quali
riducono la possibilità di procacciarsi le risorse e le competenze migliori.
41Il successivo tipo è la crisi di innovazione e di capacità di apprendimento dove
si riscontra nelle aziende, considerate come sistema cognitivo42, dove indebolisce o sospende i processi di innovazione e di apprendimento necessari all’adeguamento dell’azienda ai mutamenti delle condizioni di contesto.
In un contesto globale come quello in cui viviamo oggi, risultano necessari dei processi di costante innovazione, dove questo tipo di crisi può essere fatalmente letale nei settori dove sono contraddistinti da elevati tassi di cambiamento tecnologico; laddove le imprese non sono capaci di stare al passo con le nuove tecnologie vengono escluse dal mercato e sono destinate al fallimento43.
38Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
p. 31
39Ibidem 40Ibidem 41Ibidem
42Osserva Rullani, 2003, p. 165, “un sistema sociale, tecnico, finanziario che non avesse al
proprio interno il motore auto propulsivo dell’accumulazione di conoscenza – proprio dei sistemi cognitivi- tenderebbe prima o poi verso una stabilizzazione entropica, incapace di produrre novità. Al contrario, la presenza di un sistema cognitivo che genera in continuazione un surplus di conoscenza sposta di giorno in giorno la base su cui insistono le relazioni sociali, tecniche, finanziarie”.
43Osserva Sciarelli, 1995, p. 10, “Una crisi d’impresa può essere definita anche come l’epilogo
13
44L’ultimo tipo di crisi è quello economico-finanziario quando l’azienda
manifesta squilibri dal punto di vista reddituale, realizzando così perdite economiche destinate a depauperare il valore del capitale e quando, dal punto di vista finanziario, si manifestano conseguenze negative in termini di solvibilità a breve e medio/lungo termine.
Inoltre è necessario porre particolare attenzione agli oneri finanziari che possono aggravare la situazione già compromessa.
45Nella maggior parte dei casi, le crisi di natura economica dipendono da errate
politiche finanziarie, derivanti da scelte di indebitamento la cui onerosità risulta essere superiore rispetto al rendimento connesso, dando vita così ad effetti negativi di leva finanziaria.
Infine vanno ricordate situazioni in cui le difficoltà finanziarie generate da elevati gradi di debito (rischio finanziario) si sommano con situazioni di elevato grado di leva operativa che danno vita a una forte variabilità del reddito operativo al variare delle vendite (rischio operativo), determinando così rilevanti effetti di leva totale che si manifestano con una sensibilità dei redditi netti al variare dei volumi di fatturato46, il che comporta che questo tipo di crisi sia fortemente
correlato al grado di rischio mixato al grado di leva totale dell’impresa47.
A queste tipologie di crisi è possibile aggiungerne ulteriori tipi, in quanto “la crisi è qualificabile come un processo di diminuzione nel tempo della vitalità e della probabilità di sopravvivenza dell’impresa sistema vitale in conseguenza di
– invece- di seguire il circolo virtuoso di arricchimento del patrimonio aziendale favorendo lo sviluppo dell’ impresa – innescano un circuito vizioso che, in assenza di interventi di
risanamento, conduce al progressivo impoverimento delle conoscenze e alla perdita di fiducia all’interno e all’esterno dell’impresa stessa.
44Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
p. 34
45Ibidem
46Cotta Ramusino E., Onetti A., Strategia d’impresa, Il sole 24 Ore, Milano,2009 p. 113
47Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
14
una scarsa efficienza ed efficacia dei processi di governo e/o della struttura operativa”48.
Per evitare una eccessiva disamina dei tipi di crisi, ci soffermeremo soltanto su un’ulteriore forma, molto interessante.
Si tratta della crisi di Leadership49, che è collegata alla sopravvenuta
inadeguatezza del manager di porre in essere strategie capaci di perseguire delle finalità aziendali garantendo allo stesso tempo il raggiungimento dell’efficacia ed efficienza.
50L’inadeguatezza può essere causata o da aspetti motivazionali, o da aspetti
professionali. Nel secondo caso si lega all’insufficienza di competenza e alla mancanza di una serie di “qualità”51 manageriali che persuadono la direzione a
compiere errori.
52La crisi di leadership può inoltre manifestarsi tutte le volte in cui l’organo di
governo incontra complicazioni nell’adeguare la cultura, competenze ecc., alle sfide generate dai cambiamenti dei FCS53.
Per concludere questo primo paragrafo, risulta imperativo citare Guatri, il quale ha schematizzato le fasi del percorso di crisi54:
Incubazione: dove si manifestano situazioni di squilibrio ed inefficienza, che se trascurate portano al secondo stadio.
48Piciocchi P., Crisi d’impresa e monitoraggio di vitalità. L’approccio sistemico vitale per
l’analisi dei processi di crisi, Giappichelli, Torino, 2003, p.134
49Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
p. 37
50ibidem
51Mintzberg H., Il lavoro manageriale, Franco Angeli, Milano, 2010, p. 208
52Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
p. 37
53Fattori critici di successo
54Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
15
Manifestazione della crisi: dove si generano perdite dei flussi reddituali e di valore del capitale. In questa fase si intaccano le risorse aziendali, il che comporta l’erosione della liquidità e l’innalzamento dell’indebitamento.
Gravi ripercussioni sui flussi finanziari e sulla fiducia: che vengono prodotte da situazioni di insolvenza.
Insolvenza: che può portare al dissesto permanente e irreversibile e che ha, come ultima conseguenza una procedura concorsuale
Chiunque abbia vissuto un’esperienza di dissesto aziendale, è consapevole che un tempestivo intervento può cambiare l’epilogo dell’impresa.
1.2 Diagnosi
Giunti a questo punto, una volta definito il concetto di crisi, passiamo a come sia possibile diagnosticarla e prevederla.
16
55Questo interessa lo svolgimento costante da parte dell’organo di governo, di un
insieme di verifiche sull’efficacia delle strategie rispetto alla condizione della sopravvivenza aziendale e agli obiettivi dei soggetti deputati al governo, attraverso la valutazione della performance strategica delle aziende di qualsiasi dimensione e natura.
56Se a seguito dell’analisi, l’andamento che ne emerge è positivo, significa che
l’impresa sta puntando alle finalità assegnategli dai soggetti, altrimenti se la performance risultasse inadeguata, il monitoraggio mostrerebbe che il percorso strategico avviato non è armonico, suggerendo così al management problemi, pericoli e rischi da rendere innocui.
Si tratta, in buona sostanza di verificare la validità nel tempo dell’orientamento strategico dell’azienda, accertando che le ipotesi a sostegno dei piani perseguiti siano ancora fondate e che l’implementazione proceda adeguatamente rispetto a quanto congetturato e rispetto alle emergenze ambientali avvertibili mediante una sorveglianza strategica57.
58Al fine di riconoscere e monitorare l’emersione di potenziali situazioni di crisi
occorre, effettuare periodici check-up dello stato di salute dell’impresa.
Questi possono essere effettuati da soggetti interni o esterni, con un ritmo occasionale o continuativo.
59La verifica delle situazioni di crisi coinvolge lo svolgimento, di processi di
monitoraggio strategico, che devono tener separati gli “indicatori” di performance dalle “dimensioni”.
55Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
p. 49
56 Ibidem
57 Parini P., Vantaggio competitivo e controllo strategico, Giappichelli, Torino, 1996, p. 141
58Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
p. 50
17
60I primi, si riferiscono a parametri diretti a misurare gli esiti negli ambiti che si
desidera osservare, mentre i secondi si riferiscono ai settori di osservazione dei risultati che implicano il controllo delle seguenti:
Dimensione competitiva
Dimensione sociale
Dimensione dei processi interni
Dimensione economico-finanziaria
Adesso quindi ci addentreremo all’interno di queste dimensioni per una completa disamina, dove però per la completa e approfondita analisi degli indici di bilancio rinvieremo al paragrafo successivo.
61La valutazione della performance competitiva è il primo step per comprendere
l’andamento della strategia e il grado di vitalismo di un’impresa. I più importanti indicatori capaci di individuare lo stato di salute competitiva dell’impresa sono62:
1. Il grado di concentrazione della clientela: se l’impresa ha un alto tasso di affluenza delle vendite rischia di essere indifesa rispetto allo stato di salute della clientela, mentre se l’azienda ha un ampio portafoglio di clienti essa getta le basi per realizzare una buona situazione competitiva.
2. La quota di mercato posseduta e la sua evoluzione nel tempo: un’impresa che espande la propria quota di mercato manifesta una certa supremazia competitiva, sebbene questo possa derivare da una condizione congetturale favorevole o da condizioni strutturali di mercato.
Quindi il successo competitivo rischia di venire meno se si verificano mutamenti del contesto competitivo.
3. L’andamento delle vendite e il tasso di successo tra preventivi effettuati
e ordini acquisiti: le imprese si basano solo sull’andamento del fatturato,
60Ibidem 61Ibidem 62Ivi, pp. 51-53
18
tuttavia risulta necessario monitorare anche il tasso di conversione dei preventivi in effettive vendite.
4. Il grado di soddisfazione della clientela e la percentuale di reclami: un buon indicatore di successo è dato dal livello di soddisfazione della clientela chiamato anche customer satisfaction index. Questa valutazione può essere integrata o rimpiazzata con l’analisi dell’evoluzione dell’incidenza dei reclami.
5. Il tasso di fedeltà/abbandono della clientela e la durata media della
relazione con i clienti. Il miglior indicatore del successo competitivo è la
fedeltà della clientela, difatti non sempre ad elevati livelli di soddisfazione sono collegati anche alti tassi di fidelizzazione dei clienti.
6. L’immagine percepita dai clienti finali e dagli intermediari: si può tenere sotto controllo mediante l’elaborazione di sondaggi presso la clientela. Questo indicatore individua la capacità o meno dell’impresa di trasmettere la propria identità tramite le attività di comunicazione.
7. L’evoluzione del posizionamento competitivo rispetto ai concorrenti in relazione ai FCS del business.
63La seconda analisi ci porta alla valutazione delle performance sociali, dove
viene posta un’attenzione prioritaria alle risorse umane dove la soddisfazione degli stakeholder viene sempre più considerata una condizione irrinunciabile per l’affermazione duratura dell’impresa.
64Raggiungere buone performance sociali implica generare e divulgare valore ai
soci, alle comunità locali, ai fornitori, alle banche, ecc.
65Questo implica diversi vantaggi, innanzi tutto favorisce il reperimento dei
mezzi migliori (personale, materie prime ecc.) e grazie a ciò si possono alimentare anche migliori competenze.
63Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
p. 53
19
I principali indicatori in questo ambito sono66:
1. Il Return On Relationship (ROR), che può essere spiegato come il “tasso di rendimento delle relazioni sociali”, il quale se è positivo segnala le relazioni che hanno un impatto positivo sull’azienda e creano valore, al contrario se negativo indica che i rapporti sono poco utili.
2. Il grado di soddisfazione dei dipendenti, dove vi sono dipendenti soddisfatti è molto probabile che si arrivi ad ottenere elevati livelli di gradimento della clientela.
Quando il personale è scontento, demotivato, trasmette gli stessi sentimenti alla clientela.
3. Il livello di turnover, il tasso di assenteismo e di frequenza dei conflitti
sindacali.
4. Il grado di soddisfazione dei vari portatori di interesse e il livello di
fiducia e conflitto con questi. Come accade con i clienti e per i
dipendenti, la misurazione del gradimento degli stakeholders è importante per capire se c’è o no intesa tra impresa e il contesto sociale di riferimento.
L’odierno caso dell’Ilva di Taranto segnala come al cospetto di un’impresa produttrice di acciaio, le cui emissioni hanno comportato malattie e forti tensioni nelle comunità dove sorge l’impianto produttivo, ha creato le basi per una delegittimazione della stessa, e a seguito dell’intervento delle autorità è stata sospesa l’attività produttiva.
5. L’immagine percepita dagli stakeholders. Un’impresa che gode di una buona fama attrae a sé le migliori risorse umane, incentiva i fornitori, le banche incoraggia gli azioni ad investire ecc.
6. Il grado di rispetto delle normative in materia di ambiente, fisco,
sicurezza sul lavoro e dei codici etici.
65Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
p. 53
20
Per quanto concerne la prospettiva dei processi interni, dell’innovazione e
dell’apprendimento, i possibili indicatori possono essere67:
1. Qualità ed efficienza del processo produttivo, stimabile attraverso gli
andamenti della percentuale degli sprechi sul fatturato e del turnover delle scorte di magazzino e dei rapporti di produttività del lavoro e del capitale. 2. Investimenti in R&S, numero di brevetti, tasso di innovazione. La
performance innovativa è stimolante in quanto oltre ad identificare il grado di espansione verso il nuovo, mostra il potenziale competitivo che l’impresa sta preparando per il futuro.
3. Efficacia ed efficienza dei sistemi operativi. Per stimare la performance
dei processi interni, oltre al sistema di gestione del personale, è necessario monitorarne anche altri tipi in termini di efficienza ed efficacia. Possiamo citare ad esempio il sistema di pianificazione strategia, di programmazione e controllo ecc.
4. La natura della cultura organizzativa. La cultura organizzativa può
rappresentare un eccezionale alleato, ma anche un allarmante ostacolo all’efficace implementazione delle strategie aziendali e ai processi di innovazione e di miglioramento. Indicatori utili a tal fine posso essere ad esempio il grado di politicizzazione dell’ambiente interno, il grado di contrarietà al mutamento68. Le culture politicizzate tendono a generare
dissidi e far prevalere le decisioni del gruppo più forte, che non necessariamente corrisponde alla scelta migliore per l’azienda.
Per quanto concerne l’ultimo aspetto, quello economico-finanziario, gli indici sono molteplici e sono così raggruppabili69:
67Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
p. 56
68Thompson A.A., Strickland III A.J., Gamble J.E., Crafting and Executing Strategy. The
Quest for Advantage. Concepts and Cases, Mc Graw-Hill-Irwin, Boston , 2008, p. 466
69Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
21
Indicatori di struttura del capitale e di indebitamento: sono destinati a comprendere il grado di indebitamento e di capitalizzazione.
Indicatori di equilibrio finanziario orizzontale: cercano di monitorare la coerenza quali/quantitativa degli investimenti e finanziamenti
Indicatori di redditività: indicano la capacità dell’impresa di remunerare o meno in modo adeguato i capitali investiti sia dalla proprietà sia da soggetti terzi.
Indicatori di efficienza e produttività: hanno lo scopo di monitorare che l’impresa utilizzi in modo efficiente i fattori e le risorse impiegate.
Indicatori di sviluppo: mettono in relazione gli indicatori finanziari ed economici.
70Al fine dell’analisi dell’equilibrio strategico, agli indicatori sopra citati,
andrebbero sommate delle variabili che indicano lo stato di rischio e vulnerabilità, messe in relazione con la proprietà e all’organo di governo, mediante l’uso di indicatori come l’età, l’esperienza dei proprietari, dell’organo di governo, oltre alle situazioni di potenziale conflitto tra essi.
70Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
22
71Allo scopo di tener conto del diverso rilievo dei FCS, l’organo di governo
potrebbe dare dei punteggi ai vari indicatori, realizzando così una mappa (vedi tabella successiva72), tenendo eventualmente conto dei punteggi ottimali e
punteggi di criticità, ponderandoli per il corrispondente grado di influenza per il successo dell’impresa. Grazie a questo è possibile emettere un giudizio sintetico sull’andamento dell’azienda, tenendo conto dei limiti che possono emergere da un processo valutativo come questo.
71Tonino Pencarelli, Le crisi d’impresa; diagnosi, previsione e procedure di risanamento, 2013,
p. 63
23
1.3 Analisi di bilancio
Adesso ci addentreremo nell’analisi di bilancio andando ad esaminare in modo approfondito gli indici di bilancio e il loro relativo range di valori ottimali, entro i quali l’impresa deve collocarsi.
24
1.3.1 Lo stato patrimoniale finanziario
Lo stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio finanziario si mostra come un prospetto a sezioni contrapposte, con lo scopo di evidenziare:
Le fonti di finanziamento;
L’impiego di risorse in azienda
73 Le fonti di finanziamento vengono ordinate in funzione del tempo necessario
per la loro estinzione, mentre gli impieghi sono classificati sulla base del tempo per il ritorno in forma liquida.
74Per identificare la durata del breve periodo, allo scopo di classificare le fonti di
finanziamento, ci possiamo avvalere del criterio della durata del ciclo operativo, o eventualmente, può essere considerato breve periodo l’esercizio gestionale.
73Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 49
25
L’attivo fisso è un aggregato scomponibile in tre sotto categorie:
Immobilizzazioni Immateriali
Immobilizzazioni Materiali
Immobilizzazioni Finanziarie
L’attivo circolante, anch’esso viene suddiviso in tre categorie:
Disponibilità economiche (rimanenze)
Liquidità differita (crediti)
Liquidità immediate (disponibilità immediate e cash equivalents)
Per quanto concerne il passivo, ovvero le fonti di finanziamento, esse vengono distinte in:
Capitale Netto
Passività Consolidate (>12 mesi)
Passività Correnti (< 12 mesi)
1.3.2 L’analisi della liquidità
75Come già accennato l’aggregato delle passività correnti, come possiamo vedere
dallo schema, mostra l’importo dei debiti esigibili entro i 12 mesi, invece l’attivo circolante rappresenta l’importo degli investimenti che si trasformeranno in danaro nello stesso lasso temporale.
Andando a confrontare queste grandezze in un rapporto, chiamato Indice di
Struttura Corrente, emerge che se questo valore è inferiore a 1, l’attivo circolante
non è in grado di far fronte alle passività in scadenza, e quindi per far fronte ai debiti risulta necessario smobilizzare parte dell’attivo fisso.
Nel caso opposto, il significato che ci esprime tale indice è che, l’azienda possiede le capacità di far fronte alle passività in scadenza attraverso l’utilizzo delle sole attività correnti.
75 Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
26
76Il secondo indicatore, che andiamo ad analizzare è l’indice di liquidità primaria
o “secca”. Tale indice si crea ponendo al numeratore la somma tra Liquidità immediate e Liquidità differite e collocando al denominatore le Passività correnti.
Nel caso in cui tale indice è maggiore a 1, l’azienda è liquida, viceversa si rilevano problemi nel far fronte ai debiti nel breve periodo il che a sua volta ne consegue che l’impresa deve utilizzare parte del magazzino per farvi fronte. Possiamo riassumere fin qui esposto in una tabella per facilitarne la comprensione:
Indicatori Positività/ Equilibrio
Negatività/ Disequilibrio
Azioni nel breve periodo Azioni nel m/l periodo Indice di struttura corrente > 1 < 1 Ridurre la 77PFN a breve Consolidare debiti finanziari Indice di liquidità secca ≥ 1 < 1
In conclusione il vantaggio sostanziale nell’uso di tali indici è la semplicità nell’utilizzo e di confronto con l’esterno.
Purtroppo il limite che si evidenzia è che questi permettono soltanto di “scattare una foto” della situazione dell’azienda ad una certa data, e quindi questa può risultare un’approssimazione molto forte.
76http://www.marchegianionline.net/appro/appro_325.htm
77PFNB: posizione finanziaria nettaa breve è determinata dalla differenza tra la sommatoria
algebrica dei Crediti finanziari a breve e delle altre Attività correnti finanziarie a breve e la sommatoria dei Debiti a breve verso le banche e delle altre Passività correnti a breve finanziarie (http://www.studiopolli.it/analisipermargini/posizionefinanziaria/posizionefinanziaria.html)
27
1.3.3 Gli indicatori di sintesi economico-finanziaria
Questi indici si suddividono in varie categorie, in questa sede ne esamineremo soltanto alcune:
Indici di redditività
Indici di rotazione/durata
78Gli indicatori di redditività si realizzano così: si pone al numeratore un flusso di
reddito e al denominatore una grandezza stock.
I migliori indicatori di redditività sono il ROE e il ROI.
Il ROE (Return on Equity) esprime la redditività del capitale netto: ROE = Utile netto / Capitale netto
Questo indicatore viene impiegato da investitori per valutare la convenienza dell’investimento nell’azienda rispetto ad uno alternativo. E’ opportuno tuttavia andare a considerare non solo il rendimento ma anche il coefficiente di rischio, in quanto ad esempio se un’azienda con un ROE di pari importo rispetto ad un titolo di Stato (ad esempio Italiano) decennale, quest’ultimo sarà preferito rispetto all’investimento in un’impresa in quanto il suo rischio è tendente allo 0. Il ROI (Return on Investment) invece si focalizza sulla redditività caratteristica:
ROI = Risultato operativo caratteristico / Capitale investito caratteristico Il ROI viene interpretato ricollegandolo con il benchmark di mercato, dal quale ne possiamo evidenziare il trend.
78Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
28
Il ROI può essere ulteriormente scomposto in:
79ROS x Turnover degli investimenti
80Il ROS esprime la redditività dei ricavi di vendita ed esprime la capacità dei
prezzi di vendita di remunerare i costi caratteristici, il quale miglioramento può esprime sia la capacità dell’azienda di aumentare i prezzi di vendita sia di ridurre i costi, ricercando efficienze.
81Il turnover degli investimenti evidenzia, invece, la capacità di attività che
l’azienda è riuscita a generare tramite il capitale investito. Da questo si evidenzia che un turnover basso fa emergere un sotto utilizzo del capitale investito. Osservando la formula, è possibile migliorare tale indice aumentando i ricavi tenendo allo stesso tempo sotto controllo il volume del capitale investito.82
Indicatori Positività/ Equilibrio
Negatività/ Disequilibrio
Azioni nel breve periodo Azioni nel m/l periodo ROE > rendimenti alternativi > esercizi precedenti < rendimenti alternativi > esercizi precedenti - Migliorare il risultato della gestione accessoria - Negoziare migliori condizioni sui finanziamenti a breve termine - Aumentare il ROI - Migliorare l’onerosità dei finanziamenti ROI > esercizi precedenti > principali concorrenti < esercizi precedenti < principali concorrenti - Migliorare l’efficienza di impiego dei fattori produttivi - Incrementare in turnover - Adottare strategie di costo o di differenziazione per migliorare la redditività
79ROS (Return on Sale): Risultato caratteristico/Ricavi di vendita
Turnover degli investimenti: Ricavi di vendita/Capitale investito caratteristico
80Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 79
81Ibidem
29
83Gli indici di rotazione/ durata hanno lo scopo di stimare il grado di efficienza di
un investimento (o di un finanziamento) implicato nella attività caratteristica. Si costruiscono ponendo al numeratore i ricavi e al denominatore il valore stock dell’investimento che si intende analizzare.
Più è elevato l’indice più è notevole la capacità dell’investimento di ritornare in forma liquida.
Gli indici di rotazione normalmente danno una valutazione, in giorni, dell’arco temporale di un investimento.
Di seguito elenco degli indici di durata riferiti al capitale circolante netto commerciale84:
Indice di durata dei crediti commerciali =
Crediti commerciali x 360/ Ricavi di vendita (+ IVA)
Indice di durata dei debiti commerciali =
Debiti commerciali x 360/ Acquisti (+ IVA)
Indice di durata del magazzino prodotti finiti =
Rimanenze prodotti finiti x 360/ Costo del venduto
Indice di durata del magazzino materie prime =
Rimanenze prodotti finiti x 360/ Consumo materie
83Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 81
84Marchi L., Paolini A., Quagli A., Strumenti di analisi gestionale, Giappichelli, Torino, 2003 p.
30
85 Grazie a questi indici è possibile ottenere informazioni sulle entrate e uscite
monetarie del ciclo operativo corrente, questi possono essere combinati assieme con lo scopo di ottenere una stima della durata del ciclo monetario.
Tale ciclo indica il tempo che intercorre tra il pagamento dei fornitori e gli incassi provenienti dalla vendita dei prodotti. La tabella86 ci mostra la
composizione del ciclo monetario
1.3.4 Il confronto con i parametri esterni
Dopo l’analisi e lo studio approfondito dei principali indici, occorre ora confrontarli con la realtà esterna per avere un corretto ambito di riferimento, grazie al quale trarre le opportune conclusioni.
Per alcuni indicatori difatti, non può esistere una relazione certa che unisce l’interpretazione positiva o negativa al valore assunto dall’indicatore.
Risulta quindi opportuno effettuare un confronto spazio temporale dei valori.
87La comparazione temporale, è più facile da ottenere, perché nasce dal confronto
dei valori dei bilanci prodotti dalla stessa azienda. Non emerge alcun problema
85Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, pp. 81-82
86Ibidem 87Ivi, p. 85
31
relativo alla reperibilità delle informazioni, perché il tutto si basa su dati interni che si possono concedere a qualsiasi tipo di elaborazione e riclassificazione.
88L’analisi spaziale, invece è più ardua in quanto si deve stimare il trend
aziendale andandolo a confrontare con i competitor o più in generale nel contesto nazionale ed internazionale. In questo caso, un analisi a prima vista positiva potrebbe sfociare in una negativa, se nel settore di appartenenza si sono registrati risultati sostanzialmente migliori.
Questa analisi comporta una serie di problemi legati a89:
Reperimento dei dati per il confronto
Attendibilità dei dati e delle informazioni raccolte: si fa riferimento al rischio che i dati esterni siano inficiati da politiche di bilancio. I rischi di attendibilità devono essere soprattutto considerati nella fase interpretativa dei dati.
Scarsa flessibilità di utilizzo: questa è collegata all’incapacità di riclassificare i dati di bilancio con criteri alternativi rispetto a quelli originali.
Omogeneità: la disomogeneità dei dati nasce dal fatto, ad esempio, che le aziende adottano scelte diverse nell’ambito dell’applicazione dei principi contabili, o nelle norme di legge, se si confrontano bilancio di Paesi diversi.
Metodologia matematico-statistiche di manipolazione dei dati esterni: queste possono rappresentare un problema nei casi in cui i dati vengono comparati con la media del settore o con aggregazione di dati. Ad esempio per paragonare il ROI dell’impresa con un valore medio del settore dovremmo verificare prima di tutto quale formula è stata utilizzata per il calcolo del valore medio.
88Ivi, p. 85
89G. Invernizzi, M. Molteni, Analisi di bilancio e diagnosi strategica, Etaslibri, Milano, 1990,
32
90Per confrontare l’azienda con i competitor o con le c.d. best practices è
necessario individuare un’azienda di riferimento che svolgerà la funzione di benchmark. La principale difficoltà riguarda la scelta di tale azienda che svolge la mansione di parametro. Difatti le aziende confrontate devono essere il più possibile comparabili, se così non fosse, colui che si occupa dell’analisi deve effettuare delle opportune ponderazioni in fase interpretativa.
91Infine, per effettuare un confronto con i valori medi del settore, si possono
utilizzare sia i bilanci sia degli indicatori.
Il metodo che viene utilizzato è significativo in quanto contribuirà ad evitare problemi di affidabilità e di interpretazione dei valori92: difatti i valori medi, possono essere influenzati dal peso delle aziende di maggiori dimensioni. Risulta quindi necessario conoscere la variabilità dei valori medi rispetto alla media dell’azienda benchmark, vale a dire lo scarto quadratico medio 93.
1.4
Modelli di scoring nella previsione dell’insolvenza
94I primi esempi di modelli di previsione dell’insolvenza, nascono nel periodo
successivo alla crisi bancaria, che ha avuto come apice il crollo della borsa di Wall Street. A quel tempo gli istituti finanziari erogavano finanziamenti in modo azzardato, e ben presto si trovarono nel bel mezzo del conflitto tra i finanziatori insolventi e risparmiatori.
E’ stata questa esigenza a cercare di individuare degli strumenti ad hoc per valutare la concessione del credito.
90Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 87
91Ivi, p. 88
92G. Invernizzi, M. Molteni, Analisi di bilancio e diagnosi strategica, Etaslibri, Milano, 1990, p.
97
93Lo scarto quadratico medio è uno dei modi per esprimere la dispersione dei dati intorno ad un
indice di posizione, quale può essere, ad esempio, la media aritmetica o una sua stima. Ha pertanto la stessa unità di misura dei valori.
(https://it.wikipedia.org/wiki/Scarto_quadratico_medio)
94Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
33
A tale scopo, le energie si sono concentrate verso degli strumenti che fossero capaci di diagnosticare per tempo la crisi.
In questo particolare contesto si sono affermati dei modelli basati sulla statistica, chiamati modelli delle insolvenze. Nonostante questi modelli furono creati per le esigenze degli istituti di credito, ben presto si sono rilevati fondamentali in diversi ambiti.
95Entrando nel merito degli aspetti puramente tecnici è bene puntualizzare che i
modelli sono ottenuti tramite la combinazione dell’analisi di bilancio e di peculiari metodologie matematiche-statistiche.
In particolare, l’analisi di bilancio, permette di effettuare delle valutazioni sulle condizioni di operatività dell’azienda, grazie all’interpretazione dei trend aziendali. Ciò nonostante, questa metodologia difetta in termini di eccessiva soggettività in fase di interpretazione, tale da inficiare l’attendibilità dei risultati. La statistica, per sua natura riesce a superare questo forte limite.
96Un modello così fatto ha lo scopo di concentrare l’attenzione dell’analista su un
numero limitato di variabili, ritenute distintive per descrivere il fenomeno della crisi; consentendo cosi di raggiungere dei vantaggi:
Semplificazione delle fasi di elaborazione e di interpretazione delle informazioni;
Un maggior grado di affidabilità sul giudizio delle condizioni di operatività aziendale.
Il primo vantaggio consiste nell’utilizzo di un numero ridotto di indicatori dove non si superano le sei o sette variabili, come ad esempio il modello Z Score di Altman ne utilizza solamente 5.
Per quanto concerne il secondo vantaggio, grazie alla statistica, possiamo ridurre il grado di soggettività interpretativa.
95Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 145
34
Tra i vari modelli esistente, si usa distinguere i modelli teorici e quelli empirici di previsione.
1.4.1 I modelli teorici
97Gli studi di questi modelli hanno preso vita a partire dagli anni ’50, con lo
scopo di individuare possibili soluzioni ai problemi connessi al fallimento.
Questi strumenti si basano su una logica deduttiva e perciò sono connotate da un forte carattere di astrazione98.
Questi modelli difatti, prescindono da qualsivoglia legame con un contesto reale, ma vengono elaborati formulando delle congetture meramente concettuali.
99Ne consegue che questi tipi di modelli vengono costruiti su basi poco concrete
andando a semplificare alcuni aspetti della realtà imprenditoriale:
La combinazione produttiva ha una vita limitata a due esercizi;
I titoli azionari vengono negoziati sul mercato finanziario;
Il fallimento viene dichiarato quando il valore di liquidazione dell’azienda è inferiore all’indebitamento totale.
L’analisi si prefigge quindi un duplice obiettivo: 1) Identificare le cause del fallimento;
2) Calcolare la probabilità di incorrere nello stato di insolvenza.
In conclusione sebbene i modelli teorici sono basati su un forte rigore metodologico, questi rimangono di alto valore solo se vengono applicati in ambiti dottrinali e non professionali.
97Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 147
98Si può consultare a tal fine Rossi C., indicatori di bilancio, modelli di classificazione e
previsione delle insolvenze aziendali, Giuffrè Editore, Milano, 1988, p. 30 e seg.
99Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
35
1.4.2 I modelli empirici
Diametralmente opposti sono i modelli empirici, che vengono elaborati secondo un approccio induttivo.
Essi si articolano su quattro momenti significativi100:
La selezione di un campione di aziende realmente operanti;
L’esame di ogni unità del campione;
L’elaborazione di un modello di previsione riferito soltanto alle aziende poste sotto esame;
Questo modello consiste nel passare dal particolare al generale, dove per particolare si intende l’avvalersi dell’analisi di bilancio e per generale l’adozione di metodologie matematico-statistiche, grazie alle quali possiamo ottenere delle procedure standardizzate.
I primi sono apparsi negli anni ’60 e ’70, dove in suddetto periodo, si elaboravano modelli molto semplici, i quali non erano supportati da tecnologie in tema di elaborazione di dati come abbiamo oggi.
Prima di passare al modello Z’Score di Altman e di Alberici, andiamo ad analizzare le fasi fondamentali che ogni modello empirico ha101:
L’individuazione del momento oggetto di previsione: esso consiste nel
identificare quando l’azienda può definirsi in crisi, andando a individuare questo momento in modo specifico. Per semplicità viene preso come riferimento l’atto di apertura del fallimento o di qualsiasi altra procedura concorsuale;
La scelta della metodologia statistica da applicare: risulta necessario individuare quale tecnica statistica andare ad applicare al caso concreto. La scelta della metodologia è anche in funzione delle disponibilità economiche dell’utilizzatore di tale strumento in quanto presuppone investimenti importanti.
100Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 148
36
La definizione del campione di stima: risulta necessario affinché il modello sia accurato, che il campione sia il più rappresentativo possibile della popolazione che è stata presa in esame. Per quanto concerne il campo quantitativo, il campione dovrebbe comprendere un cospicuo numero di unità osservate. Il problema principale, il quale tutt’oggi è terreno di scontro, sta nella definizione del corretto rapporto tra il numero delle aziende sane e quelle in difficoltà. La prassi più diffusa è quella di prendere il medesimo numero di entrambe le categorie, anche se tuttavia non rappresenta la reale composizione della realtà del mercato.
La consuetudine comune è quella di individuare un campione con caratteristiche di omogeneità. Per tale ragione si procede alla selezione del campione di aziende che siano connotate da alcuni tratti comuni come il settore, la dimensione, e così via102.
Per quanto riguarda la problematica relativa alla definizione temporale entro la quale l’evento deve essersi verificato, viene preso da alcuni autori un arco temporale lungo mentre altri ne prendono uno più ristretto per ridurre il più possibile l’influenza sulle fonti delle turbolenze del sistema economico.
La selezione delle variabili del modello: esse sono numerose, ed il processo di selezione consiste, nell’individuazione di un insieme di parametri che si vogliono rappresentare nel modello. Questo processo inizia con lo studio di un insieme numeroso di variabili, dove successivamente si da vita ad una scrematura. Lo scopo ultimo è quello di avere un gruppo di parametri limitati da poterli agevolmente gestire, ma allo stesso tempo devono avere un alto potere interpretativo.
La verifica dei risultati: il modello deve essere analizzato per valutarne la funzionalità.
102Per un approfondimento si vedano C. Pontiggia, Le condizioni rilevanti per la funzionalità
dei modelli di previsione delle insolvenze, in G. Forestieri (a cura di) La previsione delle insolvenze aziendali. Profili teorici e analisi empiriche, Giuffrè, Milano, 1986, pag 43 e seg.; C. Rossi, Indicatori di bilancio, modelli di classificazione e previsione delle insolvenze aziendali, Giuffrè, Milano, 1986, pp. 97 e seg.
37
Ciò che ne determina la buona riuscita, è la percentuale di errore commessa nel rielaborare le osservazioni, che fanno parte della popolazione delle aziende sane e quelle anomale.
Si compie un errore del primo tipo quando il modello classifica come azienda sana una che non lo è, e del secondo il caso opposto.
1.4.3 Modello Z’ Score
Adesso procediamo ad analizzare due strumenti: lo Z’ Score103, che rappresenta
l’adattamento del modello Z Score di Altman per la diagnosi delle aziende in crisi non quotate, e lo Z di Alberici. 104Il primo, pur essendo stato il primo
modello predittivo dal quale hanno preso spunto innumerevoli studiosi, tuttavia questo strumento era messo a punto per le solo società quotate.
105Il modello Z’ Score si basa su una funzione lineare:
Z’ = 0,717 X1 + 0,847X2 + 3,107 X3, + 0,420 X4 + 0,998X5
Le variabili indipendenti Xn sono rappresentate dai seguenti indici:
X1= capitale circolante netto
/ capitale investito
X2= utili cumulati e non
distribuiti / capitale investito
X3= reddito al lordo degli
oneri finanziari e delle imposte / capitale investito X4 = capitale contabile del
patrimonio netto / valore contabile dei debiti totali
X5 = ricavi di vendita /
capitale investito
Per risolvere la funzione è sufficiente sostituire le X con i valori, così facendo si risolve l’equazione.
106Giunti a questo punto deve essere confrontato questo valore con il così detto
cut off del modello Z’ Score che è stato individuato pari a 2,675.
103
E.I. Altman, Corporate Financial Distress and Bankruptcy, John Wiley & Sons, New York, 1993, pp. 202 e seg.
104Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, p. 161
105Ibidem 106Ivi, p. 162
38
Al di sopra di tale valore si collocano le aziende sane viceversa quelle in crisi. Per una più semplice comprensione si riassume in una tabella quanto prima detto:
Lo Z’ Score identifica una zona grigia, dove non è possibile dare un immediato giudizio in merito alle condizioni dell’impresa.
Quest’area si sviluppa, nel limite inferiore a 1,23 e per il limite superiore a 2,99. Si rendono necessari a tal fine l’acquisizione di informazioni aggiuntive.
Tenendo ben presente la zona grigia, le imprese si possono collocare come segue107:
Sane, con uno score superiore a 2,90
Di incerta sorte, con score compreso tra 1,23 e 2,90
Insolvenza, con score inferiore a 1,23
Ancora una volta viene inserita una tabella per semplificarne l’esposizione.
A conclusione di questo primo capitolo, esamineremo il modello Z di Alberici.
108A differenza di Altman, in questo modello ci sono ben 5 funzioni lineari da
applicare per ogni specifico anno del quinquennio che precede il fallimento della combinazione economica, e sono le seguenti:
107Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
risanamento: prevenzione e diagnosi, terapie, casi aziendali; 2008, pp. 162-163
39 Z -5 = -0,00401X1 + 0,00203X2 + 0,00346X3 – 0,02201X4 + 0,01374X5 + 0,00108X6 – 0,00417X7; Z -4 = 0,00164X1 + 0,00350X2 – 0,01659X3 – 0,04353X4 + 0,04026X5 + 0,00013X6 + 0,00105X7; Z -3 = -0,00213X1 + 0,00319X2 + ,00421X3 – 0,02482X4 + 0,01613X5 + 0,00055X6 + 0,00319X7; Z -2 = 0,00004X1 + 0,01528X2 + 0,03013X3 – 0,07389X4 + 0,07658X5 – 0,000446X6 + 0,004828X7 Z -1 = 0,00182X1 – 0,02579X2 + 0,00489X3 – 0,05185X4 + 0,00295X5 – 0,03831X6 + 0,01538X7
Ogni modello differisce dagli altri solo per i pesi della ponderazione.
Adesso vediamo i sette parametri come abbiamo fatto per il modello Z’ Score.
X1 = reddito netto / attività totali X2 = debiti totali / attività totali
X3 = capitale netto / immobilizzazioni nette
X4 = capitale netto + debiti consolidati /
immobilizzazioni nette X5 = attività correnti / passività a breve
termine
X6 = attività liquide / passività a breve
termine X7 = passività a breve termine / attività totali
Per quanto riguarda i punti di cut off, è logico che ad ogni periodo, ne corrisponde uno quindi109:
109Alessandro Danovi e Alberto Quagli, Gestione della crisi aziendale e dei processi di
40
Anno Punto di cut off
Z -5 5,494
Z -4 34,229
Z -3 120,22
Z -2 7.192,602
Z -1 92,708
A questo modello va data una interpretazione opposta rispetto a quella del modello di Altman perché qui vengono identificate come aziende sane quelle che hanno uno score inferiore alla soglia elencata nella tabella, mentre quelle in crisi sono quelle che hanno uno score superiore.
Per un’analisi prospettica possiamo riassumere i due modelli in una tabella così fatta:
Caratteristiche del campione
Modello di Altman Modello di Alberici
Settore economico di
appartenenza Industriale
Industriale
Dimensioni Grandi Piccole, medie, grandi
Stato giuridico Presenza della dichiarazione di fallimento Presenza della dichiarazione di fallimento Quotazione in mercati
regolamentati Non quotate
Non quotate
Numero di parametri 5 7
41
2. Principali procedure concorsuali
In questo capitolo darò una panoramica sulle principali procedure concorsuali prima di passare agli argomenti strettamente economico/aziendali.
2.1 Il fallimento
110Innanzi tutto dobbiamo identificare i soggetti che possono fallire, e quindi
abbiamo:
1) Le persone fisiche (imprenditori individuali) 2) Le società
3) Gli altri “enti”, come le associazioni, fondazioni ecc. Sono esclusi gli imprenditori agricoli e gli enti pubblici.
L’imprenditore, deve prima di tutto versane in una situazione di insolvenza, ex art. 5 L. Fall., che viene definita come quella situazione permanente che non consente all’impresa di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Il creditore che richiede il fallimento deve provare la sussistenza del predetto stato ed il Tribunale ne deve accertarne l’esistenza.
L’art. 1 c. 2 L. Fall., prevede che soltanto chi esercita un’attività commerciale e contestualmente supera una delle tre soglie previste dal precedente articolo può fallire, se si verificano nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore. Queste sono:
1) Attivo patrimoniale superiore a 300.000 euro 2) Ricavi lordi superiori a 200.000 euro
3) Debiti per un ammontare complessivo superiore a 500.000 euro
Inoltre, ai sensi dell’art. 15 c. 9 L. Fall., è esclusa l’apertura della procedura se i debiti scaduti e non pagati risultanti dall’istruttoria prefallimentare risultano inferiori ai 30.000 euro, anche se l’imprenditore è insolvente.
110AA.VV., Daniela Bramati Simona Parolo, Memento Pratico Fallimento 2014, IPSOA –