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Capitolo 3. Le fiabe in psicoanalisi e nella psicologia analitica

3.4 L‟individuazione nelle fiabe

Analizzando la fiaba La principessa sull‟albero, Jung mostra come i passi del giovane traccino un percorso di individuazione, procedendo da un‟umile condizione sino all‟elevazione e alla successiva conquista della totalità.

L‟individuazione è un processo psicologico che Jung definisce così nella sezione conclusiva di Psychologische Typen (Tipi psicologici) del 1921:

L‟individuazione è in generale il processo di formazione e di caratterizzazione dei singoli individui, e in particolare lo sviluppo dell‟individuo psicologico come essere distinto dalla generalità, dalla psicologia collettiva. L‟individuazione è quindi un processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale.209

Una definizione simile si ha nel saggio Bewusstein, Unbewusstes und

Individuation (Coscienza, inconscio e individuazione) del 1939, nel quale Jung

scrive: “Uso il termine „individuazione‟ per designare quel processo che produce un „individuo‟ psicologico, vale a dire un‟unità separata, indivisibile, un tutto”.210

Individuarsi corrisponde a realizzare il proprio Sé, come si legge in Die

208

Ivi, pp 241-242.

209

C.G. Jung, “Tipi psicologici” in Opere vol. 6, Boringhieri, Torino, 1988, p 501.

210

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Beziehungen zwischen dem Ich und dem Unbewussten (L‟io e l‟inconscio) del

1928:

Individuarsi significa diventare un essere singolo e, intendendo noi per individualità la nostra più intima, ultima, incomparabile e singolare peculiarità, diventare se stessi, attuare il proprio Sé. “Individuazione” potrebbe dunque essere tradotto anche con “attuazione del proprio Sé” o “realizzazione del Sé”.211

Quest‟ultimo è, secondo Jung, il centro della personalità, nel quale coscienza e inconscio si integrano: dunque, il Sé consiste in una grandezza sovrastante rispetto all‟Io cosciente, in quanto ricopre la totalità della vita psichica.

In Archetipi dell‟inconscio collettivo, il processo di attuazione del Sé è presentato metaforicamente come un percorso che passa attraverso l‟elemento acqueo: Jung paragona la psiche inconscia all‟acqua, che “è tangibilmente terrena, è la fluidità del corpo governato dall‟istinto, è il sangue che scorre, l‟odore della bestia, la corporeità gravida di passioni”212

; sulla base di questo paragone il percorso individuale che conduce alla conoscenza di se stessi viene concepito come una via interiore che attraversa le profondità di un abisso subacqueo per poterne riaffiorare in un secondo momento, in quanto premessa dell‟ascesa è sempre la discesa, con i possibili rischi che questa comporta.213 Colui che si affaccia sulla superficie d‟acqua trova riflessa l‟immagine veritiera di se stesso, che di solito è celata dietro la maschera della Persona, ossia dietro il ruolo recitato in società a

211

C.G. Jung, “L‟io e l‟inconscio” in Opere vol.7, Boringhieri, Torino, 1987, p 173.

212

C.G. Jung, “Gli archetipi dell‟inconscio collettivo” in Opere vol. 9*, p 18.

213

A questo proposito, Jung richiama l‟inno gnostico all‟anima, attribuito al siro Bardesane (154-222) e scrive: “Nell‟inno gnostico all‟anima, il figlio è mandato dai genitori a cercare la perla staccatasi dalla corona del re padre. La perla giace sul fondo di una sorgente custodita da un drago, nella terra degli Egizi, nell‟ebbro mondo degli appetiti carnali, delle ricchezze di natura fisica e spirituale. Il figlio ed erede si avvia in cerca della gemma ma dimentica tra i piaceri se stesso e il suo compito, finché una lettera del padre gli ricorda quale sia il suo dovere. Si mette allora in viaggio verso l‟acqua e si tuffa nell‟oscura profondità della fonte sul cui fondo trova la perla che offrirà poi alla divinità più eccelsa”. (Ivi, pp 16-17)

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seconda della posizione occupata al suo interno. “Lo specchio non lusinga; mostra fedelmente ciò che in esso si riflette, e cioè il volto che non esponiamo mai al mondo perché lo veliamo per mezzo della Persona, la maschera dell‟attore”214

, scrive Jung. Dunque, guardare il proprio riflesso è la prima tappa per giungere all‟incontro con se stessi. Quest‟ultimo prevede il contatto con la propria Ombra, ossia la parte inferiore in cui sono racchiusi desideri primitivi, tutto ciò che non ci permettiamo di fare in quanto incompatibile con il tenore di vita cosciente. Riuscire a vedere ed accettare l‟esistenza dell‟Ombra significa lasciar affiorare l‟inconscio personale e, di fronte a problemi apparentemente fuori dalla nostra portata, destare “forze soccorritrici sopite nei più profondi recessi della natura umana”215

. A proposito dell‟Ombra Jung specifica:

L‟incontro con se stessi significa anzitutto l‟incontro con la propria Ombra. L‟Ombra è, in verità, come una gola montana, una porta angusta la cui stretta non è risparmiata a chiunque discenda alla profonda sorgente. Ma dobbiamo imparare a conoscere noi stessi per sapere chi siamo, poiché inaspettatamente al di là della porta si spalanca una illimitata distesa, piena di inaudita indeterminatezza, priva in apparenza di interno e di esterno, di alto e di basso, di qua e di là, di mio e di tuo, di buono e di cattivo. È il mondo dell‟acqua, in cui è sospesa, fluttua ogni vita […].216

Ciò significa che l‟Ombra non corrisponde solamente all‟inconscio personale, ma è anche un fenomeno dell‟inconscio collettivo (che nelle fiabe viene solitamente espresso nella veste di streghe, diavoli ed altre figure terrifiche affini).

Proseguendo la metafora acquea, Jung sostiene che bisogna diventare pescatori per riuscire a cogliere i tesori che possono nascondersi nell‟acqua vitale dell‟inconscio. 214 Ivi, p 19. 215 Ibidem. 216 Ivi, p 20.

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Chi guarda nell‟acqua vede, è vero, la propria immagine, ma ben presto dietro di essa emergono creature viventi, probabilmente pesci, innocui abitatori del profondo – innocui, se il lago non fosse per molti abitato da spettri, da esseri acquatici di tipo speciale. Talvolta rimane impigliata nella rete del pescatore un‟ondina, pesce femminile semiumano. […] L‟ondina rappresenta un livello ancora più istintuale del magico essere femminile che io designo con il termine latino Anima. Può trattarsi anche di sirene, melusine, ninfe dei boschi, grazie, figlie del re degli elfi, lamie e succubi che seducono i giovani e succhiano loro la vita.217

Secondo Jung, l‟Anima è l‟immagine femminile inconscia presente nell‟uomo ed è connessa alla sfera emotiva. Viene raffigurata a livello collettivo tramite figure ammaliatrici come quelle citate, legate all‟acqua o alla terra, per rendere conto del suo essere un caotico impulso vitale che fa “credere all‟uomo cose inverosimili: affinché la vita sia vissuta”218

. Poiché vuole la vita e questa include sia il bene che il male, l‟Anima può presentare sia un aspetto puro e nobile, assumendo le sembianze di una fata o dea, sia uno oscuro e seduttivo da donna fatale, sottoforma di strega, sirena o ninfa. Nella donna il corrispondente dell‟Anima è l‟Animus, ossia la mascolinità latente in lei. Il confronto con l‟Anima o l‟Animus – i quali vengono entrambi inclusi da Jung nel termine “anima”, con cui si designa la personalità interiore219 – è fondamentale ai fini del processo dell‟integrazione dell‟inconscio e dell‟individuazione220

: si tratta di cogliere il significato profondo racchiuso nel caos vitale, trovare quella saggezza nascosta che, come dice Jung, 217 Ivi, p 23. 218 Ivi, p 25. 219

Nella sezione delle “Definizioni” in Tipi psicologici, Jung spiega: “La personalità interiore è la forma e il modo con cui uno si comporta rispetto ai processi psichici interni, è l‟atteggiamento interiore, il carattere con il quale egli si volge verso l‟inconscio. Io designo con il termine Persona l‟atteggiamento verso l‟esterno, il carattere esteriore; con il termine anima l‟atteggiamento verso l‟interno.” (C.G. Jung, “Tipi psicologici” in

Opere vol. 6, cit., p 454)

220

Tale confronto è più complesso di quello con l‟Ombra. Scrive Jung: “Il rapporto con l‟Anima è infatti di nuovo una prova di coraggio, una prova del fuoco per le forze spirituali e morali dell‟uomo. Non bisogna mai dimenticare che, nel caso dell‟Anima, si tratta di fatti psichici che non sono mai stati, per così dire, in possesso dell‟uomo, in quanto, come proiezioni , erano quasi sempre al di fuori del suo campo psichico. Per il figlio, l‟Anima sta nel predominio della madre, che spesso resta legata a lui sentimentalmente per tutta la vita, pregiudicando nel modo più grave il suo destino da adulto, o, al contrario, dando ali al suo coraggio nel compimento delle azioni più ardite. All‟uomo antico l‟Anima apparve come dea o strega; l‟uomo medievale, invece, ha sostituito alla dea la Regina del cielo e la Madre Chiesa.” (Ivi, pp 27-28).

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appare in contrasto con la natura elfica irrazionale dell‟anima. È necessario arrenderci momentaneamente ed accettare la nostra impotenza interpretativa dinnanzi al caos impostoci dalla vita per avere la possibilità di sperimentare un archetipo rimasto nascosto dietro a quello dell‟anima, ossia “l‟archetipo del significato” (che corrisponde alla figura del Vecchio Saggio).

Il senso profondo di ogni esperienza della vita, quindi, proviene dall‟inconscio e di quest‟ultimo il soggetto deve integrare gli archetipi al livello della coscienza, per poter individuarsi. Jung precisa che il processo di integrazione cosciente degli archetipi – il quale deve avvenire in forma dialettica, tramite un vero e proprio confronto – ha uno sviluppo articolato:

Il processo ha, di solito, un corso drammatico, ricco di peripezie. Si esprime in simboli onirici (o ne è accompagnato), apparentati con quelle représentations collectives che, sotto forma di motivi mitologici, hanno da sempre rappresentato i processi psichici di trasformazione.221

Marie Louise Von Franz (1915-1988), allieva e collaboratrice di Jung, si occupa dell‟individuazione nel contesto delle fiabe con l‟intento di mostrare che tale processo psicologico, sebbene riguardi l‟unicità dell‟individuo, si svolge secondo delle fasi tipiche che sono significativamente rappresentate in questo tipo di narrazioni collettive. In Individuation in fairy tales (L‟individuazione nella fiaba), testo del 1977, ella presenta una serie di racconti provenienti da differenti tradizioni culturali e focalizzati sulla ricerca di un uccello prezioso, quale meta del viaggio dell‟eroe: si tratta di un motivo ricorrente in cui Von Franz riconosce il modello di un percorso di individuazione, costellato di insidie.

Il testo prende le mosse dall‟interpretazione della fiaba spagnola Il pappagallo

bianco, il cui tema centrale è probabilmente di derivazione orientale. In questa

221

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fiaba, un Conte sposato con una giovane di umili origini parte per la guerra ed affida la moglie incinta al proprio maggiordomo; costui, innamoratosi della bella ragazza e da lei rifiutato, decide di vendicarsi diffamandola: alla nascita dei figli della contessa – un maschio e una femmina, entrambi con una stella splendente in fronte – scrive al conte che ella ha dato alla luce due bimbi di colore e che ciò consiste nella prova di un‟avventura sentimentale con un negro. Il Conte ordina l‟imprigionamento della moglie e l‟uccisione del negro e dei bambini, ai quali il maggiordomo risparmia la vita: li depone in una cassa di vetro che getta in un fiume. Il contenitore viene pescato da un vecchio, il quale, trovati i bambini al suo interno, decide di allevarli insieme alla moglie, fasciandoli con bende di lino per coprire la stella sulla fronte. Alla loro morte, i due lasciano i propri averi ai fanciulli. Nel frattempo, il maggiordomo, preoccupato dalla presenza in un villaggio vicino di due bambini con delle bende sulla testa, decide di eliminarli, affidando il compito ad una strega, in modo da impedire al conte, ritornato dalla guerra, di venire a conoscenza della verità. La strega si reca alla casa dei bambini e vi trova la fanciulla da sola, che la invita ad entrare; tessendo gli elogi della dimora, la vecchia dice che a completarne la bellezza manca solo la fontana dell‟acqua d‟argento, che il fratello potrebbe procurare recandosi alla sorgente, riempiendo una brocca e versandola nel cortile. Al ritorno del fratello la bambina spiega della fontana d‟argento e, dopo un primo rifiuto, insiste e piange a tal punto da riuscire a convincere il gemello. Lungo il tragitto, il bambino incontra un vecchio, il quale gli domanda chi lo odi così tanto da mandarlo laggiù e, appresa la situazione, gli indica come riuscire nell‟impresa: alla guardia della fonte vi è un leone, a cui è bene avvicinarsi solo quando sta dormendo, ossia quando ha gli occhi aperti, così da attingere l‟acqua e scappare, muovendosi rapidamente in

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modo da non destarne il risveglio. Seguite le indicazioni, il bambino torna a casa e versa l‟acqua nel cortile, dove sorge un‟incantevole fonte argentata. Il giorno seguente la bambina riceve nuovamente la visita della strega, la quale consiglia di completare la bellezza del cortile con una quercia dalle ghiande argentate con il cappelletto dorato, che il fratello avrebbe potuto procurare recandosi presso tale albero, strappandone un rametto e piantandolo. Anche in questo caso, dopo pianti e tormenti, la bambina riesce a convincere il fratello, che una volta in cammino incontra di nuovo il vecchio, il quale gli offre il proprio cavallo per recarsi sul posto e lo informa su come procedere: dovrà prendere velocemente un ramoscello mentre il serpente di guardia tiene la testa nascosta, ossia quando è addormentato. Il fanciullo segue il consiglio e prende un ramoscello, che pianta nel cortile di casa, facendo nascere una splendida quercia. Il giorno successivo, la strega torna dalla bambina e questa volta consiglia di prendere un prezioso pappagallo che permette di procurare smisurate ricchezze, suggerendole di convincere il fratello ad andare a cercarlo. Al ritorno del gemello, la bambina insiste per avere il pappagallo, e alla fine il fanciullo accetta di cercarlo, facendosi promettere che si tratta dell‟ultima richiesta. Lungo il tragitto si ripresenta il vecchio e nuovamente offre indicazioni al bambino sulla prassi da seguire per portare a termine il compito: il prezioso pappagallo bianco si trova su una pietra tonda all‟interno di un meraviglioso giardino e potrà essere catturato solo quando, dopo aver detto “C‟è qualcuno che vuole prendermi? C‟è qualcuno che vuole acciuffarmi? Se non c‟è nessuno cui io piaccia, mi si lasci in pace”, riporrà la testa sotto un‟ala e si addormenterà profondamente. Il vecchio sottolinea di non anticipare di un istante la cattura, altrimenti il pappagallo lo guarderebbe e in tal modo lo pietrificherebbe, com‟è accaduto a tanti. Una volta nel giardino e in presenza

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dell‟uccello, il bambino si lascia tradire dall‟emozione e si spinge verso la preda un secondo in anticipo: così, viene tramutato in pietra dallo sguardo del pappagallo, che vola via. Il mancato ritorno del fanciullo provoca il senso di colpa nella sorella che alla fine cede alla persuasione della vecchia, la quale, tornata a visitarla, dissimula la propria contentezza per la scomparsa del bambino e le consiglia di cercarlo per accertarsi che non abbia smarrito la strada o non si sia trattenuto fra le meraviglie del giardino. Lungo il cammino incontra il vecchio: costui le chiede per quale motivo si trovi lì e, venendo a sapere che sta cercando il fratello, la informa sulla sua pietrificazione e sulle modalità per liberarlo, ossia la cattura del pappagallo bianco da compiersi al momento giusto (durante il sonno profondo). La bambina segue perfettamente i consigli e nell‟istante in cui prende il pappagallo tutte le figure pietrificate tornano in vita: fra di esse vi sono il fratello e il Conte, che aveva tentato di catturare l‟uccello in precedenza. Il bambino racconta al Conte che lui e la sorella non conoscono l‟identità dei propri genitori, essendo stati trovati da un pescatore in una cassa di vetro. Facendosi mostrare il tessuto in cui erano stati avvolti per essere posti nella cassa, il Conte vi riconosce il proprio stesso stemma ed inizia a pensare che essi possano essere i suoi figli. Il pappagallo, rimasto appollaiato sulla spalla della bambina, consiglia al Conte di sciogliere ogni dubbio chiedendo alla moglie. Seguendo il suggerimento dell‟animale, il Conte libera la consorte, la quale rivela quanto accaduto in sua assenza e riconosce i figli, levando loro la benda e notando la stella sulle loro fronti. Dopo aver ordinato la morte del perfido maggiordomo (mentre la strega fa in tempo a fuggire lontano), il Conte e la Contessa vivono felici assieme ai figli e senza separarsi dal pappagallo.

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Von Franz sostiene che i fanciulli simboleggiano il Sé, in virtù di quella genuinità propria dell‟infanzia che permette di essere completamente se stessi: a questo proposito scrive che i bambini sono “quel nucleo di spontaneità, il nucleo vitale dell‟essere, che ha il dono della naturalezza, dell‟idea risolutiva, dell‟intuizione salvifica e assicura il rinnovamento della vita”222

. Ella aggiunge che la coppia di fratellino e sorellina – motivo ricorrente nel panorama fiabesco – forma la totalità del Sé, nel suo aspetto maschile e femminile. Va sottolineato, però, che l‟elemento femminile si rileva maggiormente vicino alla dimensione del male, in quanto la bambina si lascia influenzare dalle parole della strega e mette in pericolo la vita del fratello, mentre il maschile, rappresentato dal bambino, si limita ad eseguire e alla fine commette un errore fatale. Al contempo, la sorellina è anche colei che salva la situazione: nella fiaba si assiste, perciò, ad una rivalutazione compensatrice del femminile, analoga a quella che si ha nella fiaba Hänsel e

Gretel. In quest‟ultima, infatti, inizialmente è Hansel a svolgere un ruolo positivo,

in quanto, dopo l‟abbandono nel bosco ad opera della matrigna, riesce a ritrovare la strada di casa grazie alle pietruzze gettate precedentemente lungo il cammino, ma alla fine la salvezza dei due bambini dalle grinfie della strega è assicurata dall‟astuta idea della fanciulla di spingere la vecchia nel forno223

. Come riconosce la studiosa, Gretel rivela di avere una malizia simile a quella della strega ed il suo modo di agire non è certamente una buona condotta, eppure quella scaltrezza è il metodo risolutivo più adatto alle circostanze.

222

M.L. Von Franz, L‟individuazione nella fiaba, Boringhieri, Torino, 1987, p 25.

223

Nella versione grimmiana si legge: “Di buon mattino Gretel dovette uscire, appendere il paiolo con l‟acqua e accendere il fuoco. – Prima di tutto bisogna cuocere il pane, - disse la vecchia: - ho già scaldato il forno e impastato -. Spinse fuori la povera Gretel, fin presso il forno, da cui già svampavano le fiamme. – Cacciati dentro, - disse la strega, - e guarda se è ben caldo, perché possiamo infornare il pane -. E mentre Gretel era dentro, avrebbe chiuso il forno per farla arrostire e mangiarsela anche lei. Ma Gretel capì la sua intenzione e disse: - Non so come fare: come faccio a entrarci? – Stupida oca, - disse la vecchia, - l‟apertura è abbastanza grande; guarda, potrei entrarci anch‟io -. Arrancò fin là e sporse la testa nel forno. Allora Gretel, con un urtone, la spinse dentro, chiuse lo sportello di ferro e tirò il catenaccio. Uh! Che urla orribili gettò la strega! Ma Gretel corse via e la maledetta strega dovette miseramente bruciare.” (Grimm, Fiabe, cit., p 61)

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A proposito della rivalutazione del femminile, Von Franz afferma:

Se nell‟atteggiamento conscio dominante si dà eccessivo risalto ai valori maschili, occorre ristabilire l‟equilibrio sottolineando l‟importanza dei valori femminili. Lo spirito naturale della donna, la sua irrazionalità, la sua apparente perfidia vengono perciò rappresentati come utili ed efficaci.224

Inizialmente, fratellino e sorellina sono in balia della corrente della vita, in quanto vengono posti in una cassa di vetro gettata nel fiume: il maggiordomo li espone e li abbandona al destino che il fluire dell‟acqua riserverà loro225, senza assumersi una diretta responsabilità. L‟agire del maggiordomo, nota Von Franz, non è però del tutto malvagio, in quanto la scelta della cassa di vetro permette la visibilità dei bambini abbandonati alla corrente: l‟essere visibili prelude alla possibilità di essere trovati e salvati. Il vetro è un materiale significativo, poiché consente l‟osservazione, ma al contempo esclude la possibilità del contatto fisico, del tangere: “il vetro ha anche la proprietà di escludere tutto quanto riguarda l‟attività animale; esso separa da qualcosa di cui non ci si può impadronire e che dà calore”226

. I due bambini sono quindi affidati alle mani del destino, che li sostiene e li offre a sua volta a quelle di un salvatore, ossia il pescatore che li alleva insieme alla moglie.

Sottratti al primo "quaternio" – quello familiare, composto dai due fratelli e dalla