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La dimensione del fiabesco come esigenza psicologica. Motivi tipici e aspetti simbolici delle fiabe.

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Indice

Introduzione ... p. 1

Capitolo 1. Le manifestazioni del fiabesco: cenni storici e strutturali

1.1 Quadro storico: dalla fiaba popolare alla fiaba d‟autore ... p. 5 1.2 Il percorso trasversale della favola ... p. 12 1.3 Struttura della fiaba ... p. 18 1.4 Caratteristiche della fiaba europea ... p. 21 1.5 Forme e canali della fiaba contemporanea ... p. 25 1.6 L‟esperienza della lettura ... p. 32

Capitolo 2. Il mondo incantato di Bruno Bettelheim: il contributo delle fiabe all’infanzia

2.1 Premesse sull‟opera ... p. 36 2.2 L‟esteriorizzazione attraverso le fiabe: mettere ordine nell‟inconscio ... p. 39 2.3 L‟integrazione psichica suggerita dalle fiabe ... p. 43 2.4 I conflitti edipici nelle fiabe ... p. 58 2.5 Il materiale fantastico delle fiabe come guida nel processo di crescita .. p. 68 2.6 Fantasia, recupero, fuga e consolazione a fondamento della fiaba ... p. 73

Capitolo 3. Le fiabe in psicoanalisi e nella psicologia analitica

3.1 Le fiabe nelle opere di S. Freud ... p. 79 3.2 La vita fantastica di primitivi, bambini e nevrotici a confronto ... p. 98 3.3 Le fiabe nelle opere di C.G. Jung ... p. 120 3.4 L‟individuazione nelle fiabe ... p. 135 3.5 Le fiabe nella psicoanalisi infantile post-freudiana ... p. 158

Capitolo 4. Il rapporto della fiaba con il mito: motivi ricorrenti e linguaggio simbolico

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II

4.2 Il motivo dello sposo animale ... p. 178 4.3 Il motivo dell‟abbandono dei figli ... p. 187 4.4 Il motivo dell‟esser preda di animali ... p. 199

Capitolo 5. La simbolizzazione e le fiabe

5.1 La formazione della capacità simbolica ... p. 202 5.2 Il concetto di simbolo in Freud ... p. 220 5.3 Il concetto di simbolo in Jung ... p. 225 5.4 Fiaba e sogno ... p. 233 5.5 Simboli e archetipi nelle fiabe ... p. 240

Capitolo 6. Fiabe, immaginario e psicoterapia

6.1 L‟immaginario ... p. 258 6.2 L‟immaginazione attiva junghiana e l‟imagoterapia ... p. 266 6.3 La terapia immaginativa del rêve eveillé dirigé ... p. 275 6.4 La fiabazione come strumento terapeutico ... p. 281 6.5 Le fiabe popolari in psicoterapia ... p. 286 6.6 L‟immaginario fiabesco nella “psicoanimazione”: La principessa degli

specchi ... p. 293

Conclusioni ... p. 301

Bibliografia ... p. 312

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Introduzione

Il mio interesse per il tema di questa tesi di laurea è nato dalla lettura, intrapresa per interesse personale, de Il mondo incantato – The uses of enchantment è il titolo dell‟edizione originale, datata 1976 – dello psicoanalista Bruno Bettelheim. A partire dalle analisi e riflessioni di Bettelheim, ho deciso di approfondire l‟argomento della dimensione fiabesca, in particolare grazie agli apporti offerti dalle prospettive della psicoanalisi e della psicologia analitica, in una direzione che considera i temi delle fiabe, all‟interno del più vasto panorama narrativo, come motivi tipici che rimandano simbolicamente ad aspetti universali dell‟esperienza umana. Intendo esplorare l‟ipotesi secondo la quale le narrazioni che rientrano nel contesto del fiabesco, sia nella semplicità delle versioni popolari che nella più complessa articolazione dei racconti fantasy, descrivono percorsi di crescita e realizzazione personale, così come quelli che uomini e donne compiono nel corso della vita ogni volta che incontrano una situazione di difficoltà o cercano di raggiungere un certo obbiettivo. La fiaba rappresenta queste tappe della vita come felicemente superabili, mettendole in scena grazie all‟onnipotenza del pensiero immaginativo, e in tal modo conforta le nostre speranze, in quanto non si limita a presentare una realtà corrispondente al desiderio, bensì illustra un destino personale migliore. In effetti, a coronare il percorso della realizzazione e maturazione del protagonista della fiaba, dopo il superamento di prove ed avversità, giunge sempre il lieto fine, che è la promessa dell‟edificazione di un‟incrollabile e duratura felicità, rappresentata simbolicamente, ad esempio, tramite la conquista di un reame.

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Le fiabe proiettano i suoi ascoltatori e i suoi lettori in un mondo altro, in cui tutto è possibile: un mondo di fantasia dominato dallo straordinario e dall‟assenza di una logica rigorosa. Proprio per questo loro aspetto fantastico, tali narrazioni ci cullano con un tocco confortevole, accompagnandoci in una dimensione analoga a quella dei sogni, al di là dei confini spaziali e temporali, e permettendoci di vivere per mezzo dell‟identificazione le avventure incredibili dell‟eroe.

Nel primo capitolo presento la storia e le caratteristiche del genere fiabesco: ne indico lo sviluppo dalla forma originaria di racconto orale recitato dinnanzi ad un pubblico, alla trascrizione delle narrazioni popolari tramite le raccolte letterarie, all‟invenzione della fiaba d‟autore sino alle produzioni recenti, comprese quelle audiovisive; inoltre, metto in evidenza l‟intreccio narrativo che volge al lieto fine, la sfera del meraviglioso e il carattere archetipico come i tratti fondamentali della fiaba.

Dedico il secondo capitolo a Il mondo incantato di Bruno Bettelheim, in cui le fiabe vengono presentate come la forma letteraria maggiormente adatta all‟infanzia: tali narrazioni sono considerate di notevole ausilio nell‟indirizzare i bambini nel percorso dello sviluppo, presentando in una veste fantastica i problemi e le costellazioni emotive in cui essi si imbattono ogni giorno ed offrendone esempi di felici risoluzioni. Lo psicoanalista, riprendendo un‟espressione di Lewis Carroll, sostiene che le fiabe sono un “dono d‟amore”1

1

Bettelheim scrive: “[…] la fiaba rassicura, infonde speranza nel futuro e offre la premessa di un lieto fine. Per questo Lewis Carroll la chiamò un „dono d‟amore‟ ”. (B. Bettelheim, Il mondo incantato. Uso,

importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Feltrinelli, Milano, 2012, p 30). Lewis utilizza questa

espressione nella poesia introduttiva a Through the looking glass and what Alice found there: “Pura fronte serena di bimba, / Meraviglia degli occhi sognanti! / Fugge il tempo, e da te mi separa / La metà di una vita intera; / Ma il saluto avrò del tuo sorriso / Per la fiaba, che è dono d‟amore” (L. Carroll, Alice attraverso lo

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offerto al bambino, il quale può trovare nella dimensione della fiaba rassicurazione e conforto, così da volgere fiduciosamente lo sguardo al futuro. Nel terzo capitolo, tento di rintracciare la presenza di un richiamo alle fiabe e di riflessioni in merito ad esse negli ambiti della psicoanalisi e della psicologia analitica, facendo riferimento, dapprima, alle opere di Sigmund Freud, fondatore della psicoanalisi, e presentando gli scritti in cui l‟autore cita motivi e personaggi fiabeschi per spiegarne la connessione con i contesti individuali dei pazienti analizzati. Mostrerò la vicinanza fra le fantasie dei bambini, dei primitivi e dei nevrotici delineata in psicoanalisi, tramite gli apporti di Freud, Otto Rank e Géza Róheim, e motivi corrispondenti all‟interno delle fiabe (e ancor prima degli antichi miti), le quali poggiano su una concezione animistica e magica del mondo. Esplorando il campo della psicologia analitica junghiana: ho messo in evidenza la concezione di Carl Gustav Jung di una dimensione collettiva dell‟inconscio, di cui le fiabe sono ritenute manifestazioni, e quella dell‟individuazione, mostrando, grazie anche alle riflessione della sua allieva Von Franz, come essa viene rappresentata nel percorso intrapreso dall‟eroe delle narrazioni fiabesche. Ho concluso il capitolo, infine, con le due principali esponenti della psicoanalisi infantile post-freudiana, Melanie Klein e Anna Freud.

Il quarto capitolo tratta del rapporto fra la fiaba e il mito, mostrando che le fiabe condividono con i miti alcuni motivi ricorrenti, che esprimono in una forma simbolica esperienze comuni dell‟umanità, e prende in esame le ipotesi circa l‟origine di tali corrispondenze. È per questo che nel capitolo successivo presento l‟aspetto simbolico delle fiabe attraverso la formazione del simbolo nell‟infanzia, secondo la prospettiva di Jean Piaget, e le nozioni freudiana e junghiana di

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simbolo, per giungere poi ad esplorare il carattere peculiare del simbolismo presente nelle narrazioni fiabesche.

Infine, nell‟ultimo capitolo, pongo l‟accento sull‟abbandono momentaneo alla fantasia, quando ci si lascia trasportare dal flusso di immagini fantastiche in una dimensione altra rispetto alla realtà quotidiana, chiedendomi se ciò costituisca soltanto un‟evasione o anche un‟esperienza positiva che esprime un vero e proprio bisogno umano, come suggerisce il titolo della tesi. A questo proposito esporrò alcune esperienze che usano le fiabe come strumento di stimolazione della fantasia in virtù degli elementi meravigliosi e straordinari che le caratterizzano, evidenziandone la potenzialità terapeutica.

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Capitolo 1. Le manifestazioni del fiabesco: cenni storici e

strutturali

1.1 Quadro storico: dalla fiaba popolare alla fiaba d‟autore

Punto di partenza della mia esposizione è il tentativo di delineare una cornice, il più possibile esaustiva, in cui collocare e definire la fiaba, quale espressione popolare e, successivamente, letteraria.

La sua origine è connessa all‟oralità: come racconto trasmesso a voce, recitato e messo in scena. “Raccontare una fiaba oralmente era, come si dice oggi, una performance, praticamente offrire uno spettacolo”2

. Dunque, è prevista la figura di un narratore, esperto nella scelta e nell‟uso delle parole, e la presenza di un pubblico, di natura composita per età e sesso. La fiaba è connotata dal connubio fra oralità e teatralità, in un complesso di linguaggi (dalla voce alla gestualità del corpo) che creano la giusta atmosfera per la sua fruizione. La narrazione procede secondo una sorta di “liturgia”, dall‟attacco peculiare del “c‟era una volta”, all‟utilizzo del racconto in terza persona, sino alla chiusa, in cui il pubblico viene coinvolto direttamente. Aspazialità e atemporalità sono le dimensioni in cui si dispiega il racconto fiabesco orale: il narratore non definisce il periodo storico né l‟ambiente geografico in cui la vicenda si svolge. Tutto ciò costituisce l‟essenza della fiaba popolare, che Max Lüthi in Das europäische Volksmärchen (La fiaba

popolare europea) distingue dalla fiaba d‟arte diffusasi nei secoli XVIII e XIX,

2

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nella quale emerge una maggiore libertà dello scrittore in relazione alla creazione di personaggi e alla stesura della storia.

Il passaggio dalla predominanza dell‟oralità della narrazione a quello della scrittura avviene fra Cinquecento e Seicento, quando quest‟ultima si appropria della cultura popolare giungendo a trasformarne la natura mimetica e plasmabile negli aspetti di universalità e genericità del testo scritto. Nell‟epoca della Modernità, il percorso della fiaba si avvia su due traiettorie che finiscono per intersecarsi: l‟una, come passaggio dalla narrazione orale alla scrittura dialettale sino alla sofisticazione colta francese fra la Corte del Re Sole e l‟Illuminismo; l‟altra, come slittamento verso una letteratura per l‟infanzia, a scopo educativo per le classi borghesi. Ripercorriamo una alla volta entrambe le direzioni.

Lungo il primo tragitto spicca il nome di Giambattista Basile (1566-1632), autore de Lo cunto de li cunti, noto anche come Pentamerone (in richiamo al Decameron di Boccaccio), che consiste in una raccolta di fiabe trascritte in dialetto napoletano, fra il 1634 e il 1636. L‟opera è stata definita da Italo Calvino (1923-1985) “il sogno d‟un deforme Shakespeare partenopeo, ossessionato da un fascino dell‟orrido per cui non ci sono orchi né streghe che bastino, da un gusto dell‟immagine lambiccata e grottesca in cui il sublime si mischia col volgare e il sozzo”3

. Lo cunto de li cunti nasce per essere recitato durante la conversazione barocca – particolare forma di intrattenimento seicentesca, di natura teatrale – e racchiude 49 racconti fiabeschi, tratti dalla tradizione orale e dalla novellistica medievale, che alcune narratrici decantano nell‟arco di cinque giornate, con l‟obbiettivo di divertire la melanconica e malata principessa Zoza. Lo strumento narrativo è presentato come cura contro la malinconia, nella forma di un racconto

3

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intriso di metafore e caratterizzato dalla fusione fra reale e fantastico. Lo scenario è quello della corte seicentesca di Napoli, popolato, però, da fate, maghi ed orchi a diretto contatto con il genere umano, in un insieme di figure che finiscono per costituire un mondo metaforicamente ricco e complesso. Dell‟universo fiabesco di Basile, Calvino sottolinea alcune espressioni di rilievo stilistico, come quelle centrate sull‟opposizione luce-buio (le albe e i tramonti, quali momenti di passaggio dal giorno alla notte e viceversa, ed il riferimento paesaggistico al bosco fitto e tenebroso), che traduce anche l‟alternanza bellezza-bruttezza, e quelle inerenti all‟amore… sino a delinearne una vera e propria “mappa delle metafore”4

come struttura portante dell‟intreccio narrativo.

In ambito francese, il passaggio dall‟oralità alla scrittura nel panorama fiabesco è segnato significativamente dall‟opera di Charles Perrault (1628-1703), personaggio di spicco nel clima culturale della Francia di fine Seicento. Questo intellettuale-politico5, rappresenta un punto fondamentale nel percorso di trasformazione e sofisticazione vissuto dalla fiaba, da cui non poter prescindere: “Perrault segna il passaggio dal popolare all‟aristocratico, al borghese della fiaba, accogliendo il suo congegno tradizionale, ma mutandone la confezione e il traguardo”6

. In effetti, nelle sue fiabe – che ricoprono l‟ultimo periodo della sua produzione letteraria, con i Contes de ma mère l‟Oye (I racconti di Mamma Oca) del 16977 – assistiamo ad una triangolazione di influssi derivanti dal mondo popolare, dalla società aristocratica e dai valori della borghesia, come sottolinea

4

I. Calvino, “La mappa delle metafore”, in Sulla fiaba, Mondadori, Milano, 1996.

5

Esordisce come poeta burlesco, per poi dedicarsi a una cultura letteraria più raffinata, sino a prendere parte alla Querelle des anciens et des modernes, in favore dei secondi. È legato all‟ambito politico in quanto riveste il ruolo di segretario del ministro Colbert, ponendosi l‟obbiettivo di contribuire all‟esaltazione della gloria di re Luigi XIV.

6

F. Cambi, Itinerari nella fiaba, cit. p 51.

7

L‟opera esce l‟anno precedente in forma anonima e con il titolo di Histoires ou contes du temps passé avec

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Franco Cambi in “Perrault, il „Cabinet des fées‟ e la fiaba moderna” all‟interno di

Itinerari nella fiaba. Alla tradizione magica e superstiziosa, rimasta viva presso il

popolo, attinge, probabilmente, attraverso la lettura della raccolta di Basile e mediante forme di narrazione orale. Dai racconti e personaggi di Perrault trasuda la stessa condizione di inferiorità e inquietudine in cui si trovano effettivamente i gruppi popolari, insieme ai loro desideri di ascesa sociale e ribellione rispetto ad un regime opprimente8. Alla dimensione realistica fa da contrappeso la presenza del meraviglioso, che riveste una funzione rassicurante, tipica della narrazione fiabesca. Esso è ricalcato sul modello del costume aristocratico della corte del Re Sole, in tutto il suo sfarzo: castelli, gioielli, feste e cerimonie rivestiti di incanto e magia sono gli elementi tipici delle fiabe di Perrault. L‟emblema di questa atmosfera incantata e preziosa sta nella figura delle fate, che, con la potenza delle loro bacchette, incarnano quegli aspetti spettacolari della vita di corte da cui il popolo resta affascinato (e che Perrault conosce bene, essendo il consigliere del re). Dalla sfera borghese, infine, vengono tratti i valori e le qualità dinamiche che permettono la realizzazione sociale del soggetto, che con astuzia e intraprendenza può concretizzare le proprie aspirazioni. Di un certo rilievo è l‟ironia – caratteristica delle morali dei Contes – come atteggiamento mentale tipico della borghesia, che ne presuppone le pratiche e i saperi, in quanto capacità di distacco dall‟oggetto posto sotto osservazione per considerarlo con spirito critico sino a dominarlo. A Perrault va riconosciuta l‟effettiva inaugurazione del genere, da cui sfocia la voga letteraria del racconto di fate, che si diffonde presso la corte di Luigi XIV per poi rinvigorire fra il 1785 e il 1789 con la pubblicazione del

8 Scrive Cambi: “Così al centro di quelle fiabe c‟è tutta la durezza e la frustrazione dei gruppi popolari: la

loro miseria, la loro fame, e la loro disperazione, il loro lavoro sentito come condanna, la loro inferiorità e la risposta a questa inferiorità con il sogno dell‟ascesa sociale, con quello della evasione totale, miracolistica, con quello della ribellione. Palpabili sono, nei Contes, la brutalità di questo mondo e le ansie che lo attraversano”. Ivi, p 55.)

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Cabinet des Fées, una raccolta delle principali prime fiabe prodotte a Versailles e

di quelle di nuovi autori come Madame Le Prince de Beaumont.

Agli inizi del XIX secolo, la fiaba risorge “cupa e truculenta […] come anonima creazione del Volksgeist, da un‟antichità ancestrale che aveva colore di un atemporale Medioevo”9: questa è l‟operazione compiuta dai celebri fratelli Grimm, Jacob (1785-1869) e Wilhelm (1786-1859). Loro intento è la creazione di una raccolta di fiabe avente come autore il popolo, espressione dello spirito germanico, in linea con la concezione dell‟epoca di stampo nazional-popolare. I Grimm si impegnano, aiutati da una schiera di collaboratori, in un‟attività di raccolta delle fiabe tradizionali condotta tramite la consultazione di archivi e biblioteche e la registrazione scritta di testimonianze orali. Nella prospettiva di riportare fedelmente le narrazioni popolari, l‟impresa è da loro stessi ritenuta un lavoro scientifico, sul modello del quale si svilupperanno importanti studi folcloristici, fra cui quello della scuola finnica di Aarne e Thompson. L‟operato dei Grimm culmina in sette edizioni de Kinder- und Hausmärchen, dal 1812 al 1856, che diventano un testo di rilievo nella cultura europea, la cui influenza si estende ben oltre la Germania dell‟Ottocento, sino a “contaminare” molti dei successivi lavori firmati Walt Disney.

In sintesi di questo primo tragitto preso in esame, possiamo concordare con la seguente citazione:

La linea Basile – Perrault – Grimm segna le tappe classiche della tradizione della fiaba europea dove i singoli motivi o contenuti si ritrovano in forma più o meno simile in luoghi storicamente e geograficamente distanti tra di loro.10

9

I. Calvino, Fiabe Italiane, cit. p 6.

10

E. Beseghi, “Da Basile a Swift: il passaggio della fiaba all‟infanzia”, in F. Cambi (a cura di), Itinerari nella

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Come già accennato, insieme al processo di raccolta dalla tradizione popolare, la fiaba è interessata anche da un progressivo spostamento verso la letteratura per bambini: mentre in origine era rivolta a tutti, il pubblico cui destinarla diviene quello prettamente infantile, in concomitanza al costituirsi della famiglia borghese, attorno al XVII secolo. La scoperta dell‟infanzia – di cui dobbiamo riconoscere il merito a Philippe Ariès (1914-1984) – quale condizione differenziata dall‟età adulta avviene proprio in epoca moderna, in un momento di fermento mercantile ed industriale, accompagnandosi all‟emancipazione politico-economica caratteristica della società borghese e alla creazione della famiglia come spazio privilegiato della sfera privata dell‟esistenza. Questo nuovo orientamento dell‟attenzione è testimoniato nella trasformazione della fiaba, tramite una graduale depurazione dagli elementi trasgressivi e spinti, che colorano la raccolta di Basile, per collocarsi nel quadro dei valori morali della famiglia borghese ideale. L‟approdo della fiaba da forma di intrattenimento per adulti a testo per l‟infanzia si compie sulla scia di una trasformazione che coinvolge complessivamente la cultura europea: la svalutazione della sfera del romance, ossia la dimensione letteraria legata al fantastico e al meraviglioso, rispetto al racconto realistico e la sua relegazione al pubblico dei bambini o delle classi popolari. Sebbene nelle seconda metà del Seicento si diffonda la moda francese del “fatismo” presso la corte di Luigi XIV, e sebbene all‟inizio del secolo successivo si registri un entusiasmo per l‟esotico e la narrazione magica grazie al fascino suscitato dalla traduzione della raccolta araba Le mille e una notte11, in

realtà, a detenere il primato assoluto è la ragione, che può permettersi di giocare con gli elementi affascinanti della fantasia, ma deve permanere su un piano

11

La fortuna di questi racconti si deve alla traduzione francese operata dall‟orientalista Antoine Galland (Les

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superiore. La stessa ricca proliferazione di racconti di fate scritti da dame di corte francesi, è una snaturazione del genere fiabesco, ridotta ad un esercizio stilistico, così come fa notare Calvino: “nobildonne e précieuses si diedero a trascrivere e ad inventar fiabe; infiorata e candita nei quarantun volumi del Cabinet des Fées, la fiaba prosperò e morì nella letteratura francese col gusto del gioco di fantasia elegante e temperato di simmetrica razionalità cartesiana”12. L‟orientamento alla

supremazia della ragione è tale non solo in letteratura, ma inerente a tutti gli ambiti culturali del XVIII secolo, corrispondente all‟epoca dell‟Illuminismo. È, dunque, possibile constatare come la letteratura per l‟infanzia nasca dal “ripudio settecentesco del romance che d‟ora in poi si diffonderà quasi unicamente attraverso pubblicazioni d‟appendice e di smercio chiamate chapbooks o

litterature de colportage, dove di volta in volta, rifluiranno gli oggetti letterari

scartati dagli adulti”13

– ripudio cui i Grimm tentano di reagire, nel secolo successivo, con la loro raccolta14. Mediante le operazioni di trascrizione e rimodellamento, le fiabe si presentano come il punto di incontro fra l‟eredità popolare di derivazione orale e una letteratura adatta alle specificità dell‟infanzia. Inoltre, alla riscrittura delle fiabe finisce per intrecciarsi un intento educativo e moralizzante di stampo borghese, consistente nella possibilità di utilizzare tali testi per formare i bambini ai valori sociali comuni.

12

I. Calvino, Fiabe italiane, cit. p 6.

13

E. Beseghi, “Da Basile a Swift: il passaggio della fiaba all‟infanzia” in F. Cambi (a cura di), Itinerari nella

fiaba, cit. p 65.

14 Come fa notare G. Cusatelli in “I Grimm e la fiaba popolare per l‟infanzia” (in F. Cambi, Itinerari nella

fiaba, cit. p 82), la traduttrice italiana Bovero utilizzava il titotlo Fiabe dei bambini e del focolare, epressione

nella quale l‟ultimo termine può essere considerato fuorviante, poiché ricco della carica evocativa di un‟atmosfera intima che è assente nei concetti neutri e socio-economici di “casa” o “famiglie”, probabilmente più vicini agli intenti dei due studiosi.

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Dopo l‟accenno sul percorso intrapreso dalla fiaba a livello storico, è opportuno soffermarsi, adesso, sulla struttura e sulle caratteristiche che la contraddistinguono.

1.2 Struttura della fiaba

Uno dei principali interrogativi che attraversano gli studi sulle fiabe riguarda l‟esistenza di uno schema unitario che articoli e definisca tale tipo di racconto. Il maggiore contributo rivolto in questa direzione è quello del russo Vladimir Propp (1895-1970), il quale studia la fiaba mediante un metodo morfologico, oltre che – in un secondo tempo – attraverso un punto di vista storico-antropologico. In

Morfologia della fiaba15, partendo dall‟analisi di cento fiabe russe tratte dalla

raccolta di Afanasiev – precisamente, fiabe di magia – Propp giunge a delineare la struttura all‟interno della quale ogni vicenda si sviluppa.

Esso [lo schema] rappresenta per le singole favole un‟unità di misura. Così come gli oggetti materiali possono essere confrontati con un metro che ne indica le dimensioni, le favole possono essere commisurate allo schema che ne darà una precisa determinazione.16

Ciò che viene individuato come “unità di misura” consiste in un numero finito di elementi costanti: le trentuno funzioni, che costituiscono le componenti fondamentali delle fiabe. Si tratta delle azioni dei personaggi considerate in vista del significato che ricoprono ai fini dell‟evoluzione della storia,

15

Questo testo è stato pubblicato nel 1928, ma diviene conosciuto nell‟ambito dell‟Europa occidentale solo una trentina di anni dopo.

16

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indipendentemente dall‟identità dell‟agente e dalla modalità del suo intervento. Chi e come agisce sono solo elementi accessori, mentre l‟essenziale è definito da

cosa i personaggi fanno. Secondo lo schema sostenuto da Propp, dopo una fase

preparatoria che può anche non essere presente, l‟azione narrativa vera e propria prende l‟avvio da una situazione di danneggiamento o mancanza; qui emerge la scoperta del futuro eroe (cercatore o vittima), che nel corso della vicenda dovrà ottenere un mezzo magico da un donatore e vincere sull‟antagonista che si opporrà al suo scopo. Molte fiabe si chiudono con il salvataggio del protagonista, mentre in altri casi il presentarsi di una nuova sciagura implica una nuova narrazione, cosicché all‟interno dello stesso racconto si ha il susseguirsi di due serie di funzioni (definite movimenti). A tenere insieme le varie azioni che compongono la storia vi sono elementi di raccordo: un sistema di informazioni dirette e indirette, le triplicazioni in cui si hanno elementi che arrestano lo sviluppo della vicenda e comportano la ripetizione di una funzione o movimento, e le motivazioni che determinano l‟intervento dei personaggi. Ciascuna fiaba può non contenere tutte le funzioni elencate, ma l‟ordine in cui si presentano è pressoché lo stesso: “l‟assenza di una funzione non influisce minimamente sulla struttura della narrazione e le rimanenti conservano la loro posizione”17

. Sulla base di queste premesse, Propp perviene al riconoscimento della monotipicità e dell‟affinità morfologica delle fiabe (di magia).

Questa impostazione morfologica è messa in discussione da Claude Lévi-Strauss (1908-2009), nel saggio intitolato La structure et la forme. Réflexions sur un

ouvrage de Vladimir Propp (La struttura e la forma. Riflessioni su un opera di

17

Ibidem, p 115. Tuttavia Propp stesso ammette la possibilità di alcune deviazioni, inversioni e infrazioni,

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- 14 -

Vladimir Propp), pubblicato nel 1960. In primis, ad essere posto sotto critica è

proprio l‟approdo all‟unicità strutturale della fiaba di magia:

Il formalismo annienta il suo oggetto. In Propp esso porta alla scoperta che in realtà esiste una sola

favola, ma così il problema della spiegazione si limita a spostarsi. Sappiamo che cos‟è la favola, ma poiché l‟osservazione ci presenta non una favola archetipica ma un gran numero di favole concrete, non sappiamo più come classificarle. Prima del formalismo, certo, ignoravamo quello che avevano in comune queste favole, ma dopo esso ci troviamo privati di ogni mezzo per comprendere in che cosa differiscono.18

La difficoltà è colta verso la fine del testo di Propp, in quello che appare come un tentativo di uscire dall‟impasse: lo schema unitario delineato rappresenterebbe solo una sorta di prototipo, da cui stilare una classificazione delle fiabe di magia esistenti, sulla base di quattro categorie: svolgimento mediante L-V (lotta con l‟antagonista e vittoria su di esso), svolgimento mediante C-A (compito difficile e suo adempimento), svolgimento mediante entrambe, svolgimento senza nessuna. In rapporto agli ulteriori possibili accoppiamenti di funzioni, l‟incontro di L-V e C-A avviene così raramente all‟interno di uno stesso movimento al punto che il loro vicendevole escludersi è da considerare la norma, mentre la presenza associata è da ritenere l‟infrazione. Il problema è che all‟interno di ciascuna delle quattro categorie proposte si situa una diversità di fiabe tale da poter esigere un‟ulteriore classificazione, in riferimento alle variazioni di elementi costanti: ossia sulla base delle modificazioni di X (danneggiamento) e x (mancanza). Questo porta Lévi-Strauss a sollevare la seguente questione: “Non equivale ciò a dire che le categorie morfologiche non esauriscono la realtà e che dopo aver

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bandito il contenuto dalle fiabe come non atto a fondare una classificazione, lo si reintegra poiché il tentativo morfologico ha abortito?”19

Inoltre, egli rivendica l‟importanza del lessico all‟interno della struttura della fiaba: mentre per Propp gli attributi dei personaggi (l‟insieme delle loro caratteristiche) costituiscono elementi variabili e sostituibili, Lévi-Strauss ritiene che non possano essere separati dalle funzioni, poiché di eguale rilevanza nella caratterizzazione dell‟unità dell‟agente.

Al di là della contrapposizione fra interpretazioni formaliste e strutturaliste, è comunque possibile individuare alcuni elementi caratteristici di tutte le fiabe, in modo da tracciare un‟approssimazione della loro complessa struttura. La fiaba si presenta come un costrutto di base della civiltà: detiene i motivi e le funzioni del raccontare, in quanto risponde al bisogno di spiegazione della realtà, in corrispondenza al compito primario della cultura. Innanzitutto, va riconosciuta la dimensione “dinamico-tensionale” che la anima – come nota Franco Cambi20 –, in quanto prodotto discorsivo e teatrale, all‟interno della quale emergono tre caratteristiche principali. Il primo aspetto da sottolineare è il carattere narrativo dell‟intreccio, “di racconto a reticolo, che intesse eventi, avventure, ecc., dentro l‟itinerario di un destino”21

. In secondo luogo, a caratterizzare la fiaba è la sua natura archetipica: si ha il richiamo a quell‟universo primitivo in cui timori, ansie, speranze ed altre condizioni individuali e collettive prendono forma. Il testo fiabesco ci riconduce alle origini della nostra vita psichica e “fissa i trascendentali,

19

Ivi, p 187. In realtà, Propp stesso coglie la possibilità di contraddizione fra le quattro categorie classificatorie e l‟affermazione dell‟uniformità strutturale delle fiabe di magia. Risolve il problema facendo appello alla fiaba di due movimenti come tipo fondamentale di tutte le fiabe. (Morfologia della fiaba, cit. p 109)

20 “Il congegno che anima, organizza e regola l‟universo della fiaba, considerata nella sua dimensione più

universale – più metatemporale e più omogenea, oltre le differenze culturali e epocali -, può essere articolato intorno al nesso tensionale-dinamico che agisce un po‟ come contrassegno e/o matrice, come fulcro e come molla di un universo discorsivo e teatrale”. (F. Cambi, Itinerari nella fiaba, cit. p 22, corsivo mio)

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per così dire, del nostro fare esperienza, e che noi ritroviamo al fondo del nostro io individuale, in quanto costituito dall‟esperienza filogenetica e in essa strutturato attraverso il linguaggio, le categorie, i „fantasmi psichici‟, ecc”22. Terza caratteristica da citare è la presenza del lieto fine, che struttura la dimensione etico-psicologica della fiaba attorno al nucleo dell‟attesa e dell‟approdo: è lo scopo del racconto in cui trovare rassicurazione.

Per completare il quadro, vanno presi in considerazione anche gli aspetti tematici che caratterizzano questo tipo di narrazione. Essa si colloca nella cornice del

meraviglioso, poiché la storia si sviluppa in uno scenario costellato dal

soprannaturale: prove e pericoli da affrontare e incontri con creature particolari, quali fate, streghe, maghi, draghi, folletti, spettano al protagonista della fiaba – l‟eroe – generalmente umano. Ciò è preannunciato anche dall‟ulteriore designazione della fiaba come “racconto di fate” (“conte des fées” o “fairy tale”). L‟appartenenza al meraviglioso è sostenuta, inoltre, da Tzvetan Todorov – teorico della letteratura e saggista di origine bulgara, naturalizzato francese – in

Introduction à la littérature fantastique (La letteratura fantastica), opera del 1970

all‟interno della quale tale genere, insieme allo strano, è posto come uno dei poli fra cui si situa il fantastico (che, quindi, sta nello spazio di frontiera fra i due). Per Todorov a caratterizzare il meraviglioso è la natura degli avvenimenti, che corrisponde ad un “fenomeno ignoto, ancora mai visto, di là da venire”23

. Egli ritiene che all‟interno di questa categoria – la quale, a sua volta, si differenzia in quattro tipi (iperbolico, esotico, strumentale, scientifico) – troviamo la fiaba come una delle varie possibilità letterarie, nella quale a destare sorpresa non è tanto lo statuto del soprannaturale, quanto un certo modo di scrivere, fondato su una

22

Ibidem, p 22.

23

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spiegazione non razionale degli eventi24. Il mondo fiabesco è impregnato dalla

magia, che si manifesta tramite incantesimi, trasformazioni, utilizzo di mezzi

particolari, dilatazione-contrazione del tempo e animazione degli oggetti. La componente magica è tratta dalla dimensione arcaica della civiltà, di cui riflette la credenza animistico-religiosa secondo la quale il controllo sulla realtà avversa ed ostile è assicurato dal ricorso alle pratiche della magia, fatte di parole ed azioni capaci di trasformare e influenzare ogni cosa. Altra componente arcaica della fiaba è il viaggio iniziatico del protagonista, che, sottoposto a prove e pericoli, deve riuscire a perseguire l‟obbiettivo prefissosi. Si tratta di una trasposizione nell‟immaginario fiabesco dell‟iniziazione alla vita adulta, che presso le culture primitive corrispondeva al percorso condotto a partire dall‟isolamento e allontanamento dalla condizione infantile sino alla rinascita come adulto. Queste dimensioni hanno una rilevanza tale nel definire la fiaba, sia popolare che attuale, al punto che “fare fiaba è – ancora oggi – riattivare questa dimensione primaria, la quale – proprio perché arcaica – occupa ancora uno spazio centrale nell‟inconscio collettivo, sia nella cultura sia nell‟ontogenesi individuale.”25

Meraviglioso, magico e atavico animano il racconto fiabesco, dispiegandolo su una logica lontana da pretese di verosimiglianza; lo stesso incipit del “c‟era una volta” suggerisce una distanza temporale tale da evocare il distacco dalla dimensione strettamente “reale” e aprire ad una prospettiva altra ed interiore – tema su cui tornerò successivamente.

Quanto sin‟ora emerso, permette di porre l‟attenzione sulla complessità della fiaba: il pluralismo di elementi che si intersecano sia a livello sincronico che

24

Ibidem, p 57.

25

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diacronico, la carica evocativa di echi arcaici, l‟articolazione e il dinamismo di questa forma narrativa ci consentono di disegnare solo una sorta di abbozzo della sua struttura.

1.3 Caratteristiche della fiaba europea

L‟universalità della struttura formale e tematica contraddistingue la fiaba, rendendola capace di oltrepassare confini linguistici e temporali sino a sancirne la permanenza millenaria alla base di ogni civiltà. Alla dimensione universale si unisce, però, una connotazione nazionale: ciascuna fiaba accoglie al suo interno le particolarità specifiche del gruppo etnico presso il quale viene narrata e diffusa, vivendo un processo di trasformazione tale da portare alla luce la polifonia delle varianti nazionali. Questa sorta di rilettura interessa le fiabe sia al livello popolare che a quello colto dei racconti d‟autore, cosicché diviene possibile individuare dei veri e propri “excursus nazionali”. Ponendo l‟attenzione sull‟ambito europeo, è opportuno prendere in esame i connotati specifici dei paesi che maggiormente hanno contribuito alla diffusione del fiabesco, dalle narrazioni orali sino alle raccolte scritte.

L‟Italia ha riversato sulle fiabe il proprio carattere di frontiera fra culture diverse, sino a fare della mescolanza la caratteristica che contraddistingue tale patrimonio fiabesco. L‟insieme di elementi tratti da un fondo pagano locale – come attesta la denominazione di alcune creature soprannaturali che varia da un luogo all‟altro della penisola – si fonde con l‟orizzonte feudale e cavalleresco che costella il racconto di tornei medievali, imprese di cavalieri e tradizioni sacre, sino a subire

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anche influenze orientali, soprattutto nel Meridione. Nella tradizione fiabesca italiana si riscontra, inoltre, una diversità tematico-terminologica legata al contesto locale. Nell‟introduzione alle Fiabe italiane, Calvino sottolinea questa diversificazione facendo riferimento alla descrizione della corte regale, astratta e simbolica nei racconti della Toscana – dove “benché più colti in tante cose, di re non ne hanno mai conosciuti” cosicché il termine “re” diviene un termine generico, vuoto di qualsiasi designazione istituzionale – mentre articolato e minuzioso in quelli della Sicilia – luogo in cui la monarchia è un‟istituzione concreta, dotata del proprio codice ed etichetta26.

In Francia la rielaborazione fiabesca passa attraverso la sofisticazione colta, a partire da Perrault sino ad arrivare a Saint-Exupéry, autore de Le petit prince. La fiaba francese è quella che maggiormente si letterarizza, raffinandosi a livello intellettuale e sentimentale ed intrecciando il meraviglioso all‟eleganza e al preziosismo del mondo di corte.

La Germania presenta, invece, un patrimonio fiabesco che, sulla scia della trascrizione operata dai Grimm in piena età romantica, ha nell‟elemento del

mistero la sua caratteristica principale. È un mondo impregnato di incanto e di

presenze oscure, dove ogni cosa è ricoperta da un manto misterioso, quello in cui si sviluppano le fiabe tedesche, e persino la vicina tradizione danese con le stesure di Andersen. Come nota Cambi, si tratta di racconti che “si dispongono sulla frontiera del mistero, ne evocano la presenza, ne studiano i segnali, ne esaltano la pressione sulle cose, sia esso il mistero dell‟amore, della morte o della verità”27

. A contraddistinguere le fiabe anglosassoni è un altro elemento: esse lasciano trasparire un intreccio di toni che si estende fra l‟umorismo e la stravaganza,

26

I. Calvino, Fiabe italiane, cit. pp 51-52.

27

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muovendosi negli ambiti sia del meraviglioso che del quotidiano. L‟emblema del carattere anglosassone del fiabesco è riassunto nelle celebri opere di Lewis Carroll (1832-1898), in cui domina l‟assurdo come principio del mondo delle meraviglie. Infine, nella tradizione russa ad assumere un ruolo centrale è il realismo, come testimoniato dal fatto che la designazione per il termine fiaba sia skazka, ossia “storia” (letteralmente “ciò che si dice”). Le fiabe russe si pongono come racconti di vita reali, in cui, però, non manca il richiamo all‟animismo e ad un insieme di figure magiche fra le quali spicca l‟anziana Baba Jaga28.

Alla luce di tali particolarità radicate nelle credenze e nei costumi folkloristici, possiamo meglio comprendere la complementarità di unitarietà e polifonia che interessa la fiaba e ne definisce il carattere tensionale e dinamico, quella specifica proprietà che la rende in grado di conservare la propria struttura e al contempo adattarsi alle esigenze storiche e geografiche.

L‟oscillazione fra le due dimensioni è messa in risalto anche da Calvino, quando egli scrive:

La tecnica con cui la fiaba è costruita si vale insieme del rispetto di convenzioni e della libertà inventiva. Dato il tema, esistono un certo numero di passaggi obbligati per arrivare alla soluzione, i “motivi” che si scambiano da un “tipo” all‟altro […]; sta al narratore organizzarli, tenerli su uno sopra l‟altro come i mattoni d‟un muro, sbrigandosela con rapidità nei punti morti […] e usando per cemento la piccola o grande arte sua, quel che ci mette lui che racconta, il colore dei suoi luoghi, delle sue fatiche e speranze, il suo “contenuto”.29

28

Questa figura consiste in una sorta di strega: un‟anziana signora, con una gamba di ossa, che abita solitamente in una casetta issata su zampe di gallina e non disdegna la carne umana.

29

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1.4 Il percorso trasversale della favola

La fiaba è spesso erroneamente confusa con la favola, in particolar modo nel linguaggio comune, sebbene si tratti di due modalità narrative che presentano delle differenze.

La favola consiste in una tipologia di narrazione – diffusasi anch‟essa per tradizione orale – che trasmette esplicitamente un insegnamento etico, il quale può essere chiaramente deducibile oppure direttamente riassunto con particolari formule (divenute a volte proverbi) al termine del racconto, mentre le fiabe contengono un messaggio implicito che necessita solitamente di un‟interpretazione per poter emergere. Le favole danno voce ad una morale fondata sull‟umiltà e la esprimono raccontando brevi storie centrate su animali parlanti dotati di precise personalità (quasi stereotipiche) che rappresentano l‟opposizione fra i vizi e le virtù dell‟uomo, contrasto in cui vengono messe in risalto le qualità etiche positive.

La formazione della favola come genere letterario è attribuita ad Esopo, al quale dobbiamo molte fra le principali narrazioni tramandatesi sino ai nostri giorni, come La volpe e l‟uva e La cicala e la formica (nonostante la testimonianza scritta di una favola sia storicamente precedente, in quanto rintracciabile in Opere e

giorni di Esiodo30, poema didascalico risalente all‟VIII secolo a.C.). L‟esistenza di Esopo è avvolta nel mistero, poiché non vi sono notizie precise sul periodo storico in cui si sarebbe articolata: tradizionalmente viene collocata fra il VII e VI

30

“Ora io esporrò una favola ai signori che comandano, a loro che pure son saggi. Così parlò uno sparviero ad un usignolo dal collo variopinto, portandolo in alto fra le nuvole, stretto negli artigli; quello miseramente gemeva trafitto dalle unghie ricurve, e lo sparviero gli rivolgeva con insolenza la parola: „Disgraziato, a che strilli? Ti tiene uno molto più forte; tu andrai là dove io ti porterò, anche se sei un cantore; di te farò un pasto, se voglio, oppure ti lascerò andare. Stolto, chi vuol contrapporsi ai più forti! Egli resta senza vittoria, ed oltre all‟onra soffre dolori‟. Così parlò lo sparviero dal volo rapido, l‟uccello dalle larghe ali”. (Esiodo, Opere e

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secolo a.C., sulla base dei pochi riferimenti offerti da autori successivi, quali Aristofane ed Erodoto, così come dal monaco Massimo Planude (1255 circa – 1305 circa), che rielabora - dopo due precedenti versioni attuate da autori antecedenti non identificati – la Vita Aesopi (Vita di Esopo), rendendola la principale fonte biografica sul favolista in circolazione nel Medioevo. Probabilmente, Esopo ha origini africane – come la possibilità che tale nome sia una contrazione del termine “Etiope” nella lingua greca porta a dedurre – e, secondo la tradizione, sarebbe giunto a Samo, sotto il regno di Creso (596-546 a.C.), come schiavo del filosofo Xanto – sul quale non si hanno notizie – che gli dona la libertà. Esopo avrebbe viaggiato in Grecia, diffondendo apologhi nei quali situazioni reali della vita umana sono trasportate sul piano animale: le azioni e i pensieri attribuiti a particolari animali, nel contesto della vicenda narrata, presentano norme di comportamento e condannano i vizi umani, alludendo ad insegnamenti morali.31 Possiamo dedurre che si trattasse di componimenti in prosa, in quanto Platone ci informa, nel Fedone, che alcune delle favole esopiche sono state rese in versi da Socrate, il quale spiega di averlo fatto per rispondere all‟ordine divino, ricevuto ripetutamente in sogno, di coltivare la musica attraverso la poesia lirica.32

31

Nella voce dedicata ad Esopo nell‟Enciclopedia Italiana Treccani del 1932 si legge: “[…] egli era noto soprattutto per avere avvicinato idealmente certe situazioni reali e attuali della vita umana a particolarità della vita animalesca, inventando degli apologhi, in cui gli animali stessi formulavano opinioni e pensieri, quali avrebbero potuto formularli gli uomini, e tali da poter essere assommati e conclusi in una tesi, che, seguendo l'apologo, ne costituiva la morale. La prima raccolta delle favole esopiche dovette essere fatta nella biografia, giacché in questa si porgeva frequentemente il destro d'inserire quelle favole e quegli apologhi, che concordavano con le varie circostanze della vita di E. Dalla biografia poi le favole furono estratte, ed è naturale che il loro numero si accrescesse di molto con l'andar del tempo, aggiungendosi al nucleo primitivo tutti quei racconti i quali potevano presentare analogie formali e sostanziali con le favole già note, e fornire ricca materia di esercizio nelle scuole dei ragazzi e dei retori”.

32

“[…] io mi misi a poetare in codesto modo; ma solo per sperimentare certi miei sogni che cosa volessero dire, e per togliermi dal cuore ogni scrupolo nel caso che proprio questa fosse la musica che mi ordinavano di fare. Perché mi capitava questo: più volte nella vita passata veniva a visitarmi lo stesso sogno, apparendomi ora in uno ora in altro spetto; e sempre mi ripeteva la stessa cosa: „O Socrate‟, diceva, „componi ed esercita musica‟. Ed io, allora, quello che facevo, codesto appunto credevo che il sogno mi esortasse e mi incitasse a fare; e alla maniera di coloro che incitano i corridori già in corsa, così anche me il sogno incitasse a fare

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Lo studioso francese Oscar de Poli (1838-1908) nel saggio La fable et les

fabulistes sostiene che il profilo di Esopo sia molto simile a quelli di altri due

remoti personaggi cui è stata attribuita la creazione di favole, ossia l‟indiano Pilpaï e l‟arabo Lockman – accumunati dall‟appellativo “il Saggio”–, al punto di poter ipotizzare che i tre siano, in realtà, la stessa persona. A questo riguardo, De Poli scrive: “Le trois plus anciens fabulistes, Pilpaï, Lockman, Esope, ne seraient donc q‟une même personne; mais n‟est-il pas curieux de constater que l‟histoire des premiers fabulistes est absolument fabuleuse?”33

. De Poli nota, inoltre, che la condizione di schiavitù è stata attribuita ai tre personaggi in questione, sostenendo che proprio la posizione inferiore della scala sociale sia la più favorevole alla produzione e coltivazione di favole: le ingiustizie e i soprusi vissuti sulla propria pelle possono essere trasposti, tramite ingegnose allegorie, nella situazione del racconto e mediante questa proiezione si ha la possibilità di trovare riparo dall‟oppressione. “La fable fut si bien l‟arme des faibles, que les anciens fabulistes étaient tous des esclaves: Pilpaï, Lockman, Esope, Phèdre”34

, scrive De Poli.

Dalla Grecia il genere della favola giunge a Roma, tramite l‟opera di Fedro, il primo favolista latino, di origine greca (precisamente, macedone), vissuto nel I secolo d.C. Probabilmente, arriva a Roma in età infantile e come schiavo, liberato poi da Augusto. Scrive cinque libri di favole che egli stesso definisce “esopiche”, poiché si limita a tradurre in latino le narrazioni di Esopo oppure si ispira

quello che già facevo, cioè comporre musica, reputando che la filosofia fosse musica altissima e non altro che musica io esercitassi. […] E così, prima di tutto, feci un inno al dio di cui era la festa; e, dopo l‟inno al dio, pensando che il poeta, se vuole essere poeta, ha da comporre favole e non ragionamenti, e io non ero favoleggiatore, ecco perché quelle favole che avevo più alla mano e che sapevo a memoria, quelle di Esopo,

mi misi a poetare di codeste, le prime che mi vennero in mente.” (Platone, Fedone 60e-61b, Laterza, Bari,

2010, p 11, corsivo mio.)

33

O. De Poli, “La fable et les fabulistes” in R. de Belfeuil, Fables, Charles Douniol, Paris, 1869, p 19.

34

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ampiamente al loro modello. Allo stesso tempo, afferma una propria originalità, introducendo personaggi vegetali al fianco di quelli animali ed adottando la forma metrica dei senari. Le sue favole illustrano i difetti del comportamento umano inerenti alla prepotenza ed arroganza dei potenti nei confronti dei deboli e contengono una velata critica al dispotismo imperiale. Poco apprezzate dai contemporanei, le narrazioni di Fedro sono state riscoperte in età moderna, ottenendo una notevole fama. Ad esse si è ispirato Jean de La Fontaine (1621-1695), illustre poeta e principale favolista francese. Egli pubblica due raccolte di favole, nel 1668 e nel 1679, che contengono traduzioni delle versioni tradizionali di Esopo e Fedro; tutti i racconti sono in versi e scritti in uno stile scorrevole e spontaneo. Le favole di La Fontaine sono pervase da una visione pessimistica della vita, in cui predomina la legge del più forte, ed offrono il quadro della società dell‟epoca, all‟interno del quale i vizi e le caratteristiche di ogni categoria sociale sono rappresentati metaforicamente tramite comportamenti e particolarità animali.

Sebbene anche nelle fiabe sia rintracciabile la presenza di animali antropomorfi, essi compaiono nel contesto fiabesco principalmente come aiutanti-collaboratori oppure rivali dei protagonisti, mentre questi ultimi sono rappresentati di solito da figure umane. Nel panorama fiabesco, gli animali, come nota lo psicoanalista Bruno Bettelheim (1903-1990) in The uses of enchantment (Il mondo incantato) – a cui è dedicato il secondo capitolo –, vengono presentati in due forme: o nelle sembianze di figure minacciose e distruttive oppure di creature benevole e sagge che accorrono in aiuto del protagonista affinché possa completare i difficili compiti cui viene sottoposto. In entrambi i casi, secondo Bettelheim, questi

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personaggi rappresentano le nostre tendenze istintive inconsce, anche se alcuni di essi possono incarnare l‟aspetto più elevato della moralità interiore:

Sia gli animali pericolosi sia quelli benefici incarnano la nostra natura animale, le nostre pulsioni istintive. Quelli pericolosi simboleggiano il selvaggio Es, non ancora soggetto al controllo dell‟Io e del Super-io, in tutta la sua pericolosa energia. Gli animali salvatori rappresentano la nostra energia naturale – ancora l‟Es – ora messa al servizio della personalità globale. Ci sono anche certi animali, di solito uccelli bianchi come le colombe, che simboleggiano il Super-io.35

1.5 Forme e canali della fiaba contemporanea

In conclusione del quadro introduttivo, è opportuno soffermarsi sull‟attualità e sulle modalità con cui il fiabesco attraversa l‟età contemporanea.

Tutt‟altro che estinta dalla nostra epoca, la dimensione fiabesca sfocia nel fantasy, un‟epica moderna che ricalca motivi mitologici antichi, medievali e nordici, elaborandoli in racconti fantastici intessuti di magia ed elementi soprannaturali. Il genere ha trovato ampia diffusione nel Novecento grazie allo scrittore e filologo inglese J.R.R. Tolkien (1892-1973), autore di una celebre saga la cui pubblicazione si articola in quindici anni, da Lo Hobbit del 1936 sino alla trilogia de Il Signore degli anelli del 1955. Ad arricchire la biblioteca fantasy contribuiscono ulteriori testi, fra i quali spiccano Le Cronache di Narnia di C.S. Lewis (1950-56), La storia infinita di Michael Ende (1979), e la saga in sette volumi di Harry Potter di J.K Rowling (1997-2007).

35

B. Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Feltrinelli, Milano, 2012, p 76.

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Va constatato che, se a partire dal Settecento la fiaba diviene un‟esclusiva dell‟infanzia, fra XX e XXI secolo la moda del fantasy segna un‟inversione della tendenza, con la riappropriazione del fiabesco da parte del pubblico adulto. In effetti, questo tipo di racconto articola la tematica della lotta fra bene e male in modo più complesso rispetto alla struttura classica della fiaba: oltre al superamento degli ostacoli esterni, i protagonisti devono affrontare un travaglio interiore per non cedere alle tentazioni delle forze oscure, a testimonianza della possibile compresenza di bontà e malvagità in ciascun personaggio. Mentre nella fiaba il bambino può cogliere facilmente la differenza fra le due dimensioni attraverso la loro antitetica contrapposizione in eroe-antagonista36, il messaggio più articolato del fantasy può essere meglio compreso da adolescenti ed adulti. Nato come genere narrativo, viene successivamente accolto dalla cinematografia, con la produzione di una serie di film che, conosciuti a livello mondiale, contribuiscono alla sua prospera espansione. Le narrazioni fantasy trovano un adattamento audiovisivo non solo sugli schermi cinematografici, ma anche su quelli televisivi: un esempio è la serie statunitense Games of Thrones, ispirata al ciclo romanzesco A Song of Ice and Firedi George R.R. Martin. Nell‟arco delle cinque stagioni trasmesse dal 2011 sino ad oggi (in corrispondenza degli altrettanti volumi pubblicati dal 1996 al 2015, con un sesto in fase di stesura), è rappresentata la lotta per la conquista del potere portata avanti dalle casate nobili, nello scenario di un mondo immaginario di stampo feudale, nel quale è attestata la presenza di creature magiche e leggendarie. I personaggi presentano una morale talmente complessa da non poter essere ridotta alla semplificazione dell‟antitesi

36

L‟antitesi corrisponde al bisogno infantile della scissione fra elementi contraddittori: la fiaba suggerisce come arrivare al controllo dei sentimenti ambivalenti – gli stessi che il bambino prova nei confronti della madre – così da salvare la parte buona, riversando l‟ostilità su quella cattiva, senza incorrere nel senso di colpa. (Bettelheim, Il mondo incantato, cit., pp 67-70).

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fra bene e male: la drammatizzazione dell‟essere messi di fronte a scelte difficili, la non garanzia di una corrispondenza fra la nobiltà della decisione e la sicurezza della salvezza, l‟opportunità offerta ai personaggi che appaiono come “i cattivi” di poter giustificare le proprie motivazioni ed azioni, sono i tratti principali che attraggono il pubblico adulto, tenendo saldo il suo legame al destino e alle sfaccettature della storia.

Proprio l‟audiovisivo, d‟altronde, si configura come il canale prediletto per la trasmissione fiabesca in generale, ma soprattutto quella inerente l‟infanzia. A tale proposito, il giornalista e scrittore Marcello Argilli (1926-2014) sottolinea come, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si sia verificata una vera e propria metamorfosi del pubblico infantile, nella fruizione dei racconti fiabeschi: si tratta del passaggio da una minoranza di bambini lettori, provenienti da un clima culturale di alfabetizzazione ed educazione al prestigio del testo scritto, alla quasi totalità di fanciulli e ragazzi formati nella quotidiana esperienza di una forma narrativa strutturata dalla combinazione di parole, immagini, suoni, effetti elettronici, che è offerta dalla visione di cartoni animati, film e telefilm. È dichiarato, dunque, il tramonto della cosiddetta “epoca del bambino-lettore”: la scolarizzazione di massa ha accresciuto la quantità di potenziali lettori fra le generazioni infantili, ma tale potenzialità non trova attualizzazione in un effettivo incremento della lettura. Eppure, Argilli non rinuncia a riconoscere al libro – che da medium per eccellenza è divenuto un “medium tra i media” – il perdurare di un‟insostituibile funzione presso l‟infanzia. Per stimolarne la fruizione è opportuno che gli scrittori di fiabe si domandino, allora, quale sia l‟orizzonte più adatto ad accogliere la trasformazione infantile degli ultimi decenni, ossia tenere presente “il rapporto quale fiaba, orale e scritta, e quali bambini” in modo da

(30)

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ottenere una maggiore corrispondenza del racconto scritto ai “bisogni fantastici di oggi”37

.

Mai, infatti, si è vissuti in un mondo più fantastico dell‟attuale, nel quale tutto ciò che si è fantasticato per secoli si è praticamente realizzato, e si è fantasticato ormai di un bel altro “tutto ciò” che mai l‟uomo è stato capace di immaginare. Proprio gli effetti di questo salto storico che, sia pure confusamente e contraddittoriamente lievita nell‟immaginario infantile, comportano lo spiazzamento e l‟obsolescenza di molti affascinamenti della fiaba popolare, soprattutto per i bambini del secondo ciclo. A ciò ha contribuito fortemente una cultura di massa sempre più connotata da un‟anima urbana, anche questo un dato assai poco considerato dagli studiosi della fiaba.38

Al salto storico registrato corrisponde un cambiamento nell‟immaginario infantile tale da suggerire alla narrazione fiabesca un aggiornamento del proprio materiale, avendo come presupposto una riflessione su “cosa effettivamente significhino ed evochino oggi nell‟infanzia personaggi, oggetti, animali, situazioni, reali o fantastici, per secoli vissuti, immaginati, sognati e simbolizzati in un diverso, lontano e pressoché stazionario contesto sociale e culturale”39

. L‟universo simbolico delle fiabe popolari trova una rispondenza sempre minore rispetto alla realtà esperita dai bambini di oggi, immersi in un contesto fortemente urbanizzato e stimolati da un‟industria culturale che continuamente rinnova i propri personaggi di spicco, fantastici o reali. Lo scenario delle corti sfarzose, dei castelli incantati, dei piccoli villaggi, dei boschi tenebrosi, nidi di avventure fantastiche impregnate di magia e mistero, è stato rispolverato dalla serie dei Classici Disney, una successione di film d‟animazione ispirati alle fiabe tradizionali (ma anche ad alcune fiabe ottocentesche d‟autore), inaugurata dalla trasmissione di Biancaneve e i sette nani nel 1937. Questi lungometraggi, apparsi

37

M. Argilli, Ci sarà una volta. Immaginario infantile e fiaba moderna, La Nuova Italia, Firenze, 1995, p 48.

38

Ivi, pp 73-74.

39

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sui grandi schermi di tutto il mondo nel corso del Novecento e successivamente riproposti nei formati di videocassette e dvd, hanno dato una forma visibile ai contenuti delle narrazioni fiabesche, creando immagini che sono divenute veri e propri standard globali: qualsiasi bambino pensi a Cenerentola, Belle, Biancaneve, Aurora, ancora oggi, avrà in mente esattamente la configurazione attribuita loro dalla Disney40. Allo stile classico di queste produzioni, si affiancano quelle attuali che rientrano nell‟alveo della Disney Pixar, così come della Dreamworks, dell‟Universal Studios e di tutti quegli studi di animazione che adottano una grafica realizzata al computer in 3D, capace di miscelare il fiabesco con i caratteri della realtà contemporanea. In queste storie si trovano macchine dal motore rombante, piccoli robot, giocattoli animati, simpatici minions… le cui vicende si snodano all‟interno di un contesto situato nel presente o in un fantasticabile futuro ricco di tecnologie sempre più avanzate. A tal riguardo, Argilli nota che “l‟atemporale „C‟era una volta‟ delle fiabe popolari non è quindi imprescindibile per creare dimensioni e risonanze fantastiche”41

, intendendo con questo che il fiabesco non necessita il riferimento astorico a un tempo talmente lontano da essere indefinito e vagheggiato, caratteristico delle narrazioni popolari. Contrariamente ad una tale astrattezza, la fiaba d‟autore, sin dalla sua apparizione nell‟Ottocento, si sviluppa in un preciso qui ed ora, con richiami a oggetti e condizioni della vita contemporanea: anche nei casi in cui la storia si protrae in un “fantastico altrove spazio temporale” trova il suo compimento nel ritorno allo stato del presente, o laddove l‟inizio sembra alludere all‟indefinitezza di un tempo non precisato, il suo sviluppo richiama elementi che ricollocano la vicenda nella

40

A questo proposito, Argilli scrive: “Mentre un tempo le fiabe si diffondevano tra i popoli adattandosi alle tradizioni e alle credenze locali, oggi la fiaba massmediale traversa ogni confine restando immutata” (Ivi, p 47).

41

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contemporaneità. Quest‟ultimo è il caso de Le Petit Prince di Antoine de Saint-Exupéry che inizia, nella traduzione italiana, con “Un tempo lontano, quando avevo sei anni…”, per giungere qualche pagina dopo a collocare l‟apparizione del principino nel mondo del qui ed ora, grazie al riferimento dell‟aeroplano42

.

A proposito della narrazione al presente come caratteristica della fiaba d‟autore, non solo di quella ormai datata (Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie,

Pinocchio, Pippi Calzelunghe, Il Piccolo Principe…) ma anche della produzione

recente, Argilli prosegue affermando:

Su questo passaggio dal tradizionale imperfetto del “C‟era una volta” al presente narrativo sta indubbiamente sempre più influendo la fiaba cino-televisiva, la quale, anche quando racconta storie al passato è in sostanza sempre al presente, in quanto il bambino spettatore vede agire i suoi personaggi qui e ora, proprio come se vivessero contemporaneamente a lui43.

Nell‟ambito della dimensione fiabesca audiovisiva, va citata anche la sempre maggiore influenza dei cartoni animati, in particolare quelli giapponesi (i cosiddetti anime) che nel nostro paese hanno iniziato ad essere trasmessi a partire dagli anni Settanta. Alcune delle loro storie rivestono il fascino delle fiabe, alle quali sono assimilabili per lo snodarsi di una lotta contro il male, che culmina con il trionfo della giustizia (raggiunto con il ricorso a strumenti magici o l‟aiuto ausiliare di creature e animali fantastici).

Seppure la fiaba tradizionale continui a suscitare una certa attrattiva, per Argilli questo si riduce alla prima infanzia, configurandosi nell‟esperienza dell‟ascolto tipica della fase prescolare. Nel distinguere tra fiaba popolare e fiaba contemporanea, egli ritiene fondamentale sottolineare la differenza della modalità

42

“Così ho trascorso la mia vita solo, senza nessuno con cui parlare, fino a sei anni fa quando ebbi un incidente col mio aeroplano, nel deserto del Sahara” (A. de Saint-Exupéry, Il piccolo principe)

43

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trasmissiva predominante: orale per la prima, scritta per la seconda, che viene prediletta in età scolare e fruita in un personale rapporto di lettura. Proprio questa connotazione costituisce quello che Argilli definisce il “tallone d‟Achille” della fiaba moderna, che ancora non ha sviluppato stereotipi forti come quelli delle narrazioni popolari:

Per diventare oralmente fruibile dai bambini più piccoli deve ancora rodarsi, e in ogni caso occorre che gli adulti si familiarizzino con essa per poterla raccontare efficacemente. A un adulto viene naturale raccontare fiabe popolari con personaggi e stereotipi fantastici che gli erano familiari nell‟infanzia, ma difficilmente sa immedesimarsi nelle dimensioni fantastiche e nelle tematiche della fiaba moderna […]. Gli è naturale evocare suggestivamente le manacce unghiute e le lunghe zanne di un orco in cerca di bambini da mangiare, o indurre fantastiche risonanze modulando il vecchio stereotipo “…e il giovane, cammina, cammina, cammina…”; ma se invece di un giovane che “cammina, cammina, cammina”, si tratta di un‟intrepida automobilina rossa che “corre corre corre” per il mondo per ritrovare un robot che, non potendo avere figli, ha rapito la sorellina del suo giovane autista, difficilmente sa evocare una tensione drammatica, anche se auto e robot nell‟immaginario infantile sono già presenti e disponibili a un‟elaborazione fantastica.44

A disdetta di un confinamento esclusivo della fiaba tradizionale presso la prima infanzia, cui allude la concezione di Argilli, è possibile constatare la recente tendenza di un suo riproponimento nel panorama cinematografico per un pubblico più maturo. Su questa linea si collocano, ad esempio, due film trasmessi nel corso del 2015: Il racconto dei racconti, rielaborazione di Garrone di tre fiabe tratte dalla raccolta di Basile, e Into the woods, film Disney ispirato all‟omonimo musical del 1986, centrato sulle vicende di alcuni personaggi fiabeschi (Cappuccetto Rosso, Jack, Cenerentola, Raperonzolo, i due rispettivi principi e la strega) e una coppia di fornai, che si intrecciano all‟interno della foresta – metafora dell‟oscuro inconscio45

– meta di passaggio nel viaggio alla ricerca di se

44

Ivi, pp 80-81.

45

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stessi, ossia luogo in cui è facile perdersi, cedere a tentazioni inimmaginabili, per poi ritrovarsi e costruire il senso della propria condotta di vita. Entrambi si inseriscono sulla scia di una riscoperta della forza attrattiva della fiaba, a testimonianza del permanere di un bisogno di fantasia in tutte le età dell‟esistenza.

1.6 L‟esperienza della lettura

La trasmissione orale della fiaba, ossia il racconto narrato dai genitori al bambino, passa attraverso il potere evocativo della parola e la sonorità di una voce familiare, capaci di affondare nell‟interiorità del soggetto sino ad aprire le porte all‟immaginazione46

.

L‟esperienza della fiaba in età scolare, quando sono gli stessi occhi del bambino a scorrere fra le righe di un testo, offre un‟esperienza ancora più intima ed emozionale. La lettura, come suggerito da Maria Chiara Levorato, è un processo determinato da una dimensione affettivo-emotiva, oltre che dalla sfera della cognizione. In effetti, trae motivazione dal piacere – in particolare, il piacere dell‟incontro con la realtà simbolica – ed è attraversata da due tipi di emozioni, le “fictional emotions” legate al contenuto della narrazione, da un lato, e le “emozioni dell‟artefatto simbolico” in rapporto al valore estetico del racconto, dall‟altro: si tratta della distinzione – funzionale soprattutto a livello teorico – fra la posizione del lettore “in quanto partecipe di una particolare vicenda vissuta da particolari personaggi e le sue emozioni in quanto fruitore del prodotto simbolico

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