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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1950, Anno 9, N.2, giugno

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GIU(J]\Q 1950 P u b b lica zion e trim estra le Anno IX • N. 2 S p e d iz io n e in a bb on a m en to p ostale - G ru p p o IV

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E

( E

RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)

D I R E Z I O N E :

L U I G I E I N A U D I

Membro onorario

(2)

Pubblicazione sotto gli auspici

della Came r a di C o mme r c i o di Pav i a

La Direzione - Redazione è a Pavia, Istituto di Finanza presso l’Università e la Camera di Commercio, Corso dei Partigiani 65, presso il Prof, Benvenuto Griziotti, al quale devono essere inviati manoscritti, bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia, ecc.

Redazione corrispondente in Roma presso Prof. Cesare Cosciani, Via Cesare

Battisti 121, p. I l i, Roma e presso Prof. Gian Antonio Micheli, Via del Ba- buino 89, Roma.

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(3)

SUL PROBLEM A D ELLA CLA SSIFIC A ZIO N E D ELLE PU BBLICH E EN TRATE

1. — Il problema della classificazione sistematica delle pubbliche entrate, in generale, e delle imposte, in particolare, ha ogni tanto occupato la mente degli studiosi. Negli ultimi tempi si può, però, osservare la tendenza a trascurare questo problema, specialmente da parte degli studiosi anglosassoni. Infatti, per citare solo alcuni esempi fra i più recenti, non si trova nei testi di scienza delle finanze degli americani Groves ( 1), Taylor (2) e Allen-Brownlee (3), nè in quello dell’inglese Ursula Hicks (4), alcun tentativo di una simile classificazione ed anche nel lavoro fondamentale della moderna scienza delle finanze francese, il Traité A’Ébonomie et de Législation finan-

cières del Laufenburger (5), si cercherebbe invano uno schema di

classificazione che comprenda tutte le pubbliche entrate.

Da questo stato di cose sarebbe errato tirare la conclusione che il problema in questione non abbia alcuna importanza scientifica, oppure che abbia ricevuto una soluzione su cui tutti concordano. In ­ fatti non si può negare, che nei bilanci attuali, l’imposta — e con essa, in molti casi, il prestito — costituisca di gran lunga la fonte d’entrata più importante. Ciò non di meno esiste, anche oggi, ancora tutta una serie di entrate statali e comunali, la cui descrizione è interessante, almeno teoricamente, e la cui essenza e funzione risal­ tano chiaramente solo quando vengono classificate in uno schema sistematico.

Per questa ragione è degno di lode il Griziotti, il quale —

pro-(1) Harold M. Groves, Financing Government, New York, (1945) 1947. Ediz. riveduta.

(2) Ph il ip E. Taylor, The Economics o f Public Finance. New York, 1948. (3) Edward D. Allen' - O. H. Brownleie, Economics of Public Finance.

New York, 1947.

(4) Ursula K. Hic k s, Public Finance, London, (1947) 1948.

(5) II terzo volume dei « Traités » di Laufenburger (« Budget et Trésor », 3” ediz., Paris, 1948, p. 152 e segg.) contiene bensì un capitolo che si occupa della « classificazione delle entrate », ma si tratta più di un’esposizione critica dello schema delle entrate francesi, che di una classificazione teorico-sistema­ tica. Si aggiunga che la recente letteratura tedesca si occupa un po’ più diffu­

samente del problema della classificazione ; cfr. ad es. W. Gerloff, Die öf

feniliche Finanzwirtschaft, Frankfurt, 1942, p. 311 e segg. ; F. Terhalle, Die Finanzwirtschaft des Staates und der Gemeinden, Berlin, 1948, p. 89 e segg. e

A. Amonn, Grundsätze der Finanzwissenschaft, ì parte, Bern Francke 1947

p. 145 e segg. ’ ’

(4)

— 102 —

seguendo i suoi precedenti studi (6) — in un suo articolo, pubblicato recentemente in questa Rivista (7), si è accinto nuovamente all im­ presa di analizzare la classificazione delle pubbliche entrate. Mi sembra che lo scritto abbia grande importanza scientifica e sono con­ vinto che costituirà il punto di partenza per una fruttuosa discussione. Le seguenti considerazioni possono essere ritenute un modesto apporto a tale discussione. Queste non hanno tanto lo scopo di un’ana­ lisi critica dell’approfondito esame compiuto dal Griziotti, quanto, piuttosto, di una breve esposizione di un altro punto di vista, che, nel complesso, non mi sembra essere « più giusto » o « migliore » di quello del collega italiano, ma, secondo me, costituisce in certo quel modo un completamento di esso. Siccome i problemi di classificazione sono, in ultima analisi, problemi variabili a seconda dei fini, può darsi benissimo che per taluni scopi di ricerca si dimostri relativa­ mente più appropriato lo schema proposto dal Griziotti e per

talaltri-, invece, quello da me esposto.

2. — Prima, però, di accingermi ad esporre il mio schema di classificazione, mi sia permesso di fare le seguenti osservazioni cri­ tiche alla classificazione del Griziotti :

a) L’autore compie dapprima una divisione delle pubbliche entrate in « razionali » ed « irrazionali ». Senza negare che una tale divisione può avere la sua ragion d’essere, come distinzione fonda- mentale essa mi sembra di problematico valore, perchè a causa del­ l’indeterminatezza del suo criterio più importante (per «ra zio n a li» s’intendono le entrate « destinate a coprire le pubbliche spese se­ condo un criterio fondamentale unitario che le giustifica ») essa nasconde il pericolo che entrate, analoghe per essenza ed effetti, ven­ gano assegnate a gruppi diversi. Per citare solo un esempio, il Gri­ ziotti conta fra le entrate « irrazionali », la « bancarotta » dello Stato, sia che abbia luogo in seguito a « svalutazione monetaria », che per annullamento di debito pubblico. Le «em issioni di carta m oneta», come pure le « rivalutazioni monetarie », che avvengono in seguito a svalutazioni, trovano posto fra le entrate « razionali ». Convengo che misure inflazionistiche, o più esattamente, controdeflazionistiche in

certe condizioni, poste in rilievo dalla nuova teoria anglosassone e scandinava, possono essere utili e quindi « razionali », ma vorrei far rilevare, che « emissioni di carta moneta », in altre condizioni, pos­ sono essere « ir r a z io n a li» ; inoltre, esistono fra queste forme inflazio­ nistiche e la bancarotta statale, stretti rapporti funzionali e lo stesso può dirsi per le svalutazioni con successive rivalutazioni delle riserve auree. E ’ ancora da aggiungere che vi sono molte difficoltà per desi­ gnare in generale le imposte e le tasse qua li entrate i azionali. Il

(6) Ofr. B. Griziotti, Primi elementi di scienza delle finanze, Milano,

1946, 2“ ediz., p. 68 e segg. . .

(5)

— 103

Griziotti sa quanto me, che vi sono imposte e tasse, non solo nel passato, ma persino nei tempi presenti, le quali per « irrazionalità » non sono inferiori alle antiche « taglie » ed « angherie » ( 8).

b) Il Griziotti divide poi a sua volta le entrate pubbliche « ra­ zionali » in due gruppi, a seconda che con essi si perseguano « scopi finanziari » o « scopi extrafinanziari ». Sorvolando sul fatto per cui non si vede la ragione di non applicare questa seconda distinzione anche alle entrate «irra z io n a li», si può dire quanto segue:

La distinzione, particolarmente fra imposte e tasse « fiscali » e « non fiscali », ha, a mio avviso, perduto recentemente qualsiasi im­ portanza teorica e pratica (9).

Sono passati i tempi in cui la « fiscalità neutra » e l’imposizione « puramente fiscale » furono proclamati e considerati largamente rea­ lizzabili. E ’ logico che per ragioni economiche e politiche si possano criticare o negare certi c.d. scopi politici, economici, sociali, demo­ grafici, ecc., ma una tale critica si ritorce evidentemente contro questi

scopi come tali, mentre i mezzi per la loro realizzazione —■ supposti come dati — possono essere respinti in quanto sono inadatti in senso assoluto o relativo al loro" conseguimento (cioè in rapporto ad altre misure che servono per gli stessi scopi).

Ma l’essenza e gli effetti delle imposte mutano veramente perchè oltre agli scopi fiscali possono servire anche per altri? E ’ possibile dire che dazi doganali ed imposte extrafiscali « non sono impo­ s t e » ? (10). Non sono gli scopi fiscali ed extrafiscali, nella moderna politica finanziaria, talmente intrecciati fra di loro, da rendere im ­ possibile, per certi provvedimenti, determinare, se e in quale misura essi sono motivati da ragioni economiche o politico-sociali? Non è pos­ sibile ottenere effetti extrafiscali anche semplicemente conferendo una data struttura a tutto il sistema tributario? Da quale momento un’imposta progressiva o sulle successioni cessa dal perseguire esclu­ sivamente «sco p i finanziari», per cadere sotto la categoria dei tri­ buti « c o n scopi extrafinanziari? Non può un’imposta sul reddito con la stessa aliquota progressiva colpire talvolta solo la propor­ zionalità del carico tributario nel suo complesso ed in altri casi perseguire una « polìtica di livellamento », a seconda che i tributi

(8) Penso, ad es., all’Imposta sulle strade, ancora oggi in vigore in Tur­ chia (« yol vergisi», una specie di testatico) e 1’« Imece » comunale, che asso­ miglia molto all’angheria.

(9) Cfr. a questo proposito F. Neum ark, L’impôt comme instrument de

la politique économique, sociale et démographique, in «L e Financement de la Reconversion et de la Restauration après la guerre », Paris, 1949, p. 235 e segg. • F. Neum abk, Les huts de l’impôt dans la théorie et dans la pratique contem­ poraines, in « Revue de Se. et de Lég. fin-, 1949, 101 e segg. V. anche il lavoro

fondamentale su questo argomento di M. Pugliese, La finanza e i suoi compiti

extrafiscali, Padova, Cedam, 1932,

(10) Opinioni analoghe furono espresse in epoca precedente, fra l’altro,

anche da Kinaum e Gerloff. Quest’ultimo, però, nella nuova edizione dell’op!

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regressivi del sistema tributario del quale fanno parte, possiedano una maggiore o minore importanza? Penso in sostanza, che in con­ siderazione del carattere essenzialmente strumentale dell’imposizione (dimostrata precedentemente anche dal Griziotti) (11), sia opportuno rinunciare ad applicare come criterio di classificazione lo scopo del legislatore per quanto riguarda il perseguimento di fini non fiscali, difficili o addirittura impossibili a determinarsi.

c) Oltre alle classificazioni verticali, finora ricordate, il Gri­ ziotti espone anche una classificazione orizzontale delle entrate, nella quale vengono presi in considerazione quattro criteri, rispetto ai quali egli osserva che « sono coessenziali, si determinano reciproca­ mente, ossia sono mutuamente interdipendenti, concausanti ». Ritengo utilissima e degna della massima attenzione la combinazione fra i principi politici, le funzioni economieo-sociali ed il rapporto giuri­ dico, per la determinazione del carattere delle diverse entrate. Meno convincente ritengo, invece, la necessità di far uso come quarto cri­ terio, oltre ai tre ricordati, anche dell’operazione tecnica-giuridica, perchè nella grande maggioranza dei casi questa risulta evidente dalla denominazione delle entrate stesse e la loro importanza ver­ rebbe annullata da un’altra classificazione verticale.

d) Infine, sono da ricordare ancora i seguenti due punti: Nello schema del Griziotti mancano certe entrate, per le quali è difficile dire che si compensano nel complesso delle economie finan­ ziarie pubbliche di un paese, ma che dal punto di vista di una deter­ minata economia finanziaria statale o comunale, possono avere una notevole importanza. Così dicendo, penso alle entrate, le quali afflui­ scono ad un’economia finanziaria da un’altra, in base alla riparti­ zione tributaria, cioè alle c.d. assegnazioni. Una classificazione delle entrate pubbliche completa, dovrebbe, secondo me, comprendere anche queste assegnazioni.

La seconda osservazione si riferisce alla classificazione delle

imposte. Questa form a bensì un problema a parte, ma pure vorrei

osservare, a questo proposito, che la distinzione del Griziotti in imposte « dirette » ed « indirette », è, a mio avviso, suscettibile di perfezionamento, come ho cercato di spiegare in un altro mio scritto (12).

3. — Volendo ora brevemente descrivere la classificazione delle entrate da me proposta, desidero in primo luogo sottolineare che come criterio fondamentale di distinzione essa fa uso dèi criterio

economico, cioè la fonte dalla quale le imposte derivano. Nella sotto- divisione trovano applicazione anche altri ci’iteri, che in parte con­ cordano con quelli impiegati dal Griziotti.

(11) Gbiziotti, Brevi analisi e sintesi finanziarie, in questa Rivista, 1939, I, p. 246.

(12) F. Neum ark, Zum ProUem der Klassifikation der Steuerformen, ni

(7)

— 105 —

Rispetto alla loro fonte, le entrate si possono classificare in

pubbliche e in quelle che derivano dall’economia di mercato.

A) Per quanto riguarda la prima categoria, bisogna distinguere se l’economia pubblica, da cui derivano le entrate, è situata nell’in­ ferno del paese o all’estero. Dal seguente schema risulta di quali entrate si tratti:

A. - Entrate di economia pubblica derivanti da altre economie

pubbliche :

1. - Entrate di ente pubblico da altro ente pubblico dello Stato :

a) assegnazioni di ente pubblico superiore ad ente pubblico superiore ;

b) assegnazioni di ente pubblico superiore ad ente pubblico inferiore.

2. - Entrate di ente pubblico da ente pubblico estero:

a) con prestazione unilaterale:

aa) volontaria

bb) coattiva;

b) con atto bilaterale (di scambio).

Per le entrate sub 1) trattasi di entrate in rapporto con il con­ guaglio finanziario («com prom is fiscal»), A seconda della direzione in cui fluiscono, possono essere divisi in due sottogruppi :

Nel gruppo a) il Governo centrale riceve assegnazioni dai singoli Stati (eventualmente anche dalla finanza locale) sia sotto forma di partecipazione al gettito di imposte riscosse nei singoli Stati (o Co­ muni), che sotto forma eli dotazioni o sovvenzioni. Numerosi Stati federali, all’inizio della loro esistenza giuridica e finanziaria, hanno ricevuto simili entrate da enti inferiori. Si ricordano, a questo pro­ posito, le « requisizioni » che alla fine del sec. X V III i singoli Stati americani dovevano versare all’Unione, in seguito ad un suo « ap­ pello », i « contingenti » cantonali (mai riscossi) previsti nella Costi­ tuzione federale, come pure altri contributi cantonali alla Confede­ razione, e specialmente i « contributi matricolari », che i singoli Stati tedeschi dovevano versare al Reich in base alla Costituzione di Bi- smarck. In generale, però, lo sviluppo porta al capovolgimento di questa situazione, cioè lo Stato federale aumenta sempre più i suoi poteri, non solo politico, ma anche finanziario ed alla fine presta, a sua volta, aiuto finanziario ai singoli Stati. Lo stesso può dirsi per i rapporti fra Stato e Com uni; anche in questo caso gli ultimi sono quelli che ricevono ed il primo è quello che dà.

(8)

— 106 —

aumento. Non solo in Germania ed in altre confederazioni, ma anche in Stati unitari, come l’Inghilterra, la Francia e la Turchia, ve­ diamo che una parte notevole delle entrate degli enti locali consiste in partecipazioni al gettito delle imposte, in contributi, sovvenzioni e simili.

Concludendo, si ricordi ancora a questo proposito, che certe entrate ricevute da un ente pubblico superiore od inferiore nel quadro della partecipazione tributaria, non sono altro che risarcimenti di spese. Un esempio di questi sono i pagamenti eseguiti da un governo centrale, privo di una propria amministrazione finanziaria perfe­ zionata, ai singoli Stati che compiono le operazioni di accertamento e di riscossione per le imposte federali.

Le entrate finora ricordate posseggono, per cosi dire, un semplice carattere di « trasferimento » e perciò non sono da prendere in con­ siderazione nel computo delle entrate di tutti gli enti pubblici di un paese allo scopo di evitare ripetuti pagamenti, sebbene per il bi­ lancio che li riceve siano vere e proprie entrate. Le entrate del sot­ togruppo 2, invece, che ora discuteremo, rappresentano, sotto ogni rapporto, una entrata effettiva, non solo dal punto di vista dell im­ mediato destinatario, ma anche da quello delle complessive economie finanziarie pubbliche (e della relativa economia nazionale).

Una prima categoria (a) di queste entrate è motivata da ragioni

politiche. Sono prestazioni unilaterali e la loro misura viene fissata con atto unilaterale, sia che si tratti di prestazioni volontarie da parte di un autore, che di prestazioni coattive da parte di chi ne trae beneficio.

Nel primo caso si hanno gli aiuti finanziari (i c.d. « sussidi ») che uno Stato presta ai suoi alleati in caso di guerra (eventualmente anche immediatamente prima o dopo una guerra). E ’ vero che i sussidi costituiscono, talvolta, una specie di « prezzo eli costo » delle prestazioni m ilitari da parte della potenza destinataria (si pensi a quelli conferiti in larghissima misura dalla Gran Bretagna ai suoi alleati continentali durante le guerre napoleoniche) (13), in cui prezzo e prestazione sono fissati con trattato (in queste circostanze le rela­ tive entrate vanno iscritte nel sottogruppo b). Ma vi sono anche aiuti finanziari che vengono stabiliti unilateralmente dall’autore ed, al­ meno formalmente, essi non sono legati ad alcuna controprestazione. In pratica, i limiti sono spesso fluidi. Così, ad es., non e facile distin­ guere, a mio avviso, in quale misura i sopra ricordati sussidi, i debiti interalleati, contratti nella prima guerra mondiale, o gli aiuti con­ cessi dagli Stati Uniti d’America con la legge sugli « affitti e prestiti » nell’ultima, siano prestazioni unilaterali o bilaterali.

Ha, invece, indubbiamente natura unilaterale qualsiasi tipo di

riparazioni di guerra («co n trib u zio n i»). E ’ indifferente che queste coprano solo parzialmente le effettive spese di guerra dello Stato

(9)

— 107 —

vittorioso, oppure le superino — esse rappresentano, in ogni caso, per lo Stato che le riceve, un’entrata effettiva, senza contropartita. Lo stesso può dirsi per le confische e le requisizioni, compiute du­ rante o dopo una guerra — ma prima della conclusione del trattato di pace — da parte della potenza (temporaneamente o definitiva­ mente) vittoriosa nel paese nemico occupato. Ancora nell’ultima guerra, la Germania si procurò in questo modo somme (ivi compresi i c.d. « contributi di guerra » della Cecoslovacchia e della Polonia) che nel 1944, secondo la stima compiuta dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (X IV Relazione Annuale, p. 216) erano di poco infe­ riori alle entrate tributarie complessive.

Quali entrate derivanti da trattati bilaterali (sottogruppo 2-b) sono da ricordare, in primo luogo, gli interessi pagati da enti pub­ blici stranieri, per crediti concessi in precedenza. Si tratta, natural­ mente, solo di quei crediti concessi da uno Stato ad un altro per ragioni politiche od economiche.

B ) Tutte le altre entrate, ad esclusione di quelle menzionate, derivano dall ’economia di mercato (nazionale), qualunque forma as­ sumano.

Per più di un secolo la teoria finanziaria ha suddiviso le entrate, comprese in questa categoria, in « entrate economico-private » od « originarie » ed in a entrate economico-pubbliche » o « derivate ». La denominazione della prima categoria è, a mio avviso, inadeguata, dato che in realtà (almeno nello Stato moderno) un’impresa pub­ blica non viene quasi mai condotta con criteri esclusivamente com­ merciali, cioè per conseguire il massimo profitto possibile ed anche per le altre entrate, appartenenti a questa categoria, si hanno per lo meno « scopi misti » ; non si può tuttavia, negare che tanto la sin­ gola economia privata, quanto lo Stato, almeno in linea di principio, possano prefiggersi la possibilità di conseguire certe entrate, mentre altre sono di esclusiva pertinenza dell’economia pubblica. Per questa ragione è opportuno distinguere le entrate pubbliche, derivanti dal­ l’economia di mercato, in entrate derivanti dalla partecipazione di­

retta (basata su un volontario scambio economico) o derivanti dalla

partecipazione indiretta (fondata sulla coazione o sul diritto di so­

vranità) dell’ente pubblico al processo dell’economia di mercato ; po­ sto che soltanto nel secondo caso si hanno entrate specificamente

pubbliche, cioè ottenute con misure attuabili unicamente dall’ente

pubblico politico.

Le altre suddivisioni del gruppo di entrate, qui in discussione, sono indicate nel seguente schema:

B. - Entrate di ente pubblico derivanti da partecipazione diretta

o indiretta al processo di economia dà mercato. I.

I. - Entrate derivanti da partecipazione diretta (basata su vo­

(10)

— 108 —

1. - Entrate per vendita di beni e prestazioni materiali, prodotte da imprese ed istituti pubblici, oppure per locazione ed appalto di beni patrimoniali :

a) Profitti netti e entrate da appalti di imprese pubbliche:

aa) con scopi esclusivamente commerciali ;

bb) con scopi m isti;

b) Entrate lorde (corrispettivi) di istituti pubblici;

c) Entrate per locazione di immobili pubblici ed investimenti di capitali.

2. - Entrate per modificazioni strutturali del bilancio:

a) Entrate per diminuzione di debiti (operazioni di credito);

b) Entrate per alienazione di beni patrim oniali;

c) Entrate per donazioni e successioni.

II. - Entrate derivanti da partecipazione indiretta (fondata sulla

coazione e sul diritto di sovranità) di enti pubblici al processo del-l’economia di mercato :

1. - Tasse.

2. - Contributi e diritti speciali.

3. - Tributi obbligatori gratuiti, cioè senza diritto a contropre­ stazione, la cui misura è fissata unilateralmente per diritto di so­ vranità :

a) Imposte (compreso il gettito netto dei monopoli fiscali) ;

b) Dazi doganali.

4. - Entrate derivanti da misure di politica monetaria:

a) Profitti per conio di monete;

b) Entrate per emissione di carta moneta; c) Profitti per rivalutazione.

5. - Entrate da prestiti forzosi.

G. - Entrate per multe, requisizioni senza indennizzo e simili. I.

(11)

Sebbene in molti Stati proprio i maggiori e più importanti « ser­ vizi pubblici », quali le poste, i telegrafi e le ferrovie, abbiano de

faeto cessato di dare un utile netto e di rappresentare un’effettiva fonte di entrate per lo Stato, teoricamente sono ancora da conside­ rare tali. Diversa è la situazione degli istituti pubblici (sottogruppo I, 1-&). Per questi non si persegue, in linea di principio, uno scopo di lucro, ma, in primo luogo, il soddisfacimento di determinati bisogni collettivi, nel modo e nella misura che lo Stato giudica più conve­ nienti e che non potrebbero essere soddisfatti da privati, per man­ canza di mezzi adeguati. I costi di produzione per questi beni imma­ teriali (servizi) non rappresentano spese d’esercizio, aventi lo scopo di conseguire utili netti, ma costituiscono normalmente spese pub­

bliche. E ’, tuttavia, giusto far partecipare, almeno le classi relativa­ mente abbienti, alla parziale copertura delle spese e per questa ra­ gione viene riscosso un corrispettivo (spesso denominato; erronea­ mente « tassa »). In contrasto con i (veri) prezzi, riscossi dalle im­ prese pubbliche, i corrispettivi degli istituti pubblici non sono, in sostanza, altro che un (parziale) contributo alle spese. Si capisce, quindi, che come tali (entrate lorde) vengano pubblicate nel bilancio pubblico il quale, inoltre, contiene tutte le spese degli istituti pub­ blici. Se nella politica finanziaria delle imprese pubbliche, la coper­ tura di tutte le spese con entrate proprie costituisce il suo limite

inferiore, per gli istituti pubblici essa forma il limite superiore, che di fatto non viene mai raggiunto, nemmeno approssimativamente. Quale esempio di istituti pubblici, appartenenti al gruppo 1-b, si ri­ cordino scuole pubbliche, biblioteche, teatri, ospedali, musei, cimi­ teri, bagni pubblici, ecc.

Per quanto riguarda, infine, le entrate del gruppo I, 1-c, esse non si distinguono fondamentalmente da quelle derivanti da tran­ sazioni analoghe dell’economia privata. Si tratta, da una parte, di

entrate per locazione di terreni ed edifici di proprietà pubblica, e, dall’altra parte, per interessi derivanti da investimento temporaneo di mezzi di cassa.

Per le entrate derivanti da modificazioni strutturali del bilancio

patrimoniale (sottogruppo 1-2), non si hanno, almeno fondamental­

mente, entrate effettive, ma all’ « entrata di cassa », per usare le pa­ role dello Jèze, corrisponde, generalmente, nel passivo del bilancio un impegno.

Nelle entrate per operazioni creditizie (a) a questa « voce » cor­ rispondono gli impegni per il pagamento di debiti ; per le entrate

derivanti da alienazioni di immobili (fi), bisogna eseguire una corri­ spondente registrazione dei valori nel bilancio patrimoniale e per le successioni e donazioni (c), bisogna tener presente il valore degli impegni dello Stato, di solito connessi a tali entrate (enti morali). II.

(12)

— 110 —

come è stato ricordato più sopra, fonti finanziarie specifiche di eco­

nomia pubblica. Esse affluiscono allo Stato in seguito ad interventi nell'economia di mercato, compiuti in base al suo diritto di sovra­ nità e contengono tutte quante un elemento coattivo.

Per ciò che concerne le tasse (sottogruppo II -l), il loro carattere non è ancora pacifico; ciò è dovuto in parte al tatto che spesso ven­ gono denominati « tasse » anche quei tributi, che materialmente hanno natura d’imposta, oppure sono semplicemente dei corrispettivi. Non è qui il luogo per esporre una approfondita teoria sulla tassa; mi limito, quindi, a fare le seguenti osservazioni ( 11):

Come è noto, nella letteratura della scienza delle finanze, è pre­ valsa lungamente l'opinione che le imposte sono dominate dal prin­ cipio dell’ « equivalenza generale » ; sono tasse quelle nelle quali do­ mina 1’ « equivalenza speciale ». Questa teoria, incompatibile con la moderna concezione dello Stato, è stata lasciata cadere, dapprima per le imposte, ed ora anche per le tasse. Infatti, sono tasse (ad ogni modo ora), non i « compensi » per le prestazioni dello Stato « com­ perate » dal contribuente, ma bensì i tributi obbligatori per le spese

di certe prestazioni di pubblico servizio, fissati, per il modo e la mi­ sura, unilateralmente dallo Stato e riscossi da coloro nei quali lo Stato presuppone un interesse individuale alle prestazioni oppure (e) una certa capacità contributiva. A mio avviso, quindi, non si può materialmente parlare di « atto bilaterale » nel prendere in conside­ razione prestazioni imponibili, trattandosi in questo caso prevalen­ temente o esclusivamente di prestazioni che per ragioni di pubblica sicurezza, sanitarie, ecc. sono fornite dallo Stato con il presupposto giuridico di concedere al contribuente il possesso di diritto e beni. Una «b ila te ra lità », intesa nel senso dell’economia di scambio o di mercato non esiste, quindi, in simili prestazioni per una duplice ra­ gione: primo, perchè queste (per usare le parole di Lampe) (15), sono «p e r la loro natura delle prestazioni coattive, estranee al mer­

cato a causa del loro consumo coattivo, e secondo, per la ragione che la determinazione delle tasse non avviene in base alle spese fon­

date sulla redditività. In contrasto con l’imposta, la tassa viene

riscossa considerando la prestazione amministrativa pubblica indi­

viduale della persona.

I contributi (sottogruppo II-2) sono prestazioni coattive riscosse da un gruppo d i persone per la costruzione di determinate opere economiche ed impianti sociali da parte dello Stato o di Comuni, per le quali si presuppone esso ritrarrà direttamente o indiretta­ mente un vantaggio economico-finanziario. L ’opera pubblica in que­ stione (ad es. una strada, la costruzione di un canale, ecc.) può

es-(14) V. Amonn, op. cit., p. 162 e segg., elle ha elaborato per prim o siste­ maticamente il punto di vista esposto nel testo ; v. anche Terhalle, op. cit., p. 118 e segg.

(15) A . Lampe, Gebühren. Beiträge und Taxen, in « 'Wörterbuch der Volks­

(13)

— I l i

sere stata costruita per iniziativa di un numero più o meno grande di contribuenti, ma è anche possibile, nel caso limite, che tutti i contribuenti siano contrari alla sua costruzione, che allora è uni­ camente voluta dallo Stato o dal Comune per ragioni pubbliche. In realtà, la situazione sarà, tuttavia, tale, per cui la maggioranza dei contribuenti colpiti avrà interesse all’esecuzione dell’opera pubblica, non foss’altro per l’utile economico che se ne ripromette. Il presup­ posto che i contribuenti godano anche effettivamente del vantaggio, si avvera bensì, in genere, ma ciò non impedisce che al pagamento siano obbligati anche coloro che non l’hanno richiesta (anzi proba­ bilmente erano contrari alla sua costruzione) e quindi, non ne ri­ traggono alcun utile. La giustificazione dei contributi in questi casi sta nel fatto che i contribuenti interessati, volendo, avrebbero potuto ritrarre un vantaggio diretto dall’opera pubblica e che essi godono almeno di un vantaggio indiretto — ad es. di un aumento di valore nei loro immobili. Nel determinare la misura dei contributi — effet­ tivamente destinati alla parziale copertura delle spese sostenute per l’opera pubblica — hanno, in primo luogo, importanza le manifesta­ zioni esteriori della capacità contributiva e solo successivamente il presunto interesse.

Le imposte (sottogruppo II-3) sono attualmente la fonte più importante delle entrate ordinarie dello Stato e costituiscono, in pari tempo, il sistema di finanziamento che, nel migliore dei modi, esprime il carattere specifico della pubblica economia finanziaria (16). Sono, come le tasse ed i contributi, coattive, ma vengono riscosse con altri criteri e per altre ragioni. Per il pagamento dell’imposta è indiffe- rente una particolare richiesta dei contribuenti per una prestazione dell’ente pubblico —■ si tratta di un tributo coattivo, fissato unila­ teralmente nel modo e nella misura, che deve essere pagato incondi­

zionatamente e senza pretesa ad una qualsiasi controprestazione da

tutti coloro per cui esiste il fondamento dell’obbligo d’imposta (il quale, come nel testatico, può consistere nella semplice esistenza fisica). La misura dell’imposta viene (oggi) principalmente deter­ minata in base alla (valutata, presupposta, od effettiva) capacità con­

tributiva individuale, mentre la determinazione del complesso della

pretesa tributaria è misurata, in primo luogo, sulle necessità finan­ ziarie dell’ente pubblico che non possono essere soddisfatte in altro modo. Ma tale misura può dipendere anche da cause economico-poli-

tiche e politiche di congiuntura.

Le entrate del sottogruppo II-4 hanno la loro origine in misure

di politica monetaria dello Stato e secondo i loro effetti, hanno na­ tura più o meno tributaria. Si capisce che i profitti netti di banche centrali statali o comunali e di altre banche non appartengono a questo gruppo, ma al gruppo I, 1-a.

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tere misto, le quali, molto spesso, « tengono più dell’imposta che del prestito » (17). Infatti, il carattere tributario prevale in misura tale che l’opinione del Griziotti, essere il « rapporto giuridico » del pre­ stito forzoso un « atto bilaterale con coazione legale », mi sembra dubbia, come pure preferirei di non veder ripetuta, nella colonna « operazione tecnica », la semplice indicazione di « prestito forzoso », ma direi, invece, « imposizione ». Se questa prevalente natura tribu­

taria dei prestiti forzosi è già nettamente evidente, quando la deno­ minazione si basava sui risultati di un veritiero accertamento tribu­ tario del patrimonio (come prima quasi sempre accadeva), non è più possibile alcun dubbio ora, che nell’ultima guerra, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America, l’imposta sul reddito e quella sui pro­ fitti di guerra furono in parte impiegate come mezzi di « risparmio forzato » sotto forma di « crediti del dopoguerra »).

Resta, infine, ancora da parlare delle entrate per multe, requi­

sizioni senza indennizzo e simili (sottogruppo XI-6). Queste entrate, che da una parte presentano una certa affinità con le tasse e dal­ l’altra, con le imposte, si distinguono da questi tributi — con i quali hanno in comune il carattere coattivo e l’unilateralità della deter­ minazione — in primo luogo per la loro motivazione e di conseguenza per la causa della loro imposizione. Per la riscossione delle multe sono, generalmente, decisivi scopi extra fiscali-, le multe e le pene pecuniarie servono tuttavia ad assicurare una regolare fonte di en­ trata dei tributi dovuti.

I. — Sono così giunto al termine del mio studio. Come ho esposto all’inizio, esso fu provocato da quello del Griziotti sullo stesso argo­ mento. Sebbene non possa concordare su tutti i punti dello schema di questo autore, affermo ancora una volta che esso mi sembra logico e molto apprezzabile per gli scopi di molte indagini.

In contrasto ad esso ho esposto brevemente una classificazione delle pubbliche entrate costruita su altri principi e criteri e la sot­ topongo alla discussione scientifica, perchè per molte indagini la ritengo più appropriata di quella del mio illustre collega italiano, dato che nel mio schema è posto in rilievo fino a che punto la mia opinione, rispetto alle singole entrate, differisce da quella del Griziotti.

Concludendo, posso aggiungere che il mio tentativo di classifi­ cazione è incompleto in quanto non prende in considerazione la distinzione fra entrate « ordinarie » e « straordinarie », nè quella fra entrate derivanti dall’economia monetaria o dall'economia naturale. Mi sembra però che simili distinzioni abbiano attualmente scarso valore e risultino implicitamente dallo schema da me tracciato. Per queste ragioni ho rinunciato a considerare nella mia classificazione i criteri su cui si basano queste distinzioni.

Fr itz Neu MARK Traduzione dal tedesco di Fu l v i a Ca r e n a, Istituto di Finanza, Università, Pavia.

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P O S T I L L A

E' comune opinione del prof. Neumark e mia che possa ai letiori riu­ scire interessante il confronto delle nostre idee, quando esse non colli­ mano. Pertanto, espongo le mie osservazioni allo scritto del distinto collaboratore, facendo riferimento al brano discusso, con l’indicazione della pagina e delle righe corrispondenti.

A pag. 102 da riga 12 a 10:

E’ esatto che si possono fare tante distinzioni quanti sono i punti di vista. Ma, per es., alla classificazione di Linneo degli animali e dei vegetali non si può contrapporre un’altra classificazione secondo il prez­ zo o l’origine o altro criterio relativo agli stessi animali e vegetali.

La mia classificazione si è proposta lo stesso scopo di quella di Linneo, di considerare i caratteri intrinseci delle entrate pubbliche, che servano a distinguerle le une dalle altre. Sotto questo aspetto, quindi, bisognerebbe discutere il mio articolo. Tutto il resto fa parte a sè, come il Neumark dice. Ma desideravo mettere in luce gli scopi della mia classificazione, la quale non considera le fonti delle entrate e nemmeno i loro effetti, poiché da questi punti molti autori si sono posti impro­ priamente al fine di conoscere i caratteri essenziali e caratteristici delle entrate.

A pag. 102, da riga 21 a riga '28:

L’indeterminatezza del criterio segnalata scompare, se si considera che « il criterio fondamentale che le giustifica» è la causa delle en­ trate, ossia la relazione causale fra le opere e le entrate.

Tale criterio fondamentale è «u n itario» in quanto si applica a tutte le entrate razionali per quanto in forme varie. Così posso rias­ sumere le entrate in:

entrate commutative dirette (liberalità, corrispettivi, tasse, contributi e imposte speciali, prestiti, emissione di carta moneta, ecc.);

entrate commutative indirette (imposte dirette e imposte indirette ecc.). Questo criterio commutativo (diretto o indiretto) è un criterio uni­ tario, perchè comprende tutte le entrate (fiscali) ed è fondamentale, perchè ne dà la spiegazione o fondamento (causa) nella relazione cau­ sale fra spese e entrate, ossia la razionalità giuridica e prima ancora morale, del resto comune con i criteri che determinano gli scambi eco­ nomici (mutatis mutandìs).

A pag. 102, da riga 29i a riga 33 :

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se gli effetti economici e l’essenza di queste varie specie sono diversi. Sono uguali le caratteristiche del genus « bancarotta », differenti quelle della specie.

Parimenti le rivalutazioni monetarie sono entrate razionali anche se derivanti da attività irrazionali, poiché è giustificato il loro assor­ bimento da parte dello Stato una volta che esse si siano arbitrariamente prodotte per cause irrazionali.

Non c’è da meravigliarsi se la stricnina a piccole dosi è medicina e a grandi dosi veleno; così l’emissione di carta moneta limitata alle sue funzioni razionali è razionale; diventa irrazionale quando remis­ sione è eccessiva e produce inflazione. Così pure le imposte sono razio­ nali quando sono ad aliquote proporzionate alla loro causa e irrazio­ nali oltre certi limiti e aH’infuori di determinate regole, sicché invece di imposte sono estorsioni od entrate arbitrarie, quali sono enumerate nella tabella del mio studio.

A pag. 103, da riga 6 a riga 8:

E’ giusto che si può stabilire la distinzione fra entrate fiscali ed extrafiscali anche nelle entrate irrazionali, ma per queste entrate ciò che interessa è di segnalare la loro arbitrarietà, sicché restano da con­ dannare e da evitare siano esse fiscali e extrafiscali.

A pag. 103, da riga 9 a riga 11:

L’osservazione mi sembra una generalizzazione di dottrine parti­ colari, più teoriche che rispondenti alla realtà. D altronde la scienza delle finanze non cambia ogni 25 anni, ma considera le esperienze pas­ sate e presenti e ipotizza il futuro.

A pag. 103, da rigai 12 a riga 14:

« Fiscalità neutra » è un’astrazione, non mai verificatasi nella real­ tà, perchè piccole modificazioni dello status quo o piccole redistribuzioni della ricchezza (variazioni di primo grado) sono inevitabili con la fi­ scalità. Invece l’imposizione puramente fiscale avviene ogni qualvolta essa accanto alla funzione di procurare entrate allo Stato non abbia altresì quella di raggiungere scopi particolari di varia natura e diffe­ renti dalla fiscale (variazioni di secondo grado), cioè, economici, demo­ grafici, redistributivi, politici, protettivi, ecc.

A pag. 103, da riga 14 a riga 20:

Il discorso è estraneo sia alla critica di detti scopi e dei mezzi per la loro realizzazione. Il discorso verte sulla classificazione fra entrate fiscali ed extrafiscali e su queste soltanto all’infuori della critica. Quindi tali due osservazioni sono estranee al tema della discussione.

A pag. 103, da riga Sii a riga 22:

Rispondo affermativamente. La classificazione verticale e quella orizzontale della tabella pubblicata in questa Rivista (1949, I, 229-32) di­ mostrano che il principio politico dell’imposta è la capacità contribu­

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politico dei dazi doganali protettivi e la redistribuzione della ricchezza (oppure la protezione) è principio politico dell’imposta extrafiscale. Con­ seguentemente diversa è la funzione economica e sociale; diverse sono le condizioni dell’applicazione dei due tributi; differenti sono gli effetti.

A pag. 103, da riga 20 a riga 32:

E’ la questione della stricnina: da quale momento cessa di essere ricostituente e comincia ad essere veleno? L’esperienza o l’osservazione insegna ed essa altresì dimostra quando l’imposta progressiva cessa di essere fiscale e diventa extrafiscale.

La classificazione di fiscale o extrafiscale si fa sul fondamento del­ l’ipotesi ceteris paribus e cioè che si tratta di un’imposta fiscale o extra­ fiscale, quando tutto il resto è fiscale. Naturalmente la classificazione si capovolge se si fa l’ipotesi che tutte le altre imposte siano extra­ fiscali per cui riesce extrafiscale un’imposta che altrimenti sarebbe fi­ scale. Agostino Caputo (1629) osserva « semper est recurrendum ad cau- sam et omnis dificultas erit evacuata. Causa est illa quae dat esse mu- neribus, distinguit et limitat ». Credo che questa regola valga a risol­ vere tutti i quesiti posti dal prof. Neumark. Altrimenti tutto è caos. Il che non può essere, perchè in contrasto con l’uomo, che è razionale e non si accontenta di fare un fascio di ciò che è razionale e irra­ zionale e il quale ritiene che compito della scienza sia quello di osservare le regole di queste distinzioni, almeno nel campo teorico, ma anche in quello pratico. In questo si troverà in alcuni momenti più irrazionalità che razionalità nelle entrate pubbliche. In altri, viceversa.

A pag. 104, da riga 2 a riga 7 :

La classificazione considera non soltanto lo scopo del legislatore, ma pure la funzione essenziale è dà prevalenza a questo elemento rispetto al primo. Il legislatore può avere avuto lo scopo di legiferare un tri­ buto extrafiscale, ma il tributo sarà solo fiscale se lo scopo praticamente è fallito.

A pag. 104, da riga 17 a riga 20:

L’operazione tecnico-giuridica è assai importante a mio avviso e per­ ciò venne da me introdotta per la prima volta, perchè giova a distin­ guere l’aspetto formale (su cui s’intrattengono i giuristi puri) da quello essenziale delle entrate pubbliche e a non confondere come uguali, en­ trate diverse aventi la eguale operazione tecnica. E’ vero che imposizione ha la stessa radicale di imposta, sicché imposta richiama l’idea di im­ posizione. Ma l’operazione dell’imposizione si ha anche nel caso di en­ trate extrafiscali o irrazionali che non sono imposte. Sicché:

capacità contributiva relativa a controprestazione e imposizione indi­ cano imposta (fiscale);

capacità contributiva assoluta e imposizione significano estorsione (ta­ glie, angherie, ecc.);

protezione e imposizione significano tributo extrafiscale.

La dottrina comune o tradizionale del diritto finanziario non

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116 —

relata con la scienza delle finanze sulle basi dell’aspetto formale iden­ tico, accomuna questi tre casi diversi in una sola nozione evidentemente erronea. Bitengo molto importante, sotto più aspetti, giuridici e scien­ tifici, mettere in evidenza l’operazione tecnica-giuridica, con cui si attua l’entrata. Per es. la vecchia dottrina dell’interpretazione, quando nel diritto finanziario col nome di imposta si accomunavano i tre casi di­ versi fondati sulla stessa operazione tecnica, sostiene che le leggi d’im­ posta devono essere interpretate con criteri restrittivi, perchè l’imposta limita i diritti personali e quelli della proprietà. Ora, distinguendo i tre casi di tributi aventi la stessa operazione dell’imposizione, posso sostenere che l’antica teoria può applicarsi soltanto ai due ultimi e non al primo. In Italia, le regole della interpretazione delle leggi contenute nei preliminari del codice civile, hanno escluso, nel nuovo codice, che le imposte propriamente dette debbano avere una interpretazione re­ strittiva come le leggi penali o quelle eccezionali. Anche sotto l’aspetto scientifico è sempre meglio conoscere anziché ignorare l’operazione tec­ nica-giuridica dagli altri elementi costitutivi dell’entrata. Tali quattro elementi sono coessenziali e concausanti, ma l’operazione tecnica-giu­ ridica non può essere confusa nè con l’elemento politico, nè con l’econo- mico-sociale, nè con il rapporto giuridico e perciò non può mancare nel­ l’analisi delle entrate, perchè non vi è entrata che manchi della spe­ cifica operazione che l’attua.

A pag. 104, da riga 26 a riga 28:

E’ vero che nella mia classificazione le assegnazioni non furono messe in evidenza per lo scarso interesse, che tali entrate ebbero in Italia. Attualmente, però dopo la riforma regionale si fanno assegna­ zioni, oltre che dal Ministero delle Finanze e degli Interni in casi ec­ cezionali di dissesto nelle finanze provinciali e comunali, anche per legge a quelle regionali. In ogni caso riconosco l’opportunità di mettere in rilievo le assegnazioni che dovrebbero essere indicate a parte dopo i donativi. La classificazione delle assegnazioni del Neumark mi per­ suade. Questa comprende veramente delle entrate tributarie che vanno messe al loro posto nella classificazione delle entrate fiscali.

Da pag. I l i , penultima riga a pag. 112, riga 15:

Conservo la mia opinione sul prestito forzoso, perchè esso rimane sempre prestito (rimborsabile ad una data "scadenza avente per lo più interesse e piano d’ammortamento) anziché imposta, perchè questo è richiesto sempre a fondo perduto. Quindi anche l’operazione tecnica è quella del prestito forzoso (con ritiro della obbligazione o titolo del prestito verso pagamento richiesto forzosamente).

La riprova si ha nel fatto che nel 1936 si ebbe in Italia un prestito forzoso 5 % unito ad imposta straordinaria sul patrimonio 10 % . La stessa persona pagava per il prestito forzoso e sosteneva per 10 anni l’imposta, affinchè il contribuente col suo contributo fornisse i mezzi allo Stato per il rimborso a lui stesso dei titoli del capitale anticipato col prestito, e lo Stato così restasse liberato dal debito.

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IL P R IN C IP IO D ELLA C O N TR O PR E SfA ZIO N E E SUE A P P L IC A Z IO N I

!• — Un complesso di principi regola la finanza pubblica (fiscale). - Nella letteratura scientifica finanziaria si sono discussi a lungo i prin­ cipi fondamentali, sui quali poggia la finanza pubblica; o meglio si è cercato il principio, che è il supremo regolatore di essa.

Nel ben informato volume del prof. E. R. A. Seligman sull’imposta progressiva (1) si legge una esposizione critica di ciascuno di tali prin­ cipi, che ugualmente servono a giustificare le opposte soluzioni dell'im­ posta proporzionale e di quella progressiva.

Anche il prof. Emilio Sax ha molto influito con i suoi principi fon­ damentali (2) sulla discussione di tali supremi principi regolatori della finanza, con pagine suggestive, che furono riassunte anche in Italia, nei testi di scienza delle finanze, dopo che Giuseppe Ricca-Salerno e Augusto Giaziani hanno reso omaggio all’opera del Sax, seguendone il metodo e le idee.

Ma tutte queste dispute non hanno portato a una definitiva conclu­ sione, perchè la finanza pubblica non poggia sopra un solo principio, con esclusione degli altri, bensì sopra un complesso di principi.

Questi si alternano oppure si combinano variamente secondo la na­ tura delle diverse entrate di carattere fiscale. Si comincia dal principio della controprestazione con i corrispettivi da beni patrimoniali e de­

maniali, da imprese pubbliche e da pubblici istituti. Poi lo stesso prin­ cipio si abbina a quello della capacità contributiva, nei monopoli fiscali e nelle tasse, o al principio del beneficio, quando questo risulta al con­ tribuente involontariamente da un’attività dell’Ente Pubblico, nel con­

tributo speciale e nell’imposta speciale. Infine si presenta il principio della capacità contributiva, abbinata indirettam ente alla «ontkopresta-

zione, nelle imposte dirette e indirette.

2. — La generalità del principio della controprestazione indica la

lazionalità delle entrate fiscali. - Così il principio della contropresta- zione in tali varie sue apparizioni, per questa sua generalità a tutte le entrate della finanza fiscale, conferisce loro il carattere di prelievi ra­ zionali rispetto alle spese pubbliche, da cui originano vantaggi generali o particolari ai soggetti dello Stato (o di altri enti pubblici).

(1) E. R. A. Seligman, Limpòt progressif en théorie et en pratiaue Paris

Lriard & Brière, 1909. ' ’

(2) E. Sax, Principi teoretici di Economia di Stato (In • « Bibl dell’Eco­

nomista », voi. XV). Torino, Utet, 1920. ' JW5°

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E’ questo il rapporto di causalità, che venne diffusamente elaborato già nella ricca letteratura di diritto finanziario durante i sec. XV-XYIII per opera dei Dottori, sui principi elaborati prima ancora dai Teologi, e che negli ultimi venticinque anni è stato ripreso e approfondito nella dottrina e nelle applicazioni giurisprudenziali da me, Pugliese, Yanoni, Jarach, Pomini e da altri numerosi scrittori italiani e stranieri.

3, — li principio della controprestazione segna la continuità dal­

l’economia alla finanza, senza trascurare le loro note differenziali.

-Pertanto il principio della controprestazione segna la continuità di prin­ cipi morali e sociali, oltre che economici e giuridici nel passaggio dal- - l’economia alla finanza.

Tale continuità non è da dimenticare nella scienza e nella politica, per non esagerare l’aspetto coercitivo della finanza; mentre non si de­ vono trascurare o ritenere secondarie le note differenziali della finanza dall’economia, che consistono nelle caratteristiche politiche e giuridiche, derivanti dal potere finanziario.

4 — ha regola della commutazione (diretta e indiretta) nelle en­

trate fiscali. - Volendo fare una sintesi, si può riconoscere che le entrate

fiscali sono dominate da una regola di commutazione, la quale è diretta (corrispettivi, tasse, contributi e imposte speciali, prestiti) o indiretta (imposte dirette e indirette in tutti i loro rami). Cessa il verificarsi della regola della commutazione nelle entrate extrafiscali, che sono regolate da altri principi razionali di politica economica o sociale o d’altra natura, che esse si propongono di attuare. Invece nelle entrate irrazionali o arbitrarie (fiscali o extrafìscali, che siano) mancano sia il principio della controprestazione, che significa giustizia e proporzione causale, sia qiralsiasi altro principio che le giustifichi.

5. _ Tranne che per la corresponsione, altre operazioni giuridiche-

tecniche delle entrate razionali possono essere comuni alle entrate irra zionali. - Le entrate irrazionali possono avere in comune con le razio­ nali l'elemento della operazione tecnica, con cui si attuano, come la corresponsione, la tassazione, l’imposizione e così via. E’ da notare però che la corresponsione, ossia l’operazione tecnica dei corrispettivi, non è facile da trovare nelle entrate irrazionali, e anche nelle extrafiscali, poiché tale operazione si compie con l’adesione del contribuente ed è da supporre che nessuno voglia aderire ad un atto con la finanza, quando tale atto sia a suo danno.

6. — La ricerca causale nelle controprestazioni e nelle imposte. - Sono state mosse obbiezioni alle ricerche causali rispetto alle imposte, ma non nel confronto delle entrate sul principio delle controprestazioni.

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attribuiscono una importanza decisiva all’elemento causale nei tributi causali tanto per la natura giuridica e la classificazione dei tributi, quanto anche per la loro configurazione giuridica. La causa forma qui dunque un elemento costitutivo del tributo come tale ed il punto di partenza per la regolamentazione delle sue manifestazioni essenziali ».

11 Blumenstein, partendo dal concetto di causa nel diritto privato, 1 iconosce la esistenza di causa nei tributi con pronunciato carattere di

equivalenza, perchè in questi il tributo è dovuto come controprestazione per un vantaggio concesso all’obbligato dall’ente creditore del tributo, o che gli deriva da determinate istituzioni di questo ente. Per quanto la prestazione è ordinata dalla legge, tuttavia dipende dal verificarsi della controprestazione la possibilità di pretenderla effettivamente nel caso singolo.

Come tributi causali il Blumenstein riconosce i tributi di mono­

polio; oppure le tasse di monopolio ossia i tributi, che l’ente pub­ blico riscuote per aver ceduto in un singolo caso ad un privato l’eser­ cizio di un’attività commerciale o industriale, che, come monopolio, gli spetta esclusivamente;_ i tributi speciali; il tributo surrogatorio di un altra obbligazione impostagli dalla legge (servizio militare o di milite del fuoco, prestazioni in natura ad un comune o ad una corpo- razione di diritto pubblico).

Il Blumenstein non si occupa delle entrate non tributarie, ossia dei corrispettivi. Ma è evidente che rispetto a questi il rapporto di equi­ valenza fra prestazione e controprestazione, per cui quella è da ritenere la causa di questa, si manifesta con tutte le peculiarità della causa nel diritto privato.

Egli, invece, se non in casi particolari anche della giurisprudenza, non riconosce la esistenza di causa nel rapporto d’imposta, perchè creata dalla legge, senza la possibilità di una visibile o riconoscibile relazione causale, fra i servizi dell’ente e l’obbligazione del contribuente.

Invece anche per le imposte fiscali il principio della contro- prestazione è da supporre la causa prima, mentre il principio della capacita contributiva ne è la causa ultima. In altre parole nelle im­ poste fiscali e da riconoscere la loro dipendenza indiretta dal principio della controprestazione e diretta dal principio della capacità contri­ butiva, per cui l’Ente pubblico limita l’applicazione del tributo a chi è dotato di mezzi adeguati per corrisponderlo, fra tutti quanti hanno trat­ to vantaggio dalla prestazione. Onde la capacità contributiva di un con­ tribuente fa presumere che essa sia causata da una prestazione pub­ blica e pertanto che egli sia obbligato causalmente alla contropresta- zione. Tale ricerca è da riservare alle imposte fiscali razionali con esclusione, cioè, di quelle extrafiscali e di tutte quelle irrazionali o ar- birrarie.

Come corollario della teoria causale si ha il criterio della territo­ rialità, per cui i tributi sono dovuti allo Stato, nel cui territorio si ve- lineano ì fatti determinanti dell’imposta.

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politica, per cui il cittadino è contribuente dovunque produca e risieda. In tali casi il tributo è veramente senza presupposto ed è dipendente solo dalla legge; b) prelevati per spese di guerre, allo stesso titolo con cui si fa la leva militare; c) o nei territori tenuti per diritto di guerra.

Ma anche in questi casi il concetto causale serve per la critica dei tributi acausali.

Questa comunanza dell’elemento formale ha dato luogo a un’erronea generalizzazione presso i cultori del tecnicismo o positivismo giuridico, che si limitano a riconoscere l’aspetto formale del diritto e non la sua funzione o essenza. L’errore consiste nell’escludere la possibilità di un rapporto di causalità nel diritto finanziario, perchè la finanza, si dice, ha per causa la legge, che ne è invece la fonte, e nel negare perciò di­ stinzione fra entrate razionali ed irrazionali, fiscali ed extrafiscali, poi­ ché la legge, comunque sia, è sempre la legge. Il che porta a dannose conseguenze, sia per lo stesso perfezionamento della legge (de. jure con­

dendo) sia per la sua applicazione ( de jure condito) in pieno contrasto con le regole contenute nelle disposizioni preliminari per l’applicazione della legge in generale (art. 12 e 13), che esigono tale processo di discri­ minazione, per addivenire ad interpretazioni secondo l’intenzione del legislatore, con metodi restrittivi o estensivi oppure analogici, secondo i differenti casi della realtà. Invece tale indirizzo di fronte alla comu­ nanza della forma considera tutte le leggi della finanza arbitrarie e perciò soggette a interpretazione rigida, che esclude l’analogia.

7. — Il sistema unitario delle spese ed entrate e onnipresenza del

potere finanziario a tutte le entrate. - La generalità ossia la comunanza a tutte le entrate fiscali del principio della controprestazione, per com­ mutazione diretta o indiretta, porta a comprendere come le spese e le entrate costituiscono un sistema unitario. Ciò sta a significare che il potere finanziario determina contemporaneamente le spese da farsi e le entrate destinate a coprire il loro costo totale e talora anche le par­ ticolari entrate destinate a provvedere il fabbisogno per certe spese. Sicché ogni entrata è strettamente correlata ad ogni altra; quindi ogni entrata si presenta in una certa misura, perchè in corrispondenza ad esse le altre intervengono e in una data entità, per concorrere tutte in­ sieme a soddisfare il fabbisogno delle pubbliche spese, le quali alla loro volta sono di tale natura, ricorrenza ed entità in corrispondenza alla

correlativa specie e quantità di entrate.

Quindi il potere finanziario è onnipresente a tutte le entrate, per quanto in forme o sotto aspetti vari, come si è visto altrove (3).

Perciò si possono considerare derivate dal potere finanziario anche le entrate, che corrispondono direttamente al principio della contropre­ stazione, ossia i corrispettivi. Qui tale potere può sembrare solo poten­ ziale e apparire soltanto quando l’Ente Pubblico d’autorità muta le precedenti stipulazioni per adeguarle di nuovo all’interesse pubblico, se

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sono mutate le condizioni generali anteriori. Ma indirettamente il potere finanziario è sempre attuale anche per i corrispettivi. Invero essi sono stabiliti in una certa misura rispetto al costo, in quanto il potere fiscale abbia colmato per altra via la differenza tra i corrispettivi e il costo delle pubbliche prestazioni, o al contrario, nel caso di avanzo dei cor­ rispettivi sul costo, affinchè il potere fiscale possa esercitare una più moderata pressione fiscale mediante le residue entrate.

8. — Distinzione dei corrispettivi dai prezzi. - Quindi si usa il ter­ mine di corrispettivi per distinguere tali entrate, le quali hanno rap­ porto col potere finanziario, dai prezzi, regolati pure da leggi econo­ miche. Quantunque la funzione. economica della commutazione dei beni e servigi pubblici con i corrispettivi è quello dello scambio, che nella economia determina i prezzi, nello scambio finanziario l’interesse pub­ blico agisce sull’altezza del corrispettivo per influire sul volume dello scambio.

Anche nell’economia gli scambi ed i prezzi possono avere una ra­ gione sociale oltre che economica.

Questi fatti sono particolarmente considerati dall’economia istitu- zionalista americana, che concepisce gli scambi, anziché tra soggetto e cosa, fra due o più soggetti contraenti e tiene conto di questi rapporti anche dal lato giuridico e da quello sociale. Ma tutti tali rapporti si esauriscono nel campo della economia sociale. Anche sotto questo punto di vista, il lucro economico è sempre la ragione dello scambio. In ge­ nerale in economia il volume degli scambi è sempre determinato dalla domanda e dall’offerta, presenti e future, ai prezzi d’equilibrio di tali quantità. Invece nelle finanze pubbliche il sottocosto, derivato da uno scambio conforme all’interesse pubblico, è compensato dal potere finan­ ziario con un’altra entrata pubblica. Lo scambio avviene nell’interesse privato e in quello pubblico di carattere politico, oltre che economico- sociale, sicché esso si compie fra due soggetti a un corrispettivo prede- terminato in vista che si compia lo scopo politico ed economico-sociale di un certo volume di scambio.

Per esempio, negli Stati Uniti d’America durante il secolo scorso i bilanci postali si chiusero in disavanzo perchè le tariffe erano inferiori al costo, per favorire le comunicazioni, specialmente a carattere commer­ ciale .e con esse la colonizzazione di quel vasto territorio. Così, in ogni paese, per il rimboschimento, gli enti pubblici vendono le pianticelle dei propri vivai a sottocosto, quando non le cedano gratuitamente; fis­ sano le tariffe postali, telegrafiche, ferroviarie spesso sotto costo ; quelle delle scuole secondarie e superiori molto al di sotto del costo, mentre è gratuita l’iscrizione alle elementari; l’entrata ai musei è gratuita o il corrispettivo è insufficiente a coprire le spese inerenti ad essi.

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