• Non ci sono risultati.

Il motivo dell‟abbandono e del rifiuto dei figl

Capitolo 4. Il rapporto delle fiabe con i miti: motivi ricorrenti e linguaggio simbolico

4.3 Il motivo dell‟abbandono e del rifiuto dei figl

Un altro motivo di cui si può riscontrare la ricorrenza sia nelle fiabe che nei miti è

il rifiuto e l‟abbandono del figlio da parte del genitore. In Hänsel und Gretel dei

fratelli Grimm, i due bambini (fratello e sorella) vengono ingannati dai genitori, per volere della madre dinnanzi alla situazione di carestia e povertà, e da loro abbandonati nel bosco; da lì riescono a ritrovare la strada di casa la prima volta – orientandosi grazie ai sassolini lasciati da Hänsel lungo il tragitto dell‟andata – ma non la seconda, quando, perdute le briciole di pane lasciate sul cammino dal bambino, i due si ritrovano a vagare per giorni sino a giungere, stremati, in quella splendida casetta ricoperta di cibo, che solo in un successivamente scopriranno essere la dimora di una strega. Secondo Bettelheim, le fiabe che presentano una situazione di abbandono dei figli, in un luogo da cui risulta difficile tornare, rappresentano le angosce dei bambini a proposito della propria autonomia, che può essere sia desiderata che temuta. Egli ritiene che i giovani protagonisti cacciati ed abbandonati forniscano una possibilità di immedesimazione per i bambini, fruitori di tali narrazioni, i quali vi trovano le proprie stesse

- 188 -

preoccupazioni di essere trascurati dai genitori a seguito di comportamenti inadeguati (generalmente in età prepubere) oppure il desiderio di liberarsi dalle figure genitoriali per riuscire a destreggiarsi da soli.

Nel contesto del rifiuto e dell‟abbandono, va considerata, in particolare, la storia di Biancaneve, la cui versione maggiormente diffusa è la grimmiana

Schneewittchen nella quale viene narrato che all‟età di sette anni la bambina è

abbandonata nel bosco: la matrigna ordina ad un cacciatore di uccidere la piccola, ma costui non riesce a portare a termine l‟ignobile incarico e si limita a lasciarla andare, con il rischio che possa divenire preda di qualche feroce belva. Notiamo, a margine, che il motivo del risentimento della matrigna nei confronti della fanciulla consiste nella gelosia provocata da una bellezza così incantevole da oscurare le propria – interrogando lo specchio magico ne riceve codesta risposta: “Regina, la più bella qui sei tu, ma Biancaneve lo è molto di più”284

– trattandosi di una situazione simile a quella che abbiamo potuto già riscontrare nella storia di

Amore e Psiche, dove Venere si sente oltraggiata dall‟esistenza di una giovane

capace di metterla in secondo piano presso il culto dei terrestri, a causa della sua bellezza.

Per la tematica del rifiuto genitoriale, la fiaba di Biancaneve viene accostata, in Il

mondo incantato, al mito di Edipo: Bettelheim sottolinea che in entrambe le

narrazioni sono illustrati gli effetti disastrosi dell‟incapacità da parte di un genitore di gestire le difficoltà riscontrabili nella relazione con il figlio. Egli sostiene:

Biancaneve racconta di come un genitore – la regina – venga distrutto dalla gelosia per sua figlia, che, quando diventa adulta, la supera. Nella tragedia greca di Edipo, che naturalmente viene

284

- 189 -

rovinato da coinvolgimenti edipici, non solo trova la propria rovina anche sua madre Giocasta, ma il primo di tutti a cadere è il padre di Edipo, Laio, la cui paura di essere soppiantato da suo figlio finisce col farlo soccombere alla tragedia che travolge tutti loro. La paura della regina che Biancaneve eccella su di lei è il tema della fiaba che reca il nome della giovanissima vittima dell‟ingiustizia, e un‟analoga paura è il tema della leggenda di Edipo.285

Il non riuscire ad accettare la sorte di essere sopraffatti dal figlio è in entrambe le figure il motivo dell‟abbandono – mentre il sorpasso generazionale costituirebbe un fatto normale – cui si aggiunge la volontà dell‟uccisione: sia la regina che Laio affidano ad un servitore il compito di uccidere la figliastra Biancaneve e il neonato Edipo. Ecco che al tema dell‟abbandono si connette quello della

predazione, che nella fiaba in questione assume addirittura i tratti di un intento

cannibalico: come nell‟ambito mitologico troviamo il caso di Crono che divora i

figli – atto mostruoso dettato sempre dal timore di essere spodestato dalla propria posizione di dominio, da parte di uno di loro – nella fiaba la matrigna desidera mangiare una parte di Biancaneve, anche se in realtà quel che le viene offerto in pasto sono gli organi di un animale sacrificato dal cacciatore in sostituzione della fanciulla.286 Proprio la precisazione che, nella fiaba, la bambina sfugge al desiderio predatorio della matrigna, consente di cogliere in essa un messaggio rassicurante circa le possibilità di sopravvivenza dinnanzi alle più temibili complicazioni, una prospettiva consolatoria su cui soffermare la nostra attenzione. Come in Biancaneve, accade spesso nelle fiabe che il compito di sbarazzarsi del figlio sia affidato ad un servo e quest‟ultimo decida di risparmiare la vita del giovane, intenerendosi di fronte alla sua situazione. È una situazione che

285

B. Bettelheim, Il mondo incantato, cit., p 188.

286

Un desiderio cannibalico è presentato, ad esempio, anche nella seconda parte di La belle au bois dorment di Perrault (omessa nelle successive versioni della fiaba), sempre all‟interno del nucleo familiare, sebbene non da parte di un genitore verso i figli: in questo caso è la madre del principe – discendente da una famiglia di orchi – a voler divorare prima i nipotini Aurore e Jour e poi la principessa. In tutti i casi, il cuoco cui è stato affidato il compito di servire i tre in pasto all‟orchessa, li sostituisce con degli animali, così da ingannare la padrona.

- 190 -

registriamo anche ne I tre linguaggi: in questa fiaba riportata dai fratelli Grimm un conte, deluso dal figlio che non ha adeguatamente corrisposto alle sue aspettative nell‟ambito dell‟erudizione e arrabbiato dinnanzi alle risposte di costui – tornando per tre volte dalle città estere in cui era stato mandato a studiare, il ragazzo dichiara di aver appreso dapprima il linguaggio dei cani, poi quello degli uccelli ed infine delle rane – rifiuta di continuare a riconoscerlo come tale ed ordina alla servitù di ucciderlo; ma, vinti dalla pietà, i servi lo risparmiano e ingannano il padrone portando gli occhi e la lingua di un capriolo come falsa prova del compimento dell‟incarico.

Da entrambi gli esempi citati, secondo Bettelheim, dovremmo dedurre che nelle narrazioni fiabesche i problemi e le conflittualità che un bambino attira su di sé non riguardano il mondo adulto nella sua totalità, bensì esclusivamente il rapporto con i genitori. Inoltre, il fatto che il genitore affidi l‟incarico ad un terzo senza compierlo in prima persona, per Bettelheim sta ad indicare che, per quanto la minaccia del potere genitoriale possa apparire grande agli occhi del bambino, queste figure non sfogheranno direttamente su di lui la loro collera. Infatti – intende sottolineare Bettelheim – le fiabe mirano a rassicurare i bambini sulle preoccupazioni inerenti la conquista dell‟indipendenza, mostrando loro che l‟abuso dell‟autorità genitoriale fallisce sempre, mentre trionfa il giovane protagonista che, inizialmente cacciato e abbandonato, arriva a costruire la prospettiva di un futuro felice:

Il figlio non solo sopravvive ai genitori ma anche li supera. Questa convinzione, una volta che si sia impressa nell‟inconscio, permette all‟adolescente di sentirsi sicuro nonostante tutte le difficoltà dell‟età dello sviluppo che lo travagliano, poiché ha fiducia nella sua vittoria futura.287

287

- 191 -

Diversamente dalla fiaba, il mito non contiene una tale rassicurazione: è vero che anche Edipo viene sottratto dal servo alla morte voluta dal padre Laio e successivamente salvato da cacciatori che lo consegnano ai sovrani di Corinto, però l‟evolversi della storia non lo condurrà ad una rivincita, come accade nel lieto fine fiabesco, bensì a portare a compimento un infausto destino.

Il racconto mitico e la fiaba di Biancaneve vengono avvicinati da Bettelheim anche per porre l‟accento sulle rivalità connesse a quelle dinamiche familiari che in psicoanalisi sono state definite, per l‟appunto, edipiche. Soffermiamo su di esse la nostra attenzione, per poi renderci conto delle modalità con cui vengono espresse nel mito e nella fiaba.

Freud – sia in Die Traumdeutung (L‟interpretazione dei sogni) del 1899 che in una delle lezioni tenute fra il 1915 e il 1917 e pubblicate nel volume Vorlesungen

zur Einführung in die Psychoanalyse (Introduzione alla psicoanalisi) – parla del

tragico mito di Edipo per soffermarsi sulla sua affinità con la sfera psichica umana: sostiene che in esso sia contenuta una verità psicologica radicata nell‟infanzia della quale, crescendo, diventiamo inconsapevoli – proprio come Edipo compie i due atti incestuosi e mostruosi senza averne effettiva consapevolezza – grazie all‟intervento della rimozione (motivo per cui inorridiamo dinnanzi ad una tale vicenda). Freud scrive in Die Traumdeutung, in riferimento alla narrazione di Sofocle:

Se l‟Edipo re riesce a scuotere l‟uomo moderno non meno dei Greci suoi contemporanei, la spiegazione può trovarsi soltanto nel fatto che l‟effetto della tragedia greca non si basa sul contrasto fra destino e volontà umana, bensì va ricercato nella peculiarità del materiale in cui tale contrasto si presenta. Deve esistere nel nostro intimo una voce pronta a riconoscere la forza coattiva del desiderio di Edipo […]. Il suo destino ci commuove soltanto perché sarebbe potuto

- 192 -

diventare anche il nostro, perché prima della nostra nascita l‟oracolo ha decretato la medesima maledizione per noi e per lui. Forse a noi tutti era dato in sorte di rivolgere il primo impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza contro il padre: i nostri sogni ce ne danno la convinzione. Il re Edipo, che ha ucciso suo padre Laio e sposato sua madre Giocasta, è soltanto l‟appagamento di un desiderio della nostra infanzia. Ma, più fortunati di lui, siamo riusciti in seguito – nella misura in cui non siamo diventati psiconevrotici – a staccare i nostri impulsi sessuali da nostra madre, a dimenticare la nostra gelosia nei confronti di nostro padre. Davanti alla persona in cui si è adempiuto quel desiderio primordiale dell‟infanzia, indietreggiamo inorriditi, con tutta la forza della rimozione che questi desideri hanno subito da allora nel nostro intimo.288

Secondo questa prospettiva, il mito ci offre la possibilità di riscoprire, come in un processo di autoanalisi, che la situazione edipica è stata da noi stessi intimamente vissuta nell‟infanzia e che progressivamente ce ne siamo distaccati nel corso del successivo sviluppo. Eppure se ne conservano nell‟inconscio delle tracce, come testimoniato, secondo Freud, dal manifestarsi dei due sogni tipici di avere rapporti sessuali con il genitore di sesso opposto e della morte dell‟altro, i quali vengono raccontati dagli adulti con indignazione e vissuti con rifiuto, sentimenti che nel racconto trovano rappresentazione nell‟autopunizione di Edipo attraverso l‟accecamento. Così espresso per la prima volta ne L‟interpretazione dei sogni, nel complesso edipico la teoria psicoanalitica riconosce un momento fondamentale dello sviluppo individuale: si tratta dell‟attaccamento libidico verso il genitore di sesso opposto a cui si accompagna il sentimento ambivalente di odio e affetto nei confronti della figura genitoriale dello stesso sesso, provati durante la cosiddetta fase fallica (dal terzo al quinto anno d‟età) dello sviluppo psicosessuale teorizzato da Freud289. Egli ritiene che in tale periodo il bambino indirizzi gli

288

S. Freud, L‟interpretazione dei sogni, Boringhieri, Torino, 2007, pp 254-255. Questo discorso è ripreso da Freud, con una trattazione analoga, nella citata “Lezione 21” dell‟ Introduzione alla psicoanalisi, p 244.

289 Freud spiega che il complesso edipico si manifesta in maniera ingrandita e aggravata nei soggetti

nevrotici, ma è rintracciabile in forma più lieve in ciascun individuo. Nella “Lezione 21. Sviluppo della libido e organizzazioni della sessualità” leggiamo: “Si nota facilmente che il bambino vuole avere la madre soltanto per sé, avverte come un incomodo la presenza del padre, si arrabbia se questi si permette gesti affettuosi verso la madre, e manifesta la sua felicità quando il padre parte per un viaggio o è assente. Spesso il bambino dà

- 193 -

impulsi sessuali ed affettivi verso una meta distinta da sé – in opposizione al precedente autoerotismo – compiendo quella che è una scelta oggettuale incestuosa. Da questa situazione, che insieme all‟ambivalenza affettiva genera nel bambino il senso di colpa per aver rivolto pensieri ostili verso il genitore dello stesso sesso, si può uscire mediante l‟identificazione con tale figura e l‟introiezione dei suoi valori e caratteristiche. Questo meccanismo favorisce la strutturazione della coscienza morale ed apre alla fase successiva di latenza, durante la quale gli impulsi libidici sono rivolti verso mete differenti da quelle sessuali (e quindi sublimati). Il risveglio della sessualità avviene nella pubertà, nel corso della quale l‟individuo deve slegare i suoi desideri libidici dal genitore per impiegarli nella scelta di un oggetto d‟amore estraneo al nucleo familiare.

Bettelheim fa notare che sia questo processo di sviluppo individuale, che passa attraverso lo svincolamento dai legami edipici familiari, sia il sorpasso generazionale temuto dai genitori, si concludono positivamente nelle fiabe – almeno per il protagonista inizialmente rifiutato e minacciato – 290, mentre ciò non accade nel mito (come abbiamo già sottolineato, il mito tende, appunto, ad assumere un tono tragico). A questo proposito, egli prende in considerazione tutto il ciclo di narrazioni intorno alla figura di Edipo – che inizia con Tantalo e termina con I sette contro Tebe – per mostrare come la mitologia rappresenti gli effetti drammatici del portare all‟estremo i desideri egoistici e quelli edipici, che inducono ad esistenze macchiate di sangue e violenze. Tantalo uccide il figlio diretta espressione verbale ai suoi sentimenti, promettendo alla madre che la sposerà. […] Come vedete, ho esaminato solo il rapporto del maschio con il padre e la madre. Esso si configura in modo del tutto analogo per la bambina, con le necessarie varianti. L‟attaccamento affettuoso al padre, l‟esigenza di eliminare la madre come superflua per occupare il posto sono civetterie che utilizzano già gli strumenti della futura femminilità, contribuiscono ad offrire alla bambina un‟immagine deliziosa, che ci fa dimenticare l‟aspetto serio e le possibili gravi conseguenze sottese a questa condizione infantile.” (S. Freud, Introduzione alla

psicoanalisi, Newton Compton, Roma, 2010, pp 245-246).

290

Bettelheim tratta più approfonditamente delle fiabe come rappresentazioni e risoluzioni dei conflitti edipici nel paragrafo “Il cavaliere dalla splendente armatura e la damigella in pericolo”, in Il mondo incantato, cit., pp 110-115.

- 194 -

Pelope, in nome della propria vanità (la stessa che ritroviamo nella matrigna di Biancaneve e che la spinge a bramare la morte della fanciulla): desiderando la compagnia degli dei e volendo metterne alla prova l‟onniscienza, li invita ad un banchetto durante il quale serve le carni del giovane. Come nota Bettelheim entrambi i misfatti di sacrificio dei figli trovano una punizione: la regina è costretta a ballare su scarpe roventi fino a morire, mentre Tantalo, per aver tentato di ingannare gli dei, è sottoposto al supplizio di restare nell‟oltretomba con il peso di una fame ed una sete inappagabili, poiché i frutti e l‟acqua intorno a lui gli sfuggono continuamente. Nel mito, Pelope è riportato in vita dagli dei – così come Biancaneve è strappata dal sortilegio mortifero nel momento in cui uno scossone della carrozza sulla quale è trasportata fa sobbalzare via la mela avvelenata dalla sua gola291 – ma, invece di riscattare se stesso come avviene nelle fiabe, finisce con il trasformarsi da vittima in aggressore. In effetti, Pelope, in precedenza usato dal padre, è pronto a mettere in atto un imbroglio che gli consente di perseguire il suo scopo, ma costa il caro prezzo della vita di un altro uomo: per poter ottenere Ippodamia in sposa, deve partecipare alla corsa di cocchi contro il re Enomao, che costui ha stabilito come regola per tutti i pretendenti della bellissima figlia; Pelope sostituisce di nascosto i bulloni di bronzo del cocchio reale con pezzi di cera, così da causare la morte del sovrano ed assicurarsi la vittoria. In tale tragico esito va letto anche il suggerimento del pericolo insito in un attaccamento genitoriale eccessivo – Enomao indice la corsa in modo da sbarazzarsi di tutti i pretendenti di Ippodamia e tenere la figlia solo per sé – laddove una preferenza per il figlio di sesso opposto costituisce un fatto naturale, se contenuto entro un certo limite.

291 A questo proposito Bettelheim nota che la morte apparente, elemento diffuso nelle fiabe, sta a

simboleggiare il desiderio edipico dell‟allontanamento della persona che si interpone nel rapporto amoroso (in questo caso, il desiderio del genitore geloso di allontanare il figlio dello stesso sesso dalle attenzioni del coniuge), che non equivale al volerne l‟effettiva morte, così come il bambino edipico non desidera realmente che il genitore-rivale muoia per davvero. (Ivi, p 189)

- 195 -

Bettelheim prosegue l‟analisi del ciclo mitologico prendendo in esame le tragiche conseguenze delle due rivalità fraterne che attraversano il nucleo familiare di Pelope. Una coinvolge i due figli legittimi: il minore, Tieste, consumato dalla gelosia, ruba l‟ariete dal vello d‟oro al maggiore, Atreo, il quale si vendica uccidendo i figli del fratello e offrendogliene in pasto le carni durante un banchetto. L‟altro caso di rivalità riguarda Laio, il quale da giovane trova protezione presso Pelope ed è talmente geloso della preferenza che costui dimostra per il figlio illegittimo Crisippo da arrivare a rapire quest‟ultimo. Per aver commesso un tale gesto, Laio è punito dall‟oracolo di Delfi tramite la profezia della propria uccisione da parte del figlio, Edipo. Nell‟intento di impedire il compiersi di tale predizione, Laio fa legare i piedi del figlio neonato e ordina ad un servo di abbandonarlo nel deserto perché muoia; ma il suo tentativo risulta vano e alla fine, anche se inconsapevolmente, il figlio, una volta cresciuto, finisce per uccidere il padre. Dopo la distruzione della famiglia di origine – per la quale si autopunisce con l‟accecamento – Edipo è costretto a fare i conti con la dissoluzione della propria discendenza: i figli Eteocle e Polinice si uccidono in battaglia durante la guerra dei Sette per la riconquista di Tebe, mentre Antigone, l‟unica figlia che si prende cura del padre, viene condannata a morte dal re Creonte per aver seppellito Polinice contro il suo ordine. L‟intero ciclo di narrazioni mitologiche, che inizia con l‟azione ignobile di un padre e scaturisce in un susseguirsi di stragi, mostra quanto sia distruttiva l‟incapacità di accettare il figlio dello stesso sesso come possibile successore e di liberarsi delle relazioni edipiche, comprese quelle fraterne, poiché tutte presentano un esito mortifero. Bettelheim nota, in conclusione:

- 196 -

L‟unico a sopravvivere della famiglia di Edipo è Ismene, sorella di Antigone, che non si è attaccata troppo profondamente a nessuno dei fratelli, e per la quale nessun membro della sua immediata cerchia familiare aveva sviluppato un attaccamento eccessivo. Stando al mito, non sembra esistere via d‟uscita: chiunque per forza di circostanze o per propri desideri si lascia troppo coinvolgere in una relazione “edipica” viene distrutto.292

I conflitti edipici, tanto distruttivi nel mito, trovano una risoluzione positiva nelle fiabe, almeno dal punto di vista del protagonista, ossia colui con cui il bambino può identificarsi facilmente, come ci mostra il racconto di Biancaneve. Bettelheim fa notare che sono soprattutto le versioni più antiche di tale fiaba a trasmetterci il senso della rivalità edipica all‟interno della famiglia, ovvero ci informano sulla gelosia della madre nei confronti della piccola Biancaneve come conseguenza delle particolari attenzioni che il padre rivolge alla bambina, motivazione che rimane non esplicitata nella più diffusa variante grimmiana, la quale “lascia alla nostra immaginazione le complicazioni edipiche anziché imporle alla nostra mente cosciente”293

, in quanto i Grimm non spendono parole sulla descrizione né del re né del rapporto di costui con la figlia. Nelle altre varianti del racconto è solitamente un conte a desiderare di avere una bambina bianca come la neve, dalle guance rosse come il sangue e dai capelli neri come i corvi ammirati in volo, e trovando poco dopo la piccola Biancaneve – corrispondente a tali caratteristiche –