DOTTORATO DI RICERCA IN Storia delle arti e dello spettacolo
CICLO XXX
COORDINATORE Prof. Andrea De Marchi
Collezionare, esporre, vendere.
Strategie di mercato e divulgazione dell’arte surrealista tra il 1938 e il 1950: il caso della London Gallery
Settore Scientifico Disciplinare L-ART/03
Dottoranda Tutore
Dott.ssa Caterina Caputo Prof. Alessandro Nigro
Coordinatore Prof. Andrea De Marchi
Anni 2014/2017
RINGRAZIAMENTI
Desidero esprimere la mia gratitudine al prof. Andrea De Marchi, coordinatore della Scuola di Dottorato di storia delle arti e dello spettacolo dell'Università di Firenze, Pisa e Siena e al prof. Alessandro Nigro, punto di riferimento costante del mio percorso di formazione accademica. Ringrazio inoltre tutti coloro – docenti, studiosi e archivisti – che hanno contribuito con la loro professionalità e disponibilità alla realizzazione di questa ricerca, in particolare: Nathalie Aubert, Paolo Baldacci, Amy Baker, Fariba Bogzaran, Abby Bridge, Véronique Cardon, Rose Chiango, Virginia Ciccone, Ottavia Crucitti, Bart Daems, Virginie Devillez, Julia Drost, Alice Ensabella, Fabrice Flahutez, Sarah French, Rossella Froissart, Marianne Jacobi, James Mayor, Kirstie Meehan, Maria Grazia Messina, Andreas Neufert, Antony Penrose, Martin Schieder, Katia Sowels, Gerd Roos, Anne Yanover, Kerry Watson, Vicky Wilson, infine lo staff degli archivi del Getty Institute, della Tate Gallery, del Centre Pompidou e della Bibliothèque Littéraire Jacques Doucet. Dedico questo studio ad Antonio ed Emilia.
INDICE
INTRODUZIONE p. 8
I - LA LONDON GALLERY: GENESI DI UNA GALLERIA SURREALISTA
I.1 Il surrealismo in Gran Bretagna: il contesto di riferimento. p. 19
I.1.1 Il contesto storico. p. 19
I.1.2 I preamboli: la diffusione editoriale. p. 23 I.1.3 Il numero surrealista di «This Quarter». p. 25 I.1.4 I preamboli: le mostre surrealiste dei primi anni Trenta. p. 30
I.1.5 Herbert Read. p. 35
I.1.6 Verso la nascita del gruppo surrealista britannico. p. 37 I.2 Dall'"International Surrealist Exhibition" alle mostre
surrealiste britanniche della fine degli anni Trenta. p. 40 I.2.1 "International Surrealist Exhibition", Londra 1936. p. 40 I.2.2 I bilanci della "Mostra Internazionale Surrealista". p. 55 I.2.3 Le mostre surrealiste britanniche della fine degli anni
Trenta. p. 58
II - IL COLLEZIONISMO SURREALISTA: TRA UTOPIA E MERCATO
II.1 La collezione di Roland Penrose e la diffusione del
surrealismo in Gran Bretagna. p. 67
II.1.1 Genesi della collezione. p. 67
II.1.2 Gli acquisti dagli artisti. p. 70
II.1.3 Gli acquisti nelle gallerie londinesi. p. 77 II.1.4 Collezione ed esposizioni: la mostra "Surrealism"
alla Fraser Gallery di Cambridge nel 1937. p. 81 II.1.5 La collezione di Penrose e la London Gallery. p. 88
II.2 Il collezionismo di E.L.T. Mesens: tra raccolta privata e
stock commerciale. p. 95
II.2.1 E.L.T. Mesens: gli anni in Belgio. p. 95 II.2.2 La strutturazione di un "sistema" commerciale. p. 100
II.2.3 La Galerie Mesens (1930-31). p. 107
II.2.4 1932-33: le tre aste Schwarzenberg, Le Centaure e van
Hecke. p. 112
II.2.5 Mesens: mercante e collezionista. p. 121
II.2.6 Le vendite negli anni Cinquanta. p. 129
III - COLLEZIONISMO E MERCATO
III.1 La vendita della collezione Gaffé a Roland Penrose
nel 1937. p. 134
III.1.1 La genesi. p. 134
III.1.2 Le mostre "Joan Miró" e "Picasso-Chirico" alla
Zwemmer Gallery tra maggio e giugno 1937. p. 140
III.1.3 L'acquisto di Roland Penrose nel giugno 1937. p. 147 III.2 La vendita della collezione Éluard a Roland Penrose
nel 1938. p. 158
III.2.1 Paul Éluard: collezionista e mercante. p. 158 III.2.2 La vendita della collezione Éluard e l'acquisto di Penrose
nell'estate del 1938. p. 160
III.2.3 L'autoreferenzialità dei circuiti di scambio delle opere
surrealiste: tra vendite e doni. p. 171
IV - LA DIFFUSIONE DEL SURREALSIMO: ESPOSIZIONI ED EDITORIA
IV.1 Le due fasi della London Gallery: 1938-39 e 1946-50. p. 179
IV.1.1 La prima fase: 1938-39. p. 179
IV.1.2 La seconda fase: 1946-50. p. 200
IV.2 «London Bulletin» e London Gallery Editions: organi di
diffusione della poetica surrealista. p. 209
IV.2.1 «London Bulletin», 1938-40. p. 209
IV.2.2 Marketing, pubblicità e diffusione culturale. p. 220
V - STRATEGIE DI MERCATO E DIVULGAZIONE DELL'ARTE SURREALISTA
V.1 Un'icona surrealista: Giorgio de Chirico. Esposizioni e
speculazioni di mercato. p. 230
V.1.1 Giorgo de Chirico e le speculazioni sul mercato inglese
alla fine degli anni Trenta. p. 230
V.1.2 Dimitrije Mitrinović: un collezionista d'arte surrealista. p. 234 V.1.3 Le vendite della London Gallery a Valerie Cooper e
Dimitrije Mitrinović tra il 1938 e il 1939. p. 239 V.1.4 La mostra "Giorgio de Chirico" alla London Gallery, 14
ottobre - 12 novembre 1938. p. 241
V.1.5 Le offerte di vendita a Pierre Matisse nel marzo 1939. p. 246 V.1.6 La mostra "The Early Chirico" alla London Gallery, 5
aprile - 4 giugno 1949. p. 249
V.2 La promozione dei 'nuovi' artisti: il caso Paul Delvaux. p. 258 V.2.1 Il percorso surrealista di Delvaux: da Bruxelles a Londra. p. 258 V.2.2 Londra 1937: il 'marchio' surrealista. p. 262 V.2.3 L'acquisto dell'atelier Delvaux nel 1938. p. 264 V.2.4 I bilanci delle vendite dell'«Achat Delvaux». p. 270
V.2.5 Gli anni Quaranta. p. 279
V.3 Migrazioni oltreoceano: le vendite a Gordon Onslow Ford
tra settembre 1939 e giugno 1940. p. 282
V.3.1 Gordon Onslow Ford: gli anni a Parigi. p. 282 V.3.2 Settembre 1939: il ritorno a Londra. p. 285 V.3.3 Le collaborazioni con il gruppo surrealista britannico tra
il 1939 e il 1940. p. 288
V.3.4 Gordon Onslow Ford collezionista: gli acquisti alla
London Gallery. p. 291
VI - LA CHIUSURA DELLA LONDON GALLERY NEL 1950
VI.1 L'eredità della London Gallery. I primi anni dell'Institute of Contemporary Arts di Londra e le mostre al Casino Communal
di Knokke: un confronto. p. 307
VI.1.1 La chiusura della London Gallery. p. 307
VI.1.2 Londra: la fondazione dell'ICA. p. 309
VI.1.3 Il Belgio: le mostre al Casino Communal di Knokke -
Le Zoute nei primi anni Cinquanta. p. 313
CONCLUSIONI p. 316
APPENDICE p. 324
1) Mostre organizzate alla London Gallery, 1936-1937. p. 325 2) Mostre organizzate alla London Gallery, 1938-1950. p. 327 3) Mostre allestite in gallerie britanniche con la collaborazione di
E.L.T. Mesens e/o Roland Penrose, 1936-1950. p. 332
4) Pubblicazioni edite dalle "London Gallery Editions". p. 336 5) Ricostruzione dell'archivio fotografico della London Gallery. p. 337 6) Trascrizione della corrispondenza E.L.T. Mesens - Roland
Penrose, 1936-1948. p. 386
INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI p. 458
BIBLIOGRAFIA p. 477
a) Fondi d'archivio p. 478
b) Riviste p. 482
c) Bibliografia generale p. 485
d) Siti internet p. 555
[INTRODUZIONE]
La storia del movimento surrealista all'indomani della sua musealizzazione – e relativa istituzionalizzazione – a partire dagli anni Sessanta del Novecento ha iniziato ad attrarre in modo sempre più considerevole gli studi di settore. Negli ultimi decenni numerose mostre e ricerche si sono incentrate sulla poetica e sull'ideologia del gruppo bretoniano in rapporto alla sua pratica artistica;
esposizioni che hanno contribuito a divulgare un'immagine del surrealismo congiunta all'elemento onirico, il quale è diventato il topos semantico per antonomasia entro cui avviare la riflessione artistica1. Ultimamente tale tendenza è dirottata su scelte espositive di natura monografica, tra cui le ultime, in ordine di tempo, sono state la mostra consacrata a René Magritte al Centre Pompidou incentrata sulla "trahison des images" e la recente esposizione dedicata a Paul Delvaux in Francia, dove il pittore è presentato al pubblico come "Maître du rêve"2. All'interno di queste omologhe scelte espositive emerge la mostra itinerante "Surreal Encounters: Collecting the Marvellous"3, conclusasi a Rotterdam nel maggio 2017 ed incentrata sul collezionismo surrealista4.
Le recenti trattazioni storico-artistico hanno mostrato un rinnovato interesse verso l'analisi dei contesti culturali e commerciali sottesi alle gallerie d'arte ed al mondo gravitante intorno ad esse: mercanti, collezionisti ed artisti5. Un'apertura
1 Si ricordano a tale proposito le mostre: "Another World", Edinburgh 2010; "Surrealism. The Poetry of Dreams", Brisbane 2011; "The Colour of my Dreams", Vancouver 2011; "El surrealismo y el sueño", Madrid 2014; "La Cime des rêves. Les surréalistes et Victor Hugo", Paris 2014
2 La mostra "René Magritte. La trahison des images" ha avuto luogo a Parigi, al Centre Pompidou, dal 21 settembre 2016 al 23 gennaio 2017, mentre "Paul Delvaux. Maître du rêve" si è chiusa il 1 ottobre 2017 a Évian. Cfr. MAGRITTE 2016; DELVAUX 2017.
3 La mostra ha toccato le città di Edimburgo, Amburgo e Rotterdam. Cfr. SURREAL ENCOUNTERS 2016.
4 La mostra si inserisce tuttavia all'interno di una tradizione espositiva, e di ricerca, tipicamente anglosassone in cui il collezionismo resta un campo d'indagine importante degli studi storico- artistici. Si ricordano a titolo esemplificativo le mostre: "Surrealism and After: The Gabrielle Keiller Collection", Edinburgh 1997; "A Surreal Life: Edward James", Brighton 1998;
"Surrealism: Two Private Eye. The Nesuhi Ertegun and Daniel Filipacchi Collections", New York 1999; "British Surrealism in Context: A Collector's Eye", Leeds 2009.
5 Cfr. JOYEUX-PRUNEL 2009; THE RISE OF THE MODERN ART MARKET 2011; VERLAINE 2012;
ANIMATEUR D'ART 2015; BAMBI 2015; JOYEUX-PRUNEL 2017; LA BOÉTIE 2017; ART MARKET
DICTIONARY 2019. Il primo pionieristico studio resta quello condotto da Malcom Gee sul mercato dell'arte in Francia relativo agli anni Venti, cfr. GEE 1981. Per quel che riguarda l'approccio
che solo negli ultimi anni si è estesa al contesto di ricerca relativo al movimento surrealista, le cui indagini, di fatto, sono tutt’oggi in atto e molte di queste devono ancora prendere forma in pubblicazioni accademiche6. Il ritardo in questo dominio di ricerca è dovuto in parte al pregiudizio che da sempre ha relegato il mercante- gallerista nell'ambito delle speculazioni di mercato, una pratica, questa, che nell'immaginario comune allontanava dal valore ideale delle opere. Tale preconcetto diventa ancor più potente nel momento in cui ad essere chiamate in causa sono le avanguardie, ossia quei movimenti che si erano posti in netta contrapposizione alla mercificazione dell'arte.
Nella sua nuova pubblicazione, Béatrice Joyeux-Prunel sottolinea come ancora troppo pochi siano gli studi consacrati al mercato dell'arte degli anni Trenta, ed in particolare a quello delle avanguardie7; lacune che – dichiara la studiosa – sono spesso dovute alle difficoltà di accesso alle fonti primarie ancora di proprietà di privati, come gallerie e collezionisti, talvolta reticenti a fornire a terzi materiali che potrebbero celare informazioni poco chiare su opere confiscate o espoliate in anni in cui la politica aveva giocato un ruolo chiave nei contesti culturali europei8.
Malcolm Gee nel suo studio pioneristico sul mercato dell'arte tra le due guerre giustamente sottolineava: «the distinction between collector and dealer is something difficult to make»9; inoltre puntualizzava:
metodologico alla tematica, basilare sono gli atti delle giornate di studio del 2008 curate da Joyeux-Prunel ed intitolate L’art et la mesure: Histoire de l’art et approches quantitatives, sources, outils, méthodes, consultabili online; cfr. ART ET LA MESURE 2010.
6 In particolare si ricorda il programma di ricerca intitolato Le surréalisme au regard de galleries, des collectionneurs et des médiateurs (Labex Arts H2H), diretto da Fabrice Flahutez e patrocinato dall'Université Paris Nanterre, Université Paris 8, Centre George Pompidou, in collaborazione con il Centre Allemand d'histoire de l'art di Parigi, Universität Leipzig e University of Essex, che ha dato vita ad un ciclo di conferenze relative al collezionismo e mercato dell'arte surrealista e di cui è attesa nel corso dei prossimi mesi la pubblicazione degli atti. Inoltre si ricorda il numero tematico di «Ricerche di storia dell'arte» curato da Alessandro Nigro, cfr. IL SISTEMA DELL'ARTE
2017.
7 Cfr. JOYEUX-PRUNEL 2017, pp. 558-559.
8 Ibidem.
9GEE 1981, p. 88.
This doubled phenomenon, [...] imposed a certain uniformity of practice on them, in the light of which the collector and the dealer appear as different versions of the same person, in whom æsthetic and financial considerations were inextricably mixed10.
Nel primo dopoguerra ricavare benefici economici dai dipinti era una pratica comune, ereditata dall'assetto commerciale strutturatosi intorno al mondo delle gallerie che si era sviluppato nel corso dell'Ottocento11. La particolarità, rispetto al periodo precedente, è che tale prassi era mutata, e dall'essere una prerogativa esclusivamente in mano a mercanti e galleristi si era estesa all'interno dei gruppi artistici, i cui membri dunque, oltre ad essere produttori, iniziarono ad attivarsi nella promozione, nella vendita e anche nell'acquisto delle opere12. In questo percorso storico – sottolinea Gee – l'ambivalenza semantica dei termini 'collezionista' e 'mercante' divenne una problematica significativa, presente in molti circoli modernisti della prima metà del Novecento ed in particolare all'interno di quei movimenti, tra cui spicca il surrealismo, nati in antitesi al sistema borghese-capitalistico dominante13.
Il lavoro di ricerca condotto in questi anni di dottorato, che ha preso forma nella presente tesi, ambisce a colmare quel vuoto bibliografico che il surrealismo ancora presenta in relazione al collezionismo e al mercato dell'arte in Gran Bretagna. Se, come afferma Malcolm Gee, «artists were more influenced than they cared to admit by changes in the commercial climate of the art world»14, appare evidente l'importanza che tale ambito di studi riveste per la comprensione delle dinamiche non solo socio-culturali, ma anche artistiche tout court.
La London Gallery fu attiva a Londra dal 1938 al 1950 come spazio
10 Ibidem.
11 Nel suo saggio Pamela Fletcher illustra la storia delle gallerie commerciali londinesi della seconda metà dell'Ottocento evidenziando come l'assetto e le pratiche commerciali che si erano strutturate in quel decennio furono cruciali per l'assetto del fututo mercato dell'arte britannico. In Francia, una figura chiave del mondo del commercio dell'arte fu Paul Durand-Ruel, il quale aveva profondamente trasformato il ruolo del mercante ed è oggi considerato il precursore della moderna figura del gallerista-commerciante. Cfr. WHITE 1965; MOULIN 1967, con particolare riferimento al paragrafo II.3; CODELL 2011;FLETCHER 2011.
12 Cfr. GEE 1981, p. 88.
13 Cfr. ivi, pp. 88-100.
14 GEE 1979, p. 104.
espositivo polivalente, quasi unico nel suo genere, poiché diretto da artisti surrealisti che di fatto furono galleristi, mercanti ed anche collezionisti. Essa fu l'unica galleria ufficialmente surrealista in Gran Bretagna e per questo giocò un ruolo chiave nella diffusione dell'estetica del movimento, nella promozione degli artisti e delle opere del gruppo, sia inglese che continentale. Le sintetiche trattazioni su questa galleria hanno fornito ad oggi un'analisi di carattere principalmente culturale, escludendo pressoché totalmente il lato mercantile di un'attività che, di fatto, nasceva come un'impresa commerciale15. In questo elaborato si è voluto quindi ricontestualizzare, alla luce delle nuove ricerche del mercato dell'arte, le strategie commerciali e culturali messe in atto dai due direttori della galleria affiliati al gruppo bretoniano, ossia il belga E.L.T. Mesens e l'inglese Roland Penrose, i quali si erano entrambi impegnati in prima persona nella diffusione delle opere dei membri affiliati al movimento e degli artisti da essi strumentalmente inclusi all'interno del gruppo. La London Gallery ha avuto il merito di aver dato al surrealismo uno spazio di visibilità pubblica in Inghilterra, ma anche di aver contribuito all'autentificazione dello status artistico degli artisti emergenti del gruppo. Uno status che di fatto acquisiva la propria identità grazie alle esposizioni – monografiche e collettive – ed attraverso la pattuizione dei prezzi di vendita, la cui definizione conferiva un valore di mercato e culturale all'artista.
Uno studio relativo ad una galleria non poteva prescindere dal prendere in considerazione il complesso legame tra arte e denaro, ossia tra creazione e commercio. Così, uno dei principali assi della ricerca è stato quello relativo alla tracciabilità del processo di valorizzazione delle opere. Come sottolinea Julie Verlaine, il mercato dell'arte a partire dalla seconda metà dell'Ottocento si era trasformato in un «marché de notorieté»16, in cui la legittimazione dei valori di mercato era data dalla reputazione degli artisti, un'affermazione che troverà riscontro durante questa trattazione. La "notorieté" era di fatto il prodotto di un lavoro realizzato dai mercanti-galleristi attraverso l'organizzazione di tutta una serie di attività che miravano alla costruzione di una solida fama e che, di conseguenza, doveva corrispondere ad una precisa e chiara immagine che si
15 Cfr. GEURTS-KRAUSS 1998, pp. 91-104 e 115-126;HARTLEY 2001;REMY 2013.
16 Cfr. VERLAINE 2012, p. 11.
voleva divulgare dell'artista. In tal senso le esposizioni, il collezionismo e gli aspetti strettamente economici erano tutti elementi subordinati al sistema di costruzione della reputazione degli artisti e della fama di precise opere della loro produzione, le quali, così facendo, diventavano detentori di una precisa poetica, come fu il caso di Pablo Picasso, Giorgio de Chirico o Paul Delvaux.
Il contesto spazio-temporale della ricerca corrisponde agli anni precedenti lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e si protrae fino al 1950, ossia un periodo caratterizzato da una forte instabilità politica, sociale e culturale. Nonostante la diffusa crisi dovuta al clima bellico e postbellico, Londra aveva mantenuto una certa vivacità economica, ma la cultura vittoriana, ancora radicata negli strati sociali inglesi, tenne il pubblico ben lontano dalle avanguardie continentali. Il surrealismo, infatti, restò relegato nell'ambito di una elitaria cerchia socialmente omogenea di intellettuali ed artisti cosmopoliti.
La tesi è stata strutturata in sei parti cronologiche e tematiche, nelle quali si è tentato non solo di dare alcune risposte, ma di aprire anche nuove piste d'indagine su specifiche domande sorte durante la ricerca. Un punto importante che emerge dalla trattazione è la funzione che le collezioni dei surrealisti avevano svolto nel periodo tra le due guerre, e di come tali raccolte siano state fondamentali per la creazione di un sistema economico autogestito, peculiare al movimento e parallelo a quello dominante, concretizzatosi proprio grazie alla costruzione di una rete collezionistica che aveva coinvolto i membri affiliati e vicini al gruppo, ma anche le figure gravitanti intorno alle galleria moderniste londinesi, alcune delle quali facevano parte di circoli politicamente impegnati, come ad esempio i membri del New Europe Group e dell'Isobar Club.
La prima parte è dedicata al contesto storico e culturale nel quale la London Gallery si era trovata ad operare. In questo capitolo si forniscono sintetici cenni ad alcune delle più importanti esperienze moderniste britanniche, quali «Circle» e
«Unit One», inoltre si traccia una panoramica di quelle che erano state le posizioni che la critica inglese aveva assunto in rapporto al movimento bretoniano nell'intervallo temporale 1934-36. Ma il vero punto di partenza della trattazione è la famosa "International Surrealist Exhibition" di Londra del 1936, un evento che aveva indotto non solo alla creazione di un gruppo surrealista britannico, ma che di fatto aveva portato nel mercato inglese numerose opere d'arte con le rispettive quotazioni di vendita. Di questa fondamentale mostra si è così cercato di definire
la portata commerciale attraverso un'analisi delle transazioni reperite ed una panoramica dei relativi acquirenti. Successivamente sono state passate al vaglio le mostre surrealiste organizzate in Gran Bretagna nel 1937 all'indomani della grande esposizione internazionale, fondamentali per la creazione identitaria del gruppo anglosassone e per la diffusione territoriale, oltre i confini londinesi, della poetica del movimento. La finalità commerciale di questi episodi espositivi è estremamente minore rispetto alla portata ideologica, la quale era intrisa di una forte spinta militante dettata dalle contingenze storiche e politiche.
Nella seconda parte dell'elaborato viene introdotto il ruolo che il collezionismo aveva assunto nella cerchia surrealista negli anni tra le due guerre e dell'ambivalente funzione culturale e commerciale da esse ricoperta. Molte pagine sono infatti dedicate alla presentazione delle raccolte dei due direttori della London Gallery, Mesens e Penrose, le quali infatti, furono fondamentali alle attività della galleria e alla divulgazione della poetica del movimento surrealista oltremanica. Mesens aveva portato avanti a Londra una prassi collezionistica la cui genesi si trova nelle attività commerciali condotte a Bruxelles nel corso degli anni Venti, per le quali significative furono le collaborazioni con il mercante, gallerista e collezionista Paul Gustave van Hecke, figura chiave nella promozione dell'art vivant in Belgio. La raccolta di Mesens aveva un'identità assai eclettica, dovuta alla sua duplice valenza situata a metà tra collezione privata e stock di vendita, una fisionomia che trovava la sua ragion d'essere nelle attività commerciali che l'artista conduceva in quegli anni. Penrose invece, dopo le iniziali acquisizioni con finalità principalmente di supporto nei confronti di amici artisti, a partire dal 1936 realizzò una serie di acquisti in blocco che, oltre ad arricchire la sua raccolta privata, furono funzionali alla creazione dello stock di magazzino della London Gallery e delle attività finanziarie gravitanti intorno a questa impresa. Per tale motivo, nel terzo capitolo, è fornita un'analisi dettagliata di due importanti acquisti realizzati da Penrose: il primo, nel 1937, della collezione Gaffé; il secondo, nel 1938, di quella Éluard, due episodi che vengono trattati con lo scopo di indagarne le strategie commerciali sottese.
Nella quarta sezione si affrontano in modo specifico, due poli fondamentali della galleria: quello propriamente culturale e quello commerciale. Una parte è dunque dedicata alla presentazione della programmazione espositiva e dei relativi artisti rappresentati nei due periodi di attività, il primo quando la galleria era
ubicata in Cork Street (1938-40), ed il secondo, successivo ad alcuni anni di chiusura a causa della guerra, quando si era trasferita negli spazi di Brook Street (1946-50). Nonostante la cesura di sei anni i due momenti risultano speculari nella metodologia gestionale. In entrambe le fasi il calendario espositivo fu strutturato su un duplice fronte: la consolidazione della fama dei singoli artisti da un lato, con l'organizzazione di mostre monografiche, e la diffusione ideologica di gruppo dall'altro, principalmente con collettive. Tra gli scopi primari, e per ragioni di natura anche commerciale, le attività della galleria furono pianificate per dare visibilità alla generazione dei giovani artisti affiliati al movimento ed in parallelo presentare figure storiche e ormai consolidate a livello internazionale, come Picasso, de Chirico o Miró, le cui presenze erano strumentalizzate a richiamare l'attenzione del pubblico e a conferire prestigio alla galleria. Un secondo paragrafo di questa quarta sezione è consacrato alle esperienze editoriali condotte in parallelo alla pratica espositiva. Particolarmente significativa è stata la rivista omonima, ossia il «London Bulletin», che fungeva da catalogo delle esposizioni, ma non solo. Il «London Bulletin» fu il vero portavoce dello spirito surrealista in Inghilterra, ma anche un mezzo strategico di marketing promozionale per il gruppo e la galleria. Il principale animatore degli organi editoriali, che includevano oltre alla testata anche le London Gallery Editions, fu Mesens, che anche in questo campo era reduce dell'esperienza maturata in Belgio.
Il quinto capitolo, invece, ambisce a esemplificare, attraverso l'analisi di tre casi studio, le strategie promozionali e di vendita adottate dai direttori. Si esamina come primo caso significativo Giorgio de Chirico, a seguire Paul Delvaux ed infine Gordon Onslow Ford. Il primo fu protagonista di evidenti speculazioni di mercato operate all'interno della galleria; il secondo è un esempio emblematico d'inclusione e legittimazione di un 'nuovo' artista; infine, il pittore e collezionista surrealista Onslow Ford aveva realizzato alla London Gallery, tra il 1939 e il 1940, un cospicuo acquisto di opere per incrementare la sua raccolta privata prima di lasciare l'Europa per trasferirsi permanentemente negli Stati Uniti.
Nel sesto ed ultimo capitolo si apportano delle riflessioni su quella che era stata l'eredità lasciata dalla London Gallery e che, in parte, fu raccolta dall'ICA, l'istituto d'arte contemporanea inaugurato a Londra nel 1948 e tra i cui membri fondatori figuravano Mesens, Penrose ed altre personalità legale alla galleria surrealista, la quale nel 1950 chiuse definitivamente la sua sede.
Da un punto di vista metodologico la ricerca è stata strutturata attraverso un minuzioso spoglio di cataloghi di mostre, aste, riviste ma soprattutto grazie alla consultazione della copiosa corrispondenza di Mesens e Penrose, la quale è oggi conservata in archivi dislocati tra Belgio, Inghilterra e Stati Uniti e parte della quale è presentata trascritta in appendice dell'elaborato. Tale ricognizione archivistica ha reso possibile inoltre, la ricostruzione, seppur parziale, della fototeca della London Gallery, un prezioso strumento che fornisce indicazioni su quali erano state le opere effettivamente transitate in questo spazio espositivo e che per questo rappresenta un ausilio imprescindibile per l'individuazione dell'assetto identitario della galleria.
Purtroppo tre anni di ricerca non sono stati sufficienti a vagliare la totalità della rete commerciale che aveva visto protagonista la London Gallery. In particolare resta da concludere l'indagine che coinvolge l'ambito statunitense, che in questa sede è stata solo parzialmente portata a termine. Per quel che riguarda il collezionismo, invece, la situazione è assai più complessa poiché molti degli archivi dei collezionisti sono oggi dispersi o conservati privatamente, e per questo non sempre disponibili per la consultazione, tant'è che resta il rammarico di non aver potuto accedere alla parte dell'archivio Mesens ancora di proprietà degli eredi, un corpus al momento non reso accessibile.
In conclusione, nonostante l'elaborato si concentri sull'analisi di una sola galleria, la ricerca ha ambito ad ampliare le prospettive d'indagine sulle realtà internazionali, tentando di tracciare gli spostamenti delle opere d'arte che ebbero luogo principalmente all'interno di un perimetro geografico che vide protagoniste le città di Parigi, Bruxelles e Londra. Tale impostazione, di più ampio respiro, ha fatto sì che alcune problematiche rimanessero irrisolte. Tuttavia, ritengo che i numerosi quesiti sorti nel corso del presente studio lascino non tanto un senso di incompiutezza all'elaborato finale, ma piuttosto evidenzino la complessità che una ricerca sulle avanguardie e sul mercato dell'arte degli anni Trenta e Quaranta ancora sottende.
[I]
LA LONDON GALLERY:
GENESI DI UNA GALLERIA SURREALISTA
I.1 Il surrealismo in Gran Bretagna: il contesto di riferimento.
I.1.1 Il contesto storico.
La complessa situazione culturale e l'approccio estetico che caratterizzavano la Gran Bretagna degli anni tra le due guerre sono ben sintetizzati dalla studiosa inglese Mary Myfanwy Evans:
Left, right, black, red (and the white too, for the fools who won't take part and so constitute a battle line all on their own), Hampstead, Bloomsbury, surrealist, abstract, social realist, Spain, German, Heaven, Hell, Paradise, Chaos, light, dark, round, quare. [...] 'have you signed the petition – haven't you a picture more in keeping with our aims – intellectual freedom, FREEDOOM, FREEDOM – we must be allowed, we can't be bound – you can't, you must fight – you must.
That's not abstract, sir – that's not surrealist, sir – that's not – not.
Anything will do [...] it's a matter of principle'17.
Il brano, tratto dal volume The Painter's Object che la Evans aveva pubblicato nel 1937, sottolineava enfaticamente quanto all'epoca fossero preponderanti nella configurazione del giudizio estetico non tanto le ragioni legate all'oggetto artistico, quanto le diverse ideologie al quale esso risultava affiliato.
D'altro canto la riflessione sul ruolo che l'artista e l'arte dovevano occupare nella società, così come l'ideologia politica sottesa ai movimenti sorti come reazione alla situazione storico-culturale ereditata dall'Ottocento e percepita come non più rappresentativa dell'attualità, fu, a partire dal primo dopoguerra, un dibattito aperto in tutta Europa e dal quale l'Inghilterra non rimase esclusa.
17 EVANS 1937, p. 5. Il corsivo ed i caratteri in maiuscolo sono presenti nell'edizione originale.
La linea critica che dette avvio in Gran Bretagna alla discussione sul modernismo prima, e più specificatamente sul surrealismo poi, prese forma attraverso una dialettica degli opposti che molto spesso aveva portato a malintesi e a prese di posizioni aprioristiche secondo quella «matter of principle» che la Evans aveva efficacemente rimarcato non senza una vena polemica. In un contesto storico in cui le ideologie venivano prima di ogni altra cosa, lo scontro diventava sintomatico ed essenziale per la legittimazione di ogni tendenza o movimento artistico: così, il surrealismo tentò di insediarsi oltremanica in anni in cui il nazionalismo fronteggiava il cosmopolitismo, il formalismo si scontrava con l'idealismo, l'estetismo rivaleggiava con l'attivismo sociale, il troskismo si poneva in antitesi al marxismo, una situazione che non giovò certo alla ricezione critica di un movimento che fin dal principio fu percepito come straniero, nell'accezione di extraneus.
L'Inghilterra del primo dopoguerra aveva ereditato in ambito critico ed artistico l'approccio formalista concepito dal gruppo di Bloomsbury:
un'associazione di giovani artisti sorta negli spazi universitari di Cambridge nei primi anni del Novecento18. L'estetica di Bloomsbury era caratterizzata da un criterio analitico dell'oggetto artistico fortemente basato sugli aspetti visivi dell'opera, una concezione che ebbe un impatto estremamente duraturo sulla critica successiva e sugli stessi artisti, tant'è che influenzò enormemente la ricezione delle tendenze moderniste continentali19. Tra novembre 1910 e gennaio
18 Una figura centrale nella genesi del gruppo Bloosbury fu Clive Bell. Nel 1899 Bell, Lytton Strachey, Saxon Sydney-Turner, Leonard Woolf e Thoby Stephen, tutti studenti a Cambridge, decisero di formare una reading society ed iniziarono ad incontrarsi nell'abitazione londinese di Stephen, in Gordon Square, dove il giovane viveva con le sorelle Vanessa, Virginia ed il fratello Adrian. Nel 1907 Bell e Vanessa Stephen si sposarono e si stabilirono insieme in Gordon Square, mentre Virginia e Adrian Stephen si trasferirono in una nuova abitazione in Fitzroy Square. Tra i fondatori della prima generazione di Bloomsbury vi erano Duncan Grant, l'economista John Maynard Keynes, Roger Fry, H.T.J. Morton e Gerald Shove; mentre tra coloro che Bell definì
«close friends» si annoverano Desmond e Molly MacCarthy e E.M. Foster. Dopo la Prima Guerra Mondiale nel gruppo vennero inclusi nuovi associati: David Garnett, Francis Birrell, Raymond Mortimer, Ralph Partridge, Stephen Tomlin, Sebastian Sprott, F.L. Lucas e Frances Marshall. Per ulteriori approfondimenti sul gruppo Bloosbury, cfr. HARRISON 1994, pp. 45-74.
19 Cfr. SPALDING 1986, con particolare riferimento al capitolo Post-Impressionism: Its Impacts and Legacy, pp. 37-59.
1911 Clive Bell e Roger Fry, i due principali esponenti del gruppo, organizzarono alla Grafton Gallery di Londra la fondamentale mostra Manet and the Post- Impressionists, che promulgò il post-impressionismo quale modern movement per antonomasia e Cézanne come terminus post quem della moderna stagione artistica20. Tale visione marcatamente francocentrica influenzò notevolmente la produzione di tutta una giovane generazione di artisti britannici che assecondavano la concezione estetica divulgata da Bell e Fry, secondo i quali l'arte moderna non doveva recare nient'altro se non «a sense of form and colour and a knowledge of three-dimensional space», senza essere però una mera copia mimetica della realtà fenomenologica21. Un approccio artisticamente limitante che, come sottolinea Charles Harrison, indusse irrimediabilmente ad «an 'abstraction' above interpretation»22. La mostra di Fry ebbe tuttavia il merito di aver deviato la linea storico-artistica britannica fuori dal binario del tradizionalismo vittoriano23.
Lo sforzo di dar vita ad un'arte moderna inglese fu ulteriormente spronato quando nel marzo del 1912 Marinetti ed i futuristi arrivarono per la prima volta a Londra per esporre alla Sackville Gallery. Un evento che portò un'ondata di novità oltremanica e che spinse alcuni artisti, come Wyndham Lewis, Nevinson, Roberts, Bomberg e Wadsworth a dar vita, nel giugno 1914, al gruppo conosciuto come vorticista24.
In questo secondo decennio del Novecento la spinta al rinnovamento artistico era diventata una vera e propria necessità sentita dalle nuove generazioni di artisti, i quali tentarono a più riprese di prendere le distanze dagli accademismi
20 Cfr. ibidem. Una seconda mostra dedicata al post-impressionismo fu allestita nell'ottobre 1912 nella medesima galleria londinese della prima esposizione; tra gli organizzatori oltre Roger Fry e Clive Bell vi era Boris von Anrep. La mostra, intitolata Second Post-Impressionist Exhibition of English, French and Russian Artists, presentava anche tre opere di Picasso, il quale fu introdotto secondo logiche estetiche tipicamente bloomsburiane, ossia «a purely abstract form – a visual music»; ivi, p. 63.
21 Cfr. ivi, p. 61.
22 Ibidem.
23 Scrive Frances Spalding a proposito della mostra sul post-impressionismo organizzata da Roger Fry: «As a result, those who failed to respond but continued to paint in vaguely impressionistic or naturalistic styles, found themselves suddenly passé»; SPALDING 1986, p. 37.
24 La prima ed unica mostra vorticista in Inghilterra ebbe luogo nel giugno 1915 alla Doré Gallery.
radicati che si muovevano intorno a storiche istituzioni, quali la Royal Academy, e che per questo cercarono di rivitalizzare l'arte britannica attraverso la costituzione di autonome associazioni artistiche, tra le quali spiccavano il Camden Town Group e, nel 1913, il London Group25. Così Harrison spiega questa attitudine:
During the three years from November 1910 to October 1913 those who felt they belonged with the progressive minority were drawn together, as were the various radical factions in political life, by the sense of a need for fellowship against the roused forces of reaction.
The first Post-impressionist exhibition provided a flag to rally round26.
La spinta al cambiamento proveniva non solo da necessità di natura artistica, ma anche da contingenze politiche e sociali. Nel corso degli anni Venti le controversie legate all'approccio estetico e alla funzione dell'arte che si erano generate nel periodo prebellico si appianarono per un momento, per poi acutizzarsi nuovamente nel decennio successivo, quando nuove discussioni e divisioni presero campo27.
I.1.2 I preamboli: la diffusione editoriale.
25 Per ulteriori approfondimenti sul Camden Town Group e sul London Group, cfr. HARRISON
1994, pp. 75-113.
26 Ivi, p. 84.
27 Spalding sottolinea che il ritorno all'ordine che aveva caratterizzato la situazione artistica europea degli anni Venti, paradossalmente in Gran Bretagna fu delineato dall'ascesa delle teorie formaliste precedentemente formulate da Fry. Cfr. SPALDING 1986, p. 61.
A partire dai primissimi anni Trenta, la situazione socio-politica fece sentire forte la necessità a molti studenti ed intellettuali gravitanti intorno agli ambienti universitari, in particolare Oxford e Cambridge, di stringersi in raggruppamenti rappresentativi della linea politica di sinistra, di ascendenza principalmente marxista. I dibattiti che ne scaturirono, in favore del pacifismo e socialismo, avvenivano soprattutto sulla stampa autogestita, tra cui, per citare le testate più note, «Cambridge Left», «Experiment», «The Venture» e «Oxford Outlook»28. È proprio all'interno di questi circoli di intellettuali progressisti di sinistra che si formarono i principali esponenti del surrealismo britannico.
I semi che avevano portato alla germinazione di un gruppo filobretoniano in Gran Bretagna erano stati gettati già nel corso degli anni Venti da alcune riviste letterarie che, seppur edite in Francia o negli Stati Uniti, avevano giocato un ruolo di prim'ordine nella propagazione della poetica surrealista oltremanica29. Le testate erano accessibili a Londra nel bookshop di Anton Zwemmer, ubicato in Charing Cross Road, una delle poche librerie della capitale inglese dove era possibile trovare un'ampia scelta di riviste, cataloghi e volumi sull'arte provenienti dall'estero, e quindi uno dei luoghi dove artisti ed amatori potevano tenersi aggiornati sulle ultime tendenze delle avanguardie europee30. Tra queste testate spicca il periodico «The Transatlantic Review», pubblicato tra gennaio e novembre 1924 e co-edito da Ford Madox Ford a Londra – già direttore di «The English Review» 31 – e Phlippe Soupault a Parigi. La rivista, benché principalmente in francese, ebbe il merito di aver divulgato scritti e poesie di
28 Questo gruppo di riviste, politicamente impegnato, ebbe una vita editoriale piuttosto breve, ad eccezione di «Oxford Outlook»: «Cambridge Left», 1, 1933 - 2, 1933; «Experiment» 1, 1928 - 7, 1931; «Oxford Outlook», 1, 1919 - 52, 1930; «The Venture», 1, 1928 - 6, 1930. Cfr. MCCRACKEN
2013.
29 Cfr. RAY 1971, pp. 67-133.
30 Anton Zwemmer aveva iniziato a lavorare nella libreria di proprietà di Richard Jäschke al 78 di Charing Cross Road alla fine degli anni Dieci e nel 1922 divenne il proprietario dell'impresa. Il largo assortimento editoriale presente nel bookshop fin dagli esordi è rimarcato in un trafiletto pubblicitario dell'ottobre 1923: «A large assortment of Foreign Books in all the chief European languages. Grammars and dictionaries of every language. Works on Fine Arts a speciality. A very wide and representative collection of illustrated works on the contemporary and earlier masters is always open to inspection»; VAUX HALLYDAY 1991, p. 36.
31 Cfr. WULFMAN 2013.
Ribemont-Dessaignes, Tristan Tzara e René Crevel, inoltre sporadicamente apparirono citati anche i nomi di Breton e Aragon ma, a causa dell'ancora germinale formazione del gruppo, non si trova mai utilizzato il termine surrealismo32.
Una rivista che, diversamente da quella appena descritta, era in lingua inglese, fu «Transition», testata che meriterebbe un'indagine ben più approfondita di quella finora consacratale, poiché aveva rivestito un ruolo estremamente significativo nella trasmissione del modernismo oltremanica. «Transition» fu fondata nel 1927 e diretta da Eugene Jolas, un americano espatriato a Parigi. Iolas ebbe il merito di trasmettere in traduzione alcuni scritti fondamentali del surrealismo francese, in particolare i testi di Breton: Introduction to the Discourse on the Dearth of Reality, Hands Off Love ed il capitolo di apertura di Nadja. Nel corso degli anni Trenta la testata aveva fortemente contribuito non solo alla diffusione di scritti surrealisti in traduzione, ma aveva preso parte attiva alla divulgazione visiva del modernismo continentale attraverso la riproduzione di opere di Giacometti, Hans e Sophie Arp, Brancusi, Braque, de Chirico, Ernst, Man Ray, Lèger, Masson, Miró, Picasso e Schwitters33. La linea progressista di cui si era fatto portavoce Jolas è confermata nel giugno 1930, quando venne pubblicato il Cambridge Experiment Manifesto, un testo programmatico firmato da alcuni studenti dell'università di Cambridge appartenenti ad un circolo riformista nominato Experiment Group34. In questo fascicolo furono inclusi poesie di Hugh Sykes Davis e George Reavey, testi teorici di Julian Trevelyan e Bronowski, ossia scritti che si ponevano in netta contrapposizione alla critica tradizionalista e reazionaria a favore invece di un'arte che ritenevano dovesse essere principalmente di natura sperimentale35. Oltre a Trevelyan, Hugh Sykes Davis e Reavy, tra i firmatari del manifesto comparivano i nomi di Humphrey
32 Cfr. REMY 1986, p. 21.
33 «Transition» fu edita mensilmente da aprile 1927 ad aprile 1928. Nel giugno 1928 riprese la pubblicazione con scadenza trimestrale e dopo il fascicolo 19-20 del giugno 1930 fu temporaneamente sospesa fino al marzo 1932.
34 Cfr. «Transition», 19-20, June 1930. Dopo la pubblicazione di questo fascicolo la rivista sospese la produzione fino al marzo 1932.
35 Per ulteriori approfondimenti, cfr. REMY 1986, pp. 21-22.
Jennings e Basil Wright, i quali dal 1936 gravitarono intorno al gruppo surrealista nazionale.
I.1.3 Il numero surrealista di «This Quarter».
Il primo tentativo strutturato di introdurre l'ideologia surrealista nel mondo anglosassone risale al settembre 1932, quando fu dato alle stampe il primo Surrealist Number che una rivista consacrava interamente alla movimento continentale, con la presentazione di testi tutti tradotti in inglese 36. Il numero speciale fu edito dalla testata americana fondata e diretta da Edward T. Titus:
«This Quarter» (fig. 1). Il fascicolo fu pensato con la chiara intenzione di informare ed aggiornare i lettori di lingua inglese sulle tendenze progressiste continentali, e nello specifico sul surrealismo. Sotto la direzione di André Breton, che era stato chiamato in qualità di Guest Editor alla redazione del Surrealist Number, per la prima volta si forniva una concreta ed ampia visione della poetica del movimento.
L'intenzione divulgativa e conoscitiva è rimarcata dallo stesso Titus nel suo editoriale posto in apertura del numero:
Owing to the fact that dyed-in-the-wool surrealists have consistently refused to explain themselves in any but their own publications, which have become exceedingly rare, and that, with some few inadvertent or expedient exceptions, they have declined to contribute to non- surrealist publications in France or elsewhere, their work has been practically inaccessible to English and American readers. After much persuasion, and on condition that an issue of THIS QUARTER were exclusively devoted to surrealist work, M. André Breton and his colleagues have consented to collaborate in the production of the present surrealist issue, which contains contributions, many now
36 Cfr. «This Quarter», Surrealist Number (Paris), V, 1, 1932.
printed for the first time, representative of nearly every aspect of written and pictorial surrealist work37.
Fig. 1 «This Quarter», Surrealist Number, settembre 1932; copertina.
Secondo Titus il vuoto editoriale in ambito inglese relativo al movimento surrealista era da attribuire principalmente alla volontà stessa del gruppo, il quale, chiuso nella propria rete di stampa autogestita, difficilmente scendeva a compromessi. Egli puntualizzava, inoltre, che Breton aveva accettato di pubblicare su «This Quarter» solo dopo una contrattazione che era terminata con l'accettazione da parte dell'editore della richiesta avanzata dal capogruppo surrealista, ossia consacrare l'intero fascicolo al movimento. Uno stratagemma che di fatto evitava eventuali accostamenti tematici ed iconografici che avrebbero potuto indurre i lettori a malintesi o errate interpretazioni. Breton, a sua volta, dovette però accogliere le restrizioni imposte da Titus, che consistevano nel tagliare fuori «politics and such other topics that might not be in honeyed accord with Anglo-American censorship usages»38. In effetti, grande assente del fascicolo è la questione politica, che in quel momento era invece uno dei punti nodali di tutta l'attività del gruppo. Breton non tacque su tale mancanza: «the more or less rigorous control to which publications in English are subjected in English-speaking countries obliges us to pass over in silence whatever in that
37 THIS QUARTER, pp. 5-6.
38 Ibidem.
activity bears on social conflicts or moral»; inoltre, enfaticamente sottolineava il limite che una tale restrizione comportava per la comprensione da parte dei lettori della vera ideologia del gruppo: «limited, then, as we are in the expression of our deepest convinctions on those questions, we are unable to describe the surrealist movement here in any way as extensively as it should be described»39. Il punto è nodale. L'intera storia del movimento surrealista si era caratterizzata da un'intransigenza propagandistica che per aggirare ogni censura aveva indotto i membri del gruppo a riparare, quasi sempre, in organi autogestiti o simpatizzanti, una scelta che di fatto aveva permesso al surrealismo di mantenere una trasparenza ideologica altrimenti difficilmente concretizzabile e dunque, di restare fuori da ogni eventuale manipolazione mediatica. Breton, come co-editore del fascicolo, aveva infatti vegliato con attenzione sulle tematiche divulgate.
Nonostante ciò, a causa della censura imposta, «This Quarter» forniva una visione dell'ideologia surrealista per lo più relativa alla prassi creativa. Il fascicolo era strutturato in più sezioni, ognuna delle quali corrispondente ai vari ambiti di ricerca e produzione del movimento: Experimental Prose, Poems, Prose, Scenario e Story. Ricco anche l'apparato iconografico, tant'è che per la prima volta in Inghilterra veniva pubblicato un cospicuo numero di opere surrealiste a corollario di una parte teorica40. Nelle pagine emerge preponderante l'importanza conferita dal gruppo all'automatismo, ma anche le prime teorizzazioni relative all'oggetto.
Una cospicua sezione nominata Expository Articles, era dedicata agli scritti teorici e si apriva con il programmatico articolo di Breton Surrealism: Yesterday, To-Day and Tomorrow, tradotto dallo stesso Titus41. Come si prospetta già dal titolo, nel testo Breton voleva rimarcare storicamente la genesi del movimento, lo stato attuale e, significativamente aprire la strada a future proiezioni programmatiche42.
39 BRETON 1932, p. 8. Il corsivo è dell'autrice.
40 L'apparato iconografico di questo numero speciale di «This Quarter» comprendeva: The Problem of a Day di Giorgio de Chirico, Chimaera di Max Ernst, l'Exquisite Corpse: Girl di T.C., Paul Éluard e Valentine Hugo, l'Exquisite Corpse: Landscape di Greta Knutson, Valentine Hugo, André Breton e Tristan Tzara, l'Object of Destruction di Man Ray ed infine The Cold Night di Yves Tanguy. Cfr. THIS QUARTER, pp. 45, 77, 195, 193, 55 e 99.
41 Cfr. BRETON 1932.
42 Tra coloro che avevano partecipato all'edizione del Surrealist Number compaiono in qualità di traduttori i nomi di Bronwski, editore della rivista «Experiment», e lo scrittore Samuel Beckett.
L'articolo iniziava con un tentativo di legittimare in ambito britannico il movimento, di cui furono rintracciati i precursori letterari anglosassoni: Walpole, Radcliffe, Monk Lewis, Maturin, Synge e Young, quest'ultimo – scriveva Breton – «unquestionably the most authentic forerunner of the surrealist style»43. Il testo fu in gran parte ripreso nella conferenza Qu'est-ce que le Surréalisme?, tenuta da Breton a Bruxelles due anni dopo e pubblicata in traduzione inglese nel 193544. Surrealism: Yesterday, To-Day and Tomorrow tracciava lo sviluppo del surrealismo partendo dall'automatismo per poi direzionarsi su Hegel ed infine definire quanto era stato programmato nel Secondo Manifesto. Significativamente Breton decise di terminare l'elaborato con un chiaro atto di ferma militanza nella contingenza storica: «as we continue to hold surrealist expression to be definitely committed to the automatism [...] we shall also [...] cling to our critical attitude with regard to the various intellectual and moral problems of contemporary interest»45. Infine, chiudeva il testo asserendo: «In the meantime, it does not at all appear to us impracticable to organize in the four corners of the earth a fairly extensive scheme of resistance and experiment»46. La frase finale sintetizzava l'intera ragion d'essere del movimento: attivismo politico da un lato, e sperimentazione artistica dall'altro, ossia i principi attraverso i quali secondo i surrealisti era possibile concretizzare l'auspicata trasformazione del mondo. E con parole messianiche, ma provocatorie, presagiva quanto di fatto avvenne quattro anni dopo: «But beware! Enough if surrealism is restored to its true perspective, and we shall not despair of seeing some day a storm rising from within this tea- cup»47.
Il Surrealist Number di «This Quarter» fu certamente la prima presentazione strutturata e di impronta divulgativa del movimento bretoniano oltremanica.
Tuttavia, altri articoli nel corso dei primi anni Trenta erano apparsi sporadicamente in alcuni noti periodici dell'epoca, tra i quali si ricordano «The Spectator», «The New Statesman» e «Criterion». Michel Remy, nel suo
43 Ivi, p. 10. Tale opinione verrà ripresa nel 1936 da Herbert Read nella sua introduzione al catalogo della "Mostra Internazionale Surrealista"; cfr.READ 1936c.
44 Il testo fu edito in inglese con il titolo What is Surrealism nel 1935; cfr. GASCOYNE 2003.
45 BRETON 1932, p. 43.
46 Ivi, p. 44. Il corsivo è dell'autrice.
47 Ibidem.
sostanziale studio sul surrealismo britannico, ha più volte evidenziato che l'approccio che la critica aveva mantenuto all'interno di queste testate era stato sostanzialmente polemico e – si potrebbe aggiungere – talvolta derisorio48.
Risale al 1933 un secondo importante evento editoriale. La rivista letteraria
«New Verse», diretta da Geoffrey Grigson, nel mese di ottobre pubblicava la prima poesia surrealista scritta in inglese per mano di David Gascoyne: And the Seventh Dream is the Dream of Isis49. Questo testo poetico rappresentava il primo tentativo di dar vita in ambito letterario ad un surrealismo di matrice inglese50. L'urgenza di creare un gruppo autorevole che rappresentasse la frangia inglese del surrealismo continentale emergeva nel dicembre di quello stesso anno, quando la rivista di Grigson pubblicava l'articolo di Charles Madge, Surrealism for the English, nel quale l'autore affrontava in modo specifico la problematica relativa ad un surrealismo autoctono. Madges infatti esprimeva la necessità della costituzione di un gruppo inglese che si configurasse secondo proprie peculiarità e non come mera ripetizione asettica della linea francese51.
I.1.4 I preamboli: le mostre surrealiste dei primi anni Trenta.
La strada che avrebbe condotto alla formazione di un gruppo ufficiale surrealista era stata ormai aperta dalle riviste. A partire dal 1933 una serie di mostre furono organizzate per far conoscere concretamente non solo la parte teorica tradotta nei giornali, ma anche la produzione artistica di quest'avanguardia.
48 Molti degli articoli pubblicati tra il 1930 ed il 1933 criticavano la pratica surrealista della scrittura automatica in quanto elemento non gestibile in modo cosciente. Molte delle polemiche nascevano dalla convinzione di parte della critica che i surrealisti con le loro associazioni inconsce di fatto non avevano inventato niente di nuovo, poiché tale prassi faceva parte in modo naturale del processo poetico. Per uno studio dettagliato della ricezione critica del surrealismo nella stampa inglese, che esula dai fini di questa trattazione, cfr. RAY 1971, pp. 67-133; REMY 1986; REMY
1999, pp. 35-73; MCCRACKEN 2013; MARKS 2013; SMITH 2013; MENGHAM 2013.
49 Cfr. REMY 1999, p. 45.
50 Secondo Remy la pubblicazione della poesia di Gascoyne rappresenta il punto di partenza del surrealismo britannico. Cfr. REMY 1986, p. 23.
51 Cfr. REMY 1999, p. 30.
Le esposizioni videro protagoniste principalmente due gallerie commerciali moderniste del panorama londinese: la Mayor Gallery e la Zwemmer Gallery.
Nel mese di aprile la Mayor Gallery, di proprietà di Fred Mayor, riapriva le sue sale espositive, dopo un periodo di chiusura, nei nuovi locali al 18 di Cork Street, sotto la direzione artistica del critico e collezionista Douglas Cooper. La mostra inaugurale era stata consacrata ai recenti dipinti di artisti inglesi, francesi e tedeschi, tra cui spiccavano le opere dei cubisti Braque, Picasso, Marcoussis, Léger, degli inglesi Nicholson, Nash, Bacon e Moore, ma anche di Ernst, Masson e Miró52. La stampa criticò fortemente l'esposizione, tant'è che Konody nell'«Observer» dichiarò che la mostra era «abortive from the aesthetic point of view, owing to the substitution of conceptive or craftsmanly freakishness, or both, for sincerity and dignity – the cornershow of abstract art»53, mentre la tradizionalista «Apollo» terminava la sua recensione con sarcastiche parole di gratitudine nei confronti della galleria di Mayor: «It is all very abstruse; one must go and see for one's self. But we owe the Mayor Gallery a debt of gratitude, because it saves us a journey to Paris»54.
Nonostante i rigidi approcci dell'opinione pubblica e della critica aderente al politically correct della cultura post-vittoriana, il lato commerciale di queste mostre tesseva un'apertura del mercato. A dispetto delle serrate critiche, infatti, l'evento espositivo da Mayor si chiuse con la realizzazione di sei vendite su un totale di quarantasei dipinti esposti, tra cui un'opera di Ernst, una di Arp ed una di Moore, un risultato certamente esiguo, ma che può essere ritenuto soddisfacente considerata la quasi univoca ricezione negativa nella stampa55. Questa prima apertura sull'arte surrealista continuò nel mese di giugno con una monografica dedicata a Max Ernst, un allestimento di trentasette opere tra dipinti, gouache e
52 Cfr. RECENT PAINTINGS 1933a. Tra le opere presenti in mostra Michel Remy cita anche Dalí, anche se in realtà non riuslta nell'elenco del catalogo redatto dalla Mayor Gallery. Cfr. REMY
1999, p. 33.
53 P.G. Konody, Art and Artists – The Mayor Gallery, «Observer», 23 aprile 1933, cit. in REMY
1999, p. 33.
54 RECENT PAINTINGS 1933b, s.p.
55 Le opere vendute furono: Human Figure di Ernst; Spectators di Wadsworth; The Hand di Baumeister; The Pond di di Lurçat, Composition di Arp ed infine la scultura Figure di Moore. Le vendite sono tracciate nel catalogo personale di Douglas Cooper, dove però non figurano i prezzi (GETTY/COOPER,Box40).
collage56. La reazione della critica non differì troppo dal precedente evento, ma Paul Nash sul «Weekend Review» invitava comunque i lettori ad andare ad ammirare «so many lovely and strange things» e consigliava di ignorare i giudizi negativi formulati sulla stampa57. Anche in questa occasione le vendite furono certamente sopra ogni aspettativa e ben dieci pezzi, tra dipinti e gouache, furono venduti58. A luglio toccò invece a Joan Miró, ci dui Mayor espose sedici dipinti, con una reazione critica che si divise tra scherno e lode 59. La linea polemica dell'«Observer» restò invariata, ed il giornalista rinveniva nel pittore spagnolo il tentativo consapevole di «amuse and entertain and to communicate to the spectator all the fun he himself derived from the production of his queer imagery»60. Dall'altro lato invece, il filosurrealista Herbert Read incolpava i suoi colleghi di ostracismo: «[il pubblico] never heard of Surréalisme, thanks to the lethargy of English art-criticism»61.
La seconda galleria del circuito modernista londinese che si era mossa in prima linea a favore della diffusione dell'estetica surrealista era la Zwemmer Gallery, che nel 1934 aveva allestito due mostre di Salvador Dalí, una delle quali presentava le recenti illustrazioni de Les Chants de Maldoror di Lautréamont che Kenneth Clark non esitò a definire «vulgar trash»62.
L'introduzione dell'arte surrealista nella realtà espositiva britannica della prima metà degli anni Trenta trovò non solo una critica ostile e derisoria, ma una vera e propria mancanza d'interesse da parte di un pubblico più o meno specializzato. La problematica fu messa in luce da Read, che nel 1935 pubblicava sulla rivista francese filosurrealista «Minotaure», l'articolo Why the English Have
56 Cfr. ERNST 1933.
57 Cfr. NASH 1933, s.p.
58 I dipinti venduti furono: Vol Nuptial I, L'Homme oiseau et le serpent, L'Homme et la femme enlacés I, Fôret et soleil nocture, L'Homme à la cravate folioforme e Portrait de Mme. Max Ernst;
tra le gouache invece: Les diamants conjugaux, Fôret et soleil, Oiseaux spectraux e Fleurs- coquillages. Le vendite sono tracciate nel catalogo personale di Douglas Cooper, dove però non figurano i prezzi (GETTY/COOPER,Box40).
59 Cfr. MIRÓ 1933.
60 MR.MIRÓ 1933, s.p.
61 READ 1933, s.p.
62 Kenneth Clark, The Zwemmer Gallery, «New Statesman and Nation», 22 dicembre 1934, cit. in REMY 1999, p. 34.