Capitolo 2. Il mondo incantato di Bruno Bettelheim: il contributo delle fiabe all’infanzia
2.4 I conflitti edipici nelle fiabe
In molte trame fiabesche, secondo Bettelheim, viene rappresentato lo snodarsi dei conflitti edipici, sino alla loro soluzione ed evoluzione verso un finale positivo. La conflittualità edipica come caratteristica dell‟infanzia è stata teorizzata dal fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud, e consiste nella presenza nel bambino di sentimenti di amore ed odio diretti verso i genitori, in corrispondenza all‟instaurazione di un triangolo affettivo che va a sostituire l‟iniziale rapporto duale fra la madre ed il neonato. Sia Laplanche e Pontalis, autori del Vocabulaire
de la psychanalyse del 1967, sia Vegetti Finzi in Storia della psicoanalisi del
1986, sostengono che Freud non ha mai trattato sistematicamente il complesso edipico e che l‟elaborazione di questo concetto è stata progressiva ed articolata in vari scritti. Entrambi sottolineano che la sua scoperta avviene nel contesto
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dell‟autoanalisi e riguarda la forma cosiddetta positiva del complesso, relativamente alla sessualità maschile: Freud stesso riconosce l‟amore infantile avvertito per la madre e l‟ambivalenza di gelosia e affezione provata per il padre. Questa costellazione emotiva ricalca il modello della tragedia sofoclea, da cui il complesso trae il nome: Edipo, inizialmente abbondonato dal padre Laio, finisce per ucciderlo e sposare la madre Giocasta, rimasta vedova (anche se inconsapevole delle vere identità dei due). Il modello edipico è ritenuto universale, poiché Freud sostiene che con il sopraggiungere della fase fallica dello sviluppo psicosessuale, ossia fra i tre ed i cinque anni – anche se, fanno notare Laplanche e Pontalis, inizialmente l‟età in cui si manifesta il complesso di Edipo appare indeterminata nel pensiero freudiano– il bambino giunga ad individuare nella madre, con la quale è stato sperimentato da tempo un rapporto di fiducia e tenerezza, l‟oggetto sessuale reclamato dalla spinta pulsionale genitale, mentre il padre è percepito come l‟ostacolo alla piena realizzazione della diade e diviene oggetto di odio, sul quale possono essere intessute fantasie di morte. Alla forma positiva Freud ne affianca una negativa in cui il complesso si presenta all‟inverso: come scrive nel saggio L‟Io e l‟Es del 1923, “Un‟analisi più approfondita scopre però in genere un complesso edipico più completo, il quale è di natura duplice, positiva e negativa, e ciò per effetto della bisessualità originaria del bambino; il maschietto cioè non manifesta soltanto una impostazione ambivalente verso il padre e una scelta oggettuale affettuosa per la madre, ma si comporta contemporaneamente come una bimba, rivelando una impostazione di femminile tenerezza per il padre con la corrispondente gelosia e ostilità verso la madre”81
. Nella forma positiva del complesso, il bambino giunge ad abbandonare la
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conflittualità verso la figura paterna a causa dell‟angoscia di castrazione: poiché le fantasie prodotte generano in lui un forte di senso di colpa, egli teme di essere punito con l‟evirazione da parte del padre, il garante della legge del tabu dell‟incesto. Come nota Vegetti Finzi questa è la causa ontogenetica del declino del complesso edipico: poiché per il bambino nel rapporto impari con il padre si prospettano solo sconfitte e frustrazioni, sugli investimenti libidici prevale l‟interesse personale che lo spinge ad abbandonare la conflittualità. A quella ontogenetica si accompagna la causa filogenetica per la quale “a tempo debito, il bambino abbandona i legami sessuali familiari perché così esige il ritmo di sviluppo ereditariamente predisposto, allo stesso modo per cui, a sette anni, cadono i denti da latte”82
. In questo modo, il complesso edipico sfuma nella rimozione, che prepara l‟entrata nella successiva fase dello sviluppo psicosessuale, quella di latenza. Il bambino giunge ad identificarsi con il padre, ossia assimila l‟autorità paterna e da tale introiezione di valori si struttura il nucleo del suo Super-io. A favorire il processo dell‟identificazione che conduce al superamento del complesso edipico vi è, inoltre, la tacita promessa che un giorno il bambino prenderà il posto del padre e godrà della sua stessa autorità: come commenta Vegetti Finzi, “quella che abbiamo descritto come storia familiare ha anche un versante sociale in quanto tutta la società è solidale alla „disedipizzazione‟ del bambino e vi concorre con tutta la forza delle sue istituzioni: l‟autorità, la religione, l‟istruzione, la cultura”83
. In effetti, le energie del bambino vengono dirette non più verso mete sessuali, bensì qualcosa di socialmente accettabile: si tratta del meccanismo della sublimazione che, nel
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S. Vegetti Finzi, Storia della psicoanalisi, cit., p 77.
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periodo di latenza (dai sei ai dieci anni d‟età) in cui il soggetto risulta particolarmente educabile, ne favorisce l‟inserimento nella comunità sociale. È così che Freud descrive il complesso edipico ed il suo declino nell‟ambito della sessualità maschile, mentre l‟elaborazione della situazione edipica femminile risulta più problematica. In un primo tempo, si limita a riconosce la corrispondenza fra i due modelli, sostenendo per la femmina uno schema speculare a quello maschile. Ad esempio, nella Lezione 21. Sviluppo della libido e
organizzazioni della sessualità del ciclo di lezioni tenute fra il 1915 e il 1917,
raccolte nel volume Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse (Introduzione alla psicoanalisi), Freud si esprime in questi termini per spiegare l‟attaccamento libidico del bambino e della bambina verso il genitore di sesso opposto:
Si nota facilmente che il bambino vuole avere la madre soltanto per sé, avverte come un incomodo la presenza del padre, si arrabbia se questi si permette gesti affettuosi verso la madre, e manifesta la sua felicità quando il padre parte per un viaggio o è assente. Spesso il bambino dà diretta espressione verbale ai suoi sentimenti, promettendo alla madre che la sposerà. Si può pensare che tutto ciò sia ben poca cosa rispetto alle imprese di Edipo, di fatto, tuttavia, è già abbastanza, in
nuce è la stessa cosa. L‟osservazione viene spesso confusa dal fatto che in altre circostanze lo
stesso bambino manifesta contemporaneamente un grande affetto per il padre; tali atteggiamenti emotivi opposti, o per meglio dire ambivalenti, che nell‟adulto condurrebbero al conflitto, sono tuttavia del tutto compatibili tra loro per un lungo periodo nel bambino, così come in seguito trovano posto permanentemente l‟uno accanto all‟altro nell‟inconscio. […] Come vedete, ho esaminato solo il rapporto del maschio con il padre e la madre. Esso si configura in modo del
tutto analogo per la bambina, con le necessarie varianti. L‟attaccamento affettuoso al padre,
l‟esigenza di eliminare la madre come superflua per occupare il posto sono civetterie che utilizzano già gli strumenti della futura femminilità, contribuiscono ad offrire alla bambina un‟immagine deliziosa, che ci fa dimenticare l‟aspetto serio e le possibili gravi conseguenze sottese a questa condizione infantile.84
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S. Freud, “Lezione 21. Sviluppo della libido e organizzazioni della sessualità” in Introduzione alla
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Freud giunge a spiegare il sorgere del complesso edipico nella bambina come convinzione di una privazione biologica, nel momento in cui diviene cosciente della propria differenza anatomica genitale dai coetanei maschi, rispetto ai quali si sente inferiore. Anche in questo caso viene affermato il ruolo rilevante dell‟esperienza della castrazione, ma in senso opposto rispetto alla situazione maschile: se nel bambino il timore dell‟evirazione spinge all‟abbandono della contesa con il padre e, dunque, all‟uscita dal complesso edipico, nella bambina è la percezione della deprivazione a segnarne l‟inizio. Secondo Freud, infatti, la bambina incolpa la madre della propria insufficienza corporea e, abbandonando il suo primo oggetto d‟amore, rivolge il proprio affetto al padre, dal quale desidera un figlio per compensare il suo senso di inferiorità. Nel saggio Il tramonto del
complesso edipico del 1924 Freud scrive, per l‟appunto: “La rinuncia al pene non
viene sopportata senza un tentativo di rivalsa. La bimba scivola (si potrebbe dire sulle tracce di un‟equazione simbolica) dal pene al bambino: il complesso edipico culmina nel desiderio, coltivato da tempo, di ricevere dal padre un bambino in regalo, di generargli un figlio”85
. Nella situazione edipica femminile il padre è, al contempo, l‟oggetto d‟amore e il rappresentante sociale della legge del divieto dell‟incesto, ambivalenza che complica il raggiungimento di un‟effettiva fine dei legami edipici: Freud ritiene che l‟esperienza del complesso edipico, non risolvendosi completamente, continua ad esercitare una certa influenza, preparando il successivo sviluppo sessuale femminile, poiché anche in seguito la donna rimarrà dipendente dall‟autorità e potrà trovare appagamento solo nella maternità futura. Il fondatore della psicoanalisi non manca di riconoscere la presenza di lacune ed incertezze nella spiegazione dello sviluppo femminile, la cui
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S. Freud, “Il tramonto del complesso edipico”, in Opere 1924-1929, vol. X, Boringhieri,, Torino, 1990, pp 32-33.
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evoluzione rimane una sorta di enigma nella sua prospettiva teorica. A proposito delle mancanze di Freud nella spiegazione dello sviluppo del complesso edipico e della sessualità femminili, Vegetti Finzi nota:
Il modello esplicativo freudiano esprime efficacemente la coincidenza di due processi: la produzione biologica e la riproduzione sociale; tutto accade in modo da salvaguardare il sistema di rapporti di potere esemplificato dall‟Edipo.
All‟esterno di questo microcongegno, sembra avvertire Freud, vi è per la donna solo la mascolinità e la nevrosi. Ciò che Freud misconosce è l‟incidenza delle determinazioni sociali e la violenza che esse operano sulle potenzialità libidiche femminili.86
In ogni caso, il complesso di Edipo riveste un ruolo rilevante nella teoria psicoanalitica, poiché è considerato un processo fondamentale nella preparazione delle future scelte oggettuali – la scelta dell‟oggetto d‟amore che si risveglia nella pubertà resta influenzata dagli investimenti infantili e dai processi di identificazione connessi al complesso edipico – e nella strutturazione della personalità, in particolare del Super-io e dell‟ideale dell‟Io.
Bettelheim, nel paragrafo intitolato Conflitti edipici e risoluzioni. Il cavaliere
dalla splendente armatura e la damigella in pericolo, nota come nelle fiabe venga
presentato il travaglio della situazione edipica e ne venga illustrata la risoluzione. Le fiabe che si rivolgono ai conflitti del bambino di sesso maschile seguono solitamente una trama secondo cui l‟eroe, un giovane inesperto e sottovalutato da tutti, intraprende avventure che lo conducono dinnanzi a enigmi da risolvere, prove da superare e creature mostruose da vincere in modo da poter liberare la bella principessa con la quale si sposerà. Narrazioni di questo tipo, secondo Bettelheim, riscuotono facilmente l‟identificazione del bambino con il
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protagonista, poiché egli stesso desidera le esclusive attenzioni della madre ed avverte la presenza del padre come un impedimento al proprio obiettivo (e proprio perché si sente da lui minacciato lo proietta nel ruolo del mostro ostile). L‟identificazione è favorita, inoltre, dal potersi rispecchiare nell‟innocenza ed ingenuità del protagonista, caratteristiche che il bambino stesso riconosce come proprie. In questo modo, identificandosi con l‟eroe, il bambino può rivestirne i panni e vivere le sue avventure vittoriose senza sentirsi in colpa per i sentimenti negativi rivolti al padre e senza provare ansia per le conseguenze disastrose che deriverebbero da uno smascheramento delle proprie intenzioni da parte di costui87. Secondo Bettelheim, lo svolgimento di tali fiabe suggerisce sia che l‟impedimento rispetto al raggiungimento del proprio obiettivo non è costituito dal padre, bensì da una creatura malvagia, sia che la provenienza delle tanto desiderate attenzioni non deriva dalla madre, ma riguarda una figura femminile meravigliosa, ancora sconosciuta, ma che certamente il bambino potrà incontrare in futuro e liberare dalla prigionia, ostacolo alla loro unione. Una volta compiuta l‟impresa, il racconto volge verso la sua chiusura, nella formula del lieto fine: non vengono forniti dettagli sulla prosecuzione della vita coniugale, ci viene solo detto che l‟eroe e la principessa vivono per sempre felici e contenti. Ciò si accorda alla prospettiva del bambino durante la situazione edipica, come nota Bettelheim:
Un bambino non può e non vuole immaginare ciò che in realtà la condizione di marito e di padre comporta. Ciò implicherebbe, per esempio, che egli dovrebbe lasciare la madre per la maggior parte del giorno per andare a lavoro: invece la fantasia edipica è una situazione dove il ragazzo e la madre non si separano mai per un solo momento. Il bambino certamente non vuole che la madre
87 Bettelheim nota: “Il bambino vuole che sua madre ammiri lui come il più grande degli eroi; ciò significa
che in qualche modo deve togliere di mezzo il padre. Quest‟idea, però, ingenera ansia nel bambino, perché cosa sarebbe della famiglia senza il padre che se ne prendesse cura? E cosa succederebbe se il padre scoprisse che il ragazzino voleva che lui si togliesse di torno… non potrebbe prendersi una tremenda vendetta?” (B. Bettelheim, Il mondo incantato, cit., p 110).
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sia indaffarata con le faccende domestiche, o accudisca ad altri bambini. Non vuole neppure avere rapporti sessuali con lei, poiché il sesso è ancora un campo pieno di conflitto per lui, ammesso che ne abbia una qualche consapevolezza. Come nella maggior parte delle fiabe, l‟ideale del bambino di sesso maschile si compendia nel fatto che lui e la sua principessa (la madre), soddisfatti tutti i loro bisogni e desideri, vivano assieme per sempre, votati l‟uno all‟altra.88
Bettelheim prende in considerazione anche le fiabe che presentano soluzioni del complesso edipico femminile, il quale si sviluppa attorno al problematico riconoscimento della madre come figura di ostacolo nella possibilità di conquistare le esclusive attenzioni del padre. L‟individuazione della propria rivale nella figura materna si scontra con il parallelo desiderio di continuare ad essere da lei accudita amorevolmente: la madre viene così distinta in due figure opposte – mediante il meccanismo della scissione, di cui si è già accennato e che verrà approfondito successivamente – che nella fiaba vengono rappresentate attraverso i personaggi della matrigna cattiva e di una donna benevola. Generalmente, quest‟ultima figura è radicata nel passato della protagonista e ricordata con affetto (come la defunta madre naturale che troviamo, ad esempio, in Cenerentola) – rimanendo sullo sfondo della fiaba – oppure una fata madrina che accorre nel momento del bisogno; invece, la matrigna è colei che agisce egoisticamente e costringe nella segregazione la giovane figliastra, con la quale la bambina può identificarsi. Bettelheim sostiene, infatti:
Una bambina ama vedersi come una giovane e bellissima fanciulla – una principessa o qualcosa del genere – che è tenuta prigioniera dall‟egoistica, malvagia figura femminile e quindi non è accessibile per l‟amante maschio. Il vero padre della principessa prigioniera è presentato come benevolo, ma nell‟impossibilità di accorrere in salvo della sua adorabile fanciulla. In Rapunzel è un voto a legargli le mani. In Cenerentola e in Biancaneve egli appare incapace di tener testa alla potentissima matrigna.89 88 Ivi, p 111. 89 Ibidem.
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Nelle fiabe che inscenano la conflittualità edipica della bambina il motivo dell‟impedimento alla realizzazione della felice unione con il padre è costituito dalla gelosia della matrigna, che scaturisce dalla consapevolezza della maggiore apprezzabilità della giovane. La figura della matrigna corrisponde alla madre ostile del periodo edipico, in contrapposizione a quella benevola pre-edipica, delle cui amorevoli cure la bambina sente di non poter fare a meno. Questa scissione è raramente applicata alla figura paterna, anche nelle fiabe: questo viene spiegato da Bettelheim attraverso la constatazione che il bambino può sentirsi meno dipendente dal padre, il quale si dedica meno intensamente al figlio di quanto faccia la madre, primo oggetto di amore per il neonato di entrambi i sessi. Nelle fiabe, dunque, la sostituzione di un malefico patrigno rispetto all‟originario padre buono non è usuale quanto, invece, la trasposizione del padre ostile in una figura malvagia estranea alla cerchia familiare.
Bettelheim sottolinea che attraverso le fiabe i bambini possono vivere il complesso edipico assaporando il meglio di due mondi, reale e fantastico, ossia godendo delle soddisfazioni edipiche a livello immaginario e non rinunciando al mantenimento di buoni rapporti con i genitori nella quotidianità. Sul piano fantastico, l‟ostilità edipica verso il genitore dello stesso sesso è vissuta nel caso maschile attraverso la proiezione del padre in un mostro e in quello femminile mediante la scissione della madre in figura benevola (fata) e maligna (strega/matrigna). Bettelheim scrive in merito:
Per il bimbo edipico, se la madre lo delude, in un angolo della sua mente c‟è la principessa della fiaba: quella meravigliosa donna del futuro che lo ricompenserà per tutte le sue attuali privazioni, e il cui pensiero gliele rende molto più tollerabili. Se il padre non circonda la figlioletta di tutte le attenzioni che essa desidera, la bambina può sopportare quest‟avversità perché arriverà un principe
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che la preferirà a tutte le rivali. Dato che tutto questo avviene in un paese immaginario, il bambino non è costretto a sentirsi in colpa o ansioso per aver posto il padre nel ruolo di drago o di un malvagio gigante, o la madre nel ruolo di una miserabile matrigna o di una strega. La bambina può amare ancora meglio il vero padre in quanto il suo risentimento per il fatto che egli non la preferisce a sua madre è spiegato dalla sua lamentevole inettitudine (che riscontriamo nei padri delle fiabe), per la quale nessuno può biasimarlo poiché è dovuta a potenze superiori; inoltre, essa non le impedirà di avere il suo principe. Una ragazza può amare ancora di più sua madre perché dirige tutta la sua collera verso la madre-rivale, che riceve quanto si merita: così come la matrigna di Biancaneve è costretta a mettersi “le scarpe arroventate e a ballare fino a cascare morta”. E Biancaneve – e con lei la bambina – non deve sentirsi in colpa perché il suo amore per la sua vera madre (che precedette la matrigna) non è mai venuto meno. Il ragazzino può amare il suo vero padre ancora di più dopo essersi scaricato di tutta la collera che prova per lui attraverso una fantasia in cui distrugge il drago o il gigante cattivo.90
In questi modi, i bambini possono proiettare l‟angoscia connessa al complesso edipico sul piano della fantasia fiabesca e così facendo vengono indirizzati ad estendere il proprio sguardo al di fuori della cerchia familiare: le fiabe, per l‟appunto, suggeriscono che la risoluzione del conflitto edipico si colloca all‟esterno delle pareti domestiche, nell‟incontro futuro con una principessa o un principe, sostituti simbolici di persone che sapranno ricambiare adeguatamente le attenzioni del soggetto e riconoscerne il valore. Iniziando a volgere i propri interessi alla vastità del mondo, nota Bettelheim, si compiono i primi passi in direzione dello sviluppo della personalità.
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