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Università del Salento

Facoltà di Economia

Corso di Laurea Magistrale in Management aziendale Cattedra di Strategia aziendale

Il bilancio consolidato nei gruppi aziendali: profili teorici, valenza informativa e principi contabili alla base della redazione

Relatore:

Prof. Francesco Giaccari

Laureando:

Emanuele Boellis

________________________________________

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INDICE

Il bilancio consolidato nei gruppi aziendali: profili teorici, valenza informativa e principi contabili alla base della

redazione

Premessa Parte prima

Le aggregazioni aziendali e i gruppi di imprese.

Capitolo I - Il fenomeno delle aggregazioni aziendali.

1. Considerazioni preliminari allo studio delle aggregazioni di imprese...1

1.1 La concentrazione aziendale...2

1.2 La collaborazione delle imprese...5

Capitolo II - I gruppi aziendali: modalità di formazione e tipologie. 1. La formazione dei gruppi...8

2. Le diverse forme di controllo...11

3. Condizioni influenti sulla formazione del gruppo...13

4. I caratteri distintivi dei gruppi aziendali...20

4.1 La pluralità dei soggetti giuridici...20

4.2 L’unicità del soggetto economico...23

4.3 Il collegamento tra le aziende tramite partecipazioni di controllo...25

5. I vantaggi connessi alla struttura di gruppo aziendale...28

5.1 Brevi considerazioni sulla rilevanza dell’effetto «leva azionaria», «leva finanziaria» e «leva multipla»...29

5.2 Il ruolo dei prezzi di trasferimento nell’ambito dei gruppi aziendali...31

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7. Il risultato economico di gruppo...38

Parte seconda Il bilancio consolidato: aspetti metodologici e valenza informativa all’interno dei gruppi aziendali. Capitolo I – Il consolidato: dalle teorie sul consolidamento al processo di redazione. 1. La nozione di bilancio consolidato nella dottrina aziendalistica e nei principi contabili...41

2. Le teorie di consolidamento e la loro influenza sulla composizione del bilancio consolidato...44

3. Natura, funzioni e destinatari del bilancio consolidato...48

4. I principi generali di redazione del bilancio consolidato. 4.1 I principi di «chiarezza» e di «rappresentazione veritiera e corretta»...51

4.2 I criteri generali di redazione del bilancio consolidato...52

4.3 Le caratteristiche qualitative del bilancio consolidato...54

5. L’area di consolidamento e la selezione delle unità economiche obbligate alla redazione del bilancio consolidato...56

5.1 L’area di consolidamento e l’area di gruppo...59

5.2 I criteri da seguire per l’inclusione nell’area di consolidamento...61

5.3 Le imprese escluse dal consolidamento...63

6. Le operazioni di preconsolidamento...67

6.1 L’uniformità degli schemi di bilancio...67

6.2 L’uniformità delle date di riferimento dei bilanci da consolidare...68

6.3 L’omogeneità dei criteri di valutazione...69

7. Il procedimento di consolidamento con il metodo integrale...72

7.1 L’eliminazione dei debiti e dei crediti reciproci...74

7.2 L’eliminazione dei costi e dei ricavi derivanti da operazioni infragruppo...76

7.3 L’eliminazione dei dividendi e di altri proventi delle partecipazioni...77

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infragruppo...78

7.5 Il consolidamento delle partecipazioni...79

7.5.1 Il trattamento delle differenze di consolidamento residue...79

7.6 La valutazione delle partecipazioni non consolidate con il metodo del patrimonio netto e con il metodo del costo...82

Capitolo II – La capacità informativa del bilancio consolidato all’interno del gruppo aziendale. 1. Considerazioni preliminari...86

2. La valenza dell’informativa societaria...89

3. La collocazione del bilancio consolidato nel contesto del sistema informativo interno del gruppo...91

4. I limiti conoscitivi del bilancio consolidato in relazione alla situazione patrimoniale ed economico – finanziaria del gruppo e le ripercussioni sulla disciplina dell’informazione societaria...92

5. I criteri di redazione funzionali ad offrire utili elementi sulle varie imprese facenti parte del gruppo...94

6. La redazione dei documenti di sintesi quali output informativi per il gruppo aziendale...95

6.1 Lo stato patrimoniale consolidato...97

6.2 Il conto economico consolidato...99

6.3 La nota integrativa consolidata: struttura e contenuto...100

6.3.1 I contenuti aggiuntivi da inserire obbligatoriamente nella nota integrativa e gli elenchi delle imprese incluse ed escluse dal consolidamento...103

6.4 Gli allegati al bilancio: il rendiconto finanziario ed i prospetti relativi al patrimonio netto...109

6.5 La relazione sulla gestione...111

6.5.1 Le principali soluzioni normative in materia di relazioni che corredano il bilancio consolidato in seguito al recepimento delle direttive comunitarie...114

6.5.2 Le recenti modifiche alla relazione sulla gestione al bilancio consolidato...117

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7. Considerazioni conclusive...123

Parte III Il bilancio consolidato secondo gli IAS/IFRS: schema di confronto con la normativa ed i principi nazionali. Capitolo I – Sintesi delle principali differenze tra principi contabili internazionali e normativa e principi nazionali nell'ambito del bilancio consolidato. 1. Considerazioni preliminari...125

2. Il quadro normativo di riferimento...126

3. Gli obblighi di redazione e l’area di consolidamento...129

4. Le operazioni di preconsolidamento...132

4.1 La data di redazione del consolidato...133

4.2 Gli schemi di bilancio consolidato secondo gli IAS/IFRS...134

4.2.1 Le differenze nello stato patrimoniale...134

4.2.2 Le differenze nel conto economico consolidato...135

4.2.3 Considerazioni sul rendiconto finanziario...137

4.2.4 La nota integrativa e la relazione degli amministratori...138

4.3 I principi ed i criteri di valutazione...139

5. Rettifiche ed eliminazioni di consolidamento...140

5.1 L’eliminazione delle partecipazioni e le differenze di consolidamento...141

5.2 L’eliminazione di elementi economico – patrimoniali reciproci e dei risultati infragruppo non realizzati verso terzi...146

Bibliografia...148

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Parte prima

Le aggregazioni aziendali e i gruppi di imprese

Capitolo I

Il fenomeno delle aggregazioni aziendali

1. Considerazioni preliminari allo studio delle aggregazioni di imprese.

Lo sviluppo dei sistemi economici è sempre stato accompagnato dalla formazione di accordi e dalla nascita di coalizioni tra unità economiche che tramite tali strumenti hanno ritenuto di poter raggiungere meglio i propri obiettivi.

Un impulso decisivo allo sviluppo di forme di collaborazione è venuto dal mutamento intervenuto negli ultimi decenni con riguardo alle caratteristiche e condizioni di competitività dei mercati. Difatti, in primo luogo, da un regime di concorrenza relativamente stabile, si è passati ad una concorrenza di tipo globale guidata principalmente da imprese multinazionali e caratterizzata da strategie fortemente aggressive; in secondo luogo, l’innovazione tecnologica legata ai sistemi di produzione, di comunicazione ed all’information technology ha costituito un altro importante elemento di trasformazione dei processi produttivi. L’insieme di tali fattori ha contribuito alla nascita di forme collaborative, intese come ricerca comune e sinergica di un costante miglioramento delle condizioni e delle modalità di produzione, nonché di ricerca della dimensione aziendale più adeguata.

Peraltro, ulteriore elemento nel quale si ravvisa una causa indiretta di

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incentivazione alla collaborazione ed alla cooperazione tra imprese è connesso alle politiche pubbliche di intervento statale, volte a sostenere e a promuovere lo sviluppo di taluni settori.

Va sottolineato, infine, che nella contrapposizione tra la crescente instabilità delle condizioni dell’ambiente e la continua ricerca di stabilità dell’impresa emerge un forte impulso alla collaborazione, quale percorso idoneo a facilitare la sopravvivenza e lo sviluppo.

Di conseguenza, all’impresa si pone il problema della ricerca di un giusto equilibrio tra la salvaguardia della propria autonomia gestionale e decisionale e la capacità di sfruttamento delle opportunità di cooperazione con i vari attori del sistema economico.

1.1 La concentrazione aziendale.

Affrontare la tematica delle concentrazioni aziendali significa indagare sulle cause e sulle circostanze che stimolano le aziende ad ampliare l’estensione delle combinazioni economiche svolte.

Sotto il profilo dell’estensione, le combinazioni economiche che le imprese decidono di avviare possono essere molto differenti sia per dimensione, sia per numerosità e varietà. La dottrina, a tal riguardo, al fine di poter esprimere un giudizio completo sul fenomeno, propone l’adozione di più parametri coerenti con lo scopo della misurazione1 e idonei a cogliere i diversi aspetti nei quali si concretizza l’attività d’impresa.

Il tema della misurazione delle dimensioni aziendali costituisce un’importante premessa per la migliore comprensione dei piani di sviluppo e di crescita dell’impresa e riveste significativi aspetti operativi. Le dimensioni di un’impresa possono essere desunte da informazioni attinenti alla componente personale-organizzativa, all’assetto tecnico, all’assetto istituzionale e al patrimonio, alla posizione di mercato, all’estensione delle combinazioni parziali, al ruolo complessivamente svolto nella realtà

1 Così Passaporti B., I gruppi e le altre aggregazioni aziendali, Milano, 1994, 3; Onida P., Le dimensioni del capitale di impresa, Milano, 1951, 20.

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economica del Paese.

Nella realtà, generalmente, le imprese di piccole dimensioni sono caratterizzate da una limitata estensione delle coordinazioni parziali svolte internamente, mentre le imprese di grandi dimensioni sono caratterizzate da elevati livelli di estensione delle combinazioni produttive; tale estensione può essere di tipo orizzontale, ove riferita alla numerosità ed alla disomogeneità delle combinazioni prodotto – mercato attuate, oppure di tipo verticale, se attiene alla completezza delle fasi o dei passaggi del ciclo produttivo svolti internamente.

La ricerca di dimensioni economiche convenienti, ossia atte ad ottimizzare il rapporto tra le risorse investite e i risultati ottenibili è spesso soddisfatta dalla crescita dell’impresa e dal raggiungimento di grandi dimensioni cui si accompagnano economie interne non altrimenti ottenibili2. I vantaggi economici propri della grande dimensione sono, pertanto, riconducibili alla possibilità di sfruttare «economie di scala», «economie di raggio d’azione» ed «economie di transazione».

La prima ragione alla base di ciascun processo di concentrazione si riscontra nella mutazione del sistema di valori e, in particolare, nella dimensione dei costi, nell’aumento dei ricavi, ovvero nella tendenza al conseguimento di profitti maggiormente soddisfacenti. A tal proposito, la realtà economica manifesta l’esistenza di unità di varie dimensioni, risultato di un calcolo economico che tiene conto di tutte le variabili preminenti e che palesa, di conseguenza, i vantaggi propri di differenti metodi di acquisti e di produzione3.

2 A tal proposito, Galassi G., Concentrazione e cooperazione interaziendale, Milano, 1969, 68, ed autori ivi indicati, sostiene che la ricerca delle dimensioni ottime è inerente al fenomeno della concentrazione aziendale quando “l'ottimo si persegue in corrispondenza di vaste dimensioni”.

3 Cfr. Onida P., Economia d’azienda, Torino, 1968, 314, secondo il quale i vantaggi e le economie interne ed esterne, comunemente giudicati propri di una certa dimensione aziendale, si manifestano in definite condizioni, mancando le quali cessano o mutano in svantaggi e diseconomie. Non è, pertanto appropriato affermare, per ciascun

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La grande dimensione, in ragione della rilevanza delle risorse materiali, umane e finanziarie complessivamente disponibili, può operare in modo più proficuo, con maggiori convenienze e complessivamente con maggiore potere contrattuale e di condizionamento sull’ambiente circostante, di quanto non sia consentito ad imprese medie e piccole. Di conseguenza, il riconoscimento dei vantaggi legati alla grande dimensione giustifica il vasto e crescente interesse con cui le imprese guardano a percorsi di crescita.

Alcuni dei motivi che spiegano le «economie dimensionali» sono rintracciabili nella maggiore specializzazione dei fattori produttivi, irrealizzabile a dimensioni minori in ragione della indivisibilità dei fattori medesimi, acquisibili solo in misure definite; un’ulteriore spiegazione comune delle economie dimensionali riguarda possibili economie reali di specializzazione del lavoro d’impresa, ma primariamente si sottolineano le economie strettamente monetarie, quali quelle connesse ai grandi acquisti ed ai costi di distribuzione4.

Al tempo stesso, tuttavia, è convinzione diffusa che la grande impresa sia maggiormente soggetta a cicliche crisi strutturali legate ai rischi di gigantismo e burocratizzazione, cui si è soggetti con l’aumento della complessità dei sistemi di coordinamento e controllo, e ai rischi di mercato derivanti da sovradimensionamento che conferisce rigidità all’organizzazione privandola della flessibilità necessaria a mutare rapidamente al fine di rispondere agli eventuali cambiamenti del mercato e dell’ambiente di operatività5.

In un simile contesto ambientale, caratterizzato dalla crescita

settore economico o per un dato settore in ogni condizione, che una determinata dimensione aziendale comporta maggiore economicità comparata rispetto ad altre.

4 Cfr. Galassi G., Concentrazione e cooperazione interaziendale, cit., 69, ed autori ivi indicati.

5 Sul tema si veda Vicari A., Nuove dimensioni della concorrenza, Milano, 1989.

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dimensionale, si inserisce il fenomeno delle alleanze, degli accordi, delle coalizioni e dei patti interaziendali, quale soluzione idonea a superare le rigidità proprie della grande dimensione e le debolezze della piccola dimensione.

La tendenza ad aggregarsi è stata negli ultimi decenni una costante che ha riguardato settori differenti, sistemi economici contraddistinti da diversi gradi di sviluppo, aree geografico – politiche profondamente disomogenee. Nel nostro Paese, in particolare, la struttura del sistema industriale appare molto articolata e complessa essendo composta prevalentemente da piccole e medie imprese e, pertanto, il sistema risulta caratterizzato da fenomeni di cooperazione e collaborazione, quali le reti, i distretti e le costellazioni.

Negli ultimi anni le operazioni di fusione e di acquisizione hanno riguardato diversi settori produttivi, dal farmaceutico al petrolifero, al bancario, all’assicurativo, al settore della telefonia, all’automobilistico e ad altri ancora. Tuttavia, i vantaggi derivanti da tali processi di concentrazione, come, ad esempio, l’apprezzamento della quotazione dei titoli di società coinvolte in operazioni di merger and acquisition, non riescono a perdurare nel tempo, in quanto, invero, non esiste una reale correlazione tra l’attività societaria volta alla concentrazione e l’andamento dei prezzi dei titoli, che risulta maggiormente condizionato dalle prospettive di redditività delle aziende, dai livelli dei tassi di interesse e da quelli dei cambi.

In definitiva, è opportuno sottolineare che non tutte le operazioni di concentrazione vanno a buon fine; al contrario, molte di esse incontrano difficoltà e resistenze che dimostrano come sia talvolta impossibile combinare culture imprenditoriali e attitudini manageriali diverse nonché stili, tradizioni, modelli storici di comportamento differenti.

1.2 La collaborazione tra imprese.

Le imprese collaborano tra di loro secondo modi e forme differenti, coordinando e rapportando reciprocamente le proprie iniziative. Le possibili

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forme collaborative possono essere caratterizzate da vincoli il cui peso e la cui durata possono essere differenti per le singole imprese che, ad ogni modo, non perdono la loro autonomia; di fatto, ognuno conserva il proprio soggetto economico che concorre, assieme ai soggetti economici delle altre, alla formazione delle scelte e all’assunzione delle decisioni.

In tal senso, esistono diverse tipologie di collaborazioni tra imprese.

In riferimento al contenuto specifico, si distinguono collaborazioni «nel fare» e «nel non fare» ed anche collaborazioni nella modalità di comportamento; in merito alla possibilità di aderire o meno ad un rapporto di collaborazione, invece, queste si distinguono in «volontarie» e in

«obbligatorie»6. A tal proposito, è utile chiarire che pur essendo riconosciuto formalmente l’esercizio del diritto di aggregazione alla volontà dell’impresa, quest’ultima, in talune circostanze, è costretta ad aderire ad accordi che concretamente si concluderebbero a prescindere dalla partecipazione della stessa.

Le collaborazioni possono avere ad oggetto una singola operazione, un processo o anche l’intera gestione; si distinguono anche collaborazioni di breve durata ed accordi di tipo permanente. Ad ogni modo, tutti gli accordi sono caratterizzati da vincoli che si definiscono in relazione ai processi produttivi che tendono a congiungere o ad integrare, alle condizioni di negoziazione e alla loro espressione in forme aventi contenuto giuridico valido tra le parti e, infine, alla durata. Questi vincoli, in generale, tendono ad essere tanto più definiti quanto più breve risulta essere la durata dell’accordo.

Peraltro, è possibile distinguere, a seconda del tipo di aziende collaboratrici, «accordi orizzontali», che coinvolgono imprese concorrenti appartenenti allo stesso settore di mercato, ed «accordi verticali» che si instaurano tra imprese, collocate lungo la medesima catena di produzione,

6 Cfr. Scialpi L., Collaborazione economica delle imprese e dei settori produttivi, in Il nuovo management, n. 1/2001, 27ss.; Galassi G., Concentrazione e cooperazione interaziendale, cit.

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che svolgono fasi diverse e successive di un unico e complementare processo produttivo. Le collaborazioni tra imprese possono, talvolta, essere accompagnate da relazioni di tipo patrimoniale; in questo caso l’intesa tra due (o più) aziende è avvalorata dalla partecipazione dell’una nel capitale dell’altra.

Le relazioni patrimoniali rilevanti sono principalmente quelle assicurate da partecipazioni permanenti di controllo e di collegamento. In questo modo, le aziende coinvolte, pur mantenendo la propria individualità come unità economico – produttive e la propria autonomia giuridica, danno vita a sistemi economici complessi, detti gruppi, all’interno dei quali si manifesta un’unitaria volontà di governo, riconducibile ad un soggetto economico sovraordinato a quelli delle singole imprese aggregate.

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Capitolo II

I gruppi aziendali: modalità di formazione e tipologie

1. La formazione dei gruppi

La ricerca delle cause di natura economico – aziendale che conducono alla formazione dei gruppi richiede una chiara definizione del concetto di gruppo dal quale sia possibile derivare le potenzialità e le sinergie che differenziano questa forma da altre analoghe, quali l’azienda multi – divisionale ed altre tipologie di unione di imprese.

Il fenomeno è stato per lungo tempo oggetto di indagine nell’ambito degli studi economico-aziendali7. Taluni Autori hanno visto nel gruppo un

7 Tra la numerosa dottrina che ha approfondito il tema, si rimanda a Coronella S., Le diverse procedure operative per la creazione dei gruppi aziendali:

considerazioni critiche, in Riv. Dott. Comm., n. 2/2009, 275; Abate E. – Virgilio A., Le aggregazioni aziendali: guida all’applicazione degli IFRS, Milano, 2008; Caputo F., Le aggregazioni aziendali, il controllo ed il principio contabile internazionale IFRS 3, Bari, 2008; D’Amico L., La formazione dei gruppi: aspetti economico aziendali, in Marchi L. - Zavani M., Economia dei gruppi e bilancio consolidato. Un’interpretazione degli andamenti economici e finanziari, Torino, 2004, 3ss.; Aprile C. – Ghini P., Gruppi d’impresa e bilancio consolidato: aspetti economici e contabili, la nuova disciplina societaria, Milano, 2003, passim; Caratozzolo M., Il bilancio consolidato di gruppo. Profili economici e giuridici, Milano, 2002, 37; Andrei - Azzali - Bisaschi - Fellegara, Le aggregazioni di impresa, Milano, 1999; Azzini L., I gruppi. Lineamenti economico – aziendali, Milano, 1991; Ferrando P.M., Gruppo e teoria dell’impresa. Ipotesi

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sistema di aziende che mantengono una propria individualità, mentre altri hanno visto il complesso come un’azienda unica dotata di particolari strutture, tale da ripartire patrimonio e attività tra unità solo formalmente indipendenti.

La dottrina tradizionale fornisce una visione del gruppo quale variante organizzativa della grande impresa, in cui più aziende, giuridicamente autonome, sono caratterizzate da un comune soggetto economico.

In generale, sono due i connotati necessari a rilevare la presenza di un gruppo di imprese, ovvero l’esistenza di una pluralità di combinazioni economiche, ciascuna di pertinenza di soggetti giuridici distinti, ed il fatto che tale pluralità di combinazioni economiche sia governata nell’interesse prevalente di un unico soggetto economico.

In tal senso, il primo connotato permette di distinguere il gruppo dall’azienda divisa, all’interno della quale si hanno molteplici combinazioni economiche, ma tutte di pertinenza di un unico soggetto giuridico; nel gruppo, viceversa, ciascuna combinazione è propria di un soggetto giuridico distinto, il quale conserva una certa autonomia, seppur relativa, sul piano economico. Il fatto, invece, che la pluralità di combinazioni economiche sia svolta perseguendo l’interesse prevalente di un unitario soggetto economico, rende necessario che tali combinazioni siano inserite in un unico complesso osservabile in relazione ad un finalismo istituzionale sovraordinato rispetto ai fini propri di ciascuna combinazione economica.

In un’aggregazione la pluralità di combinazioni economiche si svolge all’interno di unità giuridicamente distinte, le quali spesso assumono la veste giuridica di società di capitali; di conseguenza, ciascuna società ha propri organi di governo e di controllo, un proprio capitale ed una propria

interpretative a confronto, in Caselli E. – Ferrando P.M. – Gozzi A., Il gruppo nell'evoluzione del sistema aziendale, Milano, 1990, 36ss.; Rinaldi L., Il bilancio consolidato. Teorie di gruppo e assestamento delle partecipazioni, Milano, 1990, 15ss.;

Cassandro P.E., I gruppi aziendali, Bari, 1988.

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organizzazione personale.

Al contempo, tuttavia, le singole unità, autonome dal punto di vista giuridico, presentano un unico soggetto economico, portatore di un interesse istituzionale generale, superiore agli interessi particolari propri di ogni singola società. Per tale motivo, il soggetto economico di gruppo fa parte, in virtù di legami partecipativi, degli organi deliberativi di ciascuna società, imprimendo così ad esso un’univoca linea di indirizzo e di comando.

In termini generali, il gruppo si caratterizza per la presenza di almeno due imprese, dotate di indipendenza formale, ma con unità di comando, di indirizzo e di coordinamento forti.

La dottrina ha variamente definito il concetto di gruppo aziendale assumendo talora, in funzione delle diverse fattispecie concrete, definizioni che si collocano agli antipodi di una gamma di situazioni osservabili nella realtà.

Ad un estremo di questa gamma di situazioni si pone il gruppo inteso come un’unica azienda, le cui unità economiche sono dotate di indipendenza giuridica. Si tratta di gruppi fortemente integrati sul piano strategico, operativo e organizzativo.

All’altro estremo è possibile definire il gruppo come un sistema di aziende autonome; è il caso, ad esempio, di una società, una cosiddetta holding pura, che detiene partecipazioni di controllo in una o più società, con l’intento di conseguire benefici secondo l’ottica dell’investimento patrimoniale.

Tra questi due estremi sussiste una vasta gamma di situazioni che consentono di configurare gruppi con legami tra società di tipo strategico, operativo ed organizzativo più o meno stringenti.

Si è soliti distinguere tra gruppo economico e gruppo finanziario, in ragione del diverso grado di integrazione strategica che sussiste tra tutte le unità che compongono il gruppo.

Nel cosiddetto gruppo economico è ravvisabile una direzione unitaria, caratterizzata da un disegno imprenditoriale e dalla comunanza,

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nella rappresentanza di interessi, della maggioranza degli amministratori.

Tali requisiti devono consentire l’effettivo manifestarsi di un coordinamento tra le attività svolte dalle singole unità che compongono il gruppo; è necessario, però, che tale coordinamento sia effettivo, ossia frutto del potere di controllo derivante dal possesso di partecipazioni o da legami contrattuali di varia natura, perché si configuri un’entità economica unitaria.

Non è sufficiente per ravvisare un gruppo economico la mera potenzialità del controllo se questo non produce un coordinamento effettivo tra le imprese del gruppo, in assenza del quale si è in presenza di un gruppo finanziario nel quale il controllo resta garantito dal possesso di partecipazioni di maggioranza o da vincoli contrattuali, ma non si esplicita in un coordinamento di gruppo, dando origine ad un’entità economica unitaria.

In riferimento all’attività svolta dalla capogruppo (holding), si distingue tra holding pura, quando la sua attività si caratterizza per l’assenza di attività produttiva e per l’accentramento delle funzioni di pianificazione, finanza e controllo, e holding mista, quando, oltre a svolgere le predette funzioni, la capogruppo attua anche attività di tipo produttivo8.

2. Le diverse forme di controllo.

Il sistema normativo italiano non contempla alcuna disciplina giuridica sui gruppi9. Il legislatore si limita a definire i concetti di controllo

8 Si consulti Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri (CNDCR), Principio contabile n. 17, 1996.

9 Anche la riforma del diritto societario del 2003 ha dimostrato come l’esercizio della direzione unitaria, caratteristico del gruppo, non può essere ridotto a unità di struttura negoziale. Di conseguenza, si procede all’applicazione del diritto comune negli ambiti di sua competenza nonché delle leggi speciali nei settori del diritto antitrust, del lavoro, delle procedure concorsuali, del diritto tributario. Così Prencipe A. – Tettamanzi P., Bilancio consolidato: tecniche di redazione e di analisi secondo i nuovi principi contabili internazionali, Milano, 2009, 4; Aprile C. – Ghini P., Gruppi d’impresa e bilancio consolidato: aspetti economici e contabili, la nuova disciplina societaria, cit., 41ss.; Rossi

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e collegamento al fine di cogliere i legami che sussistono tra le unità giuridiche che compongono il gruppo10.

Il Codice Civile, all’art. 2359, definisce i rapporti di controllo tra società controllante e società controllate nonché tra società collegate11.

Ove una società disponga di almeno il 50% + 1 dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria di un’altra società, si configura un controllo di diritto, che può essere diretto o indiretto. Si può parlare di controllo diretto nell’ipotesi di titolarità della partecipazione da parte della controllante o della titolarità di eventuali diritti parziali quali il pegno o l’usufrutto.

Il controllo, viceversa, è indiretto quando manca la titolarità della partecipazione o di eventuali diritti parziali o, comunque, quando essa non è sufficiente ad assicurare la maggioranza dei voti, calcolata computando anche i voti spettanti a società controllate e a società fiduciarie.

Ad ogni modo, è opportuno evidenziare come il controllo di diritto non sia indispensabile ai fini di una relazione di controllo, in quanto, talvolta, è sufficiente un «controllo di fatto». Quest’ultimo si esplica nel

G., Il fenomeno dei gruppi e il diritto societario: un nodo da risolvere, in Riv. delle Società, Milano, 1995.

10 Sul tema cfr. Caputo F., Le aggregazioni aziendali, il controllo ed il principio internazionale IFRS 3, cit., 26 - 28; Tettamanzi P., Il bilancio consolidato, Milano, 2003; Lamandini M., Il controllo. Nozioni e tipo nella legislazione economica, Milano, 1995, 152ss.; Bianchi L.A., La nuova definizione di società «controllate» e

«collegate», in La nuova disciplina del bilancio di società (commento al D.lgs. 9 aprile 1991, n. 127), a cura di Bussolotti M., Torino, 1993, 2ss.; Beretta S., Il controllo dei gruppi aziendali, Milano, 1990; Pavone La Rosa A., Le società controllate – I gruppi, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, vol. II, Torino, 1991, 581 ss.; Idem,

«Controllo» e «gruppo» nella fenomenologia dei collegamenti societari, in Dir. Fall., 1985, I, 18 ss.

11 Sono da considerarsi società controllate quelle in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; quelle in cui un’altra società dispone di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; quelle che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

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caso in cui una società controllante disponga di un numero di voti sufficienti ad influenzare il risultato delle deliberazioni dell’assemblea ordinaria di un’altra società controllata, oppure nell’ipotesi in cui una società controllante sia in grado di esercitare un’influenza dominante su di un’altra società in ragione di particolari vincoli contrattuali con essa12.

Di fatto, la prima tipologia di controllo si manifesta con una certa frequenza in presenza di un azionariato estremamente frazionato accompagnato da un elevato grado di assenteismo alle assemblee da parte dei soci minoritari. La seconda modalità di controllo di fatto non è legata alla quantità di voti esercitabili nell’assemblea ordinaria, bensì a stringenti vincoli di tipo economico atti a far sì che la sopravvivenza di una società dipenda esclusivamente da tali vincoli contrattuali, in ossequio al proprio oggetto sociale.

Inoltre, occorre richiamare anche il concetto di influenza notevole, disciplinato dal comma 3 dell’art. 2359 del cod. civ., che serve ad individuare relazioni di collegamento tra le società del gruppo; in tal senso, una società si intende «collegata» quando un’altra dispone di almeno il 20%

dei voti da esercitare in assemblea ovvero del 10% nell’ipotesi di società quotata13.

3. Condizioni influenti sulla formazione del gruppo.

L’interpretazione delle cause che portano alla formazione dei gruppi di imprese si articola in due grandi categorie di motivazioni. Alla prima

12 Per ulteriori approfondimenti, si rimanda a Caputo F., Le aggregazioni aziendali, il controllo ed il principio contabile internazionale IFRS 3, cit., 23ss., ed autori ivi indicati.

13 Per completezza, in base ai principi contabili, esistono ulteriori casi in presenza dei quali si ritiene sussista un’influenza notevole quali l’appartenenza a sindacati di controllo, la partecipazione nella formulazione delle direttive cui si deve informare la gestione, l’esistenza di operazioni intrasocietarie rilevanti sia nel valore sia nella natura, il potere di nominare personale a livello dirigenziale, la dipendenza della partecipata dalla partecipante.

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sono riconducibili tutte quelle motivazioni di carattere contingente nonché quelle legate alle caratteristiche strutturali del sistema economico; nella seconda, invece, sono comprese le cause di natura strettamente economico – aziendale che trovano un comune fattore nelle potenziali sinergie che la forma del gruppo è in grado di generare14.

Tutte possono comunque ricondursi alla finalità della conservazione e del miglioramento della funzionalità aziendale. In tal senso, costituire un’aggregazione rende più agevole lo sfruttamento dei cosiddetti effetti leva15 nonché il conseguimento di economie di scala e di economie di scopo. Per quanto attiene ai primi, quelli più importanti sono l’«effetto leva azionaria», inteso quale possibilità di ottenere il controllo del capitale anche attraverso quote limitate dello stesso, l’«effetto leva finanziaria», che permette di moltiplicare la capacità di credito complessiva come diretta conseguenza del frazionamento in più entità societarie dell’unitaria conformazione del gruppo, l’«effetto leva tecnico–produttiva», l’«effetto leva manageriale», l’«effetto leva nella rete distributiva».

Con riferimento alle economie di scala e di scopo, invece, gli effetti si esplicano soltanto indirettamente attraverso la forma del gruppo, in quanto sostanzialmente connessi alla grande dimensione. Di fatto, mediante il ricorso all’aggregazione si ottiene una migliore correlazione tra le economie di scala e di scopo e le diseconomie derivanti dal superamento di determinati livelli dimensionali.

14 Cfr. Coronella S., Le motivazioni che spingono alla creazione dei gruppi aziendali: alcune riflessioni, in Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, n.

3/2009, 151; Caputo F., Le aggregazioni aziendali, il controllo ed il principio contabile internazionale IFRS 3, cit., 34 e ss.

15 Per una più approfondita analisi dei possibili effetti leverage ottenibili dal ricorso alla formazione di un gruppo, si veda Caputo F., Le aggregazioni aziendali, il controllo ed il principio contabile internazionale IFRS 3, cit., 37 e ss.; Giaccari F., Le aggregazioni aziendali, Bari, 2003; Caselli E., Dalla grande impresa al gruppo. Un preliminare modello interpretativo, in Caselli E. – Ferrando P.M. - Gozzi A., Il gruppo nell’evoluzione del sistema aziendale, cit., 21.

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Alcune delle variabili che esaltano i vantaggi dell’aggruppamento sono la scarsità di risorse finanziarie, la presenza di mercati finanziari imperfetti, la scarsità di risorse umane qualificate, l’esistenza di barriere protezionistiche e di sistemi legislativi difformi.

Il gruppo aziendale, dunque, è un fenomeno che si sviluppa come conseguenza di un complesso di cause tra loro correlate ed interdipendenti.

Esso rappresenta il risultato della tendenza combinata delle aziende ad accrescere la propria dimensione e a diversificare gli impegni produttivi e della propensione ad unioni ed integrazioni in grado di incrementare la forza contrattuale e superare determinati schemi e difficoltà propri del contesto competitivo di operatività.

Le forze del mercato possono identificarsi nei crescenti oneri distributivi, nel gravame di un’organizzazione commerciale complessa e macchinosa, nella difficoltà di trovare con continuità nuovi sbocchi ai volumi di produzione più alti e nei problemi di ordine finanziario connaturati al processo di espansione.

Tuttavia, un consistente ostacolo allo sviluppo è di solito interno all’azienda ed è riferibile alla capacità di adeguamento delle strutture e dell’organizzazione alle esigenze di un sistema in fase di ampliamento. Tale capacità naturalmente non è illimitata; in un processo di crescita i problemi organizzativi si acuiscono qualora l’azienda nell’espandersi tenda ad ampliare e a diversificare il fronte delle proprie produzioni, cercando nuovi sbocchi di mercato.

Il processo di diversificazione produttiva si è dimostrato un valido mezzo per risolvere problemi aziendali connessi alla crescita, in quanto condizione di migliore sfruttamento delle risorse interne, ma presenta anche vantaggi oggettivi quali una difesa specifica contro le fluttuazioni cicliche o stagionali di settore, una forma di limitazione dei rischi generali di gestione secondo il principio dell’investimento plurimo frazionato ed un generico potenziamento finanziario per la possibilità di trasferire i mezzi impiegati da un settore all’altro, secondo le esigenze e le possibilità del momento.

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Al tempo stesso, la diversificazione produttiva solleva alcuni problemi nel senso che pone un limite alla specializzazione delle diverse produzioni e crea rischi aggiuntivi in relazione a tutte le incertezze delle nuove iniziative; d’altra parte, si verifica un accentramento nella combinazione economica di attività eterogenee che implicano l’impegno in campi sempre più vari e che richiedono competenze e conoscenze disparate per l’impostazione e la realizzazione dei processi produttivi, per lo sviluppo delle vendite e la penetrazione dei mercati. Di contro, sorge la difficoltà di coordinare e governare in maniera conveniente un’attività aziendale vasta e complessa, caratterizzata da aspetti, condizioni ed esigenze molto diverse tra loro.

Nell’ipotesi della diversificazione, l’azienda incorre nel rischio di burocratizzazione, ossia di un appesantimento tipico delle strutture pubbliche, del proprio organismo amministrativo per l’enorme numero di decisioni che occorre prendere in settori operativi diversi e sulla base di dati ed informazioni più disparati, per la necessità di collegamenti non sempre facili tra i diversi centri decisionali ed esecutivi, per la difficoltà di ottenere un coordinamento ed un controllo efficace di tutta l’attività svolta.

In sostanza, l’aumento delle dimensioni per effetto della diversificazione produttiva aggrava i problemi di ordine organizzativo che si presentano come limiti sostanziali allo sviluppo aziendale in sé stesso;

pertanto, i fenomeni di crescita e diversificazione esigono un corrispondente processo di adattamento dell’organizzazione aziendale onde evitare che i vantaggi economici di ciascuno vengano annullati da condizioni contrarie nel senso indicato.

La grande dimensione diversificata, dunque, incontra ostacoli ed inconvenienti che possono segnare un limite economico oltre il quale l’azienda non può andare, se non a rischio di pericolose compromissioni sul piano del rendimento complessivo e della capacità di risposta ad impulsi e sollecitazioni che vengono dall’ambiente e dal mercato.

Pertanto, il gruppo può nascere come manifestazione del processo di

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espansione dell’azienda. Questa, evolvendosi verso dimensioni sempre più vaste, è posta di fronte ad un’alternativa, ovvero se ingrandirsi direttamente, dall’interno, oppure cercare una soluzione all’esterno, costituendo un complesso di unità produttive di cui si pone al vertice come centro motore.

La dimensione, come detto, rappresenta un problema di gestione che influenza l’economicità della vita aziendale, poiché agisce sulle condizioni in cui vengono svolti i processi produttivi, sulle modalità e le possibilità di finanziamento, sui rapporti di concorrenza, sulla forza contrattuale negli acquisti e nelle vendite, sulla capacità di adeguamento al ritmo del processo scientifico, sulle formazioni rischiose e su altri aspetti dell’operare dell’azienda nel mercato e nell’ambiente.

Il gruppo costituisce una soluzione particolarmente elastica sia nel processo di formazione sia nel modo di essere delle grandi dimensioni. Gli investimenti si concretizzano in partecipazioni al capitale di aziende preesistenti o di nuova costituzione (il che rappresenta, di solito, una forma più rapida, sicura e meno costosa di creazione di un complesso di proporzioni più ampie) ed un mezzo per assecondare la tendenza alla diversificazione produttiva, che è un fenomeno parallelo all’aumento delle dimensioni.

D’altra parte, qualora la ricerca della maggiore dimensione fosse legata ad interventi in settori produttivi differenti da quelli di operatività tradizionale, il ricorso alla forma del gruppo potrebbe apparire preferibile.

Difatti, l’eventuale assorbimento di un’azienda già funzionante, operazione non sempre priva di difficoltà e di non sempre immediata attuazione, si configura come mezzo più rapido se comparato con le attività di progettazione e costruzione di nuovi stabilimenti; inoltre, ha il vantaggio di apportare al gruppo, assieme alle strutture e alla posizione di mercato, esperienze e conoscenze che possono limitare i rischi legati all’inserimento della combinazione economica in un nuovo settore di produzione.

Il gruppo, tuttavia, non sorge esclusivamente come effetto di un processo di espansione di una data azienda che si compie mediante

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l’assunzione di partecipazioni di controllo in altre imprese; esso può anche essere il risultato di un deliberato collegamento tra più unità produttive allo scopo di dare vita ad un complesso più vasto, avente una dimensione d’insieme più conveniente ed un indirizzo unitario d’azione, oppure la conseguenza della scissione di una combinazione produttiva in diversi nuclei, di regola individuati in precedenza come ripartizioni d’azienda, allo scopo di ottenere un nuovo tipo di gestione mediante più società collegate.

La spinta alla composizione dei gruppi, pur avendo sempre alla base motivi generali di convenienza economica, viene di continuo alimentata da condizioni interne ed ambientali, che integrano i motivi generali e la cui incidenza è in certi casi alquanto rilevante sull’origine e sulla manifestazione del fenomeno.

Di frequente, la necessità di disporre di materie prime con continuità, per evitare i rischi di consegne tardive, di qualità non uniforme o di pericolose oscillazioni dei prezzi, può essere motivo di incentivo all’integrazione; in tal senso, un’azienda si spingerà a monte del processo di trasformazione per assumere partecipazioni di controllo e far venire meno qualsiasi motivo di dipendenza dalle unità di produzione originaria. Al contempo, la spinta può essere all’integrazione verticale a valle, finalizzata all’inserimento nei canali di distribuzione e all’assunzione del controllo di unità economiche in grado di garantire il contatto immediato con il mercato di sbocco.

È necessario sottolineare che anche l’azione dei vari Stati può condizionare in vario modo la tendenza alla costituzione di gruppi; ad esempio, la legislazione antitrust statunitense va annoverata tra le condizioni che sono state all’origine del fenomeno, in quanto essa ha sbarrato la strada alla concentrazione unisettoriale allo scopo di impedire fenomeni monopolistici.

Nel nostro Paese una spinta agli investimenti differenziati ed alle integrazioni di gruppo è stata data dalle leggi sulle nazionalizzazioni di settori produttivi. Quando lo Stato interviene per nazionalizzare, i riflessi

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economici e finanziari sono notevoli poiché il provvedimento trova una giustificazione politica e sociale solo se il settore interessato occupa un posto di rilevante interesse nel paese per dimensione e funzione specifica.

Peraltro, uno Stato può anche incoraggiare e sostenere i processi di integrazione aziendale e la costituzione di gruppi. Ciò è in contrasto con l’esigenza di impedire le concentrazioni economiche che rappresentano fonti di potere capaci di incidere sulla sfera sociale, di condizionare il mercato e turbare i rapporti di concorrenza.

Difatti, in un’epoca in cui i mercati divengono sempre più vasti in una prospettiva internazionale e si creano comunità economiche tra Stati, i sistemi produttivi debbono assumere dimensioni adeguate a tale realtà se si vuole che essi abbiano una posizione di non soggezione nei rapporti comunitari e nei confronti del mercato estero in generale.

In definitiva, lo Stato ha il potere di influenzare in misura significativa i processi di formazione dei gruppi costituendo così un importante fattore indiretto di concentrazione aziendale.

D’altronde, lo sviluppo economico ha condotto all’affermazione del gruppo come strumento di soluzione di certe problematiche e superamento dei limiti che l’azienda incontra nel nuovo contesto in cui viene gradualmente inserita. In tal senso, è necessario richiamare anche la naturale interferenza esercitata dalle forze ambientali nell’orbita dell’azienda ed è proprio in tal senso che lo Stato rappresenta una forza importante, in quanto il potere pubblico attraverso i suoi provvedimenti condiziona in modo considerevole il comportamento dell’azienda nonché le sue politiche e le sue scelte.

Pertanto, ove i gruppi sorgessero come conseguenza diretta della politica statale di intervento in economia, si costituirebbero dei «gruppi pubblici», così denominati perché il controllo delle aziende è detenuto dal pubblico potere. Tale strumento, ancorché si sviluppi sulla base di motivazioni che non trovano in sé una sostanza economico – aziendale, ma piuttosto contenuti politici e sociali, non presenta aspetti negativi sempre

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che le aziende di questi gruppi si attengano, al pari delle private, alle regole del mercato perseguendo un proprio autonomo equilibrio.

4. I caratteri distintivi dei gruppi aziendali.

Il gruppo aziendale, come dinanzi detto, nasce per effetto del processo di espansione dell’azienda. La formazione del gruppo comporta, generalmente, l’opportunità di conseguire una più conveniente struttura economico – finanziaria per mezzo della quale le singole aziende ricercano le migliori combinazioni economiche sotto forma di collegamento per scindere il sistema dei rischi in sistemi parziali coordinati16.

Operare una classificazione dei gruppi aziendali comporta l’individuazione dei parametri in base ai quali comporre le classi. A tal fine, gli aspetti da analizzare sono suddivisi in formali e sostanziali: i primi si riferiscono alle caratteristiche che la struttura di gruppo assume per effetto della gestione delle singole aziende, mentre con i secondi si guarda a quelle caratteristiche attribuibili al gruppo aziendale sulla base di alcuni elementi quali la natura delle attività produttive, la relazione economico – produttiva tra le aziende componenti l’aggregato, la presenza di tali aziende sul territorio, la natura del soggetto giuridico della società capogruppo, il carattere dimensionale dell’aggregato.

4.1 La pluralità dei soggetti giuridici.

Muovendo dalla definizione di gruppo aziendale quale istituto economico costituito da più aziende, ciascuna individuata da un proprio distinto soggetto giuridico, ma tutte gestite secondo la volontà di un comune soggetto economico, il primo carattere proprio di qualsiasi aggregazione aziendale è appunto quello della pluralità dei soggetti giuridici accomunati da uno stesso soggetto economico.

16 Così Baldissera A., Concezioni classiche e concezioni alla Williamson nell’interpretazione dei gruppi aziendali, in Riv. internazionale di scienze economiche e commerciali, 1993, III, 277.

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L’esistenza di tale molteplicità sta a significare che nel gruppo vi è più di un soggetto giuridico, ovvero più persone che per il nostro ordinamento sono suscettibili di assumere diritti, obbligazioni, di rispondere nei confronti dei terzi dell’attività svolta.

In tal senso, ogni soggetto deve essere singolarmente individuabile rispetto agli altri, prescindendo dalla natura dei rapporti economici e finanziari che legano i singoli membri. I soggetti giuridici, dunque, sono tanti quante sono le aziende che compongono l’aggregazione e ciascuna combinazione aziendale è portatrice di una propria personalità giuridica17.

Le aziende del gruppo devono avere la forma di società in quanto le combinazioni individuali sono tipiche della piccola dimensione e sono in maniera inscindibile connesse alla figura del titolare e alla sua attività.

Il gruppo, nella sua accezione più propria, si fonda su più aziende collegate mediante partecipazioni patrimoniali. Non modifica la natura del fenomeno il fatto che su una struttura di base di questo tipo si innestino legami di forma diversa quali contratti di collaborazione, rapporti di sub- fornitura, finanziamenti di grossa entità, tutti rapporti, comunque, a carattere complementare e sussidiario da considerare come corollari dell’aggregazione principale, alla stregua dei normali rapporti che qualsiasi azienda può avere senza intaccare la propria individualità.

È anche opportuno che le aziende siano strutturate in forma di società di capitali di modo che l’identità tra queste e le unità componenti il

17 Sul punto, Aprile C. – Ghini P., Gruppi d’impresa e bilancio consolidato:

aspetti economici e contabili, la nuova disciplina societaria, cit., ed autori ivi indicati;

Azzini L., I gruppi. Lineamenti economico – aziendali, cit., 25. Tali Autori riconoscono l’indipendenza formale delle singole aziende del gruppo, ma negano che ciò significhi il possesso di una distinta personalità giuridica e corrobora tale punto di vista affermando che anche società di persone e ditte individuali possono entrare a comporre questo tipo di aggregazione. Si consulti altresì Cassandro P.E., I gruppi aziendali, cit., 80 e 115, il quale sostiene che esistano tanti soggetti giuridici quante sono le società del gruppo e ribadisce questo concetto quando richiama l’esistenza di più aziende aventi ciascuna un’autonomia giuridica propria e una struttura formale di società per azioni.

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gruppo appaia immediata ed evidente. In pratica, il controllo economico per mezzo di partecipazioni di capitale deve riguardare le società di capitali, poiché solo esse sono concepite in modo tale da assumere la personalità giuridica e divenire soggetti di diritto. Infatti, queste acquistano giuridica autonomia rispetto alla collettività dei soci sia nei rapporti interni sia in quelli esterni ed esprimono così direttamente una propria volontà per mezzo dei rispettivi organi; sono peraltro dotate di autonomia patrimoniale perfetta e di una propria specifica organizzazione.

Tali caratteri complessivamente considerati fanno in modo che il patrimonio e l’organizzazione risultino elementi preminenti e sostanziali del modo di essere di queste società, per cui su di essi si può fondare il controllo dell’intera vita economica della combinazione produttiva.

Non deve essere trascurato che le partecipazioni di capitale presentano particolari limiti anche sul piano meramente pratico quali mezzi di collegamento interaziendale per le società di persone. In esse, difatti, la regola è che ciascun membro - che, a prescindere dalla quota di cui è detentore, amministri in maniera disgiunta dagli altri - abbia la rappresentanza della società e possa impegnarla con atti ufficiali.

Queste caratteristiche di ordine generale comportano una difficoltà a realizzare il controllo della combinazione produttiva mediante partecipazioni patrimoniali. Pertanto, la figura dei soci assume sempre rilievo sulla base di una logica informatrice di queste società, per controllare le quali occorre vigilare sull’attività dei soci stessi.

Di conseguenza, sono le società di capitali che debbono comparire quali parti costitutive di un gruppo18; infatti, solo tramite società di capitali è

18 Cfr. Cassandro P.E., I gruppi aziendali, cit., pag. 52 e ss.: “Come esempio, invece di aggruppamenti i cui vincoli che si stabiliscono fra le imprese aggruppate raggiungono un massimo, sono da considerarsi i gruppi; ossia quelle aggregazioni di imprese societarie a struttura azionaria, in cui una impresa (la cosiddetta società madre o capo gruppo) detiene la maggioranza o la totatlità delle azioni costituenti il capitale delle altre. In tal guisa, le varie imprese del gruppo, pur avendo ciascuna un

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possibile ottenere il controllo effettivo dell’attività economica sulla base di partecipazioni patrimoniali e realizzare in tal modo quel particolare modello di struttura che caratterizza il gruppo e lo differenzia nella sostanza da tutte le altre specie di aggregazioni aziendali.

4.2 L’unicità del soggetto economico.

Oltre alla pluralità dei soggetti giuridici, ulteriori caratteri essenziali ai fini dell’identificazione del gruppo sono il tipo di legame che congiunge le aziende e l’unicità del soggetto economico.

Difatti, il gruppo deve avere un comune soggetto economico per tutte le aziende collegate sebbene queste siano giuridicamente distinte le une dalle altre. Tali requisiti sono qualificanti ed indefettibili, in quanto senza autonomia giuridica tra le varie unità non si potrebbe parlare di aggregazione aziendale e, di contro, senza la comunanza del soggetto economico si configurerebbero aggregazioni di tipo diverso dal gruppo19 (aggregazioni informali e aggregazioni su base contrattuale).

Sia le aggregazioni informali sia quelle su base contrattuale infatti consentono alle aziende collegate di mantenere i rispettivi soggetti economici, intendendo per essi le persone o i gruppi di persone che hanno il dominio dell’azienda per cui sono in grado di determinare gli indirizzi economici e le linee fondamentali della politica di gestione.

Invero, in linea di principio, in queste tipologie aggregative, le scelte rimesse al soggetto economico non sono mai completamente libere, bensì limitate e condizionate da fattori esterni, rapporti interaziendali, situazioni di ambiente e condizioni di mercato; la creazione di un collegamento di tipo

distinto soggetto giuridico (la società in cui la singola impresa pertiene), hanno tutte un comune soggetto economico, cioè la società capo gruppo. Si suol dire, in questa ipotesi, che le singole imprese perdono la loro autonomia economica, pur conservando la loro formale autonomia giuridica”.

19 Sul punto si rimanda a Caputo F., Le aggregazioni aziendali, il controllo ed il principio contabile internazionale IFRS 3, cit., 29ss., ed autori ivi citati.

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informale non determina la coincidenza dei soggetti economici, ma le aziende aggregate incontrano un’ulteriore definita limitazione al campo delle scelte e delle convenienze in cui si manifesta la potestà di decisione e l’autonomia amministrativa del proprio soggetto economico.

Analoghe considerazioni possono essere fatte in merito alle aggregazioni su base contrattuale che si formano in ragione di un accordo specifico che lega tra loro due o più aziende per una collaborazione economica più o meno ampia e duratura. A tal proposito, non bisogna porre in secondo piano lo svolgimento in comune solo di determinate operazioni o di parte dell’attività, mentre per il resto le aziende mantengono la più assoluta autonomia.

Nel raggruppamento non vi è, dunque, un’unica volontà economica che orienta l’attività di tutte le aziende secondo un interesse comune, ma la generale concordanza di certi interessi sulla base di una valutazione del proprio tornaconto che ciascun soggetto economico compie individualmente.

Nel gruppo il collegamento sulla base delle partecipazioni patrimoniali di controllo fa in modo che il dominio sulle diverse aziende si concentri in una sola figura, una persona o un insieme di persone, che determina gli indirizzi di fondo di tutte le unità secondo i propri prevalenti interessi: per questo si ha un comune soggetto economico. Quest’ultimo non elimina l’individualità giuridica delle varie aziende che in quanto tali continuano ad esistere, ma influenza in maniera determinante la politica di gestione di ognuna, sottoponendole ad un’unica volontà economica che conduce ad una logica di comportamento ispirata alla visione di gruppo20.

Dal soggetto economico discendono le linee direttrici delle operazioni aziendali, le scelte riguardanti i problemi più importanti anche se

20 Sul punto, Terzani S., Il bilancio consolidato, IV ed., Padova, 1992, 6, afferma che l’«unico soggetto economico» detiene la capacità di prendere le decisioni che reputa più opportune per il buon andamento del gruppo, coordinando le attività delle aziende ed ottenendo una sostanziale unità di indirizzo.

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non sarà necessariamente esso stesso ad assumere la diretta amministrazione dell’azienda. Egli, difatti, potrà delegare i poteri derivanti dal proprio ruolo, impartire le direttive di fondo e controllarne l’esecuzione limitandosi ad interventi di convalida o di revoca delle decisioni prese.

D’altronde, qualsiasi azienda deve avere un soggetto economico che definisce le linee fondamentali della propria gestione; qualora esso sia comune a più aziende, sarà possibile dare vita ad una dinamica di gruppo che produrrà determinate conseguenze. In tal senso, il soggetto comune tende a valutare le convenienze economiche in termini globali, a discapito, talvolta, delle singole aziende che ricevono in contropartita altri vantaggi dall’appartenenza al gruppo.

4.3 Il collegamento tra le aziende tramite partecipazioni di controllo.

Alla stregua della pluralità dei soggetti giuridici, la comunanza del soggetto economico è un elemento qualificante del gruppo. Tale condizione è connessa con il legame patrimoniale che unisce le unità appartenenti allo schema aggregativo.

Tale legame deve consistere in una partecipazione di controllo, modalità con cui il soggetto economico afferma le proprie prerogative su tutte le aziende raggruppate. In mancanza di esso, non esiste un’aggregazione aziendale o, pur esistendo, non si qualifica come gruppo.

Affinché si possa configurare un gruppo è necessario che le diverse aziende siano collegate per mezzo di partecipazioni di capitale in misura tale da garantire una posizione di controllo con riferimento comune all’unità capogruppo. È in tal modo, peraltro, che si afferma l’unicità del soggetto economico, pur essendo di fronte all’autonomia giuridica delle diverse combinazioni produttive.

Il collegamento tra le aziende mediante partecipazioni di controllo rappresenta, dunque, un’altra delle condizioni per la costituzione e

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l’esistenza dei gruppi ed è l’elemento che caratterizza formalmente tale tipo di aggregazione differenziandolo dalle altre.

È opportuno evidenziare che per le quote di capitale sociale occorrenti allo scopo di ottenere il controllo delle aziende ed inserirle nell’area del gruppo è necessario tenere conto di numerosi fattori. Di fatto, non è possibile stabilire criteri generali per un’esatta determinazione delle quote sufficienti ad esercitare il controllo.

Tuttavia, si può affermare, in linea di principio, che esse sono sufficienti nel momento in cui permettono di influenzare legalmente le manifestazioni di volontà delle assemblee sociali da cui discendono gli indirizzi politici di fondo, gli obiettivi strategici e la composizione dei superiori organi dell’azienda.

Peraltro, non è neanche necessario il possesso della maggioranza assoluta delle azioni, poiché, in ragione del fenomeno della dispersione del capitale, dell’assenteismo dei piccoli azionisti, dell’esistenza di titoli con voto limitato, degli intrecci di partecipazioni, del gioco delle deleghe e di altre circostanze, è plausibile ottenere il controllo stabile della combinazione produttiva mediante quote anche molto modeste. Tale considerazione diventa tanto più rilevante quanto più aumentano le dimensioni aziendali nonché la base azionaria su cui si fonda il capitale sociale.

Ne deriva, quindi, che partecipazioni di controllo colleganti le diverse aziende del gruppo possono aversi anche con un impiego limitato di mezzi finanziari.

Con le modalità di collegamento interaziendale tipiche dei gruppi si può ottenere un importante effetto di ordine finanziario, in quanto è possibile che, a fronte di una determinata entità di risorse di capitale proprio apportate dal soggetto economico, questi possa elevare la soglia teorica di raccolta presso terzi di ulteriori mezzi a titolo di capitale oltre la quale non vi è più la garanzia di conservare il controllo economico dell’attività produttiva.

Difatti, frazionando le minoranze azionarie nelle diverse unità del

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gruppo, il soggetto di maggioranza della holding riesce ad accomunare nella struttura aggregativa sottoscrittori di parti di capitali per una quota complessiva anche superiore alla sua, senza rischiare di perdere la posizione di comando come potrebbe avvenire nell’azienda unica.

Il legame tra le aziende fondato su partecipazioni di controllo può essere formalmente anche molto ristretto, eppure esso conferisce al raggruppamento aziendale caratteri evidenti di coesione oltre che di elasticità strutturale. Ne consegue una notevole flessibilità delle strutture che fa del gruppo uno schema di sviluppo dimensionale delle aziende sotto molti aspetti preferibile ad altrI che presentano, invece, caratteri di rigidità.

Tale elasticità strutturale non impedisce che la concentrazione abbia, al contempo, caratteri di stabilità e coesione. L’elasticità riguarda, infatti, le strutture ed il loro possibile adeguamento al mutare delle condizioni economiche che sovrintendono alla vita del gruppo; la stabilità e la coesione si riferiscono al modo di essere delle diverse aziende e al loro collegamento nell’ambito dell’aggregazione considerata.

In particolare, la stabilità si fonda sulla diretta correlazione tra la persistenza dei nessi e la convenienza economica che li sostiene. La coesione tra le diverse unità, massima nel gruppo rispetto a tutti gli altri modelli di aggregazioni aziendali, si basa invece sulla logica strutturale che sorregge il gruppo medesimo ed i cui presupposti sono le partecipazioni di controllo ed il comune soggetto aziendale. Da questi deriva che il collegamento economico concerne l’intera gestione e non parte di essa o singole operazioni, per cui le diverse aziende vengono riunite in una più ampia struttura superaziendale21.

D’altra parte, il gruppo non va visto nella pure e semplice pluralità di aziende su cui si modella, ma è anche un istituto economico con una propria morfologia, un’autonoma configurazione, un determinato modo di incidere sulla realtà e può essere studiato come fenomeno concreto. Si tratta di

21 Cfr. Passaporti B., I gruppi e le altre aggregazioni aziendali, cit., 110.

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