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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1996, Anno 55, giugno, n.2

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GHIGNO 1996 Pubblicazione trimestrale Sp*d. in 4 P. comma 26 / ari. 2 lefige >19195 • A ut. Filiale Vacete

Anno LV - N. 2

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E

Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI

(e

RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)

DI REZI ONE

EMILIO GERELLI - GIULIO TREMONTI COMITATO SCIENTIFICO

ENRICO DE MITA - ANDREA FEDELE - FRANCESCO FORTE AMEDEO FOSSATI - FRANCO GALLO - SALVATORE LA ROSA IGNAZIO MANZONI - GIANNINO PARRAVICINI - ANTONIO PEDONE

SERGIO STEVE COMITATO DIRETTIVO

ROBERTO ARTONI FILIPPO CAVAZZUTI - AUGUSTO FANTOZZI G. FRANCO GAFFURI - DINO PIERO GIARDA - EZIO LANCELLOTTI ITALO MAGNANI GILBERTO MURARO - LEONARDO PERRONE E N R I C O P O T I T O - P A S Q U A L E R USS O - G I U L I A N O T A B E T

FRANCESCO TESAURO - ROLANDO VALIANI

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Pubblicazione sotto gli auspici del Dipartimento di Economia pubblica e territoriale dell’ Università, della Camera di Commercio di Pavia e dell’ Istituto di diritto pubblico della Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università di Roma. Questa Rivista viene pubblicata con il contributo finanziario del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Direzione e Redazione: Dipartimento di Economia pubblica e territoriale del­ l’ Università, Strada Nuova 65, 27100 Pavia; tei. 0382/504.406, (Fax) 504.402. Ad essa debbono essere inviati bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia.

R edattori: Silvia Cipollina, Angela Fraschini, Giuseppe Ghessi. Segretaria di Reda­ zione: Claudia Ban ch ieri.

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dott. A. Giuffrè Editore S.p.a. - Servizio Pubblicità

via Busto Arsizio, 4 0 - 2 0 1 5 1 Milano - tei. 3 8 . 0 8 9 . 3 2 4 - fax 3 8 0 8 9 4 2 6

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Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 104 del 15 marzo 1966 Iscrizione Registro nazionale stampa (legge n. 416 del 5.8.81 art. 11)

n. 00023 voi. I foglio 177 del 2.7.1982 Direttore responsabile: Emilio Gerelli

Rivista associata all'Unione della Stampa Periodica Italiana

Pubblicità inferiore al 45%

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IN D IC E -S O M M A R IO

P A R T E P R I M A

Francesco Forte - Quattro testimonianze su Ezio Canoni ... 171

Fabio Padovano - Emma Galli- Aliquote fiscali e crescita economica: un'anali­ si cross section e time series ... 178

Alessandro Balestrino - La fornitura pubblica uniforme di beni privati: una

rassegna critica della letteratura ... 216

Carlo Garrarino - Le controversie tra fisco, sostituto e sostituito in relazione alla ritenuta con rivalsa obbligatoria effettuata e versata dal sostituto ... 236 Josef Isensee - Sulla vocaziane del nostro tempo per la semplificazione fiscale 294

NUOVI LIBRI ... 324

RASSEGNA DI PUBBLICAZIONI RECENTI ... 327

P A R T E S E C O N D A

Silvia Cipollina - Disavanzo di fusione e rivalutazione di partecipazioni... 24

SENTENZE ANNOTATE

Irpeg - Fusione di società - Art. 10, L. n. 408/1990 - Valide ragioni economiche - Sussistenza - Elusione - Esclusione.

Irpeg - Art. 123, secondo comma. Dp r n. 917/1986 - Disavanzo di fusione - Par­

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Guglielmo Maisto

Il regime tributario dei dividendi

nei rapporti tra “società madri”

e “società figlie”.

La monografìa, che colma un vuoto della letteratura sullo speci­ fico argomento, si com pone di sei capitoli ed una appendice. Nei primi due capitoli l’Autore esamina approfonditamente il testo della direttiva comunitaria sulla base della quale il legisla­ tore italiano ha modellato la tassazione dei dividendi aU’interno della CE, le soluzioni interpretative date dagli altri Stati membri, nonché il regime dei dividendi in altri Paesi, con il corredo di tabelle riassuntive per facilitare la consultazione. Nei successivi tre capitoli vengono invece esaminate le norme tributarie italia­ ne con frequenti e preziosi richiami a situazioni concrete. Chiude la trattazione un capitolo interamente dedicato alle norme anti- elusione in Italia ed in altri Paesi.

L’appendice contiene, infine, il testo in lingua originale e la tra­ duzione in lingua italiana di tutte le leggi di attuazione della direttiva negli Stati membri della CE.

8°, p. XH-404, L. 50.000

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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, LV, 2, 1, 171-177 (1996)

QUATTRO TESTIMONIANZE SU EZIO VANONI (*)

di Fr a n c e s c o Fo r t e

Università degli studi di Roma

La mia testimonianza riguarda quattro aspetti della alta figura scientifica, civile e morale di Ezio Vanoni, il cui ricordo è, nella mia memoria, incancellabile. Vanoni studioso, Vanoni Ministro delle Fi­ nanze, Vanoni Ministro del Bilancio, Vanoni uomo.

Vanoni studioso. Sono stato suo assistente e supplente presso l’U­ niversità di Milano, a metà degli anni ’50. E, dopo la sua scomparsa che commemoro, con immutata commozione, gli sono succeduto come incaricato, alla cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario di cui era titolare alla Facoltà di Giurisprudenza all’Università statale. In questo periodo in particolare, ma anche in precedenza, ne ebbi a studiare le opere e ne seguii da vicino l’impegno intellettuale e morale di studioso della finanza pubblica. E rimasi particolarmente colpito dalla profondità del suo pensiero e dal rigore della sua metodologia, nell’analisi economica delle leggi finanziarie. Allora, l’analisi economi­ ca della legge, che veniva perseguita dal professor Griziotti, illustre maestro scientifico dell’Università di Pavia, di cui Vanoni era stato uno dei primi allievi ed io l’ultimo, era considerata cosa poco interes­ sante e, al limite, poco scientifica, perché in essa si mescolavano, in- terdisciplinarmente, diritto ed economia ed anche giudizi di valore etico-politici. Si voleva una scienza economica « pura », priva di giudi­ zi di valore, priva di nessi stretti con le istituzioni giuridiche. Ora lo scenario è cambiato. È venuta di moda l’economia etica, che studia i valori. È divenuto importante lo studio economico della politica. È divenuta importante l’analisi economica della legge. Essa oggi è al centro dell’attenzione degli studiosi di economia in alcuni dei più pre­ stigiosi centri di studi economici e finanziari del mondo: Chicago, Vir­ ginia, Maastricht (1). Vanoni, in particolare, ha indagato, con l’occhio

(*) Testimonianza al Convegno, su Ezio Vanoni, in occasione del cinquantenario della ma scomparsa, .svoltasi a Sondrio il 15 marzo 1996, a cura del Ppi.

fi) Mi riferisco, in particolare, al Journal of Law and Economics, pubblicato a

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dell’economista e un’ampiezza di cultura giuridica e filosofica straor­ dinaria, la natura delle leggi tributarie, nello sviluppo storico dei rap­ porti fra stato e cittadini (2). Qui emerge, con importanza centrale, la causa dell’imposta che sta nella spesa pubblica e nel dovere di solida­ rietà con gli altri cittadini. Si tratta di una formulazione di tipo con­ trattualista-costituzionalista, che precorre le più aggiornate imposta­ zioni attuali della scuola di publie choice, ma — nello stesso tempo — vi inserisce un elemento redistributivo di origine contrattualista che è peculiare del fenomeno economico pubblico e che va colto nella evolu­ zione storica, nei complessi equilibri fra stato ed economia privata.

Connessa alla sua impostazione metodologica generale è la fine analisi della nozione del reddito, nella microeconomia e nella finanza pubblica per la tassazione (3). Il concetto di reddito, in quest’ultima, si collega a quello di capacità contributiva e perciò acquistano rile­ vanza, in particolare, la nozione del reddito-entrata e il requisito della « spendibilità ». Di notevole rilevanza attuale, sono gli studi sulla co­ dificazione tributaria e quelli sui « contingenti di studio » (4), ossia sui parametri da impiegare per il controllo degli accertamenti, basati su coefficienti di costi, ricavi, guadagni sulle varie categorie di contri­ buenti. Ma fra tutti, rimane esemplare l’analisi vanoniana della di­ chiarazione dei redditi, quale momento di un rapporto fiduciario fra cittadino-contribuente e stato, improntato sulla reciproca lealtà (5).

Il libro sulla tassazione degli scambi (6), allora fortemente inno­ vativo, che egli aveva scritto nel 1942, non aveva potuto esser portato

cura deirUniversità di Chicago, in particolare famoso tra gli economisti per ì contribu­ ti di Ronald Coase, alla rivista Constitutional Economics, edita dalla Mason University dell’Università di Virginia per iniziativa di James Buchanan ed al recentissimo Euro- pean Journal of Law and Economics, edito dall’Università di Maastricht.

(2) VanoniE., La natura e Vinterpretazione delle leggi tributarie, Padova, Ce- dam, 1932, riedito nelle Opere Giuridiche di Ezio Vanoni, 1961. a cura di Francesco Forte e Cesare Longobardi, Milano, Giuffrè, Voi. I.

(3) VanoniE., Sul concetto di reddito in finanza, 1932, ora nelle Opere Giuridi­ che, cit., 1962, Voi. II, Milano, Giuffrè. In realtà si tratta di un saggio economico. Per una impostazione di malinteso imperialismo giuridico, il prof. Longobardi curatore con me delle opere giuridiche di Vanoni, volle denominare alcuni saggi come « giuridici », ritenendo che egli fosse uno studioso soprattutto del diritto tributario. Giustamente, nel monumento a Vanoni, nei giardini pubblici di Sondrio, è scritto « economista », per sottolineare l’importanza preminente dei suoi contributi economici.

(4) Sulla codificazione tributaria, Vanoni ha scritto specialmente in due saggi del 1937 e 1938, ripubblicati nelle Opere..., cit., Voi. Il, sui contingenti di studio cfr.

Tiiaondi RevelP., Contingente, quantità e contingente di studio, in questa Rivista, I, 1938, pp. 319-43.

(5) VanoniE., La dichiarazione tributaria e la sua irretrattabilità, in questa Ri­ vista, 1937 e in Opere..., cit., Voi. II.

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a compimento per le sopravvenute vicende belliche, ma già costituiva un’importante contributo critico alla imposta sugli scambi a cascata. Io lo ripresi poi, in una monografia a dispense: per gli studenti di Mi­ lano, inserendovi I imposta sul valore aggiunto che allora compiva, in Francia, i primi passi ed era sconosciuta altrove (7). Ma non feci a tempo a discuterne, con il maestro, gli sviluppi ed esso rimase pertan­ to incompiuto. Devo molto allo stimolo intellettuale che mi è venuto dal libro di Fanoni sulla tassazione degli scambi, per lo studio dell’im­ posta sul valore aggiunto nei profili istituzionali e in quelli teorici (8). Per esso, ebbi ad acquistare in quegli anni, una sorta di celebrità in­ ternazionale, in quanto (assieme ad uno studioso francese e ad un giapponese che avevano visto però, soprattutto, gli aspetti tecnici del nascente tributo) risultavo l’unico autore sull’argomento. È certo che senza il lavoro alla cattedra di Vanoni, non avrei avuto questo impul­ so, né le successive occasioni che dopo poco tempo mi portarono negli Stati Uniti, all’Università di Virginia.

Il panorama del pensiero di Vanoni economista e giurista finan­ ziario, non può non completarsi con l’apporto che egli diede ai lavori dell’assemblea costituente, nel Rapporto sulla finanza pubblica che egli curò (9); e — sovrattutto — nella discussione dell’articolo 81 della Costituzione, riguardante il bilancio pubblico e, in particolare, nel IV comma, l’obbligo di copertura di ogni spesa o minore entrata che fosse stata approvata dopo il bilancio. Ricordo che, sempre per l’articolo 81, con la legge di bilancio non si possono proporre nuove spese o va­ riazioni nelle leggi di entrata. Luigi Einaudi, proponente di questi due commi dell’articolo 81, aveva argomentato che « l’esperienza ha dimo­ strato che è pericoloso riconoscere alle Camere tale iniziativa, perché una volta erano esse che resistevano alle iniziative di spesa da parte del Governo, negli ultimi tempi è spesso avvenuto che proprio i depu­ tati, per rendersi popolari, hanno proposto spese senza nemmeno ren­

it i Vanoni E., Forte F., Teoria e politica dell’imposizione sudi scambi, Milano Goliardica, 1955.

(8) Mi sia consentito di menzionare i miei scritti: Indagini sulla natura economi­ ca e sugli effetti delle imposte sul valore aggiunto, 1956, Milano, in Effetti delle imposte, strutture del mercato ed equilibrio macroeconomico, Giuffrè, Milano, 1978; Il problema del­ la scelta del tipo di imposizione sulle vendite, in Rivista Internazionale di scienze economi­ che e commerciali, 1961-1962, poi rifuso nel Voi. II dell’opera II Consumo e la s-ua tassa­ zione, Torino, Einaudi, 1978 e On thè feasibility of a truly generai value added 'fax: some reflections on thè French experience, in National Tax Journal, 1966.

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dorsi conto dei mezzi necessari per fronteggiarle ». L’onorevole Vano- ni, appoggiò questa tesi e precisò che la norma è una garanzia della tendenza al pareggio del bilancio e che è opportuno che, anche dal punto di vista giuridico, il principio sia presente sempre nella mente di coloro che propongono spese nuove. Il Governo — egli aggiunse — deve avere la preoccupazione che il bilancio sia in pareggio e la stessa esigenza non può esser trascurata da qualsiasi forza che si agiti nel paese e che avanzi proposte che comportino maggiori oneri finanzia­ ri (10).

Eccomi così al secondo aspetto di cui voglio dare testimonianza della figura di Ezio Vanoni. Il suo pensiero, la sua linea politica come Ministro delle Finanze (11). Egli voleva, bensì, che tutti i contribuenti facessero una dichiarazione dei redditi e che ciò fosse strumento per la verità e la lealtà fiscale. Ma, a questo fine, riteneva anche necessario che si riducessero le aliquote ufficiali, perché troppo onerose, per chi dicesse tutta la verità. L ’operazione « lealtà » doveva, dunque, essere bilaterale e graduale. Comunque, Vanoni non avrebbe appoggiato una riforma fiscale subitanea e sconvolgente, nelle strutture, quale quella Cosciani-Visentini del 1972-73. Egli era per una linea saggiamente gradualista; e, avendole studiate a fondo, aveva un certo scetticismo sulla applicabilità delle imposte personali progressive globali sul red­ dito. Comunque, anteponeva il momento delle riforme delle attività degli uffici e delle procedure di accertamento e di processo tributario, al momento della modificazione della struttura del sistema dei tributi. Ed oggi ci si è resi conto che questa linea, incautamente abbandonata negli anni ’70, è proprio quella giusta.

Ed ora il terzo aspetto. Vanoni Ministro del Bilancio ed autore del piano Vanoni (12). Questo schema di piano mirava a prolungare l’alto sviluppo dopo gli anni del miracolo economico, a generare il pieno im­ piego, a risolvere i problemi dello squilibrio fra il Nord e il Sud. Il suo

(10) Per la citazione del dibattito sultart. 81 Costituzione e gli interventi di Vanoni ivi cfr. Falzone, Palermo, Cosentino, La costituzione della Repubblica Italia­ na illustrata con i lavori preparatori, Milano, Mondadori, 1976, pp. 230-233.

(11) Sul pensiero e la linea politica di Vanoni come Ministro delle Finanze, rin­ vio al Cap. Einaudi e Vanoni: i principi e la prassi fiscale, di Forte, Luigi Einaudi: il mercato e il buongoverno, Torino, Einaudi, 1982.

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era un programma non dirigistico di lungo termine: in cui lo stato aveva un compito diretto sovrattutto nella creazione della rete delle grandi infrastrutture e con alcune importanti misure pubbliche. E non era un piano keynesiano: né nel senso dell’investimento anche in lavori poco utili, rivolti a creare un volano di domanda globale trami­ te il cosiddetto moltiplicatore della spesa pubblica sulla domanda glo­ bale, né tanto meno nel senso della politica del disavanzo e dell’infla­ zione. Al contrario, nella filosofia dello « schema » di Vanoni vi era il pareggio del bilancio, la stabilità della moneta, il sostegno e la tutela del risparmio privato e pubblico. Per lui — animato da un profondo sentimento di dovere sociale, nel quale si fondavano le sue convinzio­ ni economiche, la sua fede religiosa — la stabilità monetaria e il con­ tributo pubblico aH’accumulazione di risparmi, con gli investimenti delle imprese pubbliche e con gli investimenti della finanza pubblica, in larga misura col bilancio in pareggio, erano pilastri della politica di sviluppo, duraturo e sano, del reddito nazionale. Al centro vi era la questione dell’occupazione e dello sviluppo delle regioni meno svilup­ pate del Sud ma anche del Nord, ai fini di un’equità distributiva, non assistenzialistica. Egli aveva in mente, sovrattutto, un processo di modernizzazione tecnologica; la forza lavoro doveva diventare, sem­ pre più, « capitale umano » tramite imprese che trasformassero il ri­ sparmio in tecnologia e uno stato che, con le infrastrutture e altre spe­ se pubbliche, creasse modernizzazione tecnologica e riducesse le dise­ guaglianze sociali.

Si è voluto contrapporre il pensiero di Vanoni « interventista » e quello di Einaudi liberale e — entro certi limiti — liberista. Ma con ri­ guardo al piano o « schema » Vanoni, i commenti di Einaudi non sono critici. Le differenze sono minori delle identità di principi sui punti centrali della costituzione fiscale e monetaria: non la finanza in deficit ma la crescita mediante il risparmio privato e pubblico. Keynes è ro­ vesciato. È il risparmio il motore dell’investimento. Non mi interessa sapere se il Programma decennale di Vanoni funzionò o meno. Egli era morto prima che lo « schema » del piano potesse essere completato, in particolare in quello che denominiamo politica dei redditi. E co­ munque, il piano fu abbandonato a sé stesso. Ed io, che vi lavoravo, all’epoca di Vanoni, con Mario Ferrari Aggradi (13), ne sono stato te­ stimone. Ma i due principi: pensare, nel lungo termine, la politica

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-(13) Di questo assiduo e competente collaboratore di Vanoni si veda l’opera di

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nomica; basare sullo sviluppo e l’occupazione, sul risparmio e su un bilancio sano, che cerca un equilibrio fra domanda e offerta, curando 10 sviluppo dell’offerta, sono principi molto attuali.

Vanoni suggellò con il sacrificio della propria vita questo suo pensiero rigoroso che — pure -— è stato frainteso.

Ecco il quarto aspetto, di cui sono stato testimone e mi preme dare testimonianza: quello umano. Ricordo ancora, come fosse appena ieri, 11 volto severo e buono, profondamente buono, di Vanoni, quando af­ fabilmente mi riceveva, a casa sua, a volte a letto, per discutere con me di cose di studio, -oppure delle politiche del bilancio e del piano, al quale prestavo una consulenza. Ricordo anche alcune discussioni, fat­ te a bassa voce, in piazza Garibaldi, a Sondrio, mentre era in corso un comizio in cui avrebbe dovuto fare il discorso di chiusura. Stando in fondo, coperto dagli addobbi della circostanza, ne approfittava per parlare con me di cose scientifiche, con una semplicità, con una affa­ bilità, che data la differenza di età e di posizione, avevano uno straor­ dinario tocco umano. Fra l’altro, lui sapeva che avevo diverse idee politiche; ma io ero lì lo stesso, vicino a lui, perché l’Università gli era cara e perché, penso, mi voleva bene.

E ricordo, ancora, con angoscia, l’ultimo giorno. Ero a Roma. Dovevo recarmi da lui, dopo il suo discorso sul bilancio, alle due, al Ministero, in Via X X settembre, ove mi avrebbe parlato dei program­ mi futuri, riguardanti l’università e il piano e anche di alcune mie questioni personali che gli stavano a cuore. « Vieni alle due, avrò fini­ to di parlare al Senato e avremo venti minuti forse mezz’ora, per noi ». Ricordo che, mentre stavo per uscire dalla mia stanza, nell'al­ bergo in cui risiedevo, fui preso da un improvviso forte dolore, non riuscivo quasi a muovermi e a respirare. Persi, così, quasi un quarto d’ora. Poi mi feci forza e mi precipitai a un taxi che mi portò a via X X settembre. La strada era bloccata. Un plotone di alpini, con la bandiera a mezz’asta sfilava davanti al Ministero e la sua banda suo­ nava « il capitano è ferito, il capitano manda a dire ». Qualcuno della folla che si era formata mi disse: « Vanoni è morto ». Scoppiai a pian­ gere e compresi perché, come per telepatia, ero stato male.

Poi ebbi, in un disco, il suo ultimo discorso (14) che ho ascoltato più volte e che bisognerebbe fare ascoltare nelle scuole d’Italia. Le sue

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ultime parole — sentiva che le forze gli venivano meno — si levano alte, ma sempre pacate, per dire del lavoro duro degli italiani delle re­ gioni meno fortunate del Nord e del Sud, della Sardegna; della neces­ sità di impegnarsi perché queste condizioni di vita si elevino, facendo ciascuno di noi il nostro dovere, sino in fondo. Il medico, il professor Fieschi, lo aveva ammonito, non doveva alzarsi dal letto, per andare al Senato, a parlare, ma lui lo aveva fatto, perché il Ministro del teso­ ro si era dimesso e il bilancio era in pericolo. Gli premeva che il bilan­ cio fosse approvato. Ciò avvenne, ma egli poco dopo, spirò, perché il grande cuore, così provato, non aveva resistito. E, morendo, chiese perdono ai familiari per aver voluto fare il suo dovere.

Si afferma, a volte, che i politici perseguono la propria ambizione personale, sono opportunisti; che mirano ad esser eletti e rieletti, per avere il potere, salire nei gradi del potere e conservarlo, non mirano al dovere, al perseguimento degli interessi generali.

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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, LV, 2, I, 178-215 (1996)

ALIQUOTE FISCALI E CRESCITA ECONOMICA: UN’ANALISI CROSS SECTION E TIME SERIES (*)

di Fabio Padovano e Emma Galli

Università degli studi di Roma « La Sapienza »

Sommario: Introduzione. - 1. Analisi cross section. - 1.1. Misura delle aliquote medie e marginali. - 1.2. Aliquote fiscali e crescita economica. - 1.3. Aliquote fiscali e at­ tività economica. — 2. Analisi time series. - 2.1. Costruzione delle serie temporali delle aliquote medie e marginali. - 2.2. Struttura stocastica delle variabili e tests di cointegrazione. - 2.3. Stima dell’equazione strutturale!*#!^. Conclusioni. — Appendice. — Bibliografia.

Introduzione.

Circa quindici anni dopo la supply-side economics e la Reagano­ mics, la ricerca economica torna a dedicare notevole attenzione al te­ ma degli effetti delle aliquote medie e marginali sulla crescita econo­ mica. Questo rinnovato interesse ha una duplice origine: la prima, di natura teorica, è l’affermarsi della teoria della crescita endogena, che ha spinto gli economisti a riconsiderare le loro precedenti cognizioni sui legami tra variabili fiscali e tasso di sviluppo dell economia; la se­ conda, di politica economica, è rappresentata dai progetti di riforme fiscali in senso maggiormente proporzionale che sono state recente­ mente avanzate in molti paesi, tra cui l'Italia, con la proposta del

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rustro Tremoliti (1), e, soprattutto, gli Stati Uniti, in seguito all’affer- marsi della « Nuova Destra » di Gingrich.

Il dibattito scientifico che ne è scaturito ha generato un corpus di letteratura già abbastanza consistente, suddivisibile in tre filoni prin­ cipali.

Un primo filone riunisce lavori di carattere eminentemente teori­ co (2). Tali lavori riconsiderano le conclusioni di politica fiscale rag­ giunte dalla tradizionale letteratura di supply side economics (3) alla luce della moderna teoria della crescita endogena (4). I modelli elabo­ rati mirano ad evidenziare l’influenza che le diverse componenti di un sistema fiscale (principalmente la progressività delle aliquote e la scel­ ta dei cespiti imponibili) esercitano sui motori di crescita endogena (accumulazione di capitale umano, economie di scala, progresso tecno­ logico). Diventa così possibile individuare le caratteristiche che un si­ stema tributario deve possedere per massimizzare il tasso naturale di espansione di un economia. Le relazioni tra variabili economiche e fi­ scali stabilite dal modello sono infatti riferite ad una serie di parame­ tri (endogenamente determinati e/o tratti dall’osservazione empirica) che sintetizzano le caratteristiche dell’economia esaminata. Il sistema così costruito viene sottoposto ad una serie di shocks esogeni, che si­ mulano tipi alternativi di riforma fiscale, il cui impatto in termini di crescita economica è quindi misurato e confrontato. Stokey e Rebelo (1995), ad esempio, concludono che più l’imposizione fiscale si sposta dal lavoro al capitale (fisico e umano) e più diventa progressiva, più il tasso di crescita dell’economia si riduce, posto che la quota di capitale umano attivo nell’economia sia considerevole e l’offerta di lavoro ine­ lastica.

Questo approccio ha il merito di specificare in modo più preciso i legami tra variabili fiscali e crescita economica, in precedenza solo parzialmente approfonditi dalla tradizionale letteratura di supply side economics. Il suo maggiore problema, però, è che le microsimulazioni

(1) Ministero d e l l e Finanze (1994). Bisogna precisare che la maggiore pro­ porzionalità determinata dal progetto di riforma Tremonti non è dovuto tanto a cam­ biamenti nella struttura dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, quanto allo spo­ stamento della pressione fiscale dalle imposte dirette a quelle indirette.

(2) Fondamentale in proposito è il lavoro di Litcas (1990). Si vedano, tra gli al­ tri, King e Rebelo (1990), Jones e Ma n u k u.i (1990), Jones, Manuelli e Rossi

(1993), Pecorino (1993, 1994), St o k e ye Rebelo (1993).

(3) Come rassegne si vedano in particolare Ba rletI c Roto(1988) e Laffere

skymour (1979). Tra i lavori fondamentali ricordiamo Boskin (1978) Fkldstein

(1974), e Rosee (1980).

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effettuate forniscono risultati quantitativamente assai diversi tra loro. Tali risultati, inoltre, si rivelano estremamente sensibili non solo alla specificazione del modello, ma anche alla sua calibrazione (5). La loro attendibilità è considerata dubbia dagli stessi esponenti di questo filo­ ne di ricerca (6) e necessita di una più robusta indagine empirica.

Un secondo filone è rappresentato dai numerosi case-studies sugli effetti delle principali riforme fiscali degli anni ’80 ispirate alla supply sidé economics (7). La maggior parte di questi studi concorda che i ri­ sultati in termini di gettito delle riforme effettuate non hanno confer­ mato, o hanno confermato solo parzialmente, le previsioni della sup­ ply side economics. Tale scostamento sembra dipendere solo in parte dalla costruzione teorica. Molti aspetti delle riforme americane (so­ prattutto del Tefra del 1986), infatti, non risultano in linea con i sug­ gerimenti della supply side economics in materia di tassazione degli in­ vestimenti e dei beni capitali (8). Non sembra pertanto corretto consi­ derare i modesti effetti di crescita del gettito seguiti alle riforme ame­ ricane del 1982 e 1986 e il successivo allargarsi del disavanzo federale come motivi sufficienti per confutare la correlazione negativa tra pro­ gressività delle aliquote e crescita economica che la supply side econo­ mics sostiene.

Un terzo filone di letteratura, di natura empirica, sottopone a ve­ rifica la correlazione tra aliquote medie e marginali e tassi di crescita di un campione composto da più paesi. Dopo gli studi iniziali di Mar- sden (1983), Rabushka (1985), Reynolds (1985) e Skinner (1987), Koester e Kormendi (1989) hanno svolto l’indagine econometrica tut­ tora più comprensiva sul legame tra aliquote fiscali e tassi di crescita degli investimenti, della forza lavoro, del reddito, nonché tra aliquote fiscali e livello del reddito. Sulla base di un campione di 63 stati rela­ tivo agli anni ’70, essi riscontrano una relazione negativa tra

progres-(5) Lucas (1990) sostiene che l’eliminazione delle imposte distorsive presenti nel sistema fiscale migliorerebbe la crescita dell’economia americana dello 0.03% . Jo­ nes, Manuelli e Rossi, usando un modello simile nella struttura a quello di Lucas, ma diverso nella calibrazione, concludono che il guadagno in termini di crescita potrebbe arrivare, in alcuni casi, addirittura all’8%!

(6) Per una discussione in merito, si veda Stokey e Rebelo (1995). (7) Tra i lavori relativi alle riforme ERTA/TEFRA del 1981-82 e il TRA del

1986 negli Usa si vedano Boskin (1988), Feldstein (1994, 1995), Johgensone Yun

(1990).

(8) Anche da qui l'interesse per l’approccio di cosi of capitai inaugurato da

Kinge Fitllerton (1984) e sviluppato da Jorgensone Yun (1991). Si veda anche

(15)

— 181 —

sività del sistema fiscale e livelli di reddito; non trovano, invece, una

1 dazione statisticamente significativa tra aliquote medie e marginali e

crescita del reddito. Koester e Kormendi giungono così alla conclusio­ ne che una riforma in senso proporzionale del sistema fiscale che non alteri il gettito (9), non muterà l’inclinazione del sentiero naturale di crescita dell economia, ma ne produrrà una traslazione verso l’alto. Essi stimano che questo scalino sia pari, in media, all’1.52% per i pae­ si sviluppati e allo 0.74% per i paesi sottosviluppati contenuti nel loro campione.

L ’approccio empirico seguito da Koester e Kormendi sembra il più efficace nel verificare la relazione realmente esistente tra aliquote fiscali e crescita economica. La loro analisi presenta, però, alcuni limi­ ti, finora non rilevati dalla letteratura. Un primo limite è la scelta del periodo, gli anni ’70, caratterizzato da una notevole volatilità del red­ dito in molti paesi prodotta da fenomeni non fiscali quali gli shocks petroliferi. Tale volatilità potrebbe diminuire la precisione nella stima dei coefficienti che legano le variabili fiscali a quelle economiche e pre­ giudicarne l’applicabilità ad epoche contraddistinte da una perfor­ mance economica più lineare.

Un secondo limite è rappresentato dalla notevole dimensione del campione di stati. Se ciò è, da un lato, desiderabile perché evidenzia la generalità della teoria sottoposta a verifica, dall’altro espone il test al rischio delYaggregation bias. La presenza nel campione di paesi tra loro diversi, come Stati Uniti e Zambia, rende necessaria una diagnosi della robustezza dei coefficienti stimati alla stratificazione del campio­ ne per gruppi di paesi tra loro più omogenei. Koester e Kormendi fan­ no una parziale menzione di tests per breaks strutturali solo per l’e­ quazione [12], relativa alla relazione tra aliquote fiscali e livelli di red­ dito, su cui basano le conclusioni del loro lavoro. Essi discriminano per paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo e possono confermare la robustezza dei loro risultati. Usando i loro stessi dati relativi agli anni 70, ma stratificando per i 21 paesi Ocse presenti nel loro campione originario (10), abbiamo ristimato la loro equazione [12], L ’equazione [1], qui di seguito, riporta i risultati dell’equazione [12] di Koester e

(9) Una riforma che, in altre parole, riduca le aliquote marginali globali lasciali- do inalterate quelle medie.

(16)

182 S

Kormendi, stimata su un campione di 63 paesi; l’equazione [2] è sti­ mata stratificando per i 21 paesi dell’Ocse presenti nel loro campione. Tutte le stime cross-section da noi effettuate fanno uso della matrice di covarianza di White (1980) per correzione dell’eteroschedasticità. I segni *, **, *** denotano, rispettivamente, un livello di significatività statistica del 10%, 5% , e 1%.

YPC80j 0.77 + 2.48 AVGTAXj - 0.38 M ARTAXj + e,[l]

(0.54) (0.38) (0.15)

[6.55]** [-È2.62]***

R2 = 0.48 adj. R* ^ ¡° -47

Errore standard della regressione = 0.167 N = 63

YPC80j =0.49 (0.15) [3.35]*** R2 * 0.11 + 0.83 AVGTAXj - 0.37 M ARTAXj + «,-[2] (0.59) (0.24) [1.39]* [ — 1.57 J* adj. R2 = 0.006 Errore standard della regressione « 0.167 N - 21.

Le variabili YPC80j, AVGTAXj e M ARTAXj indicano, rispetti­ vamente, il livello del reddito nell’ anno finale 1980, l’aliquota media globale e l’aliquota marginale globale del paese j nettareo temporale 1970-1980, specificate nel modo indicato nell’Appendice 1. Il test get­ ta, in effetti, qualche ombra sulla stabilità dei coefficienti stimati da Koester e Kormendi. Non solo la significatività statistica dei coeffi­ cienti sui regressori scende al 10%, un fatto in una certa misura at­ tendibile dato il ridotto numero di osservazioni disponibili; ma 1 inter­ cetta cambia di segno e acquista significatività. I risultati dell equa­ zione [2] quantomeno mettono in dubbio l’applicabilità delle stime di Koester e Kormendi per l’elaborazione di politiche fiscali nei paesi Ocse nel periodo attuale.

L ’analisi di Koester e Kormendi, infine, non affronta il tema de­ gli effetti di gettito di breve periodo prodotti da una riduzione della progressività del sistema fiscale (11). Questo aspetto è di fondamenta­ le importanza. I case studies sulle riforme fiscali varate negli anni ’80 hanno, infatti, evidenziato che gli effetti espansivi del gettito di una simile riforma, previsti dalla teoria e in parte confermati da Koester e

(17)

— 183 —

Kormendi, si possono manifestare con un lag di durata variabile (12). Un tale ritardo ovviamente comporta, se il volume di spesa pubblica non si discosta dal suo trend precedente, il rischio di un peggioramen­ to del disavanzo del bilancio pubblico. È chiaro che la fattibilità di una simile riforma, per paesi già fortemente indebitati come l’Italia, dipende dai tempi con cui essa produce l’attesa espansione del gettito.

Il nostro lavoro propone un’analisi empirica sulla relazione tra aliquote medie e marginali, da un lato, e crescita economica e del get­ tito fiscale, dall’altro, che superi i limiti di quella di Koester e Kor­ mendi. L ’analisi è suddivisa in due parti: la prima si propone di iden­ tificare gli effetti delle aliquote fiscali sulla crescita economica. La se­ conda parte evidenzia le conseguenze di breve periodo sul gettito di una riforma fiscale che riduca la progressività delle aliquote.

L ’indagine della prima parte è condotta mediante una serie di re­ gressioni cross-section. Il campione selezionato è composto dai 24 paesi dell’Ocse ad economia di mercato (13), allo scopo di ridurre i rischi di aggregation bias nell’analisi e migliorare l’affidabilità delle nostre con­ clusioni ai fini di politica economica. L ’arco temporale prescelto è la decade 1980-1989, la più recente per la quale sono disponibili dati completi relativi ai paesi considerati.

Diversamente da Koester e Kormendi, giungiamo alla conclusio­ ne che una riduzione delle aliquote marginali ha effetti positivi sia sulla crescita economica che sul livello di attività economica. Tale ri- ’ duzione, in altre parole, avrà il duplice effetto di aumentare l’inclina­ zione e di traslare verso l’alto il sentiero di crescita naturale dell’eco­ nomia. Questo risultato è coerente con le conclusioni a cui pervengono le moderne teorie sul rapporto tra aliquote fiscali e crescila1 economi- ... i

ca, menzionate in precedenza. ' '

Nella seconda parte esaminiamo, mediante un’analisi di cointe- grazione-correzione dell’errore (Engle e Granger, 1987), quali p.ossòno essere per ITtalia gli effetti sul gettito di una riduzione della progres,. sività del sistema fiscale. Concludiamo che una riduzione delle aliquo­ te marginali è, nel breve periodo, neutrale rispetto al gettito; quest’ul­ timo appare positivamente correlato solo a variazioni delle aliquote medie.

(18)

— 184 —

Le stime empiriche suggeriscono, quindi, che una riforma fiscale che mantenga invariate le aliquote medie e riduca quelle marginali non produrrà, almeno nel breve periodo, variazioni apprezzabili delle entrate. Solo un’alterazione della pressione fiscale media potrà avere ripercussioni sul gettito. Le entrate potranno, invece, variare nel lun­ go periodo, tramite gli effetti positivi che la ridotta progressività del sistema tributario avrà sulla crescita del reddito e sul volume di atti­ vità economica.

1. Analisi cross section.

1.1. Misura delle aliquote medie e marginali.

I dati sulle entrate fiscali e sulle variabili economiche per il campio­ ne dei 24 paesi Ocse ad economia di mercato durante gli anni 1980-89 so­ no tratti, rispettivamente, dal Government Financial Statistics Yearbook e dall’International Financial Statistics Yearbook. L ’intera decade di dati è disponibile per tutti i paesi del campione. I dati impiegati per le stime re­ lative a questa parte sono raccolti nell’Appendice 2.

L ’aliquota media globale di ciascun paese è calcolata come la me­ dia per gli anni ’80 del rapporto tra entrate fiscali e PIL, entrambi espressi in valuta nazionale e a prezzi costanti del 1985. Tale misura dell’aliquota media è denominata A M E D ,.

Per stimare l’aliquota marginale globale abbiamo regredito, me­ diante OLS, le entrate globali annue (ENTit) di ciascun paese sul suo prodotto interno lordo annuo (P IL it), entrambi espressi in valuta na­ zionale e a prezzi costanti del 1985, per la decade 1980-1989:

ENTit = + oCjPILit + eit. [3]

II coefficiente a h è un’approssimazione lineare dell’incremento dell’entrata fiscale dovuto ad un incremento del prodotto interno lor­ do. In tal senso costituisce una misura della media per gli anni ’80 delle aliquote marginali globali del paese considerato. Tale stima del­ l’aliquota marginale è denominata A M A R (14). L ’Appendice 2 ripor­ ta i valori di AM ED; e A M A R ; per ciascuno dei 24 paesi dell’Ocse. La Tabella 1 illustra i risultati delle stime dell’equazione [3].

Qualsiasi misura delle aliquote marginali presenta aspetti problema­ tici, e quella da noi impiegata non pretende di essere un’eccezione. È per­ tanto importante verificarne la precisione statistica e la verosimiglianza.

(19)

185 —

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(20)

— 186 —

Anzitutto, le regressioni che producono le stime delle aliquote marginali hanno un R2 medio pari a .856 e t statistici medi per « 7 e per a0 rispettivamente pari a 9.218 e - 1.737. L ’F statistico medio è pari a 117.667. Tali valori garantiscono un più che soddisfacente gra­ do di precisione statistica delle stime.

Il Grafico 1, inoltre, mostra che le aliquote marginali sono più ele­ vate delle aliquote medie in quasi tutti i paesi del nostro campione (17 su 24). I valori medi per A M A R e AM ED sono, infatti, pari al 42% e al 32% della base imponibile, rispettivamente. A M A R quindi risulta mediamente 0.7 volte superiore ad AMED. Tali valori sono coerenti con l’adozione, da parte della maggior parte dei paesi Ocse, di sistemi fiscali progressivi (Kay, 1990). Si noti, inoltre, che i paesi con una progressività più pronunciata sono quelli Scandinavi e quelli governati, durante la decade da noi considerata, da governi socialisti o di centro sinistra, come la Francia, la Grecia, I ’Irlanda, l ’ Italia, la Nuova Zelanda, il Portogallo e la Spagna. Paesi che, invece, durante gli anni ’80 hanno effettuato riforme in senso proporzionale dei loro sistemi tributari, come gli Stati Uniti e il Regno Unito, presentano aliquote marginali inferiori a quelle medie.

Grafico 1. — Progressività dei sistemi fiscali

PAESE

(21)

187 —

L ’intercetta nell’equazione [3], infine, è generalmente risultata negativa. Ciò significa che una parte del reddito nazionale rimane “ esclusa” dall’imposizione fiscale (15). Tale esclusione è in parte ex le- ge, in parte dovuta a comportamenti evasivi. Seguendo Atkinson e Stiglitz (1980) la percentuale media del reddito che sfugge ad imposi­ zione fiscale è calcolabile come

dove T è la durata complessiva del periodo considerato. Nel nostro campione tale rapporto è mediamente pari al 27%, un valore tutto sommato verosimile (16).

È utile ribadire che A M A R e A M E D costituiscono misure di ali­ quote marginali e medie globali e effettive. Indicano la pressione fiscale complessiva a cui gli individui sono soggetti dato il sistema fiscale vi­ gente e date le loro scelte di consumo, investimento e produzione. La moderna teoria economica ha dimostrato la minore arbitrarietà di questo tipo di indicatori rispetto alle aggregazioni delle aliquote e basi imponibili stabilite per legge e la sua superiorità ai fini della valuta­ zione degli effetti economici di un sistema fiscale (17).

1.2. Aliquote fiscali e crescita economica.

Sia la supply side economics che la moderna teoria della crescita endogena prevedono che l’imposizione fiscale rallenti il tasso di cresci­ ta dell’economia, vale a dire, sia negativamente correlata con l’incli­ nazione del suo sentiero di sviluppo (Barlett e Roth, 1983; King e R e­ belo, 1990). Abbiamo però evidenziato come i tests di questa teoria fi­ nora effettuati non hanno fornito risultati univoci e convincenti. Le microsimulazioni confermano un effetto di compressione della cresci­ ta, ma con risultati che, sotto il profilo quantitativo, sono estrema- mente diversi tra loro e di dubbia affidabilità. Le stime empiriche di

(15) La presenza di una intercetta negativa di valore rilevante nelle stime del- 1 equazione [3] rende non affidabile la misurazione delle aliquote marginali come rap­ porto tra le differenze prime del gettito e del Pii.

(16) Usando la medesima procedura, Koester e Kormendi avevano trovato un valore pari al .34%. Lo scarto è probabilmente attribuibile alla presenza, nel loro cam­ pione, di paesi in via di sviluppo, i cui sistemi fiscali sono meno efficienti di quelli dei paesi Ocse.

(17) Si vedano Atkinson e Stigi,itz (1980), Auerbach e Feldstein (1985) e Baiiro e Sahasakiil (1986).

(22)

Koester e Kormendi (1989), d’altronde, suggeriscono che la progressi­ vità del sistema fiscale è negativamente correlata con i livelli del red­ dito, ma non con la sua crescita. Esiste una certa tensione interna alle conclusioni di Koester e Kormendi: se un sistema fiscale tendenzial­ mente proporzionale favorisce l’attività economica, dovrebbe anche favorirne lo sviluppo. L ’implicazione delle stime di Koester e K or­ mendi è che i sistemi fiscali della maggior parte dei paesi del mondo siano prevalentemente costituiti da imposte che distorcono l’efficiente distribuzione delle risorse solo in senso statico, senza interferire con la loro allocazione intertemporale ottimale. Per quanto simili imposte esistano (si pensi a un’imposta proporzionale sui consumi), i sistemi fi­ scali moderni contengono anche (se non soprattutto) imposte inter­ temporalmente distorsive, come quelle sui redditi da capitale (18). Gli stessi cambiamenti nel tempo del livello della pressione fiscale, au­ mentando l’incertezza in cui gli operatori economici devono compiere le loro scelte, introducono nel sistema fiscale una componente di di­ storsione dinamica (Padovano, 1995). Quest’ultima influisce negativa- mente sul tasso di crescita dell’economia.

Come parziale spiegazione dei risultati di Koester e Kormendi avanziamo l’ipotesi che la presenza di due recessioni mondiali nell’ar­ co di tempo da loro considerato abbia ridotto la significatività stati­ stica della variazione del tasso di crescita del reddito normalmente spiegato dalle caratteristiche del sistema fiscale. Se la nostra congettu­ ra è corretta, ci aspettiamo che in un’epoca contraddistinta da una performance economica più regolare, come gli anni ’80, la correlazione

negativa tra aliquote fiscali e crescita del reddito riaffiori.

A tale scopo si considerino anzitutto le semplici regressioni del tasso di crescita economica sulle misure di aliquote medie e marginali AM ED e A M A R per i 24 paesi del nostro campione. CPILh indica il tasso di crescita del prodotto interno lordo reale del paese i tra il 1980 e il 1989.

CPILi = 0.0376013 - 0.0300099 AMED¡ + u¡ [4]

(0.01061) (0.02952)

[3.54479]*** [ - 1.01675]

RJ L 0.077 adj. R2 = 0.035 F statistico = 1.837

Errore standard della regressione = 0.012 N = 24 — 188 —

(23)

— 189 —

CPIL, = 0.0405465 — 0.029714 AM AR, + u., [5]

(0.00747) (0.01331)

[5.42251]*** [-2 .2 3 2 1 3 ]

R2 = 0.293 adj. R2 = 0.260 F statistico = 9.1***

Errore standard della regressione = 0.01 N = 24.

I risultati dimostrano l’esistenza di una correlazione negativa tra crescita economica e aliquote fiscali medie e marginali. La relazione è statisticamente significativa, sia come coefficiente che come validità complessiva della stima, solo nel caso delle aliquote marginali (ai­

r i % ). Ciò è coerente con le previsioni della teoria economica, che sot­

tolinea il ruolo predominante delle aliquote marginali nell’influenzare la crescita deH’economia. Tale risultato è ancor più significativo se si tiene conto del minor grado di precisione statistica della misura delle aliquote marginali rispetto a quella delle aliquote medie (19). L ’esclu­ sione di possibili outliers dal campione, come la Turchia, non altera sostanzialmente le stime.

È però necessario controllare i risultati delle equazioni [4] e [5] per due fenomeni che, secondo la teoria economica, possono influenza­ re la crescita economica dei paesi del campione, indipendentemente dalle variabili fiscali. Essi sono:

1) la cosiddetta “ ipotesi di convergenza” . Kormendi e Meguire (1985), Grier e Tullock (1989), Dowrick e Nguyen (1989) e Barro e Sa- la-i-Martin (1992) trovano una forte correlazione negativa tra livello di reddito iniziale di un’economia e il suo tasso di crescita di lungo pe­ riodo nei paesi Ocse. Questo fenomeno può essere motivato o dal fatto che i paesi in transizione verso il sentiero stazionario di espansione crescono più rapidamente tanto più sono inizialmente distanti da tale sentiero; oppure dalla diffusione del processo tecnologico dai paesi più avanzati a quelli meno avanzati, che consente a questi ultimi di cre­ scere più rapidamente (20);

2) un valore maggiore di uno dell’elasticità rispetto al reddito della domanda di beni e servizi pubblici. Peltzman (1980) e Rabushka (1985) trovano una forte correlazione positiva tra livello del reddito prò capite di uno stato e la dimensione del suo settore pubblico, misu­

(19) Kokstj|| e Koiìmkndi (1989) hanno ottenuto un risultato opposto: le ali­ quote medie influenzavano negativamente la crescita in misura maggiore di quelle marginali.

(24)

— 190 —

rato come il rapporto o tra spesa pubblica e Pii (Peltzman) oppure tra prelievo fiscale e Pii (Rabushka) (21). Tale relazione viene gene­ ralmente spiegata come una domanda endogena di beni e servizi pub­ blici derivata dalla maggiore prosperità.

Controllare per entrambe i fenomeni richiede di inserire nelle re­ gressioni [4]-[5] YPC80h il reddito pro capite nell’anno base 1980, co­ me variabile di controllo.

Le regressioni [6]-[8] confermano la presenza di tali fenomeni, seppure probabilmente non in misura tale da invertire i risultati delle equazioni [4] e [5].

CP1L; = 0.0470977 - 0.0018126 YPC80¡ + u¡ [6]

(0.01062) (0.0014)

[2.91048]*** [-1 .2 9 9 7 3 ]

0 é 0.197 adj. 0 = 0.161 F statistico = 5.414**

Errore standard della regressione = 0.011 N = 24

AMEDi -0.2919822 4- 0.00244705 YPC80, + u, [7]

(0.08109) (0.08283)

[3.60051]*** [0.29545]

R2 = 0.004 adj. R2 = - 0.041 F statistico = 0.093

Errore standard della regressione ":§C 0.114 N — 24 AM ARAO . 5340251 (0.23282) [2.29376] - 0.1086564 YPC80; + u¡ (0.20886) [ - 0.52024] R2 = 0.021 adj. R2 = - 0.023 F statistico = 0.481

Errore standard della regressione = 0.223 N = 24.

[ 8]

La presenza di un segno opposto nelle variabili dipendenti delle equazioni [6] e [7] potrebbe rendere spuria la semplice correlazione negativa tra aliquote fiscali e crescita economica emersa dalle equa­ zioni [4] e 15 1. Tale rischio presenta, però, tre circostanze attenuanti: a) la relazione negativa tra livello iniziale del reddito e crescita econo­

(25)

— 191 —

mica dell’equazione [6] e quella positiva tra livello iniziale del reddito e dimensione del settore pubblico, misurata dalla pressione fiscale me­ dia, dell’equazione [7] non sono statisticamente significative; b) la re­ lazione tra livello iniziale del reddito e dimensione del settore pubbli­ co misurata dalle aliquote marginali dell’equazione [8] è negativa, al contrario di quanto previsto dall’ipotesi Peltzman-Rabushka. Il valo­ re statisticamente non significativo del coefficiente di YPC80j nell’e­ quazione [8] è, oltretutto, dovuto alla presenza di un outlier nel cam­ pione, rappresentato dalla Turchia. Una volta esclusa quest’ultima, il livello iniziale del reddito torna a dimostrare un effetto negativo e for­ temente significativo sulle aliquote marginali (22). Comunque, onde eliminare ogni dubbio che l’effetto negativo delle aliquote marginali sulla crescita economica riscontrato nell’equazione [6] possa essere in­ vece attribuito al livello iniziale del reddito del paese, abbiamo intro­ dotto YPC80j come variabile di controllo nelle equazioni [4] e [5], In tale modo si tiene conto anche del grado di sviluppo economico del paese. I risultati sono i seguenti:

CPILi =

ì 0.0549836 0.0174651 YPC80, - 0.0270080 AM E D , + Vi [9]

(0.0199) (0.01277) (0.0236)

[2.7524]*** [ - 1 .3 6 7 ] [ - 1.1443]

R 2 = 0.0259 adj. R2 = 0.0189 F statistico = 3.682**

Errore standard della regressione = 0.011 N = 24 CPILi =

= 0.0652624 - 0.021822 YPC80i - 0.0340146 A M A Rì + «,• [10]

(0.01257) (0.0085) (0.00946)

[5.1923]*** [-2 .5 7 1 7 ]* * * [-3 .5 9 5 9 ]* * *

R2 = 0.573 adj. R- = 0.532 F statistico = 14.073***

Errore standard della regressione = 0.008 N = 24.

(22) I risultati della regressione senza i dati per la Turchia sono:

AM AR; = 0.8526792 - 0.3599105 YPC80, + u, [8a] (0.1160) (0.11126)

[7:1156]*** [-3 .2 3 4 9 ]***

(26)

192 B

Anche tenendo sotto controllo il livello iniziale di attività econo­ mica, il risultato sostanziale emerso dalle equazioni [4] e [5] non cam­ bia. Il livello medio di pressione fiscale non influisce in modo apprez­ zabile sulla crescita economica, rispetto alla quale, invece, le aliquote marginali mostrano una correlazione negativa e significativa all’1%. Il coefficiente del livello iniziale di attività economica presenta l’atte­ so segno negativo, ed è significativo in entrambe le regressioni. La precisione statistica complessiva delle regressioni è sempre più che soddisfacente, come evidenziato dai valori dell’ F statistico, che rien­ trano in un intervallo di significatività del 5% e dell’ 1%, rispettiva­ mente per le equazioni [7] e [8]. Il potere esplicativo del modello, evi­ denziato dallo R ‘. è buono per una stima cross-section.

Questo risultato costituisce la conferma empirica delle previsioni delle principali teorie sugli effetti delle aliquote fiscali sulla cresci­ ta economica. È innovativo rispetto a quello di Koester e Kormen- di e avvalora la nostra ipotesi che il risultato opposto da loro ottenu­ to dipendesse dalla maggiore volatilità del reddito durante gli an­ ni ’70.

Le stime delle equazioni [9] e [10] non variano in maniera signifi­ cativa anche quando si tiene conto degli effetti che le variabili neo­ classiche dell’accumulazione del capitale e della crescita della forza lavoro possono esercitare sulla crescita del reddito. Controllando per ILPIL¡ (investimenti lordi come frazione del Pii) e CFLAV¡ (tasso medio di crescita della forza lavoro) si ottengono i seguenti risul­ tati (23): CPIL, = 0.0337833 - (0.0233) [1.4477]* 0.0238013 YPC80¡ + (0.0139) [ - 1.713]* 0.0007194 IL P IL ; [11] (0.0004) [1.9463]** + 0.0387827 CFLAV¡ - (0.0378) [1.0246] 0.0080707 AM ED + u¡ (0.0261) [ - 0.308] l i ’ = 0.349 adj. R' = 0.204 F statistico = 2.41

Errore standard della regressione = 0.011 N — 23

(27)

— 193

CPIL, = 0.0513602 - 0.0260494 YPC80, + 0.0005726 ILP1L¡ [12]

(0.0129) (0.0092) (0.00027) [3.9856]*** [-2 .8 2 1 ]* * * [2.1269]** + 0.0331624 CFLAVi - 0.0317598 A M A R + u¡ (0.0250) (0.0099) [1.3246]** [-3 .2 0 6 ]* * * R2 = 0.648 adj. R2 = 0.569 F statistico = 2.285***

Errore standard della regressione = 0.008 N = 23. Tre sono gli aspetti interessanti delle regressioni [11] e [12]. Anzi­ tutto appare evidente che, anche controllando per altre variabili, la relazione negativa tra aliquote marginali e crescita economica rimane stabile. In secondo luogo, le equazioni [11] e [12] forniscono i tipici ri­ sultati della teoria neoclassica della crescita: 1) un coefficiente positi­ vo di ILPIL, che significa un tasso di ritorno positivo sugli investi­ menti; 2) un coefficiente negativo del livello iniziale del reddito, nor­ male nella fase di transizione verso lo steady state-, 3) un coefficiente positivo e inferiore a 1 di C FLAV che risulta statisticamente signifi­ cativo solo nella equazione [12], In terzo luogo, dal momento che 1L- PIL e C FLAV sono mantenuti costanti, il coefficiente sulle variabili fiscali cattura i cambiamenti nell’uso efficiente delle risorse indotti da fenomeni fiscali.

A ulteriore conferma della robustezza dei nostri risultati sta la as­ sai ridotta sensibilità della relazione tra aliquote marginali e crescita economica a variazioni della specificazione del modello. Il coefficiente di A M A R nelle equazioni [5], [10] e [12] oscilla tra un minimo di 0.029 e un massimo di 0.034 e mantiene un livello di significatività statistica sempre pari all’ 1%. Il coefficiente di AM ED, d ’altronde, ri­ mane sempre positivo e mai significativo. Tali regolarità ci consento­ no di prevedere che una riduzione del 10% delle aliquote marginali, a parità di aliquote medie, dovrebbe risultare in un aumento, su base annua, di 0.3 punti percentuali della crescita del Pii medio dei paesi Ocse. Tale fenomeno, inoltre, significherà un analogo aumento del tas­ so di espansione annua della base imponibile e, di conseguenza, del gettito. Il valore di 0.03 per il coefficiente è uguale a quello trovato da Lucas (1990) e Stokey e Rebelo (1995) mediante analisi di microsimu­ lazioni calibrate su dati relativi agli Usa.

(28)

necessario inserire nell’equazione [10] le aliquote medie AMED, come variabile di controllo. L ’equazione [13] in questo modo evidenzia le conseguenze sulla crescita economica di una riforma fiscale in senso proporzionale e neutrale rispetto al gettito. I risultati sono i seguenti: CPILi = 0.0646316 - 0.0220081 YPC80i + 0.0037491 AMED¡ [18]

(0.0133) (0.0086) (0.0187)

[4.858] [2.559]*** [0.2005]

- 0.0348832. AM ARi + u{ (0.0115)

[ - 3.034]***

R2 = 0.574 adj. Il’ = 0.509 F statistico =f 8.97***

Errore standard della regressione = 0.008 N « / 24. Dall’equazione [13] emerge nuovamente il dato che ogni punto percentuale di progressività del sistema fiscale comporta un rallenta­ mento della crescita economica di 0.034 punti percentuali. Tale valore misura la perdita secca di risorse economiche prodotta dai sistemi fi­ scali progressivi. Il volume di spesa pubblica che il prelievo marginale va a finanziare viene catturato mediante l’inserzione di AM ED (che, ricordiamo, è il rapporto tra entrate fiscali e base imponibile) tra i re- gressori. AM E D mostra, infatti, un segno positivo anche se non signi­ ficativo. Permane la forte relazione inversa tra tasso di crescita e livel­ lo iniziale del reddito. La precisione statistica complessiva e il potere esplicativo della regressione sono assai soddisfacenti, come evidenzia­ to dairi? statistico, significativo all’ 1%, e dal valore dell’!?2. 1.3. Aliquote fiscali e attività economica.

La seconda relazione da verificare empiricamente è quella tra ali­ quote fiscali e volume di attività economica. Questo dato è misurato dal livello di reddito pro capite di un paese. La conferma per il livello di reddito della correlazione negativa evidenziata tra aliquote margi­ nali e crescita economica rappresenterebbe la prova empirica della no­ stra ipotesi che sistemi fiscali che accelerano la crescita, consentono al sistema economico di raggiungere, nel lungo periodo, un volume di at­ tività comparativamente maggiore. La semplice intuizione dietro tale ipotesi è che l’effetto distorsivo delle imposte che compongono un si­ stema fiscale è di tipo sia dinamico che statico.

Il problema principale alla base della verifica degli effetti delle ali­ quote medie e marginali sul volume di attività economica è

(29)

— 195 —

to dalla potenziale endogeneità delle dimensioni del settore pubblico al li­ vello di reddito prò capite (ipotesi Peltzman-Rabushka). In altre parole, gli effetti negativi del livello della pressione fiscale, misurata dall’alìquota media, sull’attività economica potrebbero essere « sommersi » dalla do­ manda di beni e servizi pubblici che l’attività economica stessa produce. Dal momento che anche tale domanda è catturata dall’aliquota media, il segno del coefficiente di AM ED risulterebbe di assai difficile interpreta­ zione. Questo rischio è assai elevato nel nostro campione, come dimostra il segno positivo del coefficiente di correlazione tra aliquote medie e livel­ lo del reddito prò capite (+ 0.40).

Disporre di una misura sia delle aliquote medie che delle aliquote marginali, fortunatamente, consente di verificare come la struttura del sistema fiscale influenzi il volume di attività economica. Tenendo sotto controllo la relazione tra aliquote medie e reddito prò capite è possibile isolare gli effetti delle aliquote marginali sul reddito prò capi­ te. Vengono così rilevati gli effetti di variazioni della progressività del sistema fiscale sul livello di attività economica (24). In questo caso, un segno negativo del coefficiente di A M A R indica che riduzioni della progressività del sistema fiscale traslano verso l’alto il sentiero di cre­ scita dell’economia, e viceversa.

Per verificare tale fenomeno, abbiamo regredito Y P C 8 9 il livello del reddito prò capite per l’anno finale della nostra serie, sulle aliquote medie e marginali. I risultati sono:

YPC89; =

= 1.5580349 + 12.700134 AMED, -i 4.6447808 A M A R ; + Ui [14]

(1.35932) (10.1875) (3.77043)

[1.1462] [1.2466] [ - 1 .2 3 2 ]

R2 = 0.273 adj. R3 = 0.204 F statistico = 3.942**

Errore standard della regressione = 2.23 N = 24. I risultati appaiono in linea con le attese, ma la precisione stati­ stica della stima dei coefficienti è insoddisfacente. I bassi valori degli t statistici sono dovuti alla presenza di due outliers nel campione, l’O­ landa e la Turchia. Una volta esclusi questi paesi dal campione, i ri­ sultati divengono:

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YPC89: =

= - 1.5220899 + 0.4454531 AM ED{ - 0.7958241 A M A Rì + m, [14a]

(0.1679) (0.596) (0.348)

[-9 .0 6 7 ]* * * [0.747] [-2 .2 8 6 ]* *

R ! = 0.246 adj. R2 = 0.166 F statistico = 3.10

Errore standard della regressione = 0.278 N = 22. La correlazione parziale tra aliquote marginali e livello del reddi­ to è negativa e significativa al 5% . Le aliquote medie presentano un coefficiente positivo ma non significativo, ad ulteriore conferma del loro effetto ambivalente sul livello del reddito. La precisione statistica complessiva della regressione non è, però, molto soddisfacente. L ’f statistico, pari a 3.1, non risulta significativo, anche se è molto vicino al valore critico dell’intervallo di significatività del 5% (pari a 3.52).

L ’interpretazione della stima del coefficiente di A M A R è sogget­ ta alla condizione che la domanda endogena di servizi pubblici si ma­ nifesti soprattutto in termini di livelli medi di imposizione fiscale. Se, tuttavia, alcuni paesi avessero scelto di finanziare la loro domanda endogena di beni e servizi pubblici facendo leva soprattutto su ali­ quote marginali più elevate (25), ciò avrebbe distorto i risultati a sfa­ vore di una correlazione negativa tra aliquote marginali e livelli del reddito (26). I risultati delle equazioni [14] e [14a] ne escono, quindi, rafforzati.

La relazione negativa tra aliquote marginali e reddito prò capite, mantenendo AM ED costante, anzitutto conferma tre ipotesi della supply side economics, peraltro già verificate da Koester e Kormendi:

1) aliquote marginali elevate riducono il livello di attività eco­ nomica;

2) le aliquote marginali esercitano un’influenza distinta sull’at­ tività economica rispetto alle aliquote medie;

3) la progressività del sistema fiscale è negativamente correlata con il livello di attività economica. Il segno negativo e significativo di A M A R , insieme alla scarsa significatività di AM ED, evidenzia che una riduzione (incremento) della progressività della struttura fiscale comporta una traslazione verso l’alto (verso il basso) dell’intero sen­ tiero di crescita dell’economia, oltre ad una sua maggiore (minore) in­ clinazione, come dimostrato nella sezione 1.2.

; t;)— 196

(25) Come, ad esempio, è presumibile che abbiano fatto i paesi Scandinavi.

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