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L’evoluzione della macchina da caffè “uso bar”

3. IL SETTORE DEL CAFFE’: L’ANAISI DEL MERCATO GLOBALE ED IL CASO ITALIANO

4.3. L’evoluzione della macchina da caffè “uso bar”

L’Italia e Firenze in particolare sono conosciute in tutto il mondo come autentiche culle dell’arte. Non solo nei musei ma anche lungo le strade che costituiscono la parte più antica di questa città è possibile rituffarsi in immagini di splendenti opere passate. Ed i luoghi deputati dell’arte non sono i soli depositari dell’immenso patrimonio artistico italiano. Un altrettanto ricchissimo e preziosissimo patrimonio si cela all’interno delle botteghe e dei laboratori artigiani che innumerevoli popolano le strade meno frequentate.

L’artigiano è realmente il prodotto più genuino, più autentico, e proprio per questo più prezioso della cultura fiorentina.23 Semplici artigiani e tecnici, usando la loro sensibilità, la loro creatività personale, riescono a trasformare oggetti di uso quotidiano di vere e proprie opere d’arte, che costituiscono la così detta “arte minore”, creazioni artistiche finemente curate che racchiudono al loro interno perfezione estetica e funzionale.

Si è scritto e parlato molto del caffè, sia come pianta, sia come bevanda: delle sue origini ai confini ed entro la leggenda, delle sue qualità e proprietà aromatiche, terapeutiche ecc. tuttavia una buona tazzina di caffè è il risultato di una combinazione ottimale di almeno cinque componenti, strettamente connessi fra loro tanto che il risultato è compromesso quando uno solo di questi viene a mancare o non risulta essere di ottima qualità.

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Oggi in Italia è in uso, fra gli addetti ai lavori indicare con la lettera “M” quattro di questi componenti:

1a M = Miscela di caffè in grani 2a M = Macinazione della miscela 3a M = Macchina per caffè

4a M = Mano dell’operatore

Il quinto componente che risulta determinante al pari degli altri è, naturalmente, l’acqua.

Ben poco si è invece parlato delle origini e diffusione delle macchine da caffè “uso bar” e della loro evoluzione.

Un primo tentativo di produrre una macchia da usare in “pubblici esercizi” si ebbe nel 1885, durante l’Esposizione Universale di Anversa, quando fu presentato un enorme apparecchio capace di produrre centinaia di caffè al giorno; tuttavia, causa le gigantesche dimensioni, il suo utilizzo pratico non ebbe successo.

Dopo circe venti anni, nel primo decennio del 1990, si ebbero in Italia altri tentativi che cominciarono piano piano a concretizzarsi; nacquero così le prime vere e proprie macchine per produrre l’infuso di caffè così detto “espresso” che possono essere considerate le progenitrici di quelle di attuale produzione.

Va sottolineato che l’inizio del XX secolo segnava un periodo di transizione ed inoltre la società italiana era coinvolta in una profonda crisi economica e sociale. I bar, come si intendono oggi, erano in numero limitato e “fare colazione al bar” era un lusso che pochi potevano permettersi: si bevevano infatti molte mescite (bicchieri di vino) ma ben poche persone chiedevano il caffè al bar, cosicché possiamo facilmente immaginare la meraviglia che queste nuove macchine suscitarono.

In breve si trattava di generatori di acqua calda e vapore, con caldaie verticali, di notevole imponenza che troneggiavano sui banconi dei bar nel vero senso della parola, riscuotendo ammirazione e, a quell’epoca, quasi un reverenziale rispetto per le varie manopole, manometri, livelli ecc, il tutto in bella vista e messo in risalto da luccicanti cromature o dorature.

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Le prime macchie per caffè “espresso” ad uso bar, erano essenzialmente costituite da un tubo cilindrico, contenente una caldaia “verticale” atta a generare acqua calda e vapore; lateralmente alla caldaia erano applicati 1 o 2 blocchi metallici (corpi gruppo) concepiti in modo che fosse possibile:

1) Innestare, con attacco rapido, una tazza metallica “portafiltro” nella quale era alloggiato un “crivello” metallico (filtro), atto a contenere il caffè macinato 2) Alloggiare un rubinetto scambiatore a 3 vie, azionato da una leva, il quale,

secondo lo spostamento della leva medesima, permetteva l’arrivo di acqua calda o vapore sulla polvere di caffè e, dopo la preparazione della bevanda/caffè, lo scarico della pressione che l’acqua calda e il vapore avevano formato nel portafiltro

L’abilità del barman consisteva, oltre che nel controllare il livello dell’acqua nella caldaia e la pressione nella caldaia medesima (poiché a quei tempi non esistevano apparecchi automatici di controllo), nella ricerca della più adeguata macinazione del caffè e nell’azionare la leva di comanda dei gruppi in modo da avere maggiore o minore tempo di sosta della stessa nelle operazioni “acqua calda” e “vapore”.

Va ricordato, infine, che le persone che potevano usufruire di questo nuovo prodotto erano un numero limitato, ed inoltre le macchine per caffè espresso, costruite soprattutto da Ditte più o meno a livello artigianale, costavano delle cifre iperboliche.

I costruttori di queste “macchine”, oltre ad essere abilissimi artigiani, erano dei veri e propri “pionieri”, in quanto, pur trovandosi a dover affrontare e risolvere innumerevoli difficoltà, riuscirono a creare una macchina capace di conquistare in poco tempo un vasto mercato. Oltre al problema primo e più immediato di carattere finanziario, le energie erano rivolte alla soluzione di altre necessità, quali quelle di natura tecnica, organizzative e quelle legate al reperimento del materiale necessario. Giuseppe Bambi fa parte di questo esiguo gruppo di “pionieri”.

Nasce a Firenze il 7 agosto 1904 e ancora fanciullo (1917), mentre il padre, un abile artigiano lattoniere (tiratore e battitore di metallo), presta servizio militare in Albania, aiuta il nonno, impara il mestiere che gli è congeniale e contemporaneamente studia. Consegue il diploma di Perito Tecnico Industriale ed

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ottiene il suo primo impiego presso le “Officine Galileo” di Firenze, in qualità di disegnatore progettista.

Lo spirito di indipendenza, la forte personalità, la volontà e la capacità di creare qualcosa di proprio, fanno sì che, con un prestito concesso da parenti, riesca ad aprire una piccola officina, iniziando a lavorare in proprio, anche per conto delle Ferrovie dello Stato.

Un giorno, un certo signor Galletti gli chiese di costruire per lui delle macchine da caffè così detto “espresso”, denominate “Fiorenza”. Ne vennero costruite alcune decine, poi il Sig. Galletti cessò questa attività. A questo punto assieme a suo fratello Bruno, decise di iniziare la costruzione di macchine da caffè per proprio conto. Era il 1927 e nacque l’Officina “Fratelli Bambi”.

All’interno di questa le prime macchine vennero interamente progettate, costruite pezzo per pezzo assemblate e quindi vendute. Era così difficile vendere una macchina che ogni vendita poteva essere considerata una vera e propria conquista e tanto più questa era difficile, tanto più dava gioia e soddisfazione a realizzarla. Per tale motivo Giuseppe Bambi per la sua ditta adottò il simbolo del “Marzocco”, un leone seduto con lo stemma dell’Iris di Firenze sinonimo di vittoria e conquista, e chiamò la sua ditta “La Marzocco”.

Firenze, fin dall’epoca romana, era stata consacrata al dio della guerra “Mars” (nome di Marte in lingua latina) che, per vezzeggiativo e storpiatura popolare, si trasformò in “Marzocco”. Con l’avvento della cristianità il ruolo della difesa della città, tradizionalmente attribuito a Marte, si trasferì sul simbolo araldico del leone, cioè la raffigurazione grafica della libertà repubblicana, pur mantenendo lo stesso nome “Marzocco”. Pertanto il Leone che con la zampa destra regge lo stemma di Firenze rappresentava il simbolo del potere popolare e fu adottato della Repubblica Fiorentina in antitesi al simbolo dell’Aquila che rappresentava il potere imperiale.

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