RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO
E
SCIENZA
DELLE
FINANZE
Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI
(e
RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)
D I R E Z I O N E
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COMITATO DIRETTIVO
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FRANCESCO TESAURO - ROLANDO VALIANI
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n. 00023 voi. I foglio 177 del 2.7.1982 Direttore responsabile: Emilio Gerelli
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P A R T E P R I M A
Ig n a z io Mu si; - Una nota sulla teoria delle riforme fiscali am bientali...
Fra n c o Re v ig l io - Tassazione del lavoro e delle imprese e competizione: uno sguardo d’in siem e...
It a l o Bo r r e l l o - Gia n c a r l o Sa l v e m in i- Il ruolo della valutazione delle politi che pubbliche nella riforma amministrativa ...
Al e s s a n d r o Gi o v a n n in i - Processo tributario e risarcimento del danno ( sulla « pienezza » ed « esclusività » della giurisdizione speciale) ...
Ma r i a Pie r r o- Il responsabile per la sanzione amministrativa tributaria: art 11
D.Lgs. n. 472 del 1997 ...
A P P U N T I E RASSEGNE
Ru g g e r o Pa l a d i n i - Una nota sulla deducibilità dell’Irap ... N U O V I L IB R I ...
RASSEGNA D I P U B B L IC A Z IO N I R E C E N T I ...
P A R T E S E C O N D A
Fil ip p o Cic o g n a n i- Versamento diretto di acconti e decadenza dell’istanza di rim borso in rettifica della dichiarazione dei redditi ...
SEN TE N ZE A N N O T A T E
Riscossione ed esecuzione - Versamento degli acconti d ’ imposta - Eccedenza - Richiesta di rimborso - Termine di decadenza - Decorrenza - Presentazio ne della dichiarazione dei redditi.
Riscossione ed esecuzione - Versamenti effettuati in forza di titoli precari e provvisori - Eccedenza - Richiesta di rimborso - Termine di decadenza - Decorrenza - Data del versamento - Inammissibilità (Cass., Sez. I civ., 29 agosto 1997, n. 8199) ... Riscossione ed esecuzione - Versamento degli acconti d ’imposta - Eccedenza -
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UNA NOTA SULLA TEORIA D ELLE RIFORM E FISCALI AM BIENTALI
di Ignazio M dsu
Università « Ca’ Foscari » di Venezia
So m m a r io: 1. Le riforme fiscali ambientali: ricerca empirica e analisi teorica — 2 La natura del doppio dividendo. — 3. Le critiche al doppio dividendo in una eco- norma con piena occupazione. — 4. Riform a fiscale ambientale in economie con disoccupazione involontaria. —- 5. Riform a fiscale ambientale e crescita econo- mica. -^-Riferim enti bibliografici.
1. Le riforme fiscali ambientali: ricerca empirica e analisi teorica.
L ’idea che debbano essere promosse riforme fiscali ambientali, nelle quah il gettito di tasse ambientali non distorsive verrebbe usato per ridurre altre tasse distorsive, sta diventando sempre più popolare. I sostenitori delle riforme fiscali ambientali affermano che esse au menterebbero 1 efficienza globale dell’economia e l’occupazione (Pear- ce, 1991) dando luogo a un doppio dividendo. Un primo dividendo consiste nel guadagno di benessere sociale associato ad un ambiente più pulito; un secondo dividendo consiste nel ridurre il grado di di storsione allocativa provocato dalle tasse esistenti. In alcune versioni particolari della teoria, quelle che hanno suscitato il maggior favore presso i decisori politici, il secondo dividendo consiste in un aumento dell’occupazione.
L idea del doppio dividendo delle riforme fiscali ambientali, spe cialmente quando il secondo dividendo sia quello occupazionale, sta acquisendo un consenso crescente anche nei movimenti ambientalisti ed è considerata molto attraente dai governi che si trovano di fronte a varie pressioni sociali volte ad ottenere una riduzione della tassazione sul reddito.
Nel 1993 la Commissione Europea proponeva di affrontare assie me la doppia sfida della disoccupazione e dell’inquinamento, immagi nando uno scambio tra la riduzione dei costi del lavoro e l’aumento dei carichi fiscali sull’inquinamento (Majocchi, 1996).
Dopo la proposta della Commissione Europea sono state avviate numerose ricerche empiriche sulla conseguibilità del doppio dividen do: la tassazione considerata è stata soprattutto quella sull’energia e sul contenuto di carbonio delle emissioni. Alcune ricerche raggiungo no risultati ottimistici in termini di effetto sull’occupazione, special- mente quando l’aumento della tassazione ambientale ed energetica si accompagna a riduzione nei contributi di sicurezza sociale sul lavoro (Baker e Gardiner, 1996; Capros e altri, 1996; Majocchi, 1996).
L ’effetto positivo sull’occupazione sembra principalmente dovu to ad un effetto di sostituzione del lavoro all’energia e al capitale, che è un fattore complementare all’energia; l’effetto di sostituzione, in particolare, sarebbe in grado di contrastare un effetto negativo di red dito dovuto all’innalzamento del livello dei prezzi. Poiché l’effetto di sostituzione agirebbe nel lungo periodo, è importante una gradualità nell’introduzione della tassa ambientale in modo da alleviare nel bre ve periodo l’effetto negativo di reddito. Inoltre, data la complementa rietà tra energia e capitale, vi è un effetto di scoraggiamento dell’ac cumulazione di capitale e quindi un effetto negativo sulla crescita che però si attenua nel lungo andare per l’effetto sulla domanda aggregata del maggior reddito legato alla maggiore occupazione.
Le conclusioni di altre ricerche empiriche sono più caute. Carra- ro, Galeotti e Gallo (1996) mostrano che un doppio dividendo occupa zionale emerge solo nel breve periodo ed è associato ad una riduzione del costo del lavoro; nel lungo periodo il potere di mercato dei lavora tori favorito dalla maggiore occupazione riesce a riportare il costo del lavoro al livello iniziale e l’incremento dell’occupazione ha termine. Una riduzione del potere di mercato delle organizzazioni sindacali e quindi l’instaurarsi di un mercato del lavoro più competitivo consente di aumentare e prolungare l’effetto positivo della riforma sul dividen do occupazionale.
L ’analisi di Carraro, Galeotti e Gallo mette anche in luce un inte ressante effetto di lungo periodo sulle emissioni: nel lungo periodo l’aumento dei salari, dei redditi delle famiglie e quindi della domanda aggregata per consumi porta ad un aumento della domanda di energia e quindi a maggiori emissioni; nella loro analisi gli effetti di sostituzio ne non risultano importanti, in particolare nel lungo periodo.
La tematica delle riforme fiscali ambientali ha suscitato anche uno sviluppo della letteratura teorica. Il vantaggio di questa lettera tura è stato quello di superare un limite della tradizionale analisi degli strumenti economici della politica ambientale: questa analisi infatti si
muoveva tipicamente all’interno di una logica di equilibrio parziale e nell ipotesi che le esternalità dovute ai danni all’ambiente fossero l’u nica carenza del mercato.
Per affrontare il problema delle riforme fiscali ambientali occorre invece collocarsi in un’ottica di interdipendenza tra mercati, e quindi di equilibrio generale, e tenere conto che le esternalità ambientali non sono le uniche distorsioni allocative, ma che ne esistono altre come 1 imperfezione dei mercati, ed in particolare di quello del lavoro, non- ché varie forme di tassazione distorsiva.
2. La natura del doppio dividendo.
Una riforma fiscale ambientale prevede l’uso del gettito derivan te da tasse ambientali per finanziare la riduzione di tasse distorsive sul reddito. Il vincolo di una simile riforma è di essere neutrale rispet to al gettito globale: il maggior gettito delle tasse ambientali deve compensare il minor gettito delle tasse distorsive che vengono ridotte
La particolare attrazione esercitata da una riforma fiscale am bientale consiste nel secondo dividendo, quello cioè che non deriva dal miglioramento ambientale. Nell’analisi tradizionale della tassazio ne ambientale questo secondo dividendo non è presente.
Quando si esamina il problema del livello ottimo di tassazione ambientale in un’ottica di equilibrio parziale si vede che tale introdu zione implica due tipi di costi: il costo per il pagamento delle tasse ambientali e il costo di abbattimento delle emissioni.
In realtà il primo tipo di costo non è un costo per la società, per che il gettito delle tasse ambientali viene restituito sotto forma di spe
sa pubblica. r
Resta dunque il costo per l’abbattimento che va confrontato con i danno ambientale. Come è ben noto, ciò che viene richiesto per la determinazione del livello socialmente efficiente dell’inquinamento è la minimizzazione della somma dei costi di abbattimento e dei costi connessi ai danni ambientali.
Se non vi sono tasse ambientali, non vi sarebbero costi di abbat timento, ma vi sarebbero solo i costi connessi ai danni ambientali- quest! sarebbero maggiori della somma dei costi per danni ambientali e per abbattimento delle emissioni che si otterrebbero nel caso di in troduzione di una tassa ambientale ottima.
solo un costo sociale rappresentato dal costo per l’abbattimento; non vi è dunque alcun dividendo in termini di aumento del benessere in dipendentemente dal beneficio ambientale.
Se però il gettito della tassazione ambientale consente la riduzio ne di altre forme di tassazione distorsiva, può accadere che il vantag gio in termini di benessere che si ottiene dalla riduzione della tassazio ne distorsiva che viene sostituita dalla tassazione ambientale sia mag giore del costo di tale tassazione. È evidentemente a qualcosa di simi le che alludono i sostenitori del secondo dividendo in termini di be nessere sociale.
L ’esistenza di un secondo dividendo indipendente dal primo, as sociato al miglioramento ambientale, è una buona notizia per i deciso ri politici. Il beneficio ambientale della introduzione della tassazione ambientale, infatti, anche se indiscutibile è molto difficilmente quan tificabile. I decisori politici sono spesso frustrati dalle incertezze e dal le grandi differenze nei valori che dovrebbero dare la stima del benefi cio ambientale di provvedimenti fiscali ambientali. In una simile si tuazione, se la riforma fiscale ambientale comportasse dei benefici in
dipendentemente da quelli ambientali, di così difficile valutazione, la
sua introduzione diventerebbe molto più agevole (Goulder, 1995). La tesi del doppio dividendo sostiene appunto che una riforma fi scale ambientale va introdotta perché comporta un beneficio indipen
dentemente dal beneficio ambientale: in questo consisterebbe appunto
il secondo dividendo.
È noto che la tassazione sul lavoro viene considerata distorsiva perché provoca uno spostamento verso l’alto della curva di offerta di lavoro: anche se il gettito della tassa viene interamente restituito si ha pur sempre una perdita netta di benessere che rappresenta 1 onere in eccesso della tassa distorsiva. L ’uso del gettito della tassazione am bientale potrebbe consentire di togliere la tassa sul lavoro riportando la curva di offerta di lavoro nella posizione che permette di ottenere un livello di occupazione maggiore e non associato ad alcuna perdita di benessere, proprio come accade quando non c è tassazione distorsi va sul mercato del lavoro.
Purtroppo le cose non sono così semplici. Infatti un simile modo di ragionare ignora quello che viene chiamato effetto di interazione f i
scale (Parry, 1995; Oates, 1995). La tassazione ambientale infatti non
si limita a correggere l’esternalità negativa ambientale; essa comporta anche un aumento dei prezzi; ma l’aumento dei prezzi riduce il salario
reale e comporta nuovamente uno spostamento verso l’alto della cur va di offerta di lavoro.
Può quindi succedere che la curva di offerta di lavoro si sposti verso l’alto per l’effetto di interazione fiscale e verso il basso per Vef
fetto di riciclaggio del gettito fiscale ambientale che sostituisce la tassa
zione sul lavoro. I due effetti, di interazione fiscale e di riciclaggio, tendono a compensarsi; se si compensano perfettamente non si ha al cun effetto positivo sull’occupazione; solo se l’effetto di riciclaggio su pera 1 effetto di interazione fiscale, la sostituzione della tassazione sul lavoro con tasse ambientali comporta un dividendo occupazionale.
Dal punto di vista dell’effetto sul benessere sociale, se i due effet ti si compensano non si ha nessun beneficio in termini di benessere so ciale che possa compensare il costo della tassazione ambientale; dun que questa non può essere giustificata se non facendo ricorso anche ad un esplicito beneficio ambientale.
3. Le critiche al doppio dividendo in una economia con piena occupa
zione. r
Seguendo questa linea di argomentazione, la recente ricerca teori ca ha dimostrato che un secondo dividendo occupazionale di una ri forma fiscale ambientale neutrale in termini di gettito non è garantito se 1 economia è m piena occupazione (Bovenberg e van der Ploeg 1994; Bovenberg e de Mooji, 1994a, 1994b; Bovenberg, 1997).
Gli effetti sull’occupazione di una riforma fiscale ambientale, che sostituisce la tassazione distorsiva sul lavoro con una tassazione non distorsiva su consumi e inputs intermedi dannosi per l’ambiente ed è a gettito neutrale, sono diversi a seconda che si tratti di una riforma
ex-novo, ossia caratterizzata dal fatto di introdurre tasse ambientali
non esistenti, o che si tratti di una riforma incrementale, consistente nel fatto di aumentare tasse ambientali già esistenti (Bovenberg,
Se, pur in presenza di estemalità ambientali negative, non esisto
no inizialmente tasse ambientali, l’introduzione di tali tasse sui consu
In un sistema in cui non vi sono imperfezioni sul mercato del la voro, l’effetto sull’occupazione dipende dall’offerta di lavoro; il salario che agisce come incentivo sull’offerta di lavoro è il salario al netto del le tasse, non solo di quelle dirette sul lavoro ma anche di quelle indi rette sui consumi. Il divario tra salario lordo e salario netto rispetto alle tasse è determinato non solo da tasse distorsive sul lavoro, ma an che da tasse ambientali che incidono sul consumo. Dato il vincolo di neutralità del gettito, una tassa ambientale più elevata compensa esattamente l’effetto di una minore tassa sul lavoro.
Per quanto riguarda le tasse su input intermedi dannosi per l’am biente, l’effetto sull’occupazione passa attraverso la domanda di lavo ro: le tasse ambientali sugli input intermedi riducono la domanda di tali input e quindi la produttività del lavoro; salario al lordo e al nèt to delle tasse vengono dunque diminuiti, e così viene diminuita la do manda di lavoro; ma tale effetto è compensato dalla riduzione delle tasse sul lavoro che aumenta corrispondentemente l’offerta di lavoro.
Se tasse ambientali già esistono, un loro aumento, compensato da
una riduzione della tassazione distorsiva sul lavoro, riduce 1 occupa zione e il benessere sociale. Le minori tasse sul lavoro non compensa no i lavoratori dell’effetto negativo delle maggiori tasse ambientali sul loro salario netto in quanto si verifica una erosione della base imponibi
le con tasse ambientali e questo non consente una riduzione adeguata
delle tasse sul lavoro.
Quello che succede è che più efficaci sono le tasse ambientali nel determinare comportamenti rispettosi nei confronti dell’ambiente, minore sarà il gettito di tali tasse, e quindi minore sarà lo spazio per riduzioni nelle tasse sul lavoro.
L ’effetto di una riforma fiscale ambientale diventa più favorevole alla tesi del doppio dividendo se si considera la possibilità che le fami glie ricevano e consumino anche redditi non da lavoro (Bovenberg, van der Ploegh, 1994; Bovenberg, de Mooji, 1996; Bovenberg, 1997).
Una tassa sui consumi dannosi per l’ambiente, introdotta ex-no
vo, incide ora anche sui redditi non da lavoro, ma questi non vengono
Quindi, se non c ’era una preesistente tassazione ambientale, la sua introduzione assicura in questo caso un secondo dividendo in ter mini di aumento dell’occupazione} se c’era una tassazione ambientale preesistente, l’effetto di tax-shifting contrasta la riduzione della base imponibile e può determinare un secondo dividendo.
4. Riforma fiscale ambientale in economie con disoccupazione involon taria.
Passiamo ora ad esaminare le conseguenze di una riforma fiscale ambientale in una economia nella quale esista disoccupazione invo lontaria dovuta ad un salario rigido e troppo elevato (Bovenberg, van der Ploegh, 1996; Bovenberg, 1997; Bovenberg, van der Ploegh, 1998).
Fino a questo momento abbiamo ipotizzato un mercato del lavo ro in equilibrio, cioè l’inesistenza di disoccupazione involontaria. In questo caso però l’esigenza che una riforma fiscale ambientale eserciti un effetto positivo sull’occupazione è minore che nel caso in cui vi sia disoccupazione involontaria. In realtà la proposta della Commissione Europea per una riforma fiscale ambientale si colloca proprio in un contesto di disoccupazione e mira a ridurla. L ’idea in particolare è quella di sostituire le tasse ambientali ai contributi sociali che deter minano un cuneo tra costo del lavoro e salario; in questo modo si ri durrebbe il costo del lavoro senza effetti sui redditi da lavoro.
In realtà anche qui le cose non sono cosi semplici, specialmente se la tassazione ambientale ha l’effetto di internalizzare costi ambientali di produzione e quindi in ultima analisi di aumentare tali costi. In questo caso infatti la riduzione dei contributi sociali ha l’effetto di au mentare la domanda di lavoro, ma la tassazione ambientale potrebbe ridurla e 1 effetto sull’occupazione potrebbe rimanere invariato.
i\el caso in cui vi è disoccupazione involontaria, l’occupazione è determinata solo dalla domanda di lavoro. Le imprese domandano oc cupazione fino a che il valore della produttività marginale del lavoro è uguale al costo del lavoro; in questo caso il costo del lavoro è rappre sentato dal salario più i contributi sociali.
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di occupazione può non salire o addirittura può ridursi e non si ha al cun dividendo occupazionale.
Anche con disoccupazione involontaria, se non preesisteva una tassazione ambientale, la sua introduzione fornisce il dividendo occu pazionale se c’è un effetto di spostamento dell’onere fiscale dal lavoro ai redditi non da lavoro. Occorre però che i fattori fissi ai quali sono associati i redditi non da lavoro (cioè il capitale) abbiano una bassa elasticità di sostituzione con le risorse inquinanti, altrimenti si può verificare un effetto negativo sull’occupazione dal lato della domanda di lavoro.
L ’effetto sull’occupazione è ridotto se la tassa ambientale già esi steva e viene aumentata per effetto della riforma; in questo caso in fatti, oltre all’effetto di spostamento fiscale, si ha un effetto di livello che si manifesta nella riduzione della base impositiva per la tassazione ambientale a causa della riduzione nell’inquinamento. L ’effetto sul l’occupazione dipende da quanto è possibile ridurre le tasse sul lavoro in seguito all’aumento della tassazione ambientale; bisogna anche in questo caso tenere conto del fatto che la tassazione ambientale (spe cialmente se colpisce i fattori della produzione) può esercitare un ef fetto negativo sulla produttività marginale e quindi sulla domanda di lavoro che contrasta la riduzione dei costi del lavoro determinata dal la riduzione delle tasse sul lavoro (Bovenberg e van der Ploegh, 1998). Lo spazio per un doppio dividendo aumenta se il sistema fiscale era inizialmente subottimale dal punto di vista non ambientale. Si ha un effetto positivo sull’occupazione se l’effetto di composizione fiscale domina l’effetto di livello che implica un maggior onere in eccesso: in questo caso è un declino nei redditi netti del fattore fisso piuttosto che un aumento nei costi salariali che finanzia una maggior offerta di beni pubblici.
Secondo la regola di Ramsey sulla tassazione distorsiva ottima (regola che deriva dal vincolo di finanziare una data spesa pubblica al minimo costo) il fattore ad offerta fissa dovrebbe essere tassato con la massima intensità perché in questo caso non c’è onere fiscale in ecces so; se questo non è possibile, una riforma fiscale ambientale si incarica di spostare l’onere verso il fattore fisso aumentando la tassazione sulle risorse inquinanti e riducendo quella sul lavoro.
spo-standosi all’estero. Ma 1 redditi non da lavoro non sono solo redditi da capitale; ci sono ad esempio i trasferimenti ai non occupati e i redditi ottenuti dal lavoro nel settore informale.
Se il salano non è completamente fissato esogenamente, ma emerge da un processo di contrattazione tra imprenditori e lavoratori ( ovenberg, 1997), Io spostamento dell’onere fiscale che la tassazione ambientale produce verso i benefici di disoccupazione induce a più moderate richieste salariali ed aumenta per questa via l’occupazione attraverso un aumento della domanda di lavoro. Anche Io spostamen to dell’onere fiscale reale verso il settore informale dell’economia può aiutare ad aumentare l’occupazione formale.
L effetto negativo sull’occupazione può essere minore quando il salano e oggetto di contrattazione endogena che quando è fissato eso genamente. E intuitivo infatti che in presenza di disoccupazione i la voratori avranno un minore incentivo a scaricare l’aumento della tas sazione ambientale in maggiori costi del lavoro danneggiando la do manda di lavoro. Ma questa conclusione può non essere più vera se la disoccupazione non impedisce che i lavoratori insiders godano dei be nefici di un maggior salario netto derivanti dalla riduzione della tassa zione sul salario (Brunello, 1996).
Una recente analisi (Schneider, 1997) ha mostrato che in una eco nomia nella quale la disoccupazione possa ricollegarsi all’ipotesi di sa-
an efficienti (cioè nella quale sono le imprese a resistere a riduzioni salariali ai propri dipendenti per timore di diminuirne la produttivi tà), una riforma fiscale ambientale può generare un secondo dividen do occupazionale purché i lavoratori non riducano troppo il loro im pegno dato che, indipendentemente dallo sforzo, possono godere di un maggior salario netto; in questo caso le imprese potrebbero essere co strette ad aumentare in modo eccessivo i salari vanificando l’effetto sull’occupazione; è chiaro che la probabilità che ciò accada è minore se il tasso di disoccupazione è elevato.
sull’occupa-zione potrebbe essere ancora maggiore se i prodotti puliti avessero una maggiore intensità di lavoro rispetto a quelli sporchi a causa della sostituzione di prodotti più puliti indotta dalla tassazione ambientale.
Una riforma fiscale ambientale può portare ad un dividendo oc cupazionale quando la tassazione ambientale è minore di quella otti ma e l’onere fiscale sul .lavoro è troppo elevato; tuttavia occorre evita re che lo spostamento dalla tassazione sul lavoro a quella ambientale sia o troppo basso o eccessivo. Se lo spostamento è troppo basso non si riesce a conseguire il dividendo occupazionale; se è troppo alto l’au mento della domanda aggregata può essere così elevato da generare emissioni eccessive e impedire il conseguimento del dividendo am bientale (Carraro e Soubeyran, 1996).
5. Riforma fiscale ambientale e crescita economica.
Bovenberg e de Mooji (1997) hanno mostrato che, sotto certe condizioni, l’introduzione di una riforma fiscale ambientale potrebbe addirittura capovolgere la tradizionale preoccupazione che un miglio ramento dell’ambiente vada a scapito del tasso di crescita dell’econo mia: riducendo forme di tassazione distorsiva che disincentivano la crescita, una riforma fiscale ambientale potrebbe aumentare il tasso di crescita dell’economia.
Vi sono due canali attraverso i quali una riforma fiscale ambien tale può condurre ad un secondo dividendo nella forma di un maggior tasso di crescita. Il primo canale è attraverso l’esternalità positiva de terminata dal ruolo dell’ambiente come fattore di produzione pubbli co; il secondo canale ha ancora una volta a che vedere con l’effetto di spostamento fiscale della riforma. In una analisi di crescita economica il capitale non è più un fattore fisso, ma esercita con la sua accumula zione un ruolo positivo nei confronti della crescita economica. Nelle analisi dei meccanismi endogeni della crescita economica il tasso di crescita dell’economia dipende dalla differenza tra il tasso di rendi mento del capitale e il tasso di sconto delle famiglie. Se la riforma fi scale ambientale riesce a spostare l’onere fiscale dal capitale a qualche altro fattore meno rilevante per la crescita economica, il tasso di cre scita aumenterà.
Nell’analisi di Bovenberg e de Mooji (1997) la riforma fiscale am bientale sposta l’onere verso i redditi di un fattore fisso che può essere la terra, il know how o il talento manageriale. L ’effetto di spostamen to fiscale opera in modo tanto più intenso quanto più difficile è la so
stituzione dell’inquinamento con gli altri input in modo che la basè della tassa ambientale rimanga anelastica.
In realtà in una analisi dinamica di lungo periodo, alcuni dei fat tori che Bovenberg e de Mooji considerano fissi (ad esempio il know
how e il talento manageriale) non dovrebbero essere considerati tali,
ma anzi tra quelli il cui sviluppo è potenzialmente in grado di incidere meglio sul tasso di crescita deH’economia rendendolo più compatibile con il miglioramento dell’ambiente attraverso innovazioni tecnologi che a bassa pressione ambientale.
Resta comunque il risultato generale di questo tipo di analisi, e cioè che il successo della riforma fiscale ambientale nel generare un se- condo dividendo oltre a quello direttamente ambientale dipende dalla capacita della riforma stessa di produrre un effetto di spostamento fi scale da fattori utili nella generazione del secondo dividendo (il lavoro nel caso del dividendo occupazionale, il capitale nel caso del dividen do in termini di tasso di crescita) a fattori meno essenziali per obietti vi diretti di benessere ma tuttavia importanti per l’ottenimento di un gettito fiscale a sua volta necessario per altri obiettivi di benessere so ciale perseguiti attraverso l’impiego della spesa pubblica.
È proprio la difficoltà di indicare in modo non ambiguo fattori meno utili per obiettivi diretti di benessere verso i quali spostare l’o nere fiscale uno dei motivi che rendono difficile enunciare proposizio ni su un secondo dividendo di una riforma fiscale ambientale.
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TASSAZIONE DEL LAVORO E DELLE IMPRESE E COMPETIZIONE: UNO SGUARDO D ’INSIEME (*)
di Franco Reviglio
Università degli Studi di Torino
So m m a r io: 1. Globalizzazione prima e seconda maniera e tassi di crescita e di occupa c i f U = “ ade« uatIa attrattività degli investimenti esteri nel nostro siste- paese 3 Quali politiche per la crescita e per l’occupazione? — 4. Per il cnntrib t e la CruSlClta e dell’occuPazione è necessario ridurre la pressione fiscale e contributiva sulle imprese e sul lavoro. - 5. La globalizzazione crescente spinge verso la competizione fiscale dei sistemi-paesi. - 6. Un consistente calo della pressione fiscale e contributiva richiede una corrispondente diminuzione della
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1. Globalizzazione prima e seconda maniera e tassi di crescita e di oc cupazione.
Dalla seconda metà degli anni ’70 l’Europa, e in essa l’Italia, è stata caratterizzata da una disoccupazione crescente e da una crescita economica senza nuova occupazione. Una parte consistente della po polazione, particolarmente di giovani inoccupati e di donne e di col letti bianchi, è stata esclusa dal lavoro.
Si è rovesciata la situazione macroeconomica propria del trenten nio successivo alla prima guerra mondiale in cui, anche grazie al per seguimento di politiche economiche di tipo keynesiano, i sistemi eco nomici europei avevano goduto di situazioni vicine alla piena occupa- zione.
Da tassi medi di disoccupazione inferiori al 3% nel periodo 1965- 75 si e passati nel ventennio successivo a tassi dell’8,5% , quasi tre volte superiori. Negli anni ’90 i tassi di disoccupazione sono ancora aumentati, sino a raggiungere oggi nei tre principali paesi europei va lori intorno al 12%.
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Il pieno impiego sembra oramai un ricordo del passato. Nella se conda metà degli anni ’70 e negli anni ’80 il tentativo di perseguire politiche di bilancio espansive per « curare » la disoccupazione perse guito da tutti i paesi industriali europei, un tipo di intervento attuato in misura particolarmente forte nel nostro paese, è quasi compieta- mente fallito.
Esso ha soltanto accresciuto il debito pubblico facendo salire a li velli elevati i tassi reali di interesse e contribuendo così con un circolo vizioso alla caduta degli investimenti e al dimezzamento del tasso di crescita, da tassi medi intorno al 3,5% a tassi pari soltanto all’ l , 7%. La crescita del debito pubblico a sua volta ha fatto nascere un grave problema di squilibri distributivi tra generazioni.
È oramai chiaro che la disoccupazione degli anni ’80 e ’90 non è più soltanto, come invece era nei decenni precedenti, un fenomeno di disoccupazione frizionale che poteva essere curato con successo con un’iniezione di spesa pubblica finanziata in disavanzo. Esso ha carat teri di tipo strutturale, perché discende dalla progressiva globalizza zione dell’economia e dagli effetti dell’innovazione tecnologica.
Grazie all’apertura delle economie al libero commercio e al trasfe rimento dei capitali, l’affacciarsi sui mercati globali di produttori dei paesi di nuova industrializzazione, in cui i salari e la tassazione sono molto più bassi, spiazza progressivamente le produzioni dei settori tradizionali, costringendo i produttori dei paesi di vecchia industria lizzazione a trasferire in altri paesi quote crescenti delle loro produ zioni.
In una prima fase, nei quaranta anni successivi alla prima guerra mondiale, il processo di globalizzazione si è sviluppato impetuosamen te attraverso l’apertura delle frontiere e la crescita del commercio in ternazionale. Esso è stato il fattore trainante della crescita economica che ha consentito un aumento dei redditi pro-capite e dei livelli di vita di dimensioni straordinarie, mai viste nelle epoche precedenti. In Ita lia i redditi pro-capite sono aumentati di ben quattro volte in termini reali, un rapporto quasi tre volte quello del ventennio di maggiore espansione registratosi nel periodo tra le due guerre mondiali.
investi-menti diretti delle imprese caratterizzate dai bassi costi del lavoro e del fisco e dalla dinamica dei mercati nei paesi di nuova industrializ zazione. Si valuta, ad esempio, che negli anni ’90 la Germania abbia trasferito all’estero quasi un milione di posti di lavoro.
Ma anche il flusso delle merci si è modificato. Sempre più si in corporano beni intermedi importati e si vendono beni finali prodotti fuori dall’Europa, conservando sui mercati solo il marchio e la rete di vendita.
Questo processo di trasformazione della globalizzazione non è an cora terminato. Esso contribuisce allo sviluppo del prodotto e del be nessere mondiale, ma nello stesso tempo può creare un nuovo proble ma ai paesi di vecchia industrializzazione che non riescono a tenere il passo della competitività e finiscono di diventare perdenti nel gioco della distribuzione dei costi e dei vantaggi della globalizzazione. Lo sviluppo delle produzioni di beni ad elevata tecnologia e valore ag giunto è riuscito a compensare la perdita di posti di lavoro nei settori tradizionali soltanto in parte.
I livelli dell’occupazione dei paesi industriali europei hanno risen tito anche degù effetti delle nuove tecnologie di processo e di prodotto che hanno ridotto il contenuto di lavoro umano delle unità prodotte, a causa della crescente sostituzione di capitale a lavoro indotta dall’e levato costo della mano d ’opera. Tra il 1970 e il 1995 il rapporto capi tale-lavoro è più che raddoppiato in Europa, mentre è aumentato solo del 25% negli Stati Uniti.
L ’aumento del capitale per lavoratore ha contribuito a ridurre la produttività del capitale e di conseguenza a scoraggiare gli investi menti che nell ultimo trentennio sono caduti di circa un terzo.
La globalizzazione e insieme l’aumento del rapporto capitale-la voro e la riduzione degli investimenti hanno condotto alla caduta del la crescita economica e dell’occupazione. La caduta è stata esacerbata anche dal perseguimento delle politiche di risanamento dei bilanci pubblici seguite per rispettare i parametri del trattato di Maastricht.
Queste politiche hanno indebolito la domanda globale e ridotto il sostegno alla crescita, soprattutto perché il risanamento dei conti pubblici è avvenuto non già riducendo il livello della spesa pubblica, ma almeno in parte accrescendo ulteriormente le pressioni fiscali.
2. Un inadeguata attrattività degli investimenti esteri nel nostro siste ma paese?
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tinazionali stanno diventando sempre più importanti per lo sviluppo economico dei paesi industriali.
Ma le grandi imprese multinazionali non investirebbero in Italia, ritenendo il nostro sistema paese scarsamente competitivo a causa di una pressione fiscale più onerosa e di altri fattori di penalizzazione, quali la carenza di servizi e di infrastrutture, un sistema legislativo barocco e poco trasparente, una burocrazia ampiamente inefficiente e gravi problemi di ordine pubblico in alcune aree del Mezzogiorno.
Ad avvalorare questa conclusione si adducono i dati sugli investi menti esteri diretti delle multinazionali raccolti dalle Nazioni Unite e dall’Ocse. Nel 1997 essi hanno raggiunto 250 miliardi di dollari, il 20% in più dell’anno precedente. Di questi investimenti circa il 43% è affluito all’Europa, ma solo poco più dell’1% (3,5 miliardi) in Ita lia (1).
Il caso di maggior successo è considerato il Regno Unito che ha saputo attrarre investimenti per 37 miliardi di dollari. L ’attrazione del Regno Unito sembra dovuta prevalentemente alla relativamente bassa pressione fiscale che raggiunge solo il 42% del Pii, circa 8 punti in meno della media europea. La più bassa pressione fiscale consegue all’efficace controllo della spesa pubblica, grazie a cui questo paese ha saputo abbassare la pressione fiscale al 36%, un livello di 1/5 più basso della media europea e dell’Italia.
La valutazione di una minore competitività del nostro sistema paese non sembra tuttavia confermata dai dati sugli investimenti esteri diretti finanziati non solo da flussi di valuta, ma anche da fonti di finanziamento interne nel nostro paese.
Il censimento effettuato a cura del Cnel con cadenza biennale dalla banca dati degli investimenti dell’universo delle imprese estere in Italia e delle imprese italiane che investono all’estero indica che gli investimenti esteri nella nostra industria manifatturiera a tutto il 1997 sono ingenti (2). Gli investimenti effettuati dalle imprese con più di 50 occupati (1.070 imprese) hanno generato un’occupazione di 560.000 unità e un fatturato di 260.000 miliardi di lire, pari a circa il 20% della nostra industria manifatturiera (3).
(1) Unctao, 1998 e Of.cd, 1998. (2) Cnel, 1998.
fattu-Il sistema paese Italia dunque ha attratto (e attrae) un consisten te flusso di investimenti esteri nell’industria manifatturiera. Il nostro sistema fiscale, tuttavia, penalizzava il finanziamento con capitale proprio e perciò induceva le imprese multinazionali a favorire l’inde bitamento con mezzi ottenuti nel nostro paese.
Dal 1999 la penalizzazione fiscale degli apporti con mezzi propri, come vedremo più avanti, è stata eliminata dalla riforma Visco, sic ché in futuro è prevedibile un maggior afflusso di investimenti diretti dall’estero, con benefici per la bilancia dei pagamenti e per l’immagi ne esterna del nostro paese.
8. Quali politiche per la crescita e per l’occupazione?
In Europa, e in Itaba, non sembra perseguibile neppure quel tas so di crescita del 3% che pure appare insufficiente a ridurre i livelli della disoccupazione e che di per sé mantiene l’Europa su un sentiero di crescita di gran lunga inferiore a quello dei paesi di nuova indu strializzazione. L ’Europa cresce a tassi inferiori al 2% e in essa l’Italia a tassi di poco superiori all’ 1%.
Quali politiche sono percorribili per uscire da questa situazione di stagnazione? Quali politiche possono arrestare l’erosione della base produttiva in corso?
Nel nuovo scenario macroeconomico le politiche per l’occupazio ne richiedono, da un lato, che si liberi le capacità produttive del paese nei settori più complessi sotto il profilo tecnologico e a più alto valore aggiunto e, dall’altro lato, che si abbassi la pressione fiscale e contri butiva sulle imprese e sul lavoro.
I paesi più ricchi devono « meritarsi » il privilegio dei salari più elevati e della più estesa protezione sociale di cui godono sviluppando le produzioni di eccellenza, in altre parole, quelle più difficili che i paesi di nuova industrializzazione non possono imitare.
In questo modo essi non solo creano nuova occupazione che com pensa quella che viene meno nei settori tradizionali, ma giustificano eticamente i privilegi di cui godono attraverso i frutti dell’innovazio ne che nel medio-lungo periodo producono benefici a tutti.
Le politiche per liberare le capacità competitive della vecchia Europa richiedono una serie di interventi di riforma. A fronte della
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perdita crescente di posti di lavoro, che in prospettiva si presenta co me una lenta e inarrestabile emorragia, i paesi europei dovrebbero muovere tre leve importanti:
— rivoluzionare profondamente l’intervento nella scuola, nella formazione e nell’assistenza per adeguare la forza lavoro alle condizio ni della competitività;
— liberalizzare i -molti settori ancora protetti aprendoli alla concorrenza;
— ridurre in misura apprezzabile la spesa pubbbca e la pressio ne fiscale-contributiva sulle imprese e sul lavoro.
La manovra delle tre leve richiede un ampio e incisivo quadro di riforme che toccano gli interessi di vaste aree della collettività.
La prima leva riguarda la formazione. La società dovrebbe essere attrezzata a sviluppare l’eccellenza, modificando profondamente i va lori sinora trasferiti ai nostri ragazzi. La riforma della formazione do vrebbe essere in linea con la nuova divisione internazionale del lavoro che consente ai paesi ricchi di mantenere e sviluppare solo le produ zioni ad elevato valore aggiunto e a forte innovazione tecnologica.
La seconda leva comporta la rimozione degli ostacoli allo svilup po dei settori più dinamici sotto il profilo occupazionale. Essa richiede le privatizzazioni e l’eliminazione delle bardature regolamentari che mantengono monopoli pubblici nazionali e irrigidiscono l’offerta.
Si pensi, ad esempio, alle grandi potenzialità offerte dallo svilup po delle telecomunicazioni e della finanza. I paesi che sono « leaders » in questi settori, perché hanno saputo privatizzare e sviluppare una libera ed efficiente competizione, quali gli Stati Uniti e il Regno Uni to, hanno potuto creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. Nel nostro paese, invece, le telecomunicazioni sono ancora domi nate da oligopolisti, mentre la finanza è ingessata dall’assetto proprie tario delle banche che per la maggior parte sono in mano pubblica o sono possedute dalle fondazioni o dominate dal cartello di Medioban ca. Qualche passo per l’eliminazione di questi vincoli è stato fatto, ma gli ostacoli da superare sono ancora moltissimi.
vo può essere contrastata con successo solo se si riesce a ridurre in mi sura apprezzabile la pressione fiscale e contributiva sulle imprese e sul lavoro.
4. Per il rilancio della crescita e dell’occupazione è necessario ridurre la pressione fiscale e contributiva sulle imprese e sul lavoro.
Le analisi economiche indicano con chiarezza che la competitivi tà dei sistemi paese dipende dal peso che essi devono sopportare per finanziare la spesa pubblica.
L ’aumentata pressione competitiva delle economie emergenti co me esportatori di beni manufatti e come destinatari di investimenti diretti di delocalizzazione è destinata a comprimere i salari o i livelli occupazionali dei paesi europei. L ’esistenza di forti rigidità dei salari verso il basso finisce inevitabilmente di produrre disoccupazione cre scente.
Nello stesso tempo il cuneo fiscale e contributivo spinge alla so stituzione di capitale a lavoro e alla sostituzione di tecniche rispar - mianti lavoro, perché il conseguente aumento della produttività del lavoro è l’unico modo di essere e mantenersi competitivi.
L ’evidenza empirica esistente conferma che nel medio-lungo pe riodo il livello della spesa pubblica e quindi della tassazione sono ne gativamente correlati alla crescita e che la competitività dei paesi ca ratterizzati da livelli elevati della spesa pubblica e della tassazione è relativamente più debole.
Secondo un recente studio del Fondo Monetario la pressione fi scale non dovrebbe superare il 35% del Pii. La pressione fiscale dei paesi europei continentali si colloca invece intorno al 43% e in Italia intorno al 43-44%. Le aliquote fiscali sono troppo elevate in relazione a quelle praticate negli Stati Uniti, in Giappone e nei paesi di nuova industrializzazione. Esse sono disincentivanti per gli investimenti che cercano i trattamenti fiscali più vantaggiosi.
5. La globalizzazione crescente spinge verso la competizione fiscale dei sistemi-paesi.
pubblica utilità, perché le decisioni in materia fiscale devono essere unanimi, la globalizzazione crescente spinge verso la competizione dei sistemi paesi e in particolare verso l’integrazione fiscale.
I paesi membri devono aggiustare sempre più i propri sistemi fi scali per competere nel mercato degli investimenti finanziari e diretti e quindi per non perdere i benefici economici e sociali degli investi menti esteri e per evitare la delocalizzazione della propria base indu striale. Questa competizione tra sistemi paese indurrà i paesi membri non solo ad aggiustare la propria normativa fiscale in direzione com petitiva, ma anche a ricercare l’adozione di politiche di collaborazione e di coordinamento in sede europea.
I settori in cui questo coordinamento potrà avvenire sono sostan zialmente quello dell’Iva, della tassazione dei redditi da capitale fi nanziario e dell’imposizione delle società. Nel settore dell’Iva è aperto il problema del passaggio definitivo alla tassazione all’origine che pe raltro non troverà facile soluzione a causa dei diversi interessi in meri to dei singoli paesi. Sono altresi aperti problemi di più facile soluzione attraverso un adeguamento spontaneo e una collaborazione reciproca mente utile, quali quelli del restringimento delle bande delle aliquote, del coordinamento della base imponibile e della collaborazione tra le autorità per contrastare l’evasione.
Nel settore della tassazione dei redditi da capitale finanziario la competizione tra sistemi paese ha già spinto verso una maggiore uni formità di trattamenti, anche a costo di perdite di gettito e di spere quazioni di trattamento.
Ulteriori passi in avanti potranno essere conseguiti grazie al codi ce di condotta adottato nel 1997 dai paesi membri per rendere traspa renti i trattamenti e eliminare gradualmente i trattamenti distorsivi del mercato dei capitali concessi dai paradisi fiscali.
II codice di condotta ha prescritto altresì che nessun paese mem bro possa proporre nuove misure discriminatorie nella tassazione dei redditi di impresa. Una volta individuate le fattispecie discriminanti nei diversi paesi, esso prevede la loro eliminazione.
Alla riforma della tassazione delle imprese in direzione conver gente tanto nelle aliquote, quanto nella definizione della base imponi bile, e in particolare degli ammortamenti e delle deducibilità, spinge la crescente concorrenza tra i sistemi fiscali.
In Italia importanti aggiustamenti sono già avvenuti (vedremo più avanti la riduzione delle aliquote dell’imposizione sulle imprese del Ministro Visco), ma altri ancora dovranno essere adottati per
petere con i trattamenti che riescono ad attrarre base imponibile e at tività produttive.
Particolarmente significativa da questo punto di vista sarebbe l’adozione della proposta italiana di stabilire uno statuto fiscale del l’impresa europea, cioè di un sistema standard a cui fare riferimento. Nei diversi paesi la spinta all’applicazione delle regole europee potreb be creare un meccanismo efficace per la convergenza dei sistemi fiscali.
6. TJn consistente calo della 'pressione fiscale e contributiva richiede una corrispondente diminuzione della spesa pubblica.
Per essere efficace sulla crescita economica e sull’occupazione una riduzione della pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro dovrebbe es sere consistente. La misura dell’adeguatezza deve essere determinata da quella dell’impatto sull’occupazione.
Si è dimostrato che se l’Europa avesse i livelli di tassazione delle imprese e del lavoro degli Stati Uniti, che sono un terzo inferiori ai nostri (pari al 42,6% rispetto al 27,4%), i livelli di disoccupazione sa rebbero inferiori di oltre un terzo a quelli attuali (4).
Come ridurre la pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro in mi sura adeguata è un grande problema ancora irrisolto del nostro paese. Il problema è di difficile soluzione, perché a causa degli esistenti vin coli di bilancio una riduzione delle pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro sui livelli dei paesi anglosassoni richiede una corrispondente ri duzione del livello della spesa pubblica.
Essa può essere realizzata con successo solo da un sistema politi co forte e autorevole, capace di sopravvivere a seguito dei sacrifici im posti dal completamento delle riforme in una situazione nuova rispet to al passato, di diffusa opposizione degli interessi colpiti.
Il sistema politico esistente non è attrezzato per consolidare il ri sanamento e per affrontare con successo il nuovo scenario competiti vo. Esso non è stato ancora in grado di completare la propria riforma in direzione maggioritaria.
L ’inadeguatezza caratterizza peraltro anche gli altri grandi paesi dell Europa continentale i cui sistemi politici sono ancora dominati dal Dna prodotto in oltre .un secolo dai benefici offerti da una spesa pubblica e un debito pubblico costantemente crescenti. Anche gli altri
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maggiori paesi del continente europeo dispongono di sistemi politici che, se relativamente più stabili del nostro, non sono tuttavia capaci di governare in modo adeguato una situazione profondamente diversa in cui devono essere distribuiti, invece di benefici, sacrifici crescenti.
La necessità di combattere la crescente disoccupazione e di ri spettare il patto di stabilità ci costringeranno ad affrontare le disfun zioni dell’intervento pubblico che sinora non è stato possibile correg gere? Per avere successo dovremo modificare il funzionamento del no stro sistema di scelte collettive?
In questo saggio non tenteremo di trovare una risposta a questa domanda che abbiamo invece cercato in un lavoro precedente (5). As sumiamo quindi che una riforma del sistema politico che lo renda ca pace di gestire con successo una congrua riduzione della spesa pubbli ca e quindi della pressione fiscale non sia oggi praticabile. Consegue da questa plausibile ipotesi che l’unico modo percorribile per la ridu zione dell’imposizione sulle imprese e sul lavoro è il recupero della ba se imponibile che si sottrae a tassazione. Questa è anche la strada che è stata imboccata con determinazione, e con buoni risultati, dalla ri forma Visco.
Purtroppo in questo contesto l’attenuazione della pressione fisca le e contributiva sulle imprese e sul lavoro che può essere conseguita, anche se positiva per la competitività delle imprese e del lavoro, non può avere le dimensioni adeguate per ricostituire la competitività del nostro sistema paese in dimensioni idonee a produrre una riduzione strutturale rilevante dell’esistente disoccupazione.
7. La riduzione dell’imposizione sulle imprese e sul lavoro nella rifor ma del M inistro Visco.
Per entrare nell’Europa della moneta unica la nostra già relativa mente elevata pressione fiscale nel 1997 è ancora aumentata, passan do dal 42,7 al 44,8% del Pii, un livello superiore di quasi due punti al la media europea. Nel 1998 essa è scesa al 44,2%, di poco più di mezzo punto rispetto all’anno precedente (6). Quest’anno secondo le previ sioni ufficiali del Ministero delle finanze, essa dovrebbe scendere
ulte-(5) Rf.viglio, 1998.
riormente al 43,4%, ma la riduzione appare improbabile alla luce del- 1 andamento negativo della situazione economica conseguente alle nuove stime delPIstat.
L ’importo della riduzione della pressione fiscale dopo il 1997 ap pare quindi pressoché trascurabile e comunque, anche con le ottimi stiche previsioni ufficiali, non in grado di produrre gli effetti positivi sulla competitività del sistema paese che richiederebbero una riduzio ne della pressione fiscale molto più elevata.
La riduzione della pressione fiscale di dimensioni molto limitate sinora avvenuta non ha comunque impedito di abbassare in misura apprezzabile l’imposizione sulle imprese e sul lavoro. Un efficace recu pero dell’evasione e dell’elusione ha infatti creato gli spazi necessari per consentire una significativa riduzione dell’imposizione sulle im prese e sul lavoro nel rispetto dello stretto vincolo di bilancio.
Con l’introduzione dell’Irap e della Dit e con l’abbassamento del le aliquote dell’Irpeg sono state ridotte, da un lato, l’imposizione sui redditi delle imprese dal 60 al 37% e, dall’altro lato, per i due anni 1999 e 2000, quella sui redditi dei nuovi investimenti in beni strumen tali delle imprese al 19% (incluse le ditte individuali a partire dal 2000) (7).
Grazie a quest’ultima innovazione per le imprese che investono l’incidenza dell’imposizione sui profitti potrà scendere sino al 30%. Con l’Irap, d ’altra parte, il costo del lavoro è stato ridotto notevol mente, anche se in alcune situazioni, se si tiene conto degli effetti in diretti sull'Irpeg prodotti dalla sostituzione dei contributi sanitari con l'Irap, la riduzione può rivelarsi di segno diametralmente opposto (8).
Se a queste innovazioni si aggiungono gli incentivi esistenti nelle aree arretrate del Mezzogiorno, la nuova fiscalità sembra destinata a produrre effetti positivi sulla localizzazione degli investimenti nel no stro paese. Secondo un recente studio del governo olandese, dopo le riforme gli investimenti delle imprese sarebbero tassati in Italia con l’aliquota marginale più bassa, pari al 17,7%, rispetto al 37% della Germania e al 40,7% della Francia.
(7) Gli obbiettivi e le caratteristiche della riforma tributaria sono ottimamente illustrati dai contributi di diversi Autori raccolti dal Secit, 1998.