1. Considerazioni preliminari allo studio delle aggregazioni di imprese
1.1 La concentrazione aziendale
Affrontare la tematica delle concentrazioni aziendali significa indagare sulle cause e sulle circostanze che stimolano le aziende ad ampliare l’estensione delle combinazioni economiche svolte.
Sotto il profilo dell’estensione, le combinazioni economiche che le imprese decidono di avviare possono essere molto differenti sia per dimensione, sia per numerosità e varietà. La dottrina, a tal riguardo, al fine di poter esprimere un giudizio completo sul fenomeno, propone l’adozione di più parametri coerenti con lo scopo della misurazione1 e idonei a cogliere i diversi aspetti nei quali si concretizza l’attività d’impresa.
Il tema della misurazione delle dimensioni aziendali costituisce un’importante premessa per la migliore comprensione dei piani di sviluppo e di crescita dell’impresa e riveste significativi aspetti operativi. Le dimensioni di un’impresa possono essere desunte da informazioni attinenti alla componente personale-organizzativa, all’assetto tecnico, all’assetto istituzionale e al patrimonio, alla posizione di mercato, all’estensione delle combinazioni parziali, al ruolo complessivamente svolto nella realtà
1 Così Passaporti B., I gruppi e le altre aggregazioni aziendali, Milano, 1994, 3; Onida P., Le dimensioni del capitale di impresa, Milano, 1951, 20.
economica del Paese.
Nella realtà, generalmente, le imprese di piccole dimensioni sono caratterizzate da una limitata estensione delle coordinazioni parziali svolte internamente, mentre le imprese di grandi dimensioni sono caratterizzate da elevati livelli di estensione delle combinazioni produttive; tale estensione può essere di tipo orizzontale, ove riferita alla numerosità ed alla disomogeneità delle combinazioni prodotto – mercato attuate, oppure di tipo verticale, se attiene alla completezza delle fasi o dei passaggi del ciclo produttivo svolti internamente.
La ricerca di dimensioni economiche convenienti, ossia atte ad ottimizzare il rapporto tra le risorse investite e i risultati ottenibili è spesso soddisfatta dalla crescita dell’impresa e dal raggiungimento di grandi dimensioni cui si accompagnano economie interne non altrimenti ottenibili2. I vantaggi economici propri della grande dimensione sono, pertanto, riconducibili alla possibilità di sfruttare «economie di scala», «economie di raggio d’azione» ed «economie di transazione».
La prima ragione alla base di ciascun processo di concentrazione si riscontra nella mutazione del sistema di valori e, in particolare, nella dimensione dei costi, nell’aumento dei ricavi, ovvero nella tendenza al conseguimento di profitti maggiormente soddisfacenti. A tal proposito, la realtà economica manifesta l’esistenza di unità di varie dimensioni, risultato di un calcolo economico che tiene conto di tutte le variabili preminenti e che palesa, di conseguenza, i vantaggi propri di differenti metodi di acquisti e di produzione3.
2 A tal proposito, Galassi G., Concentrazione e cooperazione interaziendale, Milano, 1969, 68, ed autori ivi indicati, sostiene che la ricerca delle dimensioni ottime è inerente al fenomeno della concentrazione aziendale quando “l'ottimo si persegue in corrispondenza di vaste dimensioni”.
3 Cfr. Onida P., Economia d’azienda, Torino, 1968, 314, secondo il quale i vantaggi e le economie interne ed esterne, comunemente giudicati propri di una certa dimensione aziendale, si manifestano in definite condizioni, mancando le quali cessano o mutano in svantaggi e diseconomie. Non è, pertanto appropriato affermare, per ciascun
La grande dimensione, in ragione della rilevanza delle risorse materiali, umane e finanziarie complessivamente disponibili, può operare in modo più proficuo, con maggiori convenienze e complessivamente con maggiore potere contrattuale e di condizionamento sull’ambiente circostante, di quanto non sia consentito ad imprese medie e piccole. Di conseguenza, il riconoscimento dei vantaggi legati alla grande dimensione giustifica il vasto e crescente interesse con cui le imprese guardano a percorsi di crescita.
Alcuni dei motivi che spiegano le «economie dimensionali» sono rintracciabili nella maggiore specializzazione dei fattori produttivi, irrealizzabile a dimensioni minori in ragione della indivisibilità dei fattori medesimi, acquisibili solo in misure definite; un’ulteriore spiegazione comune delle economie dimensionali riguarda possibili economie reali di specializzazione del lavoro d’impresa, ma primariamente si sottolineano le economie strettamente monetarie, quali quelle connesse ai grandi acquisti ed ai costi di distribuzione4.
Al tempo stesso, tuttavia, è convinzione diffusa che la grande impresa sia maggiormente soggetta a cicliche crisi strutturali legate ai rischi di gigantismo e burocratizzazione, cui si è soggetti con l’aumento della complessità dei sistemi di coordinamento e controllo, e ai rischi di mercato derivanti da sovradimensionamento che conferisce rigidità all’organizzazione privandola della flessibilità necessaria a mutare rapidamente al fine di rispondere agli eventuali cambiamenti del mercato e dell’ambiente di operatività5.
In un simile contesto ambientale, caratterizzato dalla crescita
settore economico o per un dato settore in ogni condizione, che una determinata dimensione aziendale comporta maggiore economicità comparata rispetto ad altre.
4 Cfr. Galassi G., Concentrazione e cooperazione interaziendale, cit., 69, ed autori ivi indicati.
5 Sul tema si veda Vicari A., Nuove dimensioni della concorrenza, Milano, 1989.
dimensionale, si inserisce il fenomeno delle alleanze, degli accordi, delle coalizioni e dei patti interaziendali, quale soluzione idonea a superare le rigidità proprie della grande dimensione e le debolezze della piccola dimensione.
La tendenza ad aggregarsi è stata negli ultimi decenni una costante che ha riguardato settori differenti, sistemi economici contraddistinti da diversi gradi di sviluppo, aree geografico – politiche profondamente disomogenee. Nel nostro Paese, in particolare, la struttura del sistema industriale appare molto articolata e complessa essendo composta prevalentemente da piccole e medie imprese e, pertanto, il sistema risulta caratterizzato da fenomeni di cooperazione e collaborazione, quali le reti, i distretti e le costellazioni.
Negli ultimi anni le operazioni di fusione e di acquisizione hanno riguardato diversi settori produttivi, dal farmaceutico al petrolifero, al bancario, all’assicurativo, al settore della telefonia, all’automobilistico e ad altri ancora. Tuttavia, i vantaggi derivanti da tali processi di concentrazione, come, ad esempio, l’apprezzamento della quotazione dei titoli di società coinvolte in operazioni di merger and acquisition, non riescono a perdurare nel tempo, in quanto, invero, non esiste una reale correlazione tra l’attività societaria volta alla concentrazione e l’andamento dei prezzi dei titoli, che risulta maggiormente condizionato dalle prospettive di redditività delle aziende, dai livelli dei tassi di interesse e da quelli dei cambi.
In definitiva, è opportuno sottolineare che non tutte le operazioni di concentrazione vanno a buon fine; al contrario, molte di esse incontrano difficoltà e resistenze che dimostrano come sia talvolta impossibile combinare culture imprenditoriali e attitudini manageriali diverse nonché stili, tradizioni, modelli storici di comportamento differenti.
1.2 La collaborazione tra imprese.
Le imprese collaborano tra di loro secondo modi e forme differenti, coordinando e rapportando reciprocamente le proprie iniziative. Le possibili
forme collaborative possono essere caratterizzate da vincoli il cui peso e la cui durata possono essere differenti per le singole imprese che, ad ogni modo, non perdono la loro autonomia; di fatto, ognuno conserva il proprio soggetto economico che concorre, assieme ai soggetti economici delle altre, alla formazione delle scelte e all’assunzione delle decisioni.
In tal senso, esistono diverse tipologie di collaborazioni tra imprese.
In riferimento al contenuto specifico, si distinguono collaborazioni «nel fare» e «nel non fare» ed anche collaborazioni nella modalità di comportamento; in merito alla possibilità di aderire o meno ad un rapporto di collaborazione, invece, queste si distinguono in «volontarie» e in
«obbligatorie»6. A tal proposito, è utile chiarire che pur essendo riconosciuto formalmente l’esercizio del diritto di aggregazione alla volontà dell’impresa, quest’ultima, in talune circostanze, è costretta ad aderire ad accordi che concretamente si concluderebbero a prescindere dalla partecipazione della stessa.
Le collaborazioni possono avere ad oggetto una singola operazione, un processo o anche l’intera gestione; si distinguono anche collaborazioni di breve durata ed accordi di tipo permanente. Ad ogni modo, tutti gli accordi sono caratterizzati da vincoli che si definiscono in relazione ai processi produttivi che tendono a congiungere o ad integrare, alle condizioni di negoziazione e alla loro espressione in forme aventi contenuto giuridico valido tra le parti e, infine, alla durata. Questi vincoli, in generale, tendono ad essere tanto più definiti quanto più breve risulta essere la durata dell’accordo.
Peraltro, è possibile distinguere, a seconda del tipo di aziende collaboratrici, «accordi orizzontali», che coinvolgono imprese concorrenti appartenenti allo stesso settore di mercato, ed «accordi verticali» che si instaurano tra imprese, collocate lungo la medesima catena di produzione,
6 Cfr. Scialpi L., Collaborazione economica delle imprese e dei settori produttivi, in Il nuovo management, n. 1/2001, 27ss.; Galassi G., Concentrazione e cooperazione interaziendale, cit.
che svolgono fasi diverse e successive di un unico e complementare processo produttivo. Le collaborazioni tra imprese possono, talvolta, essere accompagnate da relazioni di tipo patrimoniale; in questo caso l’intesa tra due (o più) aziende è avvalorata dalla partecipazione dell’una nel capitale dell’altra.
Le relazioni patrimoniali rilevanti sono principalmente quelle assicurate da partecipazioni permanenti di controllo e di collegamento. In questo modo, le aziende coinvolte, pur mantenendo la propria individualità come unità economico – produttive e la propria autonomia giuridica, danno vita a sistemi economici complessi, detti gruppi, all’interno dei quali si manifesta un’unitaria volontà di governo, riconducibile ad un soggetto economico sovraordinato a quelli delle singole imprese aggregate.
Capitolo II
I gruppi aziendali: modalità di formazione e tipologie
1. La formazione dei gruppi
La ricerca delle cause di natura economico – aziendale che conducono alla formazione dei gruppi richiede una chiara definizione del concetto di gruppo dal quale sia possibile derivare le potenzialità e le sinergie che differenziano questa forma da altre analoghe, quali l’azienda multi – divisionale ed altre tipologie di unione di imprese.
Il fenomeno è stato per lungo tempo oggetto di indagine nell’ambito degli studi economico-aziendali7. Taluni Autori hanno visto nel gruppo un
7 Tra la numerosa dottrina che ha approfondito il tema, si rimanda a Coronella S., Le diverse procedure operative per la creazione dei gruppi aziendali:
considerazioni critiche, in Riv. Dott. Comm., n. 2/2009, 275; Abate E. – Virgilio A., Le aggregazioni aziendali: guida all’applicazione degli IFRS, Milano, 2008; Caputo F., Le aggregazioni aziendali, il controllo ed il principio contabile internazionale IFRS 3, Bari, 2008; D’Amico L., La formazione dei gruppi: aspetti economico aziendali, in Marchi L. - Zavani M., Economia dei gruppi e bilancio consolidato. Un’interpretazione degli andamenti economici e finanziari, Torino, 2004, 3ss.; Aprile C. – Ghini P., Gruppi d’impresa e bilancio consolidato: aspetti economici e contabili, la nuova disciplina societaria, Milano, 2003, passim; Caratozzolo M., Il bilancio consolidato di gruppo. Profili economici e giuridici, Milano, 2002, 37; Andrei - Azzali - Bisaschi - Fellegara, Le aggregazioni di impresa, Milano, 1999; Azzini L., I gruppi. Lineamenti economico – aziendali, Milano, 1991; Ferrando P.M., Gruppo e teoria dell’impresa. Ipotesi
sistema di aziende che mantengono una propria individualità, mentre altri hanno visto il complesso come un’azienda unica dotata di particolari strutture, tale da ripartire patrimonio e attività tra unità solo formalmente indipendenti.
La dottrina tradizionale fornisce una visione del gruppo quale variante organizzativa della grande impresa, in cui più aziende, giuridicamente autonome, sono caratterizzate da un comune soggetto economico.
In generale, sono due i connotati necessari a rilevare la presenza di un gruppo di imprese, ovvero l’esistenza di una pluralità di combinazioni economiche, ciascuna di pertinenza di soggetti giuridici distinti, ed il fatto che tale pluralità di combinazioni economiche sia governata nell’interesse prevalente di un unico soggetto economico.
In tal senso, il primo connotato permette di distinguere il gruppo dall’azienda divisa, all’interno della quale si hanno molteplici combinazioni economiche, ma tutte di pertinenza di un unico soggetto giuridico; nel gruppo, viceversa, ciascuna combinazione è propria di un soggetto giuridico distinto, il quale conserva una certa autonomia, seppur relativa, sul piano economico. Il fatto, invece, che la pluralità di combinazioni economiche sia svolta perseguendo l’interesse prevalente di un unitario soggetto economico, rende necessario che tali combinazioni siano inserite in un unico complesso osservabile in relazione ad un finalismo istituzionale sovraordinato rispetto ai fini propri di ciascuna combinazione economica.
In un’aggregazione la pluralità di combinazioni economiche si svolge all’interno di unità giuridicamente distinte, le quali spesso assumono la veste giuridica di società di capitali; di conseguenza, ciascuna società ha propri organi di governo e di controllo, un proprio capitale ed una propria
interpretative a confronto, in Caselli E. – Ferrando P.M. – Gozzi A., Il gruppo nell'evoluzione del sistema aziendale, Milano, 1990, 36ss.; Rinaldi L., Il bilancio consolidato. Teorie di gruppo e assestamento delle partecipazioni, Milano, 1990, 15ss.;
Cassandro P.E., I gruppi aziendali, Bari, 1988.
organizzazione personale.
Al contempo, tuttavia, le singole unità, autonome dal punto di vista giuridico, presentano un unico soggetto economico, portatore di un interesse istituzionale generale, superiore agli interessi particolari propri di ogni singola società. Per tale motivo, il soggetto economico di gruppo fa parte, in virtù di legami partecipativi, degli organi deliberativi di ciascuna società, imprimendo così ad esso un’univoca linea di indirizzo e di comando.
In termini generali, il gruppo si caratterizza per la presenza di almeno due imprese, dotate di indipendenza formale, ma con unità di comando, di indirizzo e di coordinamento forti.
La dottrina ha variamente definito il concetto di gruppo aziendale assumendo talora, in funzione delle diverse fattispecie concrete, definizioni che si collocano agli antipodi di una gamma di situazioni osservabili nella realtà.
Ad un estremo di questa gamma di situazioni si pone il gruppo inteso come un’unica azienda, le cui unità economiche sono dotate di indipendenza giuridica. Si tratta di gruppi fortemente integrati sul piano strategico, operativo e organizzativo.
All’altro estremo è possibile definire il gruppo come un sistema di aziende autonome; è il caso, ad esempio, di una società, una cosiddetta holding pura, che detiene partecipazioni di controllo in una o più società, con l’intento di conseguire benefici secondo l’ottica dell’investimento patrimoniale.
Tra questi due estremi sussiste una vasta gamma di situazioni che consentono di configurare gruppi con legami tra società di tipo strategico, operativo ed organizzativo più o meno stringenti.
Si è soliti distinguere tra gruppo economico e gruppo finanziario, in ragione del diverso grado di integrazione strategica che sussiste tra tutte le unità che compongono il gruppo.
Nel cosiddetto gruppo economico è ravvisabile una direzione unitaria, caratterizzata da un disegno imprenditoriale e dalla comunanza,
nella rappresentanza di interessi, della maggioranza degli amministratori.
Tali requisiti devono consentire l’effettivo manifestarsi di un coordinamento tra le attività svolte dalle singole unità che compongono il gruppo; è necessario, però, che tale coordinamento sia effettivo, ossia frutto del potere di controllo derivante dal possesso di partecipazioni o da legami contrattuali di varia natura, perché si configuri un’entità economica unitaria.
Non è sufficiente per ravvisare un gruppo economico la mera potenzialità del controllo se questo non produce un coordinamento effettivo tra le imprese del gruppo, in assenza del quale si è in presenza di un gruppo finanziario nel quale il controllo resta garantito dal possesso di partecipazioni di maggioranza o da vincoli contrattuali, ma non si esplicita in un coordinamento di gruppo, dando origine ad un’entità economica unitaria.
In riferimento all’attività svolta dalla capogruppo (holding), si distingue tra holding pura, quando la sua attività si caratterizza per l’assenza di attività produttiva e per l’accentramento delle funzioni di pianificazione, finanza e controllo, e holding mista, quando, oltre a svolgere le predette funzioni, la capogruppo attua anche attività di tipo produttivo8.
2. Le diverse forme di controllo.
Il sistema normativo italiano non contempla alcuna disciplina giuridica sui gruppi9. Il legislatore si limita a definire i concetti di controllo
8 Si consulti Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri (CNDCR), Principio contabile n. 17, 1996.
9 Anche la riforma del diritto societario del 2003 ha dimostrato come l’esercizio della direzione unitaria, caratteristico del gruppo, non può essere ridotto a unità di struttura negoziale. Di conseguenza, si procede all’applicazione del diritto comune negli ambiti di sua competenza nonché delle leggi speciali nei settori del diritto antitrust, del lavoro, delle procedure concorsuali, del diritto tributario. Così Prencipe A. – Tettamanzi P., Bilancio consolidato: tecniche di redazione e di analisi secondo i nuovi principi contabili internazionali, Milano, 2009, 4; Aprile C. – Ghini P., Gruppi d’impresa e bilancio consolidato: aspetti economici e contabili, la nuova disciplina societaria, cit., 41ss.; Rossi
e collegamento al fine di cogliere i legami che sussistono tra le unità giuridiche che compongono il gruppo10.
Il Codice Civile, all’art. 2359, definisce i rapporti di controllo tra società controllante e società controllate nonché tra società collegate11.
Ove una società disponga di almeno il 50% + 1 dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria di un’altra società, si configura un controllo di diritto, che può essere diretto o indiretto. Si può parlare di controllo diretto nell’ipotesi di titolarità della partecipazione da parte della controllante o della titolarità di eventuali diritti parziali quali il pegno o l’usufrutto.
Il controllo, viceversa, è indiretto quando manca la titolarità della partecipazione o di eventuali diritti parziali o, comunque, quando essa non è sufficiente ad assicurare la maggioranza dei voti, calcolata computando anche i voti spettanti a società controllate e a società fiduciarie.
Ad ogni modo, è opportuno evidenziare come il controllo di diritto non sia indispensabile ai fini di una relazione di controllo, in quanto, talvolta, è sufficiente un «controllo di fatto». Quest’ultimo si esplica nel
G., Il fenomeno dei gruppi e il diritto societario: un nodo da risolvere, in Riv. delle Società, Milano, 1995.
10 Sul tema cfr. Caputo F., Le aggregazioni aziendali, il controllo ed il principio internazionale IFRS 3, cit., 26 - 28; Tettamanzi P., Il bilancio consolidato, Milano, 2003; Lamandini M., Il controllo. Nozioni e tipo nella legislazione economica, Milano, 1995, 152ss.; Bianchi L.A., La nuova definizione di società «controllate» e
«collegate», in La nuova disciplina del bilancio di società (commento al D.lgs. 9 aprile 1991, n. 127), a cura di Bussolotti M., Torino, 1993, 2ss.; Beretta S., Il controllo dei gruppi aziendali, Milano, 1990; Pavone La Rosa A., Le società controllate – I gruppi, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, vol. II, Torino, 1991, 581 ss.; Idem,
«Controllo» e «gruppo» nella fenomenologia dei collegamenti societari, in Dir. Fall., 1985, I, 18 ss.
11 Sono da considerarsi società controllate quelle in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; quelle in cui un’altra società dispone di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; quelle che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
caso in cui una società controllante disponga di un numero di voti sufficienti ad influenzare il risultato delle deliberazioni dell’assemblea ordinaria di un’altra società controllata, oppure nell’ipotesi in cui una società controllante sia in grado di esercitare un’influenza dominante su di un’altra società in ragione di particolari vincoli contrattuali con essa12.
Di fatto, la prima tipologia di controllo si manifesta con una certa frequenza in presenza di un azionariato estremamente frazionato accompagnato da un elevato grado di assenteismo alle assemblee da parte dei soci minoritari. La seconda modalità di controllo di fatto non è legata alla quantità di voti esercitabili nell’assemblea ordinaria, bensì a stringenti vincoli di tipo economico atti a far sì che la sopravvivenza di una società dipenda esclusivamente da tali vincoli contrattuali, in ossequio al proprio oggetto sociale.
Inoltre, occorre richiamare anche il concetto di influenza notevole, disciplinato dal comma 3 dell’art. 2359 del cod. civ., che serve ad individuare relazioni di collegamento tra le società del gruppo; in tal senso, una società si intende «collegata» quando un’altra dispone di almeno il 20%
dei voti da esercitare in assemblea ovvero del 10% nell’ipotesi di società quotata13.
3. Condizioni influenti sulla formazione del gruppo.
L’interpretazione delle cause che portano alla formazione dei gruppi di imprese si articola in due grandi categorie di motivazioni. Alla prima
12 Per ulteriori approfondimenti, si rimanda a Caputo F., Le aggregazioni aziendali, il controllo ed il principio contabile internazionale IFRS 3, cit., 23ss., ed autori ivi indicati.
13 Per completezza, in base ai principi contabili, esistono ulteriori casi in presenza dei quali si ritiene sussista un’influenza notevole quali l’appartenenza a sindacati di controllo, la partecipazione nella formulazione delle direttive cui si deve informare la gestione, l’esistenza di operazioni intrasocietarie rilevanti sia nel valore sia nella natura, il
13 Per completezza, in base ai principi contabili, esistono ulteriori casi in presenza dei quali si ritiene sussista un’influenza notevole quali l’appartenenza a sindacati di controllo, la partecipazione nella formulazione delle direttive cui si deve informare la gestione, l’esistenza di operazioni intrasocietarie rilevanti sia nel valore sia nella natura, il