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6. LA MISSION, LA FILOSOFIA DEI VERI ARTIGIANI ED IL FUTURO

6.2. La filosofia dei veri artigian

La Marzocco ha avuto un’evoluzione fortemente legata alle inclinazioni personali e al percorso di formazione dei suoi fondatori. Inizialmente più che a una visione aziendale il suo sviluppo si è accordato al momento storico e al percorso privato della famiglia Bambi, senza mai discostarsi dalla realtà artigianale appresa da Giuseppe “a bottega”. Pur attraversando il boom economico si è sempre concentrata sulla ricerca dell’innovazione e dell’eccellenza: non si è mai agito per trasformarla in una grande fabbrica automatizzata impostata sulla produzione e la quantità.

“La frontiera è una zona esplorata dagli artigiani, difficile e pericolosa, invisibile a occhio nudo, praticamente inscrutabile da ricerche di mercato, la frontiera può essere identificata usando qualità che sono raramente accettate dalla cultura industriale odierna: intuizione, sensibilità e propensione ad accettare il rischio come una parte essenziale del proprio lavoro”.

Per molto tempo è rimasta piccola, legata al territorio, alla comunità locale e alle competenze personali delle maestranze. Le nuove leve venivano per lo più dai dintorni, magari erano figli di persone conosciute. Questo era una sorta di garanzia, si aveva un approccio di tipo fiduciario, come ancora succede spesso in Italia. In più, in una piccola frazione come Pian di San Bartolo non era certo difficile incontrare i propri colleghi una volta staccato dal lavoro. Una realtà semplice e difficile al tempo stesso. L’officina poteva esser vissuta come una seconda grande famiglia in cui crescere come artigiani ma soprattutto come persone. I giovani apprendisti diventavano operai, i ragazzi si facevano uomini attraversando le vari fasi della vita: fidanzarsi, sposarsi, comprare casa, diventare padri. Si festeggiavano insieme portando un vassoio di dolciumi.

L’atmosfera è rimasta sempre raccolta, senza quella dispersione e quel distacco che si anno in luoghi in cui i rapporti si sfilacciano in infinite piramidi gerarchiche che trattano grandi numeri, senza l’alienazione del lavoro alla catena di montaggio. Nella piccola fabbrica la quotidianità era lavorare gomito a gomito condividendo le difficoltà e le conoscenze necessarie a trovare le soluzioni, per le quali si gioiva tutti insieme.

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Nei racconti di diverse persone che hanno vissuto quel periodo ricorre spesso il fatto che nei momenti più critici dal punto di vista economico, gli stipendi dei dipendenti erano pagati di tasca propria dalla famiglia Bambi. Per quanto Piero venga tuttora descritto affettuosamente come un burbero, tutti coloro che hanno lavorato con lui sentono ancora forte il legame con Piero e raccontano spontaneamente e con slancio episodi di varia natura per rendere un’idea di quella che era l’atmosfera che si respirava. Ne esce un quadro tipico delle gestioni familiari di quegli ani in cui una figura quasi patriarcale stava a capo di tutto, un po’ un padre padrone come usava allora, ma in questo caso di grande correttezza e onestà. Sia Giuseppe che Piero hanno sempre vissuto come prioritaria la responsabilità di assicurare ai propri dipendenti uno stipendio, al parti della dignità dovuta alla propria famiglia.

Alla stessa maniera Piero parla con affetto di ogni suo operaio, pur non mancando mai di sottolinearne mancanze o difetti, proprio come farebbe un padre brontolone con i propri figli. Ha sempre privilegiato la relazione con i suoi collaboratori e dipendenti, anche nel caso di figure difficili quando non ingestibili.

Nonostante siano cose accadute molti anni fa ancora racconta con viva delusione di giovani che lasciavano l’officina dopo che era stato messo tanto impegno per insegnar loro un lavoro che di li a poco sarebbe anche probabilmente andato a sparire per mancanza di manodopera.26 A questi ricordi si uniscono quelli delle persone che hanno vissuto quegli anni: gli operai storici ricordano bene la propria gavetta. Entrati come ragazzi di bottega si arrivava ad avere l’esperienza necessaria ad essere considerati operai specializzati solo dopo molto tempo.

In questa dimensione piccola la ricerca e l’innovazione procedevano nella condivisione delle conoscenze interne e si basavano sull’esperienze interne e si basavano sull’esperienza pratica diretta, non solo sulla tecnica. Ogni innovazione sulla macchina veniva montata sulla macchina da caffè da bar in officina e testata grazie all’uso quotidiano durante le pause caffè degli stessi operai, che si insegnavo l’un l’altro tutto ciò che era necessario per fare al meglio il proprio lavoro.

Questo approccio “familiare” è stato proprio ciò che ha conquistato chi è arrivato in Marzocco dopo aver avuto esperienze professionali in realtà lavorative molto

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grandi. Per chi arrivava dalle multinazionali dove esistono feree gerarchie e squadre di assistenti, segretarie, autisti, il rituale del caffè fatto da Piero ogni mattina e bevuto tutti insieme o l’ufficio del signor Ettore Toscani che teneva tutta la contabilità con la sua macchina da scrivere Olivetti, lapis e block notes erano caratteristiche peculiari. Chi nelle esperienze passate si era trovato a fare i conti con atmosfere molto formali quando non impersonali, o in ambienti molto grandi da cui si era magari aspettato molto rimanendo deluso, in questa dimensione racconta, molto viva e diretta, trova una sfida stimolante: portare le proprie conoscenze, acquisite in ambiti diversi, per far crescere un’azienda con grandi potenzialità. Ogni cosa ovviamente aveva i suoi pro e i suoi contro. L’approccio artigianale ad esempio portava la produzione a ritmi d’altri tempi, che permettevano da un lato di avere una perfetta se non maniacale cura del dettaglio in quanto ogni macchina era considerata un pezzo unico, dall’altro il processo era rimasto fermo ad una gestione per certi versi ormai superata. E così magari si aveva cura di limare le lamiere taglienti per tutelare chi un domani avrebbe dovuto mettere le mani nella macchina, ma si continuava ad ordinare il filo elettrico solo bianco e per assemblare i cablaggi lo si colorava in officina.

Ma l’atmosfera della fabbrica sulle colline di Pian di San Bartolo per quanto si sviluppi in una piccola realtà non preclude il superamento di grandi distanze. Non pone alcuna barriera. La curiosità dei fratelli Bambi, la naturale inclinazione di Piero al confronto, si sono sempre unite ad una grande disponibilità e alla capacità di vedere negli altri le migliori potenzialità. Una prova di questo è l’amicizia tra Piero e Kent Bakke, diversi e distanti tra loro per età e cultura ma unita da una forte passione comune. Un ponte straordinario fondato sul rispetto, sulla fiducia e sulla certezza che l’incontro con chi appare diverso da noi non può portare altro che ad un concreto risultato di arricchimento reciproco.

Naturalmente già dalla prima metà degli anni novanta La Marzocco inizia a cambiare l’organizzazione del lavoro e ad ampliare le sue prospettive, anche attraverso l’inserimento di nuove figure professionali.

L’allora amministratore delegato Ron Cook getta i semi di una gestione molto legata a quelli che erano il passato e la realtà dell’azienda ma pronta ad affrontare la

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sfida di un mercato in forte cambiamento. Ricordato da tutti come una persona fi grande cuore, Ron riesce a traghettare La Marzocco da una concezione familiare tradizionale verso uno spirito di più ampio respiro e una impostazione maggiormente internazionale riconoscendone i valori cruciali.

A questo si unisce la sua intuizione nel riconoscere il grande valore delle competizioni baristi e le realtà di settore ed il suo impegno nel supporto facendo sì che la dedizione de La Marzocco ad una produzione artigianale mirata al risultato di un espresso di qualità venga riconosciuta a livello internazionale.

Il cambiamento maggiore avviene nel 2009, quando La Marzocco, oltre ad affrontare la grande crisi che investe l’economia globale mette in atto una trasformazione, sia per quanto riguarda il trasloco della dese che per quanto riguarda l’organizzazione aziendale.

6.3. Nuove idee

La fabbrica di Pian di San Bartolo era stata progettata da Giuseppe e costruita partendo da bisogni ben precisi. Quando viene scelto il capannone nel Mugello, si cerca di renderlo il più possibile accogliente e di donare alla struttura dei tratti distintivi e di pregio che ne facciano un posto pieno di calore. Oltre ad aggiustarne l’aspetto ad arricchirlo di dettagli tipici ed eleganti, come i pavimenti in cotto, le travi a vista, si decide di portare direttamente dalla vecchia fabbrica alcuni mobili, alcune porte. Ovviamente tutto questo facendo i conti con le reali problematiche della crisi che prende campo.

La richiesta di macchine diminuisce bruscamente, poiché nonostante siano eccellenti per innovazione e qualità sono anche più costose rispetto alla concorrenza. Mentre il lavoro in fabbrica cala, nell’ufficio marketing e vendite a Milano il lavoro è frenetico: c’è una lavagna su cui vengono segnate le macchine vendute.

Per poter pagare spese e stipendi ogni settimana devono essere vendute tassativamente almeno un tot di macchine. Ogni crocetta segnata sulla lavagna

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diventa una conquista, esattamente come il riuscire a vendere una Marzocco per Giuseppe alla fine degli anni Venti.

“Quando io e Guido abbiamo iniziato a costruire una rete di vendita globale nel 2002, viaggiando per il mondo, quello che ci veniva detto da tanti clienti ed operatori del settore era che la Marzocco era una Ferrari tenuta in garage. Insomma, era un segreto nascosto. L’operazione che facemmo all’epoca altro non fu che tirarla fuori dal garage e mostrarla, portando la nascente comunità dello specialty coffee a vedere cosa c’era dentro la nostra macchina da caffè espresso” (Lorenzo Carboni).

Le dimensioni de La Marzocco all’epoca sono ancora abbastanza contenute e la situazione non si fa mai realmente critica, soprattutto per la capacità di trattare con i fornitori torici, per la fiducia conquistata negli anni e per l’appoggio dei soci oltreoceano. Non è comunque una condizione che possa essere presa alla leggera. Ci si trova a valutare le possibili soluzioni.

La prima cosa su cui si decide di fare affidamento è il buon senso. Perché sono le persone a fare l’azienda, non il prodotto. Come è sempre stato fatto anche in passato, il primo pensiero è per la tutela dei dipendenti. Dal punto di vista economico lo Stato permetterebbe di attivare la cassaintegrazione, soluzione che ovviamente faciliterebbe l’azienda, ma chi si trova al vertice sta vivendo a casa la stessa condizione e ne conosce gli effetti problematici su una famiglia.

È in questo modo che prende forma lo stato embrionale della filosofia della persona al centro, nei fatti. Non viene attivata la cassaintegrazione e appena il nuovo capannone è pronto iene programmato il trasloco. Si decide di coinvolgere i dipendenti per mantenere i costi e di eseguire lo spostamento subito dopo le vacanze estive. Immaginando di dover aspettare almeno quattro settimane prima di poter riavviare la produzione si produce in anticipo un quantitativo di macchine che si stima possa coprire la richiesta durante il periodo di pausa. Nella realtà le cos vanno molto più velocemente e il trasloco è fatto e finito prima dei tempi stimati. Tanta efficienza porta un altro problema, dato che le macchine prodotte restano ferme in magazzino in attesa di essere vendute, ma è come se tutto si fosse messo in moto. I nuovi spazi si accompagnano alla realizzazione di nuove idee.

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“Guido ha condiviso tutto con il team: abbiamo iniziato a fare corsi, a leggere libri, insieme.. questo mi ha cambiato la vita anche come padre, come marito, come modo di vedere. Queste cose te le aspetti in un’azienda grande, invece io sono arrivato qua, in un contesto piccolo e ho trovato tutto. Questa azienda mi ha trasformato personalmente e professionalmente” (Chris Salierno).

Il nuovo amministratore delegato, Guido Bernardinelli, si trova chiamato dai propri soci ad affrontare un ruolo mai avuto prima. Il suo approccio alle cose in generale è quello di sempre: un misto di curiosità, umiltà e slancio. È consapevole di non avere esperienza, ma sa anche dove deve arrivare. La sua passione per tutto ciò che non conosce lo ha portato spesso ad essere autodidatta. Il suo primo passo perciò è cercare di crearsi una conoscenza teorica: inizia a leggere libri che parlano di leadership, ma anche storie che parlano di esploratori, alpinisti e di grandi imprese. Questo cocktail di organizzazione, coraggio e pensiero filosofico scaturisce una riorganizzazione precisa delle risorse umane.

Durante la sua esperienza passata come commerciale Guido ha saputo fare della sua abilità nello stringere rapporti interpersonali un incredibile punto di forza. Realizza che è il momento di rivolgere la stessa cura all’interno dell’azienda. Si accorge anche di aver applicato nei fatti molto di quel buon senso che si trova nei manuali, ma non per questo li mette da parte. Anzi, pensa che possa essere un’ottima idea condividere un percorso di formazione e di crescita che renda le conoscenze e gli strumenti alla portata di tutti. Viene avviato un fitto dialogo: per poter meglio definire i compiti di ognuno, ma soprattutto per riuscire a capire se le persone in quel momento sono impegnate in una mansione a loro congeniale o pensano magari di poter fare di più in ambiti diversi

Si inizia a preparare il terreno per creare l’ambiente in cui ognuno possa sentirsi libero di esprimere le proprie impressioni, per definire una vision condivisa e per costruire un vero lavoro di gruppo.

I primi corsi che vengono organizzati sono rivolti ai manager, per fornirli di spunti e materiale prezioso per la gestione di un’azienda nel miglior modo possibile.

L’obiettivo è portare le scelte aziendali su un piano valoriale consapevole, in modo che l’organizzazione riesca ad esprimere al meglio tutte le energie possibili e che i

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partecipanti possano evolvere non solo come manager e leader ma anche da un punto di vista personale. Esperienze di questo tipo possono generare delle forti resistenze, perché vanno ad incidere su quello che è il sistema valoriale dell’individuo e la sua identità. L’atmosfera che invece si crea durante uno di questi primi corsi, non solo tra i membri del team ma anche con il fornitore, è molto positiva e porta alla luce una fortissima volontà di concretizzare i temi trattati. Vengono perciò raccolte tutte le riflessioni che emergono durante questi giorni di incontro e scambio e viene tracciato il percorso di un cammino che tuttora continua. Lavorare su se stessi, leggere, fare corsi o esperienze di qualsiasi genere, arricchisce non solo le proprie competenze ma anche il proprio stile di vita. Viene deciso, benché l’azienda non stia attraversando un momento florido, di investire molto sulla formazione. Non si vuole necessariamente focalizzare il risultato sul migliorare il rendimento in azienda, ma dare l’opportunità di poter sviluppare le proprie doti personali al fine di bilanciare gli equilibri, siano essi interiori o nel rapporto con gli altri.

Infatti, emergere che ciò che si sente più fortemente è quanto sia importante prendersi cura delle persone con cui si lavora, un tema centrale sul quale il management torna molto spesso. Durante questo periodo molto intenso molti fattori hanno avuto un effetto potente sulla trasformazione personale dei singoli, sulla coesione dei gruppi di persone che lavorano insieme, compresa la combinazione dei singoli ruoli, la rivalutazione di alcune idee e la comprensione dei valori chiave dell’azienda, specialmente alla luce della costante presenza di Piero Bambi e della caratteristica artigianale del prodotto.

La mission dell’azienda ha preso forma da un lavoro collettivo riunione dopo riunione, lavorando sulle parole e sul sentire personale. Non si è confezionato un proclama buono per il marketing o propizio all’immagine, ma si sono volute individuare le caratteristiche distinte che hanno permesso ai fratelli Bambi all’inizio e poi a Piero Bambi di portare avanti La Marzocco nel tempo. Prendere un caffè con Piero per Guido è stata l’esperienza che ha riportato a zero l’asticella dopo aver lavorato anni nel settore del caffè. Di fronte all’approccio di Piero molte persone hanno rivisto la valutazione circa la propria conoscenza del caffè. Infatti la sua

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grande passione per la qualità in tazza non ha mai potuto prescindere dalla conoscenza del caffè, dalla cura della macchina e dall’eleganza del rito stesso, dei tentativi costanti di migliorare ed innovare la tecnologia delle sue macchine da caffè espresso senza lasciare mai da parte la storia della propria famiglia. E tutto, sempre, raccontato al proprio interlocutore nel suo modo spontaneo e genuino.

La figura di Piero e la sua presenza costante e attiva è sempre stata per tutti una garanzia: di continuità, di metodo, di conoscenza e ricerca di qualità.

Chris Salierno, l’ultimo dei cinque manager ad essersi unito al team, ricorda ancora molto bene la notte precedente il suo primo incontro ufficiale con Piero, benché l’avesse già conosciuto brevemente durante una fiera a Copenhagen. Agitato dall’esito che la prima impressione di Piero avrebbe avuto sui loro rapporti non è riuscito a chiudere occhio per tutta la notte.

L’immagine di Chris conserva di questo primo incontro è di complessa sorpresa: Piero lo accoglie con un vassoio di pasticcini e una bottiglia di prosecco per dargli il benvenuto. Tutte le sue ansie di dissolvono e lasciano il posto ad un senso di calore e benevolenza. Perciò, un’altra cosa per cui si inizia a lavorare concretamente, è arrivare a far sì che l’immagine de La Marzocco che arriva all’esterno rispecchi esattamente il vissuto interno. Un mondo fatto di gesti semplici ma sentiti, spontanei. In questa ottica, nonostante il momento storico ed economico, tutti i corsi frequentati dai manager vengono erogati anche a tutti gli altri dipendenti senza nessuna distinzione di ruolo. Il desiderio ultimo è condividere cultura, dare strumenti che possano essere utilizzati anche al di fuori dell’azienda se lo si vuole. Ognuno può così diventare un ambasciatore interno della realtà che sta vivendo. Poter raggiungere la consapevolezza del luogo in cui si lavora e delle proprie responsabilità regge e alimenta anche il sistema di delega di responsabilità completa. Infatti, dopo aver vissuto sulla propria pelle la contraddizione di trovarsi in ruoli di responsabilità per grandi aziende o multinazionali, magari negoziandone le condizioni economiche all’esterno in completa libertà per poi ritrovarsi in ufficio a dover chiedere il permesso per uscire un’ora prima, Guido ma anche gli altri manager, vogliono creare un’azienda dove ognuno sia libero e padrone delle proprie scelte e possa offrire il meglio di se stesso.

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Creare un ambiente di lavoro fatto a misura d’uomo, avere un squadra che possa lavorare in armonia, persone che al mattino arrivino sul luogo di lavoro con il sorriso sulle labbra.

Il cambiamento pragmatico da affrontare è rivolto tutto al futuro: è necessario inserire nuovi modelli, aprire nuovi mercati, assumere nuove persone, nella certezza che questi contributi saranno utili a migliorare.

Per rendere tutti questi cambiamenti finalizzati ad un risultato diventa importante fare un passo ulteriore, verso l’esterno. Infatti tutti coloro che in quel momento, all’esterno, lavorano con La Marzocco, stanno vivendo lo stesso momento di incertezza. Nel mondo si continuano a vendere macchine da caffè, ma non di alta gamma. La GB5 sta finalmente affermandosi sul mercato, ma è già tempo di pensare a qualcosa di nuovo.

Tutti giocano al ribasso, fanno sconti, progettano alternative più economiche pur di accaparrarsi clienti o addirittura uniscono le due strategie. Il mercato sta diventando un oceano rosso dove ci si scanna per disperazione.

Le alternative che si presentano sono due: rimanere in mezzo alla lotta o lanciarsi nel buoi ancora una volta e allontanarsi dalla mattanza, alla ricerca di un oceano blu.

La scelta, di nuovo rischiosa e impegnativa è per la seconda opzione. Si va in totale controtendenza e si immagina una nuova macchina: di altissimo livello, sofisticata ed elaborata, studiata per i baristi di ultima generazione. Si sceglie di continuare il