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I NUOVI CRITERI DI VALUTAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO: CLINICO, RADIOLOGO E MEDICO-LEGALE A CONFRONTO Prof. Domenico Vasapollo *, Dr.

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I NUOVI CRITERI DI VALUTAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO: CLINICO,

RADIOLOGO E MEDICO-LEGALE A CONFRONTO

Prof. Domenico Vasapollo, Dr. Luca Pieraccini

La medicina legale, in quanto disciplina medica coerente con il metodo delle scienze biologiche e con le conoscenze scientifiche correnti ha la peculiarità, unica nel suo genere, di uniformare i suoi contenuti al pensiero giuridico e alle leggi vigenti in materia sanitaria. Rappresenta, quindi, una sintesi della materia medica e di quella giuridica. Sussistono, naturalmente, notevoli differenze tra la metodologia medica e quella medico-legale in quanto il clinico ha lo scopo principale di formulare una corretta diagnosi e di effettuare un coerente trattamento terapeutico. L’iter clinico si completa con la formulazione prognostica che deve essere in linea con il processo patologico in atto e con la risposta terapeutica. Anche se la metodologia medico legale ha regole proprie d’accertamento in quanto queste devono uniformarsi a quegli obiettivi che derivano dalle rispondenze giuridiche, l’indagine prioritaria che potremmo definire di primo livello, necessita di peculiari competenze cliniche riguardanti la patologia da esaminare, semmai filtrate da conoscenze approfondite relative alle cause responsabili del fatto biopatologico, alle modalità lesive e all’eventuale predisposizione del soggetto ad ammalare.

In questo primo livello di giudizio, il medico legale si avvale, pertanto, di quei medesimi rilievi che consentono al clinico di pervenire ad una corretta diagnosi.

Tuttavia l’accertamento medico-legale1 deve essere inteso in senso estensivo, in quanto l’esperto, nella fase accertativa, si propone come detto non solo di diagnosticare la malattia traumatica, ma anche di verificare la derivazione

Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina Legale, Università degli Studi di Bologna.

1 L’art.5 comma 3 della legge n. 57 del 5 marzo 2001 in merito a “Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati” definisce che per danno biologico si intende la lesione all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale. Il danno biologico è risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato, tenendo altresì conto delle condizioni soggettive del danneggiato (comma 4).

D’altro canto, il danno biologico viene definito, nell’art. 13 della legge n. 38 del 23 febbraio 2000, come la “lesione all’integrità psico-fisica, suscettibile di valutazione medico-legale, della persona”, sottolineando che le menomazioni conseguenti sono valutate in base a specifica “tabella

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eziologica, di stimare la natura e l’entità del pregiudizio e di considerare i livelli di compromissione delle strutture organiche interessate dalle lesioni. Poiché abbiamo detto che l’indagine utilizza le conoscenze e le metodiche che sono proprie della disciplina medica, per tal motivo l’accertamento può seguire schemi che si rifanno a partizioni anatomo-funzionali, così corrispondendo alla tradizionale impostazione della metodologia imperniata sulla patologia d’organo.

La finalità principale di tale ricerca è quella di mettere in evidenza il normale stato di salute del soggetto, oppure l’esistenza di modificazioni funzionali derivanti dalle alterazioni delle strutture biologiche apprezzabili, ponendo particolare attenzione alle loro caratteristiche ed ai meccanismi produttori per la ricerca eziologica delle disfunzioni stesse. Per la rilevanza dell’accertamento medico- legale, s’impone una riflessione sui criteri d’apprezzamento delle menomazioni e delle finalità proprie della loro rilevazione, in quanto il riconoscimento delle menomazioni non può limitarsi al rilievo delle alterazioni anatomo-funzionali, ma deve portare alla conoscenza che comprenda anche l’analisi dei disturbi rilevati.

Il grado di compromissione dell’efficienza personale conseguente alle manifestazioni anatomiche o funzionali può essere apprezzato attraverso lo studio dei dati soggettivi ed oggettivi, utili per la successiva valutazione medico-legale. I primi, raccolti dal soggetto esaminato, impongono una duplice riflessione medico- legale. La loro stima esige che siano coerenti con le conoscenze mediche, che si tratti cioè disturbi plausibili con la tipologia della patologia individuata e che siano di entità compatibile con l’obiettività clinica. D’altro lato, la soggettività è l’espressione della persona, del suo disturbo e del suo malessere e non si capisce perché debba essere scarsamente considerata, tanto più oggi, dal momento che i riflessi valutativi possono essere quelli del danno biologico. I dati oggettivi, invece, sono dedotti dai risultati dell’esame clinico e dalle caratteristiche della patologia accertata. Pertanto, l’accertamento non può prescindere dall’utilizzo di una corretta metodologia, che non si discosta da quella classica, anche se adattata all’ambito traumatologico, e che includa l’analisi delle circostanze del fatto, delle modalità lesive e la verifica della plausibilità eziopatogenetica, da cui deriva innegabilmente lo studio del nesso causale.

Si diceva che in ambito medico-legale uno dei momenti più significativi dello studio del nesso causale è rappresentato dall’esame delle modalità lesive.

Riguardo alla patologia traumatica del ginocchio, di cui oggi ci occupiamo, non

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emergono particolari questioni quando la modalità lesiva è quella classica a tutti nota, mentre nei casi “anomali” devono soccorrere le conoscenze di anatomia clinica, rafforzate da quelle di biomeccanica.

Per meglio comprendere la complessa dinamica lesiva riportiamo di seguito alcuni meccanismi produttivi di lesioni capsulo-ligamentari e meniscali:

- una caduta da un salto può produrre a livello del ginocchio un movimento forzato in flessione e valgo-rotazione esterna che lede, dapprima gli elementi periferici interni, più precisamente i postero-interni (ligamento posteriore obliquo, capsula, porzione del ligamento collaterale mediale - PAPI) e, successivamente, il ligamento crociato anteriore;

- una brusca e violenta torsione del corpo, a ginocchio flesso e piede bloccato, può determinare una rotazione esterna del ginocchio che interesserà prevalentemente gli elementi capsulo-periferici mediali, in particolare il ligamento posteriore obliquo o il punto d’angolo postero-interno;

- un rapido cambio di direzione del ginocchio sia in rotazione interna sia in rotazione esterna, durante la corsa, può realizzare una distorsione produttiva di lesione che procede dalle formazioni periferiche verso il centro dell'articolazione;

- un trauma da sci, che si realizza quando lo scarpone non si distacca, determina un meccanismo distorsivo frequente in flessione-valgo-rotazione esterna;

- una caduta a ginocchio flesso con piede fortemente equinizzato, può determinare la rottura del LCP, in quanto si realizza una forza a direzione antero-posteriore che agisce direttamente sulla tibia e non sulla rotula, come invece si verifica se il piede è in posizione indifferente;

- un’iperflessione forzata del ginocchio, secondo Fowler e Messieh, può determinare una lesione del LCP, causando un allontanamento dei suoi punti d’inserzione;

- una violenta iperestensione del ginocchio può ledere il pivot centrale (LCA e LCP).

Si sottolinea, a questo punto, che le lesioni capsulo-ligamentose posteriori sono conseguenti in eguale misura a traumi stradali e ad incidenti sportivi, mentre in quelle delle strutture anteriori l’incidenza del trauma sportivo è di gran lunga superiore:

- il calcio nel vuoto, può realizzare la rottura del ligamento crociato anteriore associato o meno a lesioni delle strutture postero-interne o postero-esterne. Infatti,

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in iperestensione, il crociato anteriore viene a contatto violentemente con il margine anteriore della gola intercondiloidea, per cui si rompe come una corda tesa (effetto ghigliottina o colpo di karatè);

- la contrazione violenta del quadricipite durante l’appoggio brusco può essere origine di rottura ligamentare. Ad esempio, nello sciatore con ottimo trofismo muscolare, la repentina messa in tensione del quadricipite nell’atto del sollevamento del corpo dopo un brusco piegamento, può determinare la rottura del crociato anteriore se manca la coordinazione dei muscoli antagonisti ischio- crurali. Lo stesso meccanismo si può realizzare durante l’atterraggio da un salto.

Infatti, il tentativo di non perdere l’equilibrio dopo la ricaduta, può determinare una contrazione del quadricipite (a ginocchio flesso) così violenta da forzare la tibia anteriormente e rompere il LCA;

- la caduta da cavallo, da una motocicletta o da una bicicletta può realizzare un movimento forzato sul ginocchio in flessione-varo-rotazione interna;

- nel football americano o nel rugby, durante la fase di placcaggio, si può verificare un trauma diretto del ginocchio. In tali occasioni la vis lesiva, agendo a livello della superficie postero-esterna dell’articolazione, determina un movimento forzato in flessione-valgo-rotazione esterna;

- il trauma da cruscotto automobilistico, a seconda della postura del soggetto e delle caratteristiche della vettura, rappresenta una causa di lesione del ligamento crociato posteriore, pura o associata a lesione delle formazioni capsulo-periferiche posteriori.

Durante il movimento di flesso-estensione del ginocchio i menischi, solidali con il piatto tibiale, si muovono con questo sui condili femorali; la superficie, in cui si attua tale movimento, è quella dello spazio femoro-meniscale. Poiché in flessione forzata il menisco si porta indietro, è possibile che nel corso di una brusca estensione dell’arto, rimanga “pizzicato” fra i condili e quindi danneggiato. Per contro nel movimento di rotazione, a ginocchio flesso, i menischi si muovono con il femore, intorno alla tibia, sulla superficie menisco-tibiale. Un altro aspetto importante da considerare, è che entrambi i menischi hanno punti di attacco a livello dei corni; quello laterale però è più mobile perché la circonferenza esterna del muro meniscale non è totalmente solidale con la capsula per la presenza dello

“iatus” attraverso il quale entra in articolazione il tendine del muscolo popliteo.

Per tal motivo, le lesioni meniscali da trauma sportivo, a seconda delle varie

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casistiche e dei vari autori, hanno preferenza per il lato mediale con un rapporto che va da 8:3 a 10:1. Le ragioni di questa prevalenza consistono nel minore spostamento e resistenza alle azioni traumatiche del menisco interno che è più sottile, nonché nella maggiore frequenza del meccanismo traumatico in rotazione esterna.

Altro aspetto di primaria importanza è la propriocettività. È da tenere presente, infatti, che, dopo un trauma, una protratta immobilizzazione o un intervento chirurgico, il sistema propriocettivo si altera sino ad azzerarsi. La riabilitazione di questo importante sistema è fondamentale per un riequilibrio della funzione propriocettiva e motoria. Non esiste, dunque, un’unica distorsione e i Barème vanno in senso contrario a quanto stiamo affermando. Infatti, le Guide non tengono conto di questo importante sistema, utile da riequilibrare per evitare pericolose recidive. Da quanto suesposto, emerge che l’esame obiettivo è un momento importantissimo dell’accertamento medico-legale, come anche le problematiche ad esso connesse. In questo ambito, noi medici legali, siamo spesso sbrigativi e sottostimiamo le informazioni fornite dai periziandi, sostenendo che l’accertamento medico-legale è del tutto peculiare in quanto l’esaminando difficilmente collabora in pieno all’accertamento medesimo. Tuttavia è necessario sapere, capire, utilizzare i “trucchi del mestiere” per enucleare dalle risposte e dalle affermazioni del periziando quelle che meglio si attagliano alla fattispecie.

Per fare un esempio, dovendo accertare la sussistenza di una dichiarata problematica meniscale è indispensabile procedere alla manovre di compressione e di trazione sul ginocchio per confrontare, all’insaputa del periziando, l’attendibilità della risposta.

Di solito, per le lesioni menisco-capsulo-ligamentose, il medico legale, per rendersi conto delle caratteristiche del quadro esitale, applica la classica semeiotica clinica, valutando il morfotipo, il tono-trofismo muscolare, l’escursione articolare e la stabilità del ginocchio.

Analizzato il morfotipo del ginocchio, valgo o varo, bisogna stabilire se esso sia favorevole o sfavorevole alla lesione subita (valgo: favorevole per il collaterale laterale e menisco mediale, sfavorevole per il collaterale mediale e menisco esterno; varo: favorevole per il collaterale mediale e menisco esterno, sfavorevole per il collaterale laterale e menisco interno). Difatti nel soggetto con ginocchio

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valgo vi è maggiore compressione sul menisco esterno, mentre il collaterale mediale è già di per sé elongato.

Connesso al tema del morfotipo di ginocchio, vi è la questione riguardante la stabilità del ginocchio, che tratteremo nelle pagine seguenti.

Per l’accertamento dell’articolarità, invece, è utile solo ricordare, rinviando ad altre mie pubblicazioni per i dettagli, che alcuni gradi di limitazione estensoria sono molto più pregiudizievoli di una discreta limitazione flessoria del ginocchio.

In merito al tono-trofismo muscolare, il rilievo perimetrico è di poca significatività in quanto la misurazione con il nastro centimetrato comprende la componente flessoria-estensoria della muscolatura, la struttura adiposa e sottocutanea, e pertanto non è in grado di esprimere la forza muscolare. Per tal motivo, dovendo esplorare tale componente primaria della disfunzionalità, oltre al rilievo perimetrico di per sé poco significativo e ai test muscolari contro resistenza, a volte molto imprecisi, sarebbe necessario esplorare la forza e la resistenza muscolare con la dinamometria isocinetica.

Poiché abbiamo accennato al problema dell’accertamento sotto il profilo strumentale, è indispensabile completare questo aspetto sulla base delle informazioni che ci sono state date dai clinici e dai radiologi riguardo all’accertamento radiografico, all’ecografia, alla TAC e alla RMN. Il rilievo strumentale consente non solo di definire con buona probabilità la diagnosi della lesione, ma anche di dare risposta ad importanti quesiti medico-legali, quali la cronologia della lesione, l’evoluzione e le caratteristiche dell’esito menomativo.

All’inizio degli anni ’90, si attribuiva alla RMN un’accuratezza diagnostica dal 65 al 95% per le lesioni meniscali, dal 64 al 99% per quelle ligamentose. Gli studi pubblicati erano effettuati in centri “super-specializzati” e con un rapporto diretto chirurgo-radiologo. Nella normale pratica clinica apparivano, al contrario, frequenti errori tecnici e/o diagnostici. Boden (1990) affermava come il beneficio diagnostico della RM nella patologia del LCA non era superiore all’esame clinico.

Lo studio di Miller (1996) mostrava per le lesioni meniscali un’accuratezza diagnostica della risonanza magnetica del 73,3% e un’accuratezza dell’esame clinico del 80,7%. M.J. Stuart (1997), in una ricerca condotta su 74 pazienti con ginocchia normali, ha segnalato che 1 paziente su 3 di età superiore ai 45 anni presentava alla RM un segnale di grado 3 interpretato come lesione meniscale, nonostante i soggetti esaminati non lamentassero alcun disturbo. Lo stesso Autore

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indicava, quali problemi connessi alla RMN, l’elevato costo, i falsi positivi (corticale ossea mal visibile), la claustrofobia dei pazienti, il ginocchio operato (sutura meniscale) e diverse controindicazioni (aneurisma intracranico, gravidanza, pace maker cardiaco, stimolatori elettrici). Nel 1998, M. Denti riportò in uno studio prospettico a doppio cieco, eseguito in Inghilterra, che la RM non era una valida sostituta di un esame anamnestico e clinico ben condotto da “mani esperte”. Molti lavori, anche recentemente, mostrano dal punto di vista dell’accuratezza diagnostica come l’esame clinico sia paragonabile alla RM.

Miller (1996) segnala che clinicamente, nelle lesioni del menisco mediale e laterale, l’accuratezza diagnostica è pari a 80%, mentre in quelle del LCA è del 86%. Munke (1998) apprezza un’accuratezza radiologica per i menischi pari al 92-94%, mentre per l’LCA 95%. Rose (1996) rileva un’accuratezza diagnostica della RM del 75% per il menisco mediale, del 69% per il laterale e del 98% per il LCA; clinicamente, l’accuratezza è 82% per il menisco mediale, 76% per il laterale e 99% per il LCA. Una segnalazione importante è quella di White (1997), il quale riscontra che l’accuratezza diagnostica della RM nelle lesioni meniscali varia a seconda dell’esperienza e competenza del radiologo: 63-82% per i meno abili; 78-88% per i più capaci. Infine, vale la pena ricordare che per l’atroscopia l’accuratezza diagnostica non è assoluta, variando dal 69 al 98% a seconda degli autori consultati (Gillies 1979, Irlanda 1980, Levinsohn 1980, Selesnick 1985, Manelbaun 1986).

In conclusione, la letteratura specialistica degli anni 1995-1998 ha evidenziato come il confronto dei risultati dell’esame clinico con l’artroscopia mostra un’accuratezza diagnostica per le lesioni meniscali del 60-90%, per le lesioni del LCA pari al 87-99%. Confrontando (Rose, 1996) i risultati della RMN con l’esame artroscopico, emerge che l’accuratezza diagnostica dell’indagine radiologica è del 63-98% per le lesioni meniscali e del 90-100% per quelle del LCA.

Se la prima fase accertativa, per così dire “propedeutica” è stata chiarita nelle sue particolarità, l’esperto avrà affrontato, e si spera superato, il problema del nesso causale sulla base delle conoscenze relative alla modalità lesiva, all’efficienza della forza traumatizzante, alla cronologia delle lesioni ed alle caratteristiche degli esiti permanenti. A questo punto, completata la fase dell’accertamento, è necessario affrontare quella della valutazione medico-legale. Le manifestazioni

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del danno possono essere anatomiche e funzionali. Le prime si caratterizzano per la loro evidenza obiettiva e/o strumentale e questa loro caratteristica ha notevole importanza anche per la risoluzione dei problemi relativi al riconoscimento della loro causa. Le manifestazioni funzionali, d’altro canto, possono avere un’evidenza obiettiva, non sempre specifica e comunque spesso non specifica sotto il profilo eziologico. Infatti, esse possono anche non avere un’evidenza clinica ed essere apprezzabili solo mediante specifiche indagini strumentali o di laboratorio. Tali caratteristiche possono creare problemi nell’identificazione delle cause del danno.

La valutazione medico-legale è un processo idoneo a stimare, in termini numerici o di predicato nominale, il grado di compromissione conseguente alle manifestazioni anatomiche o funzionali nelle quali il danno si concretizza, tenendo conto che i valori delle funzioni sono indipendenti dalle caratteristiche personali. La stima del danno in termini di predicato nominale (gravissimo, grave, severo, moderato…) o di valori numerici percentuali deve fondarsi su dati oggettivi e soggettivi. I primi sono dedotti dai risultati dell’esame clinico e dalle caratteristiche della patologia individuata; i secondi sono raccolti dal soggetto esaminato e debbono essere coerenti con quelli oggettivi e con le conoscenze cliniche. I dati oggettivi utili per la stima del danno sono espressi come entità delle compromissioni funzionali complessive, vale a dire sono comprensivi della turba funzionale direttamente provocata dagli eventi lesivi e delle turbe eventualmente indotte per interessamento di strutture, organi od apparati funzionalmente correlati con le funzioni direttamente lese. I dati soggettivi rappresentano la quota di danno espressione dell’incidenza sulla cenestesi personale delle turbe funzionali, obiettive o non. La loro stima esige, come detto, che siano di entità compatibile con l’eventuale obiettività clinica, siano coerenti con le conoscenze mediche, si tratti di disturbi plausibili in relazione alla tipologia della patologia individuata. Una corretta quantificazione del danno presuppone che siano determinati i valori da assegnare alle funzioni compromesse o turbate, attribuendo valori crescenti a partire dalle compromissioni funzionali che non disturbano l’autonomia, per raggiungere i valori massimi nei casi di turbe funzionali che rendono precario l’equilibrio vitale o che compromettono le funzioni cognitive. Si distinguono, al riguardo, funzioni essenziali (intellettiva [intelligenza e coscienza], cardiocircolatoria, respiratoria, visiva, urinaria, neurologica), importanti (muscolo-scheletrica, del linguaggio, gastrointestinale,

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endocrina e metabolica), molto utili (uditiva, olfattoria, vestibolare, mnesica), utili (tattile, masticatoria, estetica) e di relativa utilità (riproduttiva, gustativa), anche se tale classificazione può essere ovviamente molto discutibile e, anzi, meritevole di un apposito commento e approfondimento.

La valutazione del danno alla persona fisica può farsi ricorrendo ad un sistema a punti o ad un sistema descrittivo. Con il sistema a punti è necessario attribuire a ciascun sistema od apparato un punteggio che ne rappresenti l’importanza relativa sulla complessiva economia della persona fisica. Con il sistema descrittivo si ricorre all’illustrazione del livello di compromissione dell’efficienza psico-fisica globale attraverso la descrizione analitica delle singole compromissioni.

Con la valutazione mediante il sistema a punti si attribuisce arbitrariamente un valore numerico alla complessiva efficienza psico-fisica della persona, conferendo a ciascun sistema od apparato una quota rispetto al valore della totale efficienza psico-fisica, in considerazione delle interrelazioni funzionali con gli altri sistemi od apparati. In merito alla valutazione con il sistema descrittivo, la migliore è, a mio avviso, quella che elenca i danni oggettivi ed indica poi le attività che il danno alla persona compromette, con l’indicazione del livello di compromissione (totale, grave, medio, modesto, insignificante). La valutazione del danno alla persona fisica mediante questo sistema presuppone, come per la valutazione a punti, un’ottima conoscenza della fisiopatologia e la capacità di descrivere in termini non equivoci le conseguenze dei fatti patologici, unici o molteplici, sull’efficienza globale della persona fisica. L’oggettività clinica viene, con questo sistema, valutata attraverso il filtro rappresentato dagli orientamenti culturali dell’osservatore e questo rappresenta il limite del metodo (ma valorizza l’autonomia di giudizio del valutatore).

Le tabelle dovrebbero essere solamente delle linee guida orientative, con indicazioni di massima, non tassative. Nonostante sia innegabile un reale ed importante processo di aggiornamento delle strutture tabellari derivanti dalle maggiori conoscenze scientifiche, tale metodo risulta approssimativo in quanto per valutare in modo corretto il danno occorre attribuire i valori d’impegno (soggettivo, oggettivo e funzionale) alle funzioni compromesse. Una corretta quantificazione presuppone, come più volte ricordato, che siano determinati i valori da assegnare alle funzioni compromesse o turbate, a partire, come detto, da quelle modificazioni che non disturbano l’autonomia del soggetto, per

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raggiungere i valori massimi nei casi di turbe che rendono precario l’equilibrio vitale e che intaccano grandemente, fino ad annullarlo, il suo valore fondamentale.

Nella scheda a punti “Arpege” per il ginocchio si prende in considerazione il dolore, la stabilità, la deambulazione, la resistenza alla fatica, la motilità articolare, analizzando sia le attività sportive che quelle quotidiane. Questo tipo di approccio funzionale, che i clinici utilizzano per la valutazione dei risultati della chirurgia del ginocchio, ben si adatta alla criteriologia medico-legale, dovendosi tener conto, nella fase valutativa, anche del livello di attività professionale e fisica del soggetto leso.

Passando all’esame di alcuni Barème, l’AMA stima il danno permanente derivante dalla disarticolazione coxo-femorale, con riferimento all’impairment, nella misura del 40% (100% dell’arto), mentre per la disarticolazione a livello del ginocchio conferisce il 32% (80% dell’arto) e per l’anchilosi favorevole il 27%

(67% dell’arto). Continuando l’analisi di tale Barème, si ricorda che vengono fornite diverse percentuali d’impairment in base ai gradi articolari concessi al ginocchio (4% per una mobilità fino a 110°; 8% fino a 80°; 14% fino a 60°). Per i legamenti crociati e collaterali il danno permanente varia dal 3 al 15%, a seconda dell’entità della menomazione, per i reliquati da meniscectomia parziale si conferisce un valore dell’1-4%, mentre per quella totale un tasso tra il 3 e il 9%.

Da ultimo, viene concessa una percentuale variabile da 0 a 10, per la funzione muscolare riguardante sia l’estensione sia la flessione dell’arto inferiore.

Un altro autorevole Barème (Bargagna e coll.) indica, per il danno permanente relativo al deficit dell’estensione del ginocchio, inferiore a 25°, un valore pari o inferiore a 8%; al deficit flessorio oltre 90° è assegnato un punteggio inferiore a 8%. Per le lesioni ligamentose parziali viene conferito un valore minore o uguale al 5%, mentre per quelle complete del collaterale (LCM o LCL) o del crociato (LCA o LCP) un tasso pari a 6-10%, indicando altresì un valore del 10-15% per la lesione combinata dei legamenti (LCA e LCP). Inoltre, il Bargagna suggerisce un tasso di almeno il 5% in caso di LCA ricostruito, il 2-5% per la rottura parziale di menisco non operata ed un valore di danno minore/uguale al 2% per la meniscectomia artroscopica parziale senza esiti funzionali, nonché un tasso massimo del 3% in caso di asportazione totale completa del menisco.

Nella trattazione dei rilievi primari relativa alla fase accertativa, volutamente ho trascurato la stabilità articolare del ginocchio la cui compressione avrà

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conseguenze funzionali, chiaramente diverse in rapporto a ciascun elemento stabilizzatore interessato. Stante l’importanza primaria del “pivot centrale”, l’incidenza percentuale del danno conseguente alla sua lesione dovrà risultare superiore a quella delle lesioni dei collaterali, contrariamente a quanto è stato riportato fino ad oggi nella trattatistica medico-legale. Per meglio chiarire il concetto possiamo difatti ricordare che le ortesi di ginocchio in commercio possono compensare discretamente le lesioni dei collaterali, cosa che avviene più difficilmente per le lesioni del LCA o del LCP. Peraltro, la valutazione attualmente proposta per le lesioni dei collaterali ci pare non rispondente al reale danno funzionale, per cui si tende a ipervalutare il collaterale mediale rispetto al laterale, quando invece la lesione di quest’ultimo, per fortuna più rara, risulterà certamente più invalidante, fermo restando che il problema valutativo non può prescindere dal morfotipo del ginocchio. Analogamente riteniamo la menomazione derivante dalla lesione del menisco laterale generalmente più invalidante di quella del menisco mediale perché ad essa consegue un più rilevante scompenso della stabilità del ginocchio per interessamento del tendine del muscolo popliteo.

Ritengo di dover concludere, il mio intervento, segnalando che quella odierna, rappresenta una prima rilevante tappa che mira ad elaborare un compiuto assetto sistematico dei criteri d’accertamento e di valutazione del danno biologico, muovendo dal metodo scientifico. Le innovazioni sono spesso accompagnate da contrasti e critiche che fanno sì che le medesime innovazioni possano ulteriormente essere modificate in meglio; è questo l’auspicio già invocato a proposito dei sistemi classificativi richiamati.

Collana Medico-Giuridica n. 14

IV CORSO DI QUALIFICAZIONE ED AGGIORNAMENTO IN MEDICINA ASSICURATIVA

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