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Le strategie di internazionalizzazione nel mercato delle macchine da caffè: il caso della Marzocco Srl.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

D

IPARTIMENTO DI

E

CONOMIA E MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN STRATEGIA, MANAGEMENT E CONTROLLO

LE STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE NEL

MERCATO DELLE MACCHINE DA CAFFE’:

IL CASO DELLA MARZOCCO SRL

Relatore: Prof.ssa Talarico Lucia

Candidato: Rosadini Enrico

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INDICE

INTRODUZIONE pag. 4

1. IL CAFFE’: LE ORIGINI pag. 6

1.1. Il viaggio del caffè e l’invenzione dell’espresso pag. 9

1.2. Origine e storia di una parola pag. 14

2. L’EVOLUZIONE DEL BAR IN ITALIA pag. 16

2.1. Come cambia il caffè in Italia pag. 18

2.1.1. Caffè storici a Firenze pag. 20

2.1.2. Caffè storici in Veneto pag. 21

3. IL SETTORE DEL CAFFE’: L’ANAISI DEL MERCATO

GLOBALE ED IL CASO ITALIANO pag. 23

3.1. Analisi del mercato globale del caffè: i grandi leader globali pag. 23

3.1.1. Il modello microeconomico pag. 27

3.1.2. Fusioni ed acquisizioni recenti pag. 30

3.2. Analisi del mercato italiano pag. 32

3.2.1. Distribuzione dimensionale delle imprese pag. 33

4. LA MARZOCCO pag. 35

4.1. La storia pag. 35

4.2. L’importanza della scelta del logo pag. 40

4.2.1. La scelta della Marzocco e la sua filosofia pag. 41

4.2.2. Logo e prodotto pag. 46

4.2.3. La nascita del logo “Leva” pag. 47

4.3. L’evoluzione della macchina da caffè “uso bar” pag. 48

4.4. Un curioso episodio pag. 52

4.5. I venti di cambiamento pag. 53

4.6. La macchina ad erogazione continua pag. 56

4.7. Le industrie di piccole e grandi dimensioni pag. 58

5. L’ISPIRAZIONE RACCONTATA DA PIERO BAMBI pag. 61

6. LA MISSION, LA FILOSOFIA DEI VERI ARTIGIANI pag. 64

ED IL FUTURO

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6.2. La filosofia dei veri artigiani pag. 65

6.3. Nuove idee pag. 68

6.4. Out of the box pag. 74

6.5. Il futuro pag. 75

7. UN PROGETTO SOSTENIBILE: SONGWA ESTATES pag. 77

7.1. I soci pag. 78

7.2. Why Songwa? pag. 79

7.3. La piantagione pag. 80

7.4. La mission pag. 82

8. IL MARKETING CHE SI EVOLVE:

DALL’ORIENTAMENTO ALLA PRODUZIONE AL

CUSTOMER RELATIONSHIONSHIP MANAGEMENT pag. 84

8.1. La relazione con il consumatore pag. 86

8.2. Come internet ha cambiato la fidelizzazione pag. 88

8.3. Cos’è lo storytelling pag. 89

9. IL CONCETTO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE E LA STRATEGIA ADOTTATA DALLA MARZOCCO

RISPETTO AI CONCORRENTI pag. 91

9.1. Dall’idea al progetto di internazionalizzazione pag. 93

9.2. Modalità di approccio pag. 100

9.3. La strategia di internazionalizzazione della Marzocco pag. 105

9.3.1. L’apertura delle branches pag. 108

9.3.2. Sales Analysis: branches vs distributors ed impatto pag. 112 sul fatturato globale

10. ANALISI DI BILANCIO MARZOCCO SRL: RICLASSIFICAZIONE STATO PATRIMONIALE E

CONTO ECONOMICO, CALCOLO INDICI E MARGINI pag. 118

10.1. Stato patrimoniale a fonti – impieghi e conto economico pag. 141 a costo del venduto: calcolo indici e margini

CONCLUSIONI pag. 149

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INTRODUZIONE

Alla base di questo studio vi è l’analisi del mercato del caffè e della sua evoluzione, soffermando l’attenzione sul territorio italiano ed in particolare esaminando il caso della Marzocco Srl, cercando di capire la sua strategia di internazionalizzazione. Le motivazioni che mi hanno portato ad approfondire tale tema sono molteplici. L’interesse nei confronti di questa azienda è stato influenzato e sicuramente incentivato dall’esperienza lavorativa che sto effettuando, che mi ha permesso e mi sta permettendo di entrare in contatto con tematiche e conoscenze fino ad ora non apprese. Dopo essermi documentato sulle origini del caffè e sull’analisi del settore, la sezione del caso La Marzocco è stata effettuata tutta ed internamente grazie a materiale interno ed alla disponibilità da parte dei colleghi di raccontarmi le vicende aziendali che hanno permesso all’impresa di essere un leader nel suo settore.

L’elaborato, in questo modo, mira a proporre delle nuovi chiavi di lettura di un tema ad oggi poco conosciuto e soprattutto di come all’interno di questo settore si possano adottare differenti strategie per competere e soprattutto per poter espandersi sempre di più.

La tesi è articolata in dieci capitoli: nel primo capitolo viene fornita un’introduzione al caffè, evidenziato non solo le sue origini ma anche i vari significati che può assumere la parola stessa. Nel secondo capitolo ci si occupa dell’evoluzione del bar in Italia, cercando di mettere in luce i due territori più importanti per il suo sviluppo: la Toscana ed il Veneto. Il terzo capitolo si concentra sull’analisi del settore del caffè, concentrando la sua attenzione non solo sul mercato globale ma anche su quello italiano. Nel primo caso vengono evidenziati i maggiori leader del settore, mentre nel secondo si cerca di focalizzarsi sulla distribuzione dimensionale delle aziende e sulla differenza di fatturato di queste ultime.

Nel quarto capitolo parliamo della Marzocco a 360°, cercando di sottolineare tutti i vari aspetti distintivi che la rendono unica, partendo dalla sua storia. Cerchiamo anche di evidenziare attraverso le testimonianze del presidente onorario, nonché figlio del fondatore storico, lo studio che c’è dietro ogni macchina e di come questa venga curata in ogni minimo particolare.

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Nel capitolo cinque continuiamo a parlare di quanto accennato nel precedente capitolo, trattando in particolare di un curioso caso raccontato da Piero Bambi. All’interno del capitolo sei troviamo non solo la mission ma anche la filosofia che contraddistingue questa azienda, una filosofia legata ancora alla sua identità di azienda artigiana. Sempre all’interno proviamo a mettere in risalto le idee per uno sviluppo sempre costante, cercando di tracciarne un suo possibile futuro.

Nel capitolo sette ci occupiamo del caso Songwa, mettendo in luce l’impegno di questa azienda di cercare di migliorare le condizioni di vita non solo di chi è coinvolto nella lavorazione del caffè ma di tutta la comunità che vive nei pressi della piantagione. L’ottavo capitolo mette il luce, brevemente, l’evoluzione della strategia di marketing dell’impresa, passando da un orientamento alla produzione ad una ricerca sempre costante della fidelizzazione della clientela.

Il nono ed il decimo capitolo sono essenzialmente la parte più importante della tesi, dove viene trattato il tema della internazionalizzazione in generale, cercando di andare successivamente nel dettaglio evidenziando la strategia adottata dalla Marzocco e di come questa abbia avuto dei riflessi all’interno della crescita non solo del fatturato e del business ma anche dell’impresa stessa. Questo ultimo argomento viene esaminato attraverso una riclassificazione del bilancio ed una analisi per indici, cercando di mettere in evidenzia i risultati ottenuti dall’azienda confrontando un arco temporale di quattro anni.

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1. IL CAFFE’: LE ORIGINI

La storia del caffè ha inizio con le leggende sulla sua scoperta come alimento. Si racconta di pastori abissini che, seguendo l’esperio delle loro capre che si nutrivano dei semi di alcune piante traendone una certa euforia, si misero a masticarne i frutti simili a ciliegie o a cucinare e affumicare quei semi.1

Ogni volta che beviamo una tazza di caffè, prediamo parte a uno dei più grandi misteri della storia della cultura. L’origine del caffè, da sempre amato dagli uomini per i suoi aromi e, soprattutto, per le sue proprietà stimolanti, è avvolta dal mistero e si perde nella notte dei tempi, in un lontano passato, dove storia e leggenda si confondono in un fumo denso come quello dei chicchi appena tostati. Una nebbia profumata da cui emerge la figura di un giovane etiope intento a pascolare le sue capre.

La più antica leggenda sull’origine del caffè narra, infatti, di un pastore di nome Kaldi e del suo gregge che un bel giorno iniziò a correre di qua e di là dopo aver mangiato le foglie e le bacche di uno “strano” arbusto. Dopo aver riunito con qualche fatica le capre e averle riportate all’ovile, Kaldi provò a mangiare le bacche di quell’arbusto, la cui polpa era sottile e i semi piuttosto duri e poco dolci, ma ne sputò l’impasto. Non trovando soddisfazione nel mangiare le bacche crude, prese i semi e li gettò nel fuoco, accorgendosi dopo poco che si stavano cuocendo, mentre dalla brace si sprigionava un odore gradevolissimo di tostato. Mise allora le bacche in una pentola, cucinandole fino a che non si sprigionò un fumo gradevole, macinò i semi in un mortaio e li fece bollire in acqua calda. Fu così che Kaldi preparò, per la prima volta nella storia, una bevanda a base di caffè gustandola con soddisfazione: il suo palato e il suo naso furono travolti da una miriade di gradevoli note aromatiche e l’effetto sul suo fisico fu straordinario, si sentì rinvigorito e di buon umore.

In un altro continente, dall’altra parte del mondo, si racconta un’altra leggenda su come l’uomo abbia scoperto il caffè e di come poi sia stato portato in Etiopia, terra natale del caffè Arabica. In Honduras, nei villaggi di montagna dove si coltiva il

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caffè, gli anziani raccontano ai ragazzi di come una volta lì c’erano greggi che pascolavano attorno alle piantagioni di caffè, brucando le foglie e i frutti della pianta. Le pecore erano sempre sveglie e vivaci, producevano tanto latte e nel loro intestino i semi di caffè si conservavano ancora germinanti. All’epoca i continenti erano ancora un tutt’uno e dall’odierna Africa arrivarono felini affamati, probabilmente leoni, in fuga da un lungo periodo di siccità che aveva ridotto il loro habitat a un deserto sterile. I felini trovarono piuttosto appetitose le pecore honduregne, tanto da farne il loro pasto più importante, e una volta sazi tornarono indietro, portando con sé anche i semi di caffè di cui si nutrivano gli ovini. Fu così che il caffè conquistò un nuovo continente, trovando negli altopiani etiopi un habitat ideale in cui svilupparsi e crescere, dando vita alle numerose specie di caffè Arabica che ancora oggi lì prosperano spontaneamente, mentre in Honduras un periodo piuttosto freddo distrusse gli arbusti di caffè da cui tutto aveva avuto origine.

Un’altra leggenda, di stampo religioso, racconta invece di come Maometto, impegnato nelle sue lunghe preghiere, stava per essere sopraffatto dal sonno quando gli apparve l’arcangelo Gabriele che gli portò del caffè con il quale il profeta preparò immediatamente una bevanda tonificante. Maometto ne fu talmente rinvigorito che, finite le operazioni e le preghiere, uscì dall’accampamento e fu in grado di disarcionare più di quaranta uomini e di rendere felici più di quaranta donne.

Tutte queste leggende ci raccontano di come le origini del caffè si perdano nella notte dei tempi e di come questo, grazie alle sue proprietà stimolanti, abbia accompagnato lo sviluppo delle società attorno al corno d’Africa. Il caffè ha, infatti, permesso a queste popolazioni di svilupparsi e prosperare economicamente creando un vivido e proficuo commercio incentrato sui semi di questa pianta prodigiosa. I popoli arabi sono stati quindi i primi a sfruttare le proprietà stimolanti della caffeina esportandole, nel corso dei secoli successivi, nel vicino continente europeo.

Uno dei racconti più interessanti sull’introduzione del caffè in Europa è quello riguardante l’assedio dei Turchi alla città di Vienna nell’anno 1683. L’esercito dell’Impero Ottomano, composto da 140000 soldati, rimase accampato per diversi

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mesi alle porte della città nel tentativo di espugnarla. Lo sforzo si concluse con un fallimento che, tra l’11 e il 12 settembre di quell’anno, sancì la vittoria dell’esercito polacco-austro-tedesco, grazie anche all’aiuto di una spia di origine turca, Franciszek Jerzy Kulczycki. Dopo la battaglia, Kulczycki riuscì ad accaparrarsi le scorte di caffè che l’esercito ottomano aveva lasciato negli accampamenti durante la ritirata e con queste aprì la prima caffetteria nella città austriaca. Il gusto amaro del caffè, preparato con chicchi tostati scuri e fatti bollire, in realtà non piacque ai palati fini degli austriaci e fu così che Jerzy pensò di addolcirne il sapore aggiungendo latte e miele: è la versione più antica dell’odierno cappuccino, la prima volta che si aggiunge latte al caffè, ancora oggi, fra tutte le bevande a base di espresso, la più consumata e richiesta al mondo. La battaglia alle porte di Vienna non portò solamente all’apertura della prima caffetteria e alla nascita della ricetta di una bevanda a base di caffè e latte (a Vienna si beve ancora oggi un “cappuccino alla viennese”, ricetta molto cara agli abitanti della capitale austriaca, preparata con caffè espresso, latte caldo schiumato, un ciuffo di panna e una spolverata di cacao in polvere; una vera delizia soprattutto nelle gelide giornate dell’inverno continentale), ma fu anche l’occasione per i pasticceri viennesi di celebrare la vittoria sull’Impero Ottomano con un dolce di pasta frolla a forma di mezzaluna, la stessa che si trova sulla bandiera turca, il Kipferl, antenato del nostro cornetto, che deriva però più direttamente dal croissant, nato in Francia con la diffusione della pasticceria viennese, il cui nome risale al XIX secolo. Possiamo far quindi risalire la colazione tipica italiana, cappuccino e cornetto, a uno degli eventi più importanti della storia europea, la sconfitta dell’Impero Ottomano alle porte di Vienna.

Ma cosa succede con l’arrivo del caffè in Europa? Come oggi, ma forse ancora di più in epoca antica, l’Europa era annebbiata dal consumo abbondante di birra e vino, da secoli alla base della dieta mediterranea e continentale, bevande alcoliche che fanno calare l’attenzione, diminuire le capacità intellettive e prevalere la sonnolenza. Il caffè, invece, dissetava in modo salubre, senza effetti collaterali, essendo semplicemente un infuso di polvere e acqua; grazie al suo contenuto di caffeina, sostanza eccitante del sistema nervoso che sveglia e migliora i riflessi, contribuì alla trasformazione della società europea in senso moderno. Dinamico ed

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energetico il caffè divenne presto il simbolo della borghesia attiva, accompagnando lo sviluppo di tutte le forme artistiche conosciute, dalla poesia alla pittura, dalla composizione classica alla letteratura. Il caso forse più conosciuto è quello di Johann Sebastian Bach, al quale piaceva così tanto il caffè e ne faceva così tanto uso, che compose un’opera chiamata “La cantata del caffè” nel 1732.

Il caffè può essere quindi considerato il motore che ha contribuito allo sviluppo dell’uomo europeo, facilitando lo sviluppo e l’ingegno tecnologico che ci contraddistingue. In epoca moderna le caffetterie sono state luoghi di ritrovo di poeti, scrittori, pittori, politici, personaggi di calibro internazionale che ne caffè hanno trovato non solo piacere sensoriale e sociale, ma anche uno stimolo per la mente e il buonumore.

1.1. Il viaggio del caffè e l’invenzione dell’espresso

La pianta di caffè e le caratteristiche salutari positive della caffeina vengono scoperte in epoca ancestrale nella regione del Corno d’Africa, in quella porzione di continente antistante l’odierno Yemen. Oggi in questi territori, corrispondenti all’Etiopia e in parte al Kenya, si produce uno dei caffè più buoni al mondo. La pianta del caffè appartiene alla famiglia delle Rubiacee, è un arbusto he gradisce altitudini elevate sul livello del mare e un ambiente di sottobosco all’ombra di alberi ad alto fusto che permettono di creare le condizioni climatiche perfette per la produzione di caffè di alta qualità.2

Una volta scoperta la possibilità di tostare i chicchi di caffè sul fuoco, l’uomo si rende conto che durante l processo di cottura avvengono una serie di reazioni chimiche che rendono il chicco di caffè particolarmente profumato e ricco di aromi. Il chicco di caffè dopo la tostatura diviene fragile e quindi facilmente frantumabile in un mortaio, facendo si che la polvere ottenuta sia utilizzabile in infusione in acqua calda. La caffeina contenuta nei chicchi tostati è facilmente solubile in acqua calda e quindi la bevanda preparata con il caffè permette all’uomo di consumare

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buone dosi di caffeina godendo degli aromi e dei gusti piacevoli che la bevanda regala al palato.

La storia del caffè vede preparare tazze di questa piacevole bevanda con l’utilizzo di acqua calda e polvere di caffè tostato, estratto in infusione, fino alla fine del XIX secolo. In Europa il caffè arriva nel XVII secolo in diverse città europee tra cui Vienna, Amburgo, Londra, Venezia. Si fa risalire l’arrivo del caffè a Vienna durante l’assedio alla città da parte dell’esercito turco. Una volta sconfitti, i turchi lasciano negli accampamenti allestiti al di fuori della città quantità di caffè verde che i soldati, una volta tostato su pentole posizionate sulla brace, triturati i chicchi, passata la polvere d’acqua e ottenuta una bevanda corroborante, erano già abituati a consumare. I viennesi ben presto ne scoprono le possibilità di utilizzo e da li a poco numerose caffetterie invadono la città. Ad Amburgo, nella seconda metà del ‘700, una prima caffetteria fa scoprire la bevanda al caffè al popolo tedesco che, ancora oggi, è un grande consumatore di birra.

La birra è sempre stata, per il continente europeo, una fonte importante di nutrimento, molto spesso utilizzata in cucina per preparare della tipica zuppa di birra che rappresentava uno dei principali piatti europei fin dal Medioevo. Oggi la Germania è il maggior importatore di caffè verde in Europa, uno dei più importanti al mondo. Come una volta, qui il caffè viene consumato e preparato con il metodo a filtro che permette di ottenere una bevanda diluita con acqua e di assumere una buona dose di caffeina. A Londra, è famosa la storia della prima caffetteria aperta da Edward Lloyd, che ben presto divenne ritrovo di armatori e di persone legate al mondo del commercio dei coloniali. La caffetteria Lloyd divenne così luogo dove si scambiavano notizie sui viaggi mercantili e sull’arrivo dei velieri delle colonie; parallelamente si iniziò a scommettere sull’arrivo delle navi e successivamente nacque il contratto di assicurazione. La prima caffetteria di Londra ben presto si trasformerà nel primo mercato assicurativo al mondo.

Attorno al 1715 il caffè arriva anche a Venezia, importato dai mercanti che commerciavano qualsiasi tipo di merce che arrivava dal mondo allora conosciuto. Sembra che Prospero Alpino, botanico e commerciante, abbia portato i primi sacchi di caffè verde a Venezia. Da lì l’apertura delle prime caffetterie tant’è che nei primi

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anni ’60 del 1700 si stima che in città ci fossero più di 200 locali che servivano ai ceti benestanti e aristocratici una bevanda preparata utilizzando un metodo a infusione.

Per la genesi del caffè espresso si deve attendere la fine del XIX secolo, quando in Italia si inventa una macchina per la preparazione di una bevanda a base di caffè che in un breve tempo è in grado di erogare al consumatore la quantità richiesta. Questa nuova invenzione spinge le aziende del Nord Italia a proporre sul mercato un nuovo e innovativo sistema di preparazione del caffè. L’italiana Bezzera nel 1920 propone in vendita la macchina a colonna modello “Moyen”, dotata di una caldaia a vapore in grado di erogare acqua calda ad alta temperatura e pressione, su uno strato di caffè tostato e macinato al fine di ottenere in pochi secondi una bevanda a base di caffè. In questo periodo, la bevanda offerta ai clienti dei numerosi bar ormai disseminati sulla penisola era ancora ben lontana dalla moderna versione di espresso che tutti noi oggi consumiamo, in quanto la pressione dell’acqua erogata dalle macchine a vapore a colonna di quel tempo era di poco superiore a un’atmosfera, il che non permetteva la formazione della crema.

Un’innovazione importante nella preparazione del caffè per uso domestico si deve a Bialetti che nel 1933 inventa il metodo di preparazione cosiddetto moka. Se vogliamo, la moka è una versione in piccolo della macchina a vapore per espresso; l’acqua nella caldaia, raggiunto il punto di ebollizione, entra in pressione e passa attraverso uno strato di caffè tostato e macinato contenuto in un filtro all’interno della macchia, erogando così la bevanda.

La moka si diffonde immediatamente in quasi tutte le case degli italiani grazie anche al fatto di essere praticamente economica e di facile utilizzo.

La storia dell’espresso si evolve grazie a successive invenzioni che in ordine cronologico vedono nel 1935 l’invenzione della macchina “Illetta” di Francesco Illy, che introduce nella macchina da caffè espresso l’aria compressa al fine di aumentare la pressione dell’acqua che passa attraverso il caffè macinato, permettendo una diversa estrazione dei composti chimici del caffè e una maggiore emulsione dei gas contenuti nella polvere, ottenendo in tazza una bevanda sovrastata da una schiuma che verrà chiamata crema. Nei primi anni ’40

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un’innovazione viene introdotta da Giovanni Achille Gaggia che applica una leva alla macchina per espresso, offrendo al mercato un nuovo sistema di estrazione che separa la produzione di pressione per l’acqua da quella della fronte di riscaldamento della stessa. Già nella macchina di Francesco Illy, oltre ad aumentare la pressione, viene diminuita la temperatura dell’acqua attorno ai 90° C il che permette, a differenza della macchina vapore, di ottenere una bevanda molto più equilibrata da un punto di vista gustativo, meno amara, meno astringente, più piacevole. La leva introdotta nei modelli di macchina dell’italiana Gaggia permette al barista di caricare una molla contenuta nel gruppo erogatore che, una volta rilasciata la leva, spinge un pistone che fornisce all’acqua una pressione ben oltre le 10 atmosfere, permettendo di estrarre dal caffè tostato e macinato una quantità enorme di composti chimici e di emulsionare in modo molto più efficiente i gas contenuti nella polvere, creando una schiuma compatta, spessa, persistente. Nasce la moderna versione del caffè espresso.

Una successiva invenzione, importante per il metodo espresso, avviene alla fine degli anni ’50 quando la ditta Faema produce la E61, un innovativo modello di macchina dove la leva viene sostituita da una pompa elettrica volumetrica. L’introduzione della pompa, con successiva denominazione “a erogazione continua”, consente di estrarre caffè espresso da più gruppi allo stesso momento, sfruttando la pressione dell’acqua continuamente prodotta. Il lavoro del barista viene semplificato da questa innovazione tecnologica e ciò permette di preparare centinaia di caffè in poco tempo e con poco sforzo fisico da parte del barista. Ancora oggi la moderna macchina da caffè espresso è l’evoluzione tecnica e tecnologica della Faema E61.

I successivi ‘anni 80 vedono la nascita delle super automatiche, macchine per espresso che, in modo completamente automatico, macinano, dosano, pressano la polvere di caffè nel filtro ed erogano la bevanda in tazza. La Elektra di Treviso è una delle aziende innovatrici in questo settore che annovera nel suo catalogo una delle prime macchine super automatiche inventate al mondo, ora esposta al museo aziendale.

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Successivamente, la sfida tecnologica dei costruttori di macchine per caffè espresso si gioca sull’altro importante parametro del caffè espresso, ovvero la temperatura dell’acqua.

La sfida tecnologica per un’elevata costanza termica e un basso consumo energetico viene vinta dalla Astoria, che introduce sul mercato il suo modello “Plus 4 You”, equipaggiando con una moderna tecnologia di controllo che permette al barista di regolare la temperatura desiderata per ogni singolo gruppo erogatore della macchina. Questa regolazione permette un’elevata personalizzazione di preparazione della bevanda espresso per il consumatore.

La storia del caffè espresso non è solamente un racconto dell’evoluzione tecnica e tecnologica della macchina espresso ma è anche la storia di come un metodo di preparazione si sia diffuso non solamente in Italia e in Europa ma in tutto il mondo. Oggi, in tutti paesi consumatori e produttori di caffè, il metodo espresso permette a milioni di persone di vivere un’esperienza sensoriale nel consumo di una bevanda a base di caffè estremamente ricca da un punto di vista di aromi volatili.

Il metodo espresso vede una notevole espansione e diffusione a livello mondiale anche grazie a un’azienda americana, Starbucks, la più importante catena di caffetterie al mondo. Il suo fondatore, dopo una visita in una caffetteria di Milano, dove beve e assiste al rituale tutto italiano del caffè consumato in piedi al banco, ne reinventa il servizio e apre i primi locali a Seattle. Il metodo espresso, abbinato a un’efficace azione di comunicazione, marketing e servizio al cliente, permette all’azienda americana di aprire nei decenni successivi migliaia di punti vendita, diventando la catena di caffetterie più importante al mondo.

Starbucks ha il merito di aver portato il caffè espresso in numerosi paesi disseminati nel mondo, facendolo divenire uno dei metodi di preparazione più conosciuti al pianeta.

In Italia il metodo espresso, che permette di consumare una bevanda di caffè più volte durante la giornata, ha favorito il diffondersi capillare di centinaia di piccole e medie torrefazioni che ancora oggi, nei mercati locali e rionali di tutta la penisola, offrono miscele di caffè studiate per l’espresso. L’Italia è infatti conosciuta a livello internazionale come la nazione con il maggior numero di torrefazioni che studiano e

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preparano miscele di caffè, con una tradizione che permette agli operatori italiani di esportare i loro prodotti in tutto il mondo.

Il metodo espresso non rappresenta solamente un moderno sistema di preparazione di una bevanda a base di caffè ma anche un segno dei tempi moderni. La civiltà umana si è modernizzata, i tempi della nostra vita sono diventati sempre più frenetici e l’espresso ha accompagnato la nostra civiltà in questo processo; ha accorciato il rituale di preparazione e consumo offrendo, in pochi secondi, quella stessa bevanda a base di caffè che richiede due ore di preparazione in Etiopia. Anche nella nostra società il caffè espresso è spesso la scusa per tessere relazioni sociali e affrontare discussioni di lavoro, rappresentando un rituale comune. La velocità con la quale il caffè espresso viene preparato e consumato è espressione di come la società di oggi opera, pensa e si evolve.

1.2. Origine e storia di una parola

Il nome scientifico coffea arabica, introdotto da Linneo del 1737 nella sua classificazione botanica, pur non rendendo conto dell’ormai assodata origine africana della pianta, ne indica correttamente l’etimologia araba. La parola deriva, infatti, dalla base araba qahwa (‘vino’, e poi per estensione ‘bevanda estratta da frutti’ e quindi anche quella ‘estratta da semi rosso scuro con effetti eccitanti’), ma arriva in Europa attraverso la mediazione del turco kahvè ‘bevanda tratta dai semi della coffea’, in seguito alla diffusione in Turchia e in Egitto della pianta, dei suoi semi e della bevanda che se ne ricava. In occidente la parola si trasmette proprio con la pronuncia turca kahvè e arriva alla forma moderna, nel toscano e quindi in italiano, stabilizzandosi nella seconda metà del Seicento.3 Come ipotizzato nel 1963 da Raymond Arveiller per il francese, deve essere stato fondamentale il Traitez nouveaux et curieux du café, du thé et du chocolate di Sylvestre Dufour (1671) in cu sono attestate, accanto a molte altre varianti prese dalle tantissime fonti raccolte dal Dufour, le forme Caphé e Caffè (in cui l’uso dell’iniziale maiuscola indica la provenienza straniera). Dufour inserisce il termine in questa grafia, molto

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probabilmente con l’intenzione di riprodurre la pronuncia affermatesi, almeno a Parigi, nel decennio tra il 1660 e il 1670 e per dimostrare che la forma del cafè è entrata in francese direttamente dal turco e non attraverso l’italiano.

Un’altra ipotesi, fondata invece sull’origine africana della pianta, fa diretto riferimento alla regione Kaffa, in cui era molto diffusa la pianta della coffea. Testimonianze documentarie e soprattutto il percorso che il caffè e i suoi usi hanno fatto per arrivare in Europa, tendono a confermare l’origine araba, con mediazione del turco, della parola.

Contrapposto al vino, proibito dalla religione islamica e con effetti negativi sulla concentrazione e la lucidità, il caffè divenne quasi un emblema dell’impero arabo. È anche per questo motivo che, al suo arrivo in Europa, fu accompagnato dall’appellativo di “vino dell’Islam”.

Si racconta che il suo uso presso le popolazioni islamiche fosse allora così smodato da produrre effetti pericolosi quanto quelli del vino. Solo successivamente, in Europa, si sarebbero scoperti gli effetti benefici del caffè proprio contro l’ubriachezza, ma questo non fu comunque sufficiente a tenere il caffè al riparo da censure e pregiudizi. Già nel mondo islamico, nel corso del XVI secolo, si era tentato senza successo di evitarlo. Al suo arrivo in Europa, all’inizio del Seicento, manifestazioni di particolare riprovazione si ebbero da parte dei cattolici che lo definirono “un’invenzione di Satana” e addirittura chiesero al Papa di bandirlo; Papa Clemente VII (tristemente famoso per aver mandato al rogo Giordano Bruno) assaggiò il caffè e ne restò talmente soddisfatto che decise di “battezzarlo”, sancendone così la piena legittimità anche nel mondo cristiano. Non finirono tuttavia sospetti e diffidenze verso questa novità esotica, anche da parte di letterati e uomini di cultura.

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2. L’EVOLUZIONE DEL BAR IN ITALIA

Il termine bar deriva dall’inglese e significa “sbarra” ovvero quel bancone si separazione tra il barman e il cliente, dove si preparano e servono bevande. In italiano questo locale dovrebbe più propriamente chiamarsi “mescita”, termine che ancora oggi è diffuso in Toscana ma riservato esclusivamente ai locali dove viene venduto il vino. Oggi la parola bar in Italia indica i locali dove si possono prende bevande a base di caffè, soprattutto preparato in espresso, liquori e bevande diverse, stando in piedi al banco o seduti su sgabelli. Il bar è divenuto simbolo della vita moderna che prevede l’accelerazione delle attività dell’uomo, dove anche degustare una tazza di caffè, che una volta si faceva sedendosi al tavolo e dedicando a questo rituale un tempo più lungo, oggi è un’esperienza breve di appena qualche minuto. L’invenzione del metodo espresso e la prima diffusione di una macchina vengono fatti risalire ad Angelo Moriondo che, nel 1884, deposita il brevetto per la prima macchina da caffè a vapore per la produzione al bar, cha sarà poi proposta sul mercato nel 1901 dalla ditta Bezzera di Milano. All’epoca, l’esigenza di preparare e servire velocemente una bevanda a base di caffè ai clienti spinse le aziende costruttrici a produrre macchine che avessero sempre una quantità di acqua calda sotto pressione pronta per l’erogazione di centinaia di tazzine in breve tempo. Le prime macchine espresso non producevano una bevanda come oggi la conosciamo ma piuttosto un liquido caldo, nero, aromatico, molto simile al caffè erogato dalla moka. La primordiale macchina espresso era sostanzialmente una grande caldaia dove l’acqua veniva riscaldata oltre il punto di ebollizione in modo da fornire una pressione di circa 1,5 atmosfere che erano sufficienti a erogare, attraverso un panetto di caffè racchiuso in un filtro, una bevanda a base di caffè in circa un minuto. La storia dell’espresso ha un punto di svolta quando l’azienda Gaggia introduce nella precedente macchina a vapore una leva, ovvero un sistema meccanico dotato di una molla che veniva precaricata dal barista manualmente e che era in grado di spingere un pistone che comprimeva l’acqua calda per l’erogazione a una pressione quasi 14 atmosfere.

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Con la macchina a leva nasce il caffè espresso come lo conosciamo oggi, ovvero una bevanda nera, contenuta in una tazzina della capacità di circa 50 ml, sovrastata da una spessa e compatta schiuma detta “crema”.

Con questa innovazione tecnologica, introdotta sul mercato nel 1945, il bar italiano si trasforma sempre più in quel modello di locale che ancora oggi è presente nelle nostre città, ovvero nel luogo dove si entra e si ordina al banco una bevanda a base di caffè espresso che viene preparata e servita sul momento. La macchina a leva però prevede uno sforzo notevole da parte del barista per precaricare la molla, problema che verrà superato nel 1961, quando Faema lancia sul mercato la sua E61, dove la pressione dell’acqua viene regolata attraverso una pompa elettrica, segnando un’altra tappa importante per l’evoluzione della macchina espresso. Con il modello E61, chiamata anche “macchina a erogazione continua”, il barista può erogare contemporaneamente più espressi dai diversi gruppi, semplicemente azionando una leva e riuscendo a essere ancora più veloce nel servire una clientela sempre più esigente, che richiede al barista non solamente una buona bevanda ma anche velocità, cortesia e servizio.

Con questa tecnologia, l’evoluzione delle macchine espresso da bar sostanzialmente si ferma per quanto riguarda la funzionalità di esecuzione, mentre il locale si evolve da caffetteria, ovvero luogo dove si servivano esclusivamente bevande a base di espresso con il corredo di pasticceria e di mescita del caffè fresco per il consumo domestico, luogo di somministrazione di cibo e bevande aperto dalle prime luci dell’alba fino a notte fonda. 4Il bar moderno, a partire dagli anni Settanta, diviene un luogo dove al caffè viene abbinata la somministrazione di vino, birra, liquori, dove a pranzo è possibile mangiare un tramezzino, un panino o un pasto caldo, dove nascono corner di vendita di tabacchi, francobolli e più di recente le postazioni per i giochi del lotto e affini, il pagamento di alcune tasse e tributi. Il bar è divenuto anche il luogo del famoso aperitivo in stile italiano, che si è affermato e diffuso ampiamente innanzitutto a Milano e poi a macchia d’olio lungo tutta la penisola. L’aperitivo inizia alla fine della giornata lavorativa, generalmente viene fatto con i

4Fonte: GIULI MAURIZIO e PASCUSSI FEDERICA, “Il ritorno alla competitività dell’espresso italiano.

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colleghi di lavoro o con gli amici e offre, al prezzo di un bicchiere di vino o di un cocktail, preparazioni a buffet che a volte, per la varietà e l’abbondanza, possono anche sostituire la cena.

In questo caso il bar perde del tutto la sua connotazione di caffetteria per concentrare la sua offerta su cocktail alcolici come il famoso Spirtz Aperol.

2.1. Come cambia il caffè in Italia

L’Italia, in particolare Venezia, è il luogo dove il caffè già dal XVII secolo viene commercializzato e inizia la sua diffusione nel vecchio continente. Milano, agli inizi del Novecento, è il fulcro industriale del paese, dove prende forma la prima macchina da caffè a vapore, che nel secolo successivo si evolverà nella moderna macchina per espresso, che tutti noi ben conosciamo e che è il nucleo di qualsiasi bar italiano. Da questa premessa si capisce bene che l’evoluzione del caffè in Italia parte da lontano e coinvolge non solamente tutte le regioni italiane ma generazioni intere di persone. Il caffè, preso al bar in una tazzina di porcellana, all’epoca era una bevanda nera e calda senza schiuma, molto simile al nostro odierno caffè preparato con la moka. A casa, invece, è ancora preparato facendo bollire la povere in una pentola. L’introduzione nel 1933 della moka per uso domestico rivoluziona il modo di prendere il caffè a casa, offrendo agli italiani un metodo semplice, poco costoso e veloce. Sfortunatamente il metodo moka, così come le prime macchine espresso a vapore, nasce con un peccato originale ovvero l’acqua che passa sotto pressione attraverso il caffè è troppo calda, oltre il punto di ebollizione, condizione che porta a estrarre in tazza sostanze amare, aromi di bruciato e astringenza. Per fortuna, verso la metà del Novecento, come detto, la pressione del vapore viene regolata nella macchina espresso da una leva e poi ancora da una pompa elettrica: nasce il vero e proprio caffè espresso come oggi lo conosciamo, bevanda nera sovrastata da una spessa e compatta crema.

Una rivoluzione che rende il caffè espresso preso al bar un vero e proprio piacere dei sensi e l’esperienza della degustazione un momento intenso che perdura a lungo al palato.

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L’Italia vive anni di sviluppo economico e industriale, il tempo per ere un caffè si accorcia sempre di più, tant’è che spesso, soprattutto nelle grandi città, la colazione si fa al bar in piedi, prendendo un cappuccino o un caffè macchiato accompagnato da una brioche dolce. La cultura italiana di prendere il caffè al bar è presa come spunto dal fondatore della più grande catena di caffetterie del pianeta, Starbucks, nata a Seattle ed esportata in tutto il mondo.

Con l’avvento dell’epoca contemporanea, l’accelerazione dell’economia e della nostra vita quotidiana, anche la pausa caffè e il rituale dell’espresso si accorciano sempre di più. Il tempo per fermarsi al bar al mattino, o quello per fare pausa caffè mattutina o pomeridiana al lavoro, deve necessariamente accorciarsi e quindi si introduce, a casa e nei luoghi di lavoro, la cosiddetta macchina espresso superautomatica, dove la pressione di un pulsante o l’introduzione di un gettone avvia un meccanismo interno che autonomamente macina e pressa il caffè tostato, erogando in poco tempo un espresso. Non è finita qui: l’esigenza di macchine espresso sempre più economiche, di una porzione di caffè sempre fresco è la necessità di un sistema sempre meno impegnativo per la manutenzione, spinge l’industria del caffè a proporre al mercato il cosiddetto “monoporzionato”: dapprima cialde in carta a forma di disco, poi capsule in plastica e infine in alluminio, che portano ovunque quel magico momento di godimento sensoriale alla cui base c’è sempre il caffè.

Qualcosa è cambiato negli ultimi anni rispetto all’esasperata velocità di preparazione e degustazione del caffè? Per fortuna, un movimento di slow coffee è iniziato in Italia, dopo un forte stimolo arrivato soprattutto da paesi esteri come quelli dell’Europa settentrionale, dove la preparazione del caffè si fa principalmente con un metodo a filtro o a infusione manuale, per cui il barista deve spendere anche 4-5 minuti per la sua esecuzione.

Finalmente, dopo secoli di velocità, anche il caffè aiuta l’uomo post moderno a riappropriarsi del proprio tempo e spazio regalando una scusa per preparare un caffè utilizzando la brocca chemex, il cono in ceramica hario V60, il cilindro di plastica aeropress o l’espresso con il metodo Bacchi Espresso.

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Che dire invece dell’argomento caffè al naturale o zuccherato? Su questo interrogativo, che sta a cuore a molti italiani, è bene precisare che un caffè è tale se sorseggiato al naturale, senza l’addizione di nessun altro ingrediente, solamente così è possibile gustare nella sua massima espressione un caffè di qualità. Detto questo, perché non sfruttare le decine di possibili ricette a base di caffè che ciascuno di noi può preparare aggiungendo al caffè zucchero bianco, di canna o grezzo, diversi tipi di miele come quello di arancio, millefiori, tiglio, acacia, o i diversi dolcificanti come lo sciroppo di agave e quello di acero? E cosa dire di tutte le bevande preparate a base di latte, polvere di cacao, panna e aromatizzazioni varie? Assolutamente gradite, a patto che la scelta degli ingredienti sia di prima qualità e che, nel loro insieme, siano in grado di regalare al palato piacevoli momenti di pausa caffè.

In questo panorama il barista, ovvero il professionista che dietro al banco del bar è delegato alla preparazione delle bevande a base di caffè e di caffè espresso, ha dovuto evolversi in questo ultimo secolo da quando era considerato un “macchinista”, ovvero un semplice operatore che faceva funzionare una complessa macchina per l’erogazione di un caffè a un vero e proprio sommelier del caffè. Il barista odierno deve conoscere la materia prima, possibilmente dovrebbe aver viaggiato nei paesi d’origine del caffè e visto le piantagioni dove il frutto viene raccolto e lavorato per ottenere il cosiddetto chicco verde, che con il processo di tostatura diviene un vero e proprio scrigno di aromi. Barista significa quindi conoscenza delle tecniche di estrazione, della materia prima e del processo di tostatura, e infine abilità sensoriali per riuscire a distinguere ciò che ha estratto in tazzina e saperlo trasferire ai propri clienti.

2.1.1. Caffè storici a Firenze

Giunto a Firenze alla fine del Seicento grazie al porto di Livorno, il caffè si diffuse molto rapidamente in tutta la regione facendo nascere subito botteghe di tostatura e rivendita e, già dai primi del Settecento locali in cui era possibile degustare l’esotica bevanda. A Firenze, centro nevralgico della politica e della cultura del tempo, i

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caffè assunsero subito queste caratteristiche aggregative e sociali diventando luoghi frequentatissimi. Nell’ottocento, con l’emergere di una nuova classe sociale, aumentò la frequentazione dei caffè, che divennero veri e propri ritrovi di artisti, letterati e intellettuali, affascinati da questa bevanda rivoluzionaria. Negli ani Firenze, capitale, tra il 1865 e 1870,5 ci fu un fiorire di locali in seguito alla totale ristrutturazione del centro, il cosiddetto “risanamento di Firenze” a opera di Giuseppe Poggi, durato circa trent’anni, che cambiò, completamente volto alla città, con la demolizione del ghetto ebraico, del mercato vecchio e di gran parte delle mura medievali, dandole l’aspetto che oggi conosciamo. Locali storici che hanno accompagnato la vita di Firenze nell’ultimo secolo e mezzo e che continuano a rappresentare un punto fermo nella sua quotidianità.

Un esempio, partendo da piazza della Signoria, incontriamo Rivoire, nato nel 1872 come fabbrica di cioccolato per mano di Enrico Rivoire, cioccolatiere reale torinese, giunto in città a seguito della corte, che deliziava, e continuava a farlo, i fiorentini con cioccolatini e cioccolate in tazza e uno splendido affaccio sulla piazza.

2.1.2. Caffè storici in Veneto

Una volta correva l’acquavite, adesso è in voga il caffè. Così scrive il commediografo veneziano Carlo Goldoni nella sua commedia “La bottega del caffè”, composta nel 1750 e rappresentata lo stesso anno per la prima volta al Teatro Sant’Angelo di Venezia. La bevanda aveva portato una tale rivoluzione in città da stuzzicare la curiosità di una delle penne più famose e insolenti di Venezia. La commedia non fu scritta, come di consueto in veneziano bensì in toscano, diventata ormai la lingua franca italiana, in modo che potesse esser messa in scena e compresa da spettatori di tutta Italia. Forse Goldoni aveva già capito la portata rivoluzionaria e la diffusione che la bevanda a base di caffè avrebbe avuto?

Arrivato via mare, nei primi anni del Settecento, tramite il porto della città e i fiorenti traffici dei suoi mercanti con l’Oriente, il caffè si fece conoscere rapidamente in città per il suo aroma e le sue proprietà stimolanti e subito si

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aprirono “botteghe del caffè”, o più semplicemente “caffè”, dove tostare e gustare “l’acqua nera bollente”. Pare che in piazza San Marco ce ne fossero oltre venti. Ad esempio il più antico della città è certamente il Caffè Florian, storico locale situato sotto i portici delle Procuratie Nuove in Piazza San Marco. Inaugurato nel 1720 da Floriano Francesconi con il nome di “Alla Venezia Trionfante”, in onore della Serenissima Repubblica di Venezia, fu subito ribattezzato dai Veneziani “Florian”, dal nome del proprietario nel dialetto cittadino nome che poi ha mantenuto. Composto originariamente da due stanze, l’odierno ingresso e la Sala Cinese, fu ben presto ampliato con la Sala Orientale e la Sala del Senato, dove nel 1893 nacque la Biennale di Venezia. Luogo d’incontro dei patrioti italiani Niccolò Tommaseo, Daniele Manin, Piero Buratti e Silvio Pellico, che si riunivano nelle Sala del Senato per preparare l’insurrezione cittadina del 1848 (Venezia sarà, per breve periodo, di nuovo indipendente dopo la caduta della millenaria Repubblica avvenuta il 12 maggio 1797 per mano di Napoleone Bonaparte e la successiva dominazione austro-ungarica), durante la rivoluzione fu trasformato temporaneamente in ospedale per soccorrere i patrioti feriti durante gli scontri.

Nel 1872 e nel 1891, passato di proprietà, il caffè sarà ancora ampliato con la Sala delle Stagioni e la Sala degli Uomini illustri, dedicata a dieci famosi veneziani che avevano contribuito a rendere Venezia famosa nel mondo: Marco Polo, Tiziano, Carlo Goldoni, Paolo Sarpi, Palladio, Francesco Morosini, Benedetto Marcello, Pietro Orseolo, Enrico Dandolo e Vettor Pisani e nel 1920, in occasione del bicentenario del caffè, sarà aggiunta la Sala Liberty. Ancora oggi, da poco restaurato e riportato all’antico splendore, il caffè Florian ospita turisti e personaggi illustri di tutto il mondo che si siedono a un tavolino per gustare un pezzo di storia del caffè, come negli anni hanno fatto personaggi come Casanova, Berchet, Lord Byron, Dickens, Foscolo, Goethe, Modigliani, Parini, Pellico, Rousseau, Stravinsky, Proust, D’Annunzio.

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3. IL SETTORE DEL CAFFE’: L’ANAISI DEL MERCATO GLOBALE ED IL CASO ITALIANO

L’oggetto di studi è l’analisi dell’industria del caffè, dalla torrefazione al business che ne deriva. Partiamo da una panoramica sul mercato globale, analizzando brevemente quelli che sono i principali attori e le dinamiche che la contraddistinguono, per poi passare nel dettaglio al mercato italiano, studiandone le caratteristiche e l’evoluzione che sta subendo da dieci anni a questa parte, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie che hanno permesso di elaborare un nuovo modo di concepire il prodotto, cambiando così anche le abitudini dei consumatori.6

Ed è proprio per questo motivo che abbiamo cercato di analizzare cosa ha comportato e comporterà il processo di cambiamento, sia dal lato dell’offerta che della domanda.

3.1. Analisi del mercato globale del caffè: i grandi leader globali

Tutto il caffè trasformato, confezionato e distribuito è gestito da grandi, medie e piccole aziende che garantiscono un'adeguata offerta al consumo; tuttavia all'interno dell’elevata mole di operatori ci sono delle grandi multinazionali che controllano quote rilevanti del mercato. Fra i maggiori attori del settore si distinguono le multinazionali Nestlè, Mondelez International, Sara Lee e Strauss Coffee. Mondelez tratta i marchi di prodotti alimentari e snack che in precedenza ricadevano sotto il marchio Kraft Foods. Dopo lo spin-off dal ramo alimentare nordamericano al business globale degli snack, il gruppo ha deciso di mantenere il marchio Kraft Foods solo per il Nord America.7 All'interno di questo gruppo di competitors globali andrebbe inserito anche Starbucks che, sebbene sia orientato solamente al business delle caffetterie, acquista e trasforma il caffè che vende nei suoi coffee-shop, diventando a sua volta uno dei più grandi torrefattori del mondo. Nestlè rappresenta il più grande gruppo mondiale che commercia prodotti confezionati

6Fonte: ILLY ANDREA & VIANI RINANTONIO, “Il caffè espresso”, Egea 7 Fonte: CAPELLA ANTHONY, “Il profumo del caffè”, Neri Pozza

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food and beverage, con vendite totali nel 2015 pari a 95 miliardi di franchi svizzeri (circa 88,8 miliardi di euro). Nel settore del caffè il gruppo svizzero opera fin dal 1938 con marchio Nescafè, che risulta oggi il caffè solubile più venduto sul pianeta. A partire dal 1986 il gruppo ha allargato la sua presenza nel settore caffeicolo col marchio Nespresso, leader nel comparto del caffè porzionato. Se aggiungiamo a questi due marchi altri preparati per bevande calde sempre facenti parte di Nestlè (the e cacao) il gruppo vale complessivamente 20,7 miliardi di franchi svizzeri (17,2 miliardi di euro), cioè circa il 19% del totale fatturato. Più precisamente il marchio Nescafè rappresenta da solo il 10% del totale giro d'affari del gruppo mentre il marchio Nespresso fattura un giro d'affari di oltre 3 miliardi di franchi svizzeri (2,5 miliardi euro) e continua a crescere con percentuali a due cifre. Per le proprie esigenze produttive il gruppo Nestlè acquista direttamente il caffè verde che trasforma nei suoi 30 stabilimenti sparsi sul pianeta, di cui 11 negli stessi paesi di produzione del caffè. Tutto ciò contribuisce a fare di questa multinazionale il più grande acquirente, trasformatore, distributore di caffè al mondo. Mondelez International con vendite nette per oltre 49 miliardi di dollari (circa 37 miliardi di euro) e utili per 4,2 miliardi di dollari (circa 3,15 miliardi di euro) si colloca tra i primi 3 competitors mondiali per la distribuzione di caffè.

Se consideriamo il settore beverage, dove il caffè occupa una posizione di spicco, possiamo notare che, con un giro d'affari di oltre 8,8 miliardi di dollari (6,7 miliardi euro), questo rappresenti il 18% del totale fatturato del gruppo. La compagnia opera in 150 paesi e con 180 unità produttive che gli permettono di essere considerato il secondo torrefattore più grande al mondo. Sara Lee è una delle più importanti multinazionali americane nel settore del food and beverage, dispone di un notevole portafoglio prodotti che generano complessivamente circa 9 miliardi di dollari di ricavi netti (6,75 miliardi di euro), è presente in 200 paesi e può vantare circa 20.000 dipendenti in tutto il mondo. Il gruppo non è presente nel mercato italiano ma opera in altri paesi europei (Belgio, Olanda, Regno Unito, Spagna) oltre ad essere leader nel grande mercato del caffè in Brasile. Strauss Coffee è una delle più grandi aziende al mondo in termini di approvvigionamento del caffè verde, opera in maniera massiccia

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nel mercato israeliano, in altri mercati dell'est Europa e, grazie alla controllata Santa Clara, occupa la seconda posizione nel mercato brasiliano.8 La Strauss Coffee dispone di 12 siti produttivi in tutto il mondo che impiegano 5.500 persone, si focalizza nella torrefazione e macinazione del caffè e distribuisce prodotti collaterali come caffè solubile, bevande a base di cacao e cioccolato. Ha un giro d’affari di circa 2,5miliardi di euro.

Tabella 3.1.: Fatturato delle prime dieci aziende al mondo (2015)9 Fatturato (€)

Nestlè 14,5 miliardi

Starbucks 13,89 miliardi

Mondelez 8,8 miliardi

Sara Lee 6,5 miliardi

JDEgberts 5 miliardi

Green Mountain 4,04 miliardi

Tchibo 3,38 miliardi

Strauss 2,5 miliardi

Jm Smucker 1,85 miliardi

Lavazza 1,4 miliardi

8 Fonte: BARBANGELO ANTONIO, “Pausa caffè. Il grande business della distribuzione automatica”,

Vincenzo Perrone

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Tabella 3.2.: Size per numero di addetti delle prime dieci aziende al mondo (2015)10 Dipendenti Nestlè 330000 Starbucks 180000 Mondelez 100000 Sara Lee 22000 JDEgberts 12000 Green Mountain 5800 Tchibo 12500 Strauss 5500 Jm Smucker 7370 Lavazza 2526

Il numero di addetti non appare molto equi-ripartito tra le prime dieci aziende al mondo e questo può indurre a pensare a una distribuzione “skewed”, con colossi che hanno raggiunto una dimensione enorme e la gran massa di tutte le altre che arrancano nella crescita. Tuttavia c’è da considerare che nel settore del caffè molte sono le imprese che entrano grazie a spin-off e diversificazione produttiva, ad esempio Nestlè con due brand di enorme successo: Nescafè e Nespresso, che insieme sono più del 15% del giro d’affari del gruppo. Inoltre in questo settore non sono rare fusioni e acquisizioni al fine di incrementare le quote di mercato e i margini, e non è affatto inusuale trovare, tra le poste di bilancio di tali colossi, partecipazioni rilevanti Dipendenti Nestlè 330000 starbucks 180000 Mondelez 100000 Sara Lee 22000 JDEgberts 12000 Green Mountain 5800 Tchibo 12500 Strauss 5500 Jm Smucker 7370 Lavazza 2526 in aziende dirette concorrenti. In ogni caso, la struttura del mercato nel suo complesso è in realtà meno concentrata di quanto possa sembrare a prima vista.

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3.1.1. Il modello microeconomico

La suddivisione delle quote di mercato del mercato globale del caffè è costituita per il 61% fra le 10 grandi multinazionali del caffè ed il restante 39% fra tutti gli altri competitor, per la maggior parte PMI.

Nel mercato della bevanda più consumata al mondo operano, dunque, non solo colossi, i quali da soli formerebbero un oligopolio, ma anche tante imprese di ben più modeste dimensioni che riescono a produrre la loro fetta di valore aggiunto e che sono molto forti in una determinata area geografica. E’ un mercato nel quale molte imprese producono beni e servizi piuttosto simili, ma ognuna di loro mantiene un controllo dei propri prezzi e non è affatto bizzarro che i singoli attori esercitino un certo potere di mercato. Il modello microeconomico che caratterizza l’industria del caffè, a un livello generale, è la concorrenza monopolistica descritta da Chamberlin nel 1933, in cui molte imprese offrono un prodotto teoricamente simile, ma in realtà percepito come non perfettamente sostituibile dai consumatori per via della differenziazione, proprio come accade per il dentifricio, le bevande analcoliche et similia. Le imprese in quest’industria sono differenziate nei prodotti ma soprattutto nei brand. Ci sono molte aziende che con il loro particolare “business model” riescono a conquistare una quota di mercato, anche se talvolta piccola. La prova è che, nonostante Starbucks sia da qualche anno attore protagonista sullo scenario globale con i suoi coffee shop, nel mondo appena una tazza di caffè su cento, servita ogni giorno, è a marchio Starbucks. Dire che le aziende del caffè hanno un potere di mercato significa che queste possono decidere di aumentare i loro prezzi (aziende “price makers” rispetto al modello di concorrenza perfetta) e perdere un ammontare di consumatori relativamente limitato rispetto alla concorrenza perfetta (“brand loyalty”); la curva di domanda fronteggiata in questo mercato è infatti non orizzontale, ma inclinata negativamente. Nell’industria del caffè possiamo trovare grandi torrefattori con alti “sunk costs”, data la specificità dei macchinari che occorrono per ogni specifica linea di prodotto e per le diverse qualità di caffè provenienti da tutto il mondo, ma anche tanti modi diversi di fare

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business in questo settore, come le “coffee houses”. Entrare ed uscire dal mercato con la propria coffee house è relativamente semplice, data la presenza di basse barriere all’entrata.

In media, l’entrata con questo business model costa dai 20.000 ai 375.000 dollari, decisamente meno che aprire un ristorante. Il mercato del caffè ha saputo resistere anche durante la crisi economica proprio per la varietà di proposte possibili e per lo “shift” dal classico caffè preparato a casa con la moka alle macchine automatiche e ai coffee shop, i quali contribuiscono alla differenziazione dei prodotti per soddisfare i gusti di consumatori sempre più vari nelle preferenze (instant coffee, fresh coffee, sweet coffee, dark roast coffee, vanilla/strawberry flavored, cold coffee, ecc.).

Parimenti, non è strano trovarsi di fronte ad una piccola caffetteria che diventa torrefattore. In Australia, ad esempio, molti piccoli operatori competono fieramente con le incumbents, grazie al fatto di incorporare nei loro prodotti la cultura nazionale e locale del caffè. Tornando al modello microeconomico, sappiamo che le imprese per massimizzare i profitti optano per un livello di output per il quale il ricavo marginale e il costo marginale si eguagliano. Nel modello di concorrenza monopolistica e quindi nel caso dell’industria del caffè, il numero delle imprese che entrano e di quelle che sono presenti nel mercato, influenza il prezzo e l’equilibrio di breve periodo.11

Infatti, per un dato numero di imprese attive nel breve periodo il prezzo può essere più alto (o più basso) del costo medio, e quindi profitti positivi o negativi possono indurre gli attori rispettivamente ad accedere o a lasciare il mercato. La curva del

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ricavo marginale non coincide con la curva di domanda perché all’aumentare della quantità prodotta potrebbe verificarsi un effetto di diminuzione del prezzo che fa da contrappeso nelle scelte di output ottimale delle aziende caffeicole. Nel lungo periodo concettualmente nessuna impresa dovrebbe desiderare l’entrata o l’uscita, dunque i profitti diventano di conseguenza nulli secondo il modello teorico, mentre il prezzo si proietta sulla curva del costo medio.12

La differenza sostanziale rispetto alla concorrenza perfetta è che, in questo caso, il prezzo non eguaglia il costo medio minimo e in ogni caso non è mai uguale al costo marginale. I costi nel mercato del caffè sarebbero complessivamente più bassi se ci fosse un numero minore di imprese che producono un output maggiore, con un miglioramento dell’efficienza e del surplus del consumatore. Ma così non è nella realtà: la chiave di volta rimane la differenza percepita nei prodotti, nei servizi e nei brand. Ciò non è necessariamente un male: i clienti possono scegliere tra una grande varietà di caffè e questo può tradursi in un aumento dell’utilità.

Complessivamente il mercato del caffè è in crescita ed espansione, il consumo pro capite è in aumento e i prezzi della materia prima lievitano. Quest’ultimo dato, però, non disturba troppo il business perché molte aziende possono giustificare un lieve aumento nel prezzo di una tazzina di caffè, continuando ad aumentare la qualità del prodotto e l’efficienza del servizio percepite dal cliente. In tutto ciò giocano un ruolo determinante anche aspetti intangibili come i significati, la creazione di

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esperienze e di una calda atmosfera. Infine, si può affermare che la presenza di aziende medie e piccole, molto prospere nella loro regione d’appartenenza, pone un freno al potere delle multinazionali. Come rispondono, dunque, le grandi corporations?

3.1.2. Fusioni ed acquisizioni recenti

Oggi possiamo parlare di veri e propri "cacciatori di marchi" sulla scena globale. Il mondo del caffè si trova in una situazione non dissimile da quello in cui si trovava il settore della birra all'inizio del ventunesimo secolo: vi è un certo grado di concentrazione, ma non è definitivamente marcato. Nel regno della tazzina (che fuori dall'Italia è soprattutto il regno del bicchierone di carta) c'è un solo, grande re: si chiama Nestlè, come detto precedentemente. 13Seguono a distanza una miriade di altri produttori che sono piccoli a livello mondiale, ma molto forti a livello nazionale. E' il caso degli italiani di Lavazza: il gruppo torinese a livello globale rappresenta il 2 per cento del mercato, ma in Italia copre da solo il 45 per cento delle vendite retail, quelle del caffè per il consumo casalingo. I cacciatori di marchi hanno cominciato a operare nel caffè negli ultimi anni. L'obiettivo è quello di creare un secondo grande produttore in grado di confrontarsi con Nestlè. La logica è: aumentando la dimensione i margini crescono. La differenza è che per molto tempo il mondo del caffè è rimasto diviso tra tazzine, beveroni, capsule e cappuccini.14 Il modo di consumarlo ha finito per creare aree geografiche distinte, che hanno reso più difficile la vita dei colossi mondiali, che comunque non intendono perdere nel grande “Risiko” globale. La caccia è iniziata nel 2012 quando John Benkisier, finanziaria di partecipazioni tedesca governata dalla famiglia Reimann, ha cominciato a rastrellare marchi del caffé negli Stati Uniti. A luglio acquistando Peet's Coffee and Tea, torrefattore e distributore nell'area nordamericana. Poi, a dicembre dello stesso anno, conquistando la quota di maggioranza in Caribou

13 Fonte: NAPOLITANO MARIA ROSARIA, “La gestione dei processi di acquisizione e fusioni di

imprese”, FrancoAngeli

14Fonte: RULLANI F. e FILIPPETTI A., “Il settore del caffè. Panoramica sul mercato globale e analisi del

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coffee. L'anno successivo Benkisier ha acquistato la quota di maggioranza di Jacobs Douwe Egberts, la società nata dalla fusione tra due divisioni produttive di Mondelez e Master Blenders. E' interessante osservare gli intrecci: nel board di Jacobs Douwe Egberts (Jde) siede Alexandre Van Damme, uno degli uomini d'affari più potenti del Belgio, già ai vertici di ABinBev (la società che ha acquistato Saab Miller rafforzando il suo ruolo di numero uno nel mercato della birra). Ovviamente in Jde siedono i vertici di Mondelez, ormai numero due mondiale del caffè. Qual è la prospettiva del processo di consolidamento nel settore del caffè? L'obiettivo è quello di creare nel caffè un oligopolio in grado di determinare il mercato. Il processo sembra inevitabile e probabilmente irreversibile. L'avvento delle capsule ha finito per accelerare i tempi. Il caffè dal gusto intenso, quello che fino a poco tempo fa si beveva tradizionalmente in Italia, al bar o in casa con la moka, è diventato una possibilità anche per quei mercati, come quello americano, che vivevano e vivono tuttora di beveroni nel bicchiere di carta. Perché in gran parte del mondo il caffé è un ingrendiente, non si beve da solo. Creare un polo in grado di rappresentare molti marchi significa specializzarsi in una miriade di produzioni diverse. Quale sarà il destino di chi non accetterà la proposta di fusione? In un mondo sempre più concentrato, la vita dei marchi di dimensioni ridotte sarà difficile. Oggi navigano in un mare popolato da tante piccole imbarcazioni. Domani dovranno vedersela con giganteschi portacontainer. Dovranno affrontare la concorrenza di reti distributive sempre più ramificate, di economie di scala sempre più in grado di generare utili. I marchi di nicchia attendono tempi duri e dovranno sperare nella sopravvivenza delle tradizioni. Finché ci sarà una moka in casa potranno puntare sul prodotto di qualità. Quando invece capsule e filtri avranno conquistato anche le nicchie, per avere il caffé di una volta non rimarrà che rivolgersi alla macchina. Negli ultimi tempi Lavazza ha dovuto firmare un accordo con una casa produttrice americana che realizza macchinette per produrre in casa il caffellatte o il cappuccino, il gusto preferito negli Usa per la prima colazione in casa. Il piano di aggregazioni ha lo scopo di risparmiare sugli investimenti e di tagliare la capacità produttiva in eccesso. Lavazza inoltre nei primi mesi del 2016 ha acquisito per 700 milioni di euro il brand francese Carte Noire, grazie al quale si

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prospetta possa scalare posizioni dalla decima fino alla sesta tra i gruppi più importanti al mondo, per rispondere alla sfida globale.

3.2. Analisi del mercato Italiano

Il mercato del caffè è un sotto-settore di quello degli “hot drinks”, che in Italia ha un valore pari a circa 3,1 miliardi di euro (di cui 1 miliardo solo di esportazioni), con una crescita stimata di circa il 5,9% (nel 2015). Il caffè macinato, da contrappore al porzionato, costituisce circa il 70% di questo settore e si trova in una fase di maturità a causa di tassi di entrata e uscita molto bassi, di una domanda che è quasi del tutto satura, della stabilità dei consumi e della frammentazione dell’offerta. Per questo motivo, i mercati esteri rappresentano uno sbocco commerciale strategico, funzionale ad ogni strategia di crescita aziendale. L’evoluzione che si sta verificando nel contesto internazionale, con l’affermazione di nuovi competitors e la diffusione del consumo di caffè anche in Paesi tradizionalmente lontani a questa bevanda, pongono nuove opportunità ed allo stesso tempo nuove sfide alle imprese italiane. Quando si parla del settore del caffè in Italia, bisogna tener conto che il nostro è un Paese prevalentemente torrefattore, dato che è ancora questo il paradigma prevalente.

In Italia vi sono circa 700 torrefazioni, con un numero totale di dipendenti che si attesta attorno alle 7000 unità, di queste 700, circa il 52% sono concentrate a livello territoriale in 6 aree geografiche dell’Italia (Lombardia, Lazio, Toscana, Campania e Sicilia). La particolarità di questo mercato è che l’Italia non produce la materia prima, ma la importa dall’estero per poi trasformarla e rivenderla. L’Italia rappresenta il 3° paese in Europa per l’export di caffè torrefatto, mentre, a livello mondiale, è al 4° posto, alle spalle della Germania, del Belgio e degli Stati Uniti. Si tratta di un mercato che a grandi linee segue la dinamica mondiale ed è infatti caratterizzato dalla presenza di 4 grandi leader (Lavazza, Kraft, Illy, Segafredo, Cafè Do Brazil) e da un numero elevato di follower che, nonostante rappresentino solamente il 23% della quota di mercato in valore, riescono agevolmente ad ottenere

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fatturati tali da coprire i loro costi di produzione. In che modo? Attuando due tipi di strategie: la prima è la competizione sul prezzo e l’altra è una strategia competitiva di focalizzazione su nicchie di mercato locali. Per le quattro grandi leader italiane del mercato, la torrefazione e la vendita di caffè rappresentano il core business. All’interno di questi gruppi societari si possono anche individuare strategie competitive diverse, che dipendono da fattori quali la storia, la mission, le risorse e competenze disponibili, la cultura aziendale e il know-how.15

3.2.1. Distribuzione dimensionale delle imprese

Se andiamo ad analizzare più nello specifico la distribuzione dimensionale delle imprese che compongono questo settore, otteniamo i seguenti risultati:16

Pertanto la maggioranza del campione è costituita da imprese di piccole dimensioni (45,58%) e da micro imprese (31,29%), mentre poche sono quelle grandi, rispecchiando così la struttura del mercato precedentemente trattata.

15 Fonte Grafico: G. Fabbri, “Lavazza e il mercato del caffè italiano”

16 Fonte Grafico: M. Giuli e F. Pascucci, “Il ritorno alla competitività dell'espresso italiano. Situazione

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Inoltre possiamo ricavare i seguenti dati sulla relazione tra dimensione delle imprese e variazione nei fatturati nell’arco di sei anni:17

Da qui è facilmente intuibile che la legge di Gibrat, secondo cui, indipendentemente dalla dimensione iniziale delle imprese all’interno di un settore, queste seguiranno un percorso di crescita nel tempo caratterizzato da un tasso di crescita (εt) proporzionale, non è confermata empiricamente: infatti, notiamo che le variazioni percentuali nei fatturati risultano essere molto “scollegate” dalle dimensioni delle imprese del settore. Quindi indipendentemente dalle dimensioni, ogni impresa segue un pattern di crescita differente. Ciò è dovuto non solo alla presenza di alti sunk costs, ma anche alla presenza di forti economie di scala attuate dalle imprese con dimensioni maggiori.

17 Fonte tabella: M. Giuli e F. Pascucci, “Il ritorno alla competitività dell'espresso italiano. Situazione

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