Capitolo 2. Il mondo incantato di Bruno Bettelheim: il contributo delle fiabe all’infanzia
2.6 Fantasia, recupero, fuga e consolazione a fondamento della fiaba
Nel capitolo Fantasia, recupero, fuga e consolazione, Bettelheim si richiama a quelle qualità che il linguista e romanziere J.R.R Tolkien considera essenziali nella letteratura fiabesca: “Tolkien descrive i fattori che sono necessari in una buona fiaba coi termini di fantasia, recupero, fuga e consolazione: recupero dalla profonda disperazione, fuga da qualche grave pericolo, ma, soprattutto consolazione”100 . 98 Ibidem. 99 Ibidem. 100
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Nel saggio On fairy stories (Sulle fiabe) pubblicato nel 1947, Tolkien riconosce il rilievo della fantasia, la quale agisce come una sorta di incantesimo capace di far sperimentare un mondo immaginario: questa è l‟aspirazione creativa con cui viene arricchita la realtà stessa, senza confliggere con la razionalità. Egli sostiene che la letteratura fantastica costituisca la più elevata forma artistica, in quanto è in grado di avvicinarsi alla magia, con la sola differenza che mentre quest‟ultima è una tecnica che aspira al dominio del reale, alla base dei racconti fantastici non vi è un‟aspirazione al potere, bensì il desiderio della creazione.
Le vicende delle fiabe si sviluppano in cornici fantastiche, costruite però attorno agli elementi del mondo reale: in tale modo cose conosciute e familiari vengono presentate attraverso nuove prospettive, grazie alle quali possiamo renderci conto dell‟incompletezza di certe nostre conoscenze o dell‟aver dato per scontato qualcosa. Questo è il ristoro, suscitato da una fresca visione su elementi conosciuti, che, secondo Tolkien, tali narrazioni possono offrire e che egli sostiene di aver sperimentato personalmente: “È stato nelle fiabe che, per la prima volta, ho scoperto la potenza delle parole e la meraviglia di cose come la pietra, il legno, il ferro, la casa e il fuoco, il pane e il vino”101
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Per Tolkien, le fiabe offrono anche un‟esperienza di evasione, in molti sensi. Può trattarsi di una fuga dal mondo industrializzato, ottenuta tramite il ricorso ad elementi di una dimensione arcaica (draghi, cavalli, castelli, navi, orchi, frecce, re, elfi…), oppure di evasione da situazioni di privazione (fame, sete, povertà, ingiustizia, sofferenza…) o dalle limitazioni alle capacità umane, contrastate con la rappresentazione narrativa di ambizioni e desideri fantastici (come esplorare gli abissi o comunicare con altre creature), sino ad evadere persino la morte.
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Infine, Tolkien individua come carattere fondamentale delle fiabe la garanzia della
consolazione, resa tramite il lieto fine:
La caratteristica della buona fiaba, del tipo elevato ovvero completo, è che, per quanto terribili siano gli avvenimenti, per quanto fantastiche e spaventose le avventure , essa è in grado di provocare nel bambino o nell‟adulto che l‟ascolta, nel momento in cui si verifica il “capovolgimento”, un‟interruzione del respiro, un sobbalzo del cuore, di portarlo vicino al pianto o addirittura di indurlo effettivamente a piangere.102
Quest‟ultimo passo tratto da Sulle fiabe viene citato dallo stesso Bettelheim, il quale sottolinea l‟importanza della presenza del lieto fine nella fiaba come incoraggiamento per il bambino. Lo psicoanalista scrive a tale riguardo:
Nella fiaba tradizionale, l‟eroe viene premiato e la persona cattiva incontra il meritato destino, soddisfacendo in tal modo il profondo bisogno che il bambino ha del trionfo della giustizia. Altrimenti come potrebbe un bambino sperare che gli venga resa giustizia, lui che così spesso si sente trattato ingiustamente? E come altrimenti potrebbe convincersi che deve agire correttamente, quando è così dolorosamente tentato di cedere agli stimoli asociali dei suoi desideri?103
Bettelheim sottolinea che i bambini possono sentirsi rassicurati dalle fiabe poiché in esse si assiste alla vittoria della giustizia: la consolazione richiede che venga ristabilito il giusto ordine, così che nell‟esistenza dell‟eroe il male possa essere dissolto e possa subentrare la felicità. Questo implica, per l‟appunto, che i malvagi debbano essere sottoposti ad una punizione adeguata alle loro cattive azioni. Alle quattro caratteristiche fiabesche sottolineate da Tolkien, Bettelheim aggiunge la presenza della minaccia, relativa sia all‟esistenza fisica che morale del protagonista, precisando che nelle fiabe l‟essere minacciato equivale ad un destino inevitabile, di cui non vengono indagate le ragioni sottostanti. Nell‟esposizione ai
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Ivi, p 92.
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pericoli dell‟eroe fiabesco lo psicoanalista riconosce il modo in cui il bambino recepisce la propria condizione, in quei momenti nei quali viene rimproverato dal genitore: egli percepisce l‟improvviso cambiamento nell‟atteggiamento della figura genitoriale, che da amorevole diviene minaccioso, come un fatto inspiegabile, qualcosa che accade senza una causa ragionevole. A quel punto, il mondo sicuro in cui il bambino si sentiva protetto viene visto come una rete fitta di pericoli e minacce, fra cui la possibilità dell‟abbandono, una delle maggiori paure umane che, come Bettelheim ricorda, rientra nel concetto psicoanalitico dell‟angoscia di separazione104
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Nonostante l‟inevitabilità di un destino minaccioso, le avventure dell‟eroe si risolvono sempre in una maniera positiva, dalla quale il bambino può trarre la fiducia per affrontare la propria situazione e la rassicurazione di poter superare tutti i pericoli che teme di incontrare. Bettelheim scrive, infatti:
La consolazione è il massimo servigio che la fiaba possa rendere a un bambino: la fiducia che, nonostante tutte le tribolazioni che deve patire (come la minaccia di essere abbandonato dai genitori in Hansel e Gretel, la gelosia da parte dei genitori in Biancaneve e la gelosia fraterna in
Cenerentola, la collera divorante del gigante in Jack e il fagiolo magico, la cattiveria di potenze
malefiche nella Bella addormentata nel bosco), non solo egli riuscirà ma inoltre le forze del male verranno tolte di mezzo e non minacceranno più la pace della sua mente.105
Bettelheim sostiene che le potenzialità attribuite alle fiabe, inerenti l‟aiutare e il consolare il bambino, possono dispiegarsi al meglio se tali racconti vengono narrati dai genitori, piuttosto che letti, ossia quando entrambe le figure vivono
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L‟angoscia di separazione è concettualizzata dallo psicoanalista Otto Rank (1884-1939) e connessa alla ripetizione dell‟esperienza traumatica della nascita: secondo lui, nel processo natale si esperisce la rottura dell‟iniziale unità e l‟esposizione alla precarietà della vita individuale, con l‟incertezza del soddisfacimento dei bisogni (prima soddisfatti dalla madre); tale rottura sarebbe vissuta come un trauma, sul modello del quale vengono determinate tutte le successive reazioni di angoscia del soggetto dinnanzi a nuove situazioni di separazione.
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un‟esperienza interpersonale di godimento e condivisione nella quale partecipano alla pari. Secondo Bettelheim, il genitore dovrebbe sentirsi attivamente coinvolto nella narrazione della fiaba, scegliere le storie maggiormente adatte alla fase evolutiva del bambino, senza mai spiegarne i significati intrinsechi, e trovare soddisfazione nelle intuizioni che il figlioletto potrà ricavare circa se stesso e il mondo. Se il genitore racconta le fiabe con una partecipazione emotiva – lasciando emergere i sentimenti evocati sia dal ricordo del significato che quei racconti avevano assunto nella propria infanzia, sia quelli suscitati dalla comprensione presente dei significati – il bambino, che da tali storie viene illuminato circa i suoi stessi processi interiori, troverà gratificazione nell‟ascolto, poiché in esso vi è la conferma che il genitore stesso approva e favorisce la sua vita fantastica: “il bambino, mentre ascolta, si sente compreso nei suoi più delicati sentimenti, nei suoi più ardenti desideri, nelle sue più gravi ansie e angosce, nonché nelle sue più fervide speranze”106
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Bettelheim sottolinea che la narrazione delle fiabe non dovrebbe essere svolta in primis nell‟ottica di finalità didattiche: egli sostiene che, trattandosi di opere d‟arte, il principale scopo connesso al loro racconto dovrebbe essere il godimento artistico. Lo psicoanalista precisa che se il bambino può trovare nelle fiabe un orientamento sulle modalità con cui affrontare e risolvere problemi che lo preoccupano e un aiuto a capire meglio se stesso, questo può verificarsi nelle circostanze favorevoli sopra descritte, ma non rientrava negli intenti coscienti di coloro che le hanno inventate e tramandate per secoli. La finalità principale delle fiabe sta nel diletto dell‟esplorazione fantastica che arricchisce il bambino, portandolo a contatto con la dimensione del proprio inconscio, e che quindi non si
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limita a favorire un apprendimento cosciente. Questa è la metafora con cui Bettelheim chiarifica tale concetto:
Ascoltare una fiaba e recepire le immagini che essa presenta può essere paragonato a uno spargimento di semi, che solo in parte germogliano nella mente del bambino. Alcuni di essi hanno immediatamente effetto nella sua mente; altri stimolano processi nel suo inconscio. Altri ancora hanno bisogno di riposare a lungo fino a che la mente del bambino abbia raggiunto uno stadio idoneo alla loro germinazione, e molti non metteranno mai radici. Ma quei semi che sono caduti sul terreno adatto produrranno fiori meravigliosi e alberi gagliardi – cioè daranno validità a importanti sentimenti, incoraggeranno intuizioni, nutriranno speranze, ridurranno ansie – e così facendo arricchiranno la vita del bambino nel presente e per il resto della sua vita. Raccontare una fiaba con uno scopo particolare diverso da quello di arricchire l‟esperienza del bambino trasforma la fiaba in una storia con un monito, una favola, o un‟altra esperienza didattica che tutt‟al più parla alla mente conscia del bambino, mentre quello di raggiungere anche l‟inconscio in modo diretto è uno dei massimi meriti di questa letteratura.107
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