Capitolo II - I gruppi aziendali: modalità di formazione e tipologie
2. Le diverse forme di controllo
Il sistema normativo italiano non contempla alcuna disciplina giuridica sui gruppi9. Il legislatore si limita a definire i concetti di controllo
8 Si consulti Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri (CNDCR), Principio contabile n. 17, 1996.
9 Anche la riforma del diritto societario del 2003 ha dimostrato come l’esercizio della direzione unitaria, caratteristico del gruppo, non può essere ridotto a unità di struttura negoziale. Di conseguenza, si procede all’applicazione del diritto comune negli ambiti di sua competenza nonché delle leggi speciali nei settori del diritto antitrust, del lavoro, delle procedure concorsuali, del diritto tributario. Così Prencipe A. – Tettamanzi P., Bilancio consolidato: tecniche di redazione e di analisi secondo i nuovi principi contabili internazionali, Milano, 2009, 4; Aprile C. – Ghini P., Gruppi d’impresa e bilancio consolidato: aspetti economici e contabili, la nuova disciplina societaria, cit., 41ss.; Rossi
e collegamento al fine di cogliere i legami che sussistono tra le unità giuridiche che compongono il gruppo10.
Il Codice Civile, all’art. 2359, definisce i rapporti di controllo tra società controllante e società controllate nonché tra società collegate11.
Ove una società disponga di almeno il 50% + 1 dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria di un’altra società, si configura un controllo di diritto, che può essere diretto o indiretto. Si può parlare di controllo diretto nell’ipotesi di titolarità della partecipazione da parte della controllante o della titolarità di eventuali diritti parziali quali il pegno o l’usufrutto.
Il controllo, viceversa, è indiretto quando manca la titolarità della partecipazione o di eventuali diritti parziali o, comunque, quando essa non è sufficiente ad assicurare la maggioranza dei voti, calcolata computando anche i voti spettanti a società controllate e a società fiduciarie.
Ad ogni modo, è opportuno evidenziare come il controllo di diritto non sia indispensabile ai fini di una relazione di controllo, in quanto, talvolta, è sufficiente un «controllo di fatto». Quest’ultimo si esplica nel
G., Il fenomeno dei gruppi e il diritto societario: un nodo da risolvere, in Riv. delle Società, Milano, 1995.
10 Sul tema cfr. Caputo F., Le aggregazioni aziendali, il controllo ed il principio internazionale IFRS 3, cit., 26 - 28; Tettamanzi P., Il bilancio consolidato, Milano, 2003; Lamandini M., Il controllo. Nozioni e tipo nella legislazione economica, Milano, 1995, 152ss.; Bianchi L.A., La nuova definizione di società «controllate» e
«collegate», in La nuova disciplina del bilancio di società (commento al D.lgs. 9 aprile 1991, n. 127), a cura di Bussolotti M., Torino, 1993, 2ss.; Beretta S., Il controllo dei gruppi aziendali, Milano, 1990; Pavone La Rosa A., Le società controllate – I gruppi, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, vol. II, Torino, 1991, 581 ss.; Idem,
«Controllo» e «gruppo» nella fenomenologia dei collegamenti societari, in Dir. Fall., 1985, I, 18 ss.
11 Sono da considerarsi società controllate quelle in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; quelle in cui un’altra società dispone di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; quelle che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
caso in cui una società controllante disponga di un numero di voti sufficienti ad influenzare il risultato delle deliberazioni dell’assemblea ordinaria di un’altra società controllata, oppure nell’ipotesi in cui una società controllante sia in grado di esercitare un’influenza dominante su di un’altra società in ragione di particolari vincoli contrattuali con essa12.
Di fatto, la prima tipologia di controllo si manifesta con una certa frequenza in presenza di un azionariato estremamente frazionato accompagnato da un elevato grado di assenteismo alle assemblee da parte dei soci minoritari. La seconda modalità di controllo di fatto non è legata alla quantità di voti esercitabili nell’assemblea ordinaria, bensì a stringenti vincoli di tipo economico atti a far sì che la sopravvivenza di una società dipenda esclusivamente da tali vincoli contrattuali, in ossequio al proprio oggetto sociale.
Inoltre, occorre richiamare anche il concetto di influenza notevole, disciplinato dal comma 3 dell’art. 2359 del cod. civ., che serve ad individuare relazioni di collegamento tra le società del gruppo; in tal senso, una società si intende «collegata» quando un’altra dispone di almeno il 20%
dei voti da esercitare in assemblea ovvero del 10% nell’ipotesi di società quotata13.
3. Condizioni influenti sulla formazione del gruppo.
L’interpretazione delle cause che portano alla formazione dei gruppi di imprese si articola in due grandi categorie di motivazioni. Alla prima
12 Per ulteriori approfondimenti, si rimanda a Caputo F., Le aggregazioni aziendali, il controllo ed il principio contabile internazionale IFRS 3, cit., 23ss., ed autori ivi indicati.
13 Per completezza, in base ai principi contabili, esistono ulteriori casi in presenza dei quali si ritiene sussista un’influenza notevole quali l’appartenenza a sindacati di controllo, la partecipazione nella formulazione delle direttive cui si deve informare la gestione, l’esistenza di operazioni intrasocietarie rilevanti sia nel valore sia nella natura, il potere di nominare personale a livello dirigenziale, la dipendenza della partecipata dalla partecipante.
sono riconducibili tutte quelle motivazioni di carattere contingente nonché quelle legate alle caratteristiche strutturali del sistema economico; nella seconda, invece, sono comprese le cause di natura strettamente economico – aziendale che trovano un comune fattore nelle potenziali sinergie che la forma del gruppo è in grado di generare14.
Tutte possono comunque ricondursi alla finalità della conservazione e del miglioramento della funzionalità aziendale. In tal senso, costituire un’aggregazione rende più agevole lo sfruttamento dei cosiddetti effetti leva15 nonché il conseguimento di economie di scala e di economie di scopo. Per quanto attiene ai primi, quelli più importanti sono l’«effetto leva azionaria», inteso quale possibilità di ottenere il controllo del capitale anche attraverso quote limitate dello stesso, l’«effetto leva finanziaria», che permette di moltiplicare la capacità di credito complessiva come diretta conseguenza del frazionamento in più entità societarie dell’unitaria conformazione del gruppo, l’«effetto leva tecnico–produttiva», l’«effetto leva manageriale», l’«effetto leva nella rete distributiva».
Con riferimento alle economie di scala e di scopo, invece, gli effetti si esplicano soltanto indirettamente attraverso la forma del gruppo, in quanto sostanzialmente connessi alla grande dimensione. Di fatto, mediante il ricorso all’aggregazione si ottiene una migliore correlazione tra le economie di scala e di scopo e le diseconomie derivanti dal superamento di determinati livelli dimensionali.
14 Cfr. Coronella S., Le motivazioni che spingono alla creazione dei gruppi aziendali: alcune riflessioni, in Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, n.
3/2009, 151; Caputo F., Le aggregazioni aziendali, il controllo ed il principio contabile internazionale IFRS 3, cit., 34 e ss.
15 Per una più approfondita analisi dei possibili effetti leverage ottenibili dal ricorso alla formazione di un gruppo, si veda Caputo F., Le aggregazioni aziendali, il controllo ed il principio contabile internazionale IFRS 3, cit., 37 e ss.; Giaccari F., Le aggregazioni aziendali, Bari, 2003; Caselli E., Dalla grande impresa al gruppo. Un preliminare modello interpretativo, in Caselli E. – Ferrando P.M. - Gozzi A., Il gruppo nell’evoluzione del sistema aziendale, cit., 21.
Alcune delle variabili che esaltano i vantaggi dell’aggruppamento sono la scarsità di risorse finanziarie, la presenza di mercati finanziari imperfetti, la scarsità di risorse umane qualificate, l’esistenza di barriere protezionistiche e di sistemi legislativi difformi.
Il gruppo aziendale, dunque, è un fenomeno che si sviluppa come conseguenza di un complesso di cause tra loro correlate ed interdipendenti.
Esso rappresenta il risultato della tendenza combinata delle aziende ad accrescere la propria dimensione e a diversificare gli impegni produttivi e della propensione ad unioni ed integrazioni in grado di incrementare la forza contrattuale e superare determinati schemi e difficoltà propri del contesto competitivo di operatività.
Le forze del mercato possono identificarsi nei crescenti oneri distributivi, nel gravame di un’organizzazione commerciale complessa e macchinosa, nella difficoltà di trovare con continuità nuovi sbocchi ai volumi di produzione più alti e nei problemi di ordine finanziario connaturati al processo di espansione.
Tuttavia, un consistente ostacolo allo sviluppo è di solito interno all’azienda ed è riferibile alla capacità di adeguamento delle strutture e dell’organizzazione alle esigenze di un sistema in fase di ampliamento. Tale capacità naturalmente non è illimitata; in un processo di crescita i problemi organizzativi si acuiscono qualora l’azienda nell’espandersi tenda ad ampliare e a diversificare il fronte delle proprie produzioni, cercando nuovi sbocchi di mercato.
Il processo di diversificazione produttiva si è dimostrato un valido mezzo per risolvere problemi aziendali connessi alla crescita, in quanto condizione di migliore sfruttamento delle risorse interne, ma presenta anche vantaggi oggettivi quali una difesa specifica contro le fluttuazioni cicliche o stagionali di settore, una forma di limitazione dei rischi generali di gestione secondo il principio dell’investimento plurimo frazionato ed un generico potenziamento finanziario per la possibilità di trasferire i mezzi impiegati da un settore all’altro, secondo le esigenze e le possibilità del momento.
Al tempo stesso, la diversificazione produttiva solleva alcuni problemi nel senso che pone un limite alla specializzazione delle diverse produzioni e crea rischi aggiuntivi in relazione a tutte le incertezze delle nuove iniziative; d’altra parte, si verifica un accentramento nella combinazione economica di attività eterogenee che implicano l’impegno in campi sempre più vari e che richiedono competenze e conoscenze disparate per l’impostazione e la realizzazione dei processi produttivi, per lo sviluppo delle vendite e la penetrazione dei mercati. Di contro, sorge la difficoltà di coordinare e governare in maniera conveniente un’attività aziendale vasta e complessa, caratterizzata da aspetti, condizioni ed esigenze molto diverse tra loro.
Nell’ipotesi della diversificazione, l’azienda incorre nel rischio di burocratizzazione, ossia di un appesantimento tipico delle strutture pubbliche, del proprio organismo amministrativo per l’enorme numero di decisioni che occorre prendere in settori operativi diversi e sulla base di dati ed informazioni più disparati, per la necessità di collegamenti non sempre facili tra i diversi centri decisionali ed esecutivi, per la difficoltà di ottenere un coordinamento ed un controllo efficace di tutta l’attività svolta.
In sostanza, l’aumento delle dimensioni per effetto della diversificazione produttiva aggrava i problemi di ordine organizzativo che si presentano come limiti sostanziali allo sviluppo aziendale in sé stesso;
pertanto, i fenomeni di crescita e diversificazione esigono un corrispondente processo di adattamento dell’organizzazione aziendale onde evitare che i vantaggi economici di ciascuno vengano annullati da condizioni contrarie nel senso indicato.
La grande dimensione diversificata, dunque, incontra ostacoli ed inconvenienti che possono segnare un limite economico oltre il quale l’azienda non può andare, se non a rischio di pericolose compromissioni sul piano del rendimento complessivo e della capacità di risposta ad impulsi e sollecitazioni che vengono dall’ambiente e dal mercato.
Pertanto, il gruppo può nascere come manifestazione del processo di
espansione dell’azienda. Questa, evolvendosi verso dimensioni sempre più vaste, è posta di fronte ad un’alternativa, ovvero se ingrandirsi direttamente, dall’interno, oppure cercare una soluzione all’esterno, costituendo un complesso di unità produttive di cui si pone al vertice come centro motore.
La dimensione, come detto, rappresenta un problema di gestione che influenza l’economicità della vita aziendale, poiché agisce sulle condizioni in cui vengono svolti i processi produttivi, sulle modalità e le possibilità di finanziamento, sui rapporti di concorrenza, sulla forza contrattuale negli acquisti e nelle vendite, sulla capacità di adeguamento al ritmo del processo scientifico, sulle formazioni rischiose e su altri aspetti dell’operare dell’azienda nel mercato e nell’ambiente.
Il gruppo costituisce una soluzione particolarmente elastica sia nel processo di formazione sia nel modo di essere delle grandi dimensioni. Gli investimenti si concretizzano in partecipazioni al capitale di aziende preesistenti o di nuova costituzione (il che rappresenta, di solito, una forma più rapida, sicura e meno costosa di creazione di un complesso di proporzioni più ampie) ed un mezzo per assecondare la tendenza alla diversificazione produttiva, che è un fenomeno parallelo all’aumento delle dimensioni.
D’altra parte, qualora la ricerca della maggiore dimensione fosse legata ad interventi in settori produttivi differenti da quelli di operatività tradizionale, il ricorso alla forma del gruppo potrebbe apparire preferibile.
Difatti, l’eventuale assorbimento di un’azienda già funzionante, operazione non sempre priva di difficoltà e di non sempre immediata attuazione, si configura come mezzo più rapido se comparato con le attività di progettazione e costruzione di nuovi stabilimenti; inoltre, ha il vantaggio di apportare al gruppo, assieme alle strutture e alla posizione di mercato, esperienze e conoscenze che possono limitare i rischi legati all’inserimento della combinazione economica in un nuovo settore di produzione.
Il gruppo, tuttavia, non sorge esclusivamente come effetto di un processo di espansione di una data azienda che si compie mediante
l’assunzione di partecipazioni di controllo in altre imprese; esso può anche essere il risultato di un deliberato collegamento tra più unità produttive allo scopo di dare vita ad un complesso più vasto, avente una dimensione d’insieme più conveniente ed un indirizzo unitario d’azione, oppure la conseguenza della scissione di una combinazione produttiva in diversi nuclei, di regola individuati in precedenza come ripartizioni d’azienda, allo scopo di ottenere un nuovo tipo di gestione mediante più società collegate.
La spinta alla composizione dei gruppi, pur avendo sempre alla base motivi generali di convenienza economica, viene di continuo alimentata da condizioni interne ed ambientali, che integrano i motivi generali e la cui incidenza è in certi casi alquanto rilevante sull’origine e sulla manifestazione del fenomeno.
Di frequente, la necessità di disporre di materie prime con continuità, per evitare i rischi di consegne tardive, di qualità non uniforme o di pericolose oscillazioni dei prezzi, può essere motivo di incentivo all’integrazione; in tal senso, un’azienda si spingerà a monte del processo di trasformazione per assumere partecipazioni di controllo e far venire meno qualsiasi motivo di dipendenza dalle unità di produzione originaria. Al contempo, la spinta può essere all’integrazione verticale a valle, finalizzata all’inserimento nei canali di distribuzione e all’assunzione del controllo di unità economiche in grado di garantire il contatto immediato con il mercato di sbocco.
È necessario sottolineare che anche l’azione dei vari Stati può condizionare in vario modo la tendenza alla costituzione di gruppi; ad esempio, la legislazione antitrust statunitense va annoverata tra le condizioni che sono state all’origine del fenomeno, in quanto essa ha sbarrato la strada alla concentrazione unisettoriale allo scopo di impedire fenomeni monopolistici.
Nel nostro Paese una spinta agli investimenti differenziati ed alle integrazioni di gruppo è stata data dalle leggi sulle nazionalizzazioni di settori produttivi. Quando lo Stato interviene per nazionalizzare, i riflessi
economici e finanziari sono notevoli poiché il provvedimento trova una giustificazione politica e sociale solo se il settore interessato occupa un posto di rilevante interesse nel paese per dimensione e funzione specifica.
Peraltro, uno Stato può anche incoraggiare e sostenere i processi di integrazione aziendale e la costituzione di gruppi. Ciò è in contrasto con l’esigenza di impedire le concentrazioni economiche che rappresentano fonti di potere capaci di incidere sulla sfera sociale, di condizionare il mercato e turbare i rapporti di concorrenza.
Difatti, in un’epoca in cui i mercati divengono sempre più vasti in una prospettiva internazionale e si creano comunità economiche tra Stati, i sistemi produttivi debbono assumere dimensioni adeguate a tale realtà se si vuole che essi abbiano una posizione di non soggezione nei rapporti comunitari e nei confronti del mercato estero in generale.
In definitiva, lo Stato ha il potere di influenzare in misura significativa i processi di formazione dei gruppi costituendo così un importante fattore indiretto di concentrazione aziendale.
D’altronde, lo sviluppo economico ha condotto all’affermazione del gruppo come strumento di soluzione di certe problematiche e superamento dei limiti che l’azienda incontra nel nuovo contesto in cui viene gradualmente inserita. In tal senso, è necessario richiamare anche la naturale interferenza esercitata dalle forze ambientali nell’orbita dell’azienda ed è proprio in tal senso che lo Stato rappresenta una forza importante, in quanto il potere pubblico attraverso i suoi provvedimenti condiziona in modo considerevole il comportamento dell’azienda nonché le sue politiche e le sue scelte.
Pertanto, ove i gruppi sorgessero come conseguenza diretta della politica statale di intervento in economia, si costituirebbero dei «gruppi pubblici», così denominati perché il controllo delle aziende è detenuto dal pubblico potere. Tale strumento, ancorché si sviluppi sulla base di motivazioni che non trovano in sé una sostanza economico – aziendale, ma piuttosto contenuti politici e sociali, non presenta aspetti negativi sempre
che le aziende di questi gruppi si attengano, al pari delle private, alle regole del mercato perseguendo un proprio autonomo equilibrio.
4. I caratteri distintivi dei gruppi aziendali.
Il gruppo aziendale, come dinanzi detto, nasce per effetto del processo di espansione dell’azienda. La formazione del gruppo comporta, generalmente, l’opportunità di conseguire una più conveniente struttura economico – finanziaria per mezzo della quale le singole aziende ricercano le migliori combinazioni economiche sotto forma di collegamento per scindere il sistema dei rischi in sistemi parziali coordinati16.
Operare una classificazione dei gruppi aziendali comporta l’individuazione dei parametri in base ai quali comporre le classi. A tal fine, gli aspetti da analizzare sono suddivisi in formali e sostanziali: i primi si riferiscono alle caratteristiche che la struttura di gruppo assume per effetto della gestione delle singole aziende, mentre con i secondi si guarda a quelle caratteristiche attribuibili al gruppo aziendale sulla base di alcuni elementi quali la natura delle attività produttive, la relazione economico – produttiva tra le aziende componenti l’aggregato, la presenza di tali aziende sul territorio, la natura del soggetto giuridico della società capogruppo, il carattere dimensionale dell’aggregato.
4.1 La pluralità dei soggetti giuridici.
Muovendo dalla definizione di gruppo aziendale quale istituto economico costituito da più aziende, ciascuna individuata da un proprio distinto soggetto giuridico, ma tutte gestite secondo la volontà di un comune soggetto economico, il primo carattere proprio di qualsiasi aggregazione aziendale è appunto quello della pluralità dei soggetti giuridici accomunati da uno stesso soggetto economico.
16 Così Baldissera A., Concezioni classiche e concezioni alla Williamson nell’interpretazione dei gruppi aziendali, in Riv. internazionale di scienze economiche e commerciali, 1993, III, 277.
L’esistenza di tale molteplicità sta a significare che nel gruppo vi è più di un soggetto giuridico, ovvero più persone che per il nostro ordinamento sono suscettibili di assumere diritti, obbligazioni, di rispondere nei confronti dei terzi dell’attività svolta.
In tal senso, ogni soggetto deve essere singolarmente individuabile rispetto agli altri, prescindendo dalla natura dei rapporti economici e finanziari che legano i singoli membri. I soggetti giuridici, dunque, sono tanti quante sono le aziende che compongono l’aggregazione e ciascuna combinazione aziendale è portatrice di una propria personalità giuridica17.
Le aziende del gruppo devono avere la forma di società in quanto le combinazioni individuali sono tipiche della piccola dimensione e sono in maniera inscindibile connesse alla figura del titolare e alla sua attività.
Il gruppo, nella sua accezione più propria, si fonda su più aziende collegate mediante partecipazioni patrimoniali. Non modifica la natura del fenomeno il fatto che su una struttura di base di questo tipo si innestino legami di forma diversa quali contratti di collaborazione, rapporti di sub-fornitura, finanziamenti di grossa entità, tutti rapporti, comunque, a carattere complementare e sussidiario da considerare come corollari dell’aggregazione principale, alla stregua dei normali rapporti che qualsiasi azienda può avere senza intaccare la propria individualità.
È anche opportuno che le aziende siano strutturate in forma di società di capitali di modo che l’identità tra queste e le unità componenti il
17 Sul punto, Aprile C. – Ghini P., Gruppi d’impresa e bilancio consolidato:
aspetti economici e contabili, la nuova disciplina societaria, cit., ed autori ivi indicati;
Azzini L., I gruppi. Lineamenti economico – aziendali, cit., 25. Tali Autori riconoscono l’indipendenza formale delle singole aziende del gruppo, ma negano che ciò significhi il
Azzini L., I gruppi. Lineamenti economico – aziendali, cit., 25. Tali Autori riconoscono l’indipendenza formale delle singole aziende del gruppo, ma negano che ciò significhi il