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Corte di cassazione Ufficio dei Magistrati referenti per la Formazione decentrata Incontro di studio del 10 ottobre 2013 Federico ROSELLI Clausole generali e nomofilachia Indice 1.

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Corte di cassazione

Ufficio dei Magistrati referenti per la Formazione decentrata

Incontro di studio del 10 ottobre 2013

Federico ROSELLI

Clausole generali e nomofilachia

Indice

1. Nozione stipulativa di clausola generale.

2. L'interpretazione della clausola generale come questione di diritto.

Contrapposizione al giudizio d'equità.

3. L'argomentazione giustificativa.

4. Dalla logica alla retorica

5. Gli argomenti idonei a ridurre, o a cancellare, l'area di libero giudizio.

6. La residua area di libero giudizio.

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1. Di fattispecie legislative formulate attraverso “clausole generali” si parla ormai abitualmente nel diritto civile e da alcuni anni il riferimento è presente anche nella manualistica. Nella parte riservata al catalogo delle fonti del diritto oggettivo si parla di “utilizzazione,da parte del legislatore, di espressioni volutamente generiche”, ossia tali da permettere all'interprete di riempire di volta in volta di concreto significato vincolante la regola o parte di essa (1). L'interprete-giudice dispone così di un notevole margine di libertà nell'adattare la previsione legale al caso singolo, “che ha sempre qualche nota di singolare originalità rispetto allo schema normativo” ( 2).

A rigore, la discrezionalità è presente e necessaria nell'applicazione di qualsiasi disposizione normativa, in misura maggiore o minore nei vari settori del diritto, e in particolare del diritto privato ( 3). Una disposizione processuale che assegni alla parte un certo numero di giorni per il compimento di un atto sembra lasciare poco spazio all'interprete. Eppure questi dovrà chiedersi se il termine debba considerarsi perentorio oppure ordinatorio; e a chi faccia presente che tutti i termini processuali sono ordinatori, tranne che la legge li dichiari espressamente perentori (art. 152, capoverso, cod.proc. civ.), egli obietterà che talvolta la giurisprudenza ha ravvisato termini perentori pure in difetto di espressa previsione legislativa ( 4).

Nondimeno si è soliti contrapporre le disposizioni casistiche o definitorie, formulate in modo tassativo, a quelle generalmente “elastiche”. Ad es. l'art.

1669 cod. civ., in materia di rovina e difetti di cose immobili oggetto di un contratto di appalto, attraverso l'utilizzazione di espressioni volutamente generiche come “lunga durata”, “evidente pericolo”, “gravi difetti”, lascia all'interprete di stabilire quando la durata sia lunga, il pericolo sia evidente, il vizio sia grave ( 5).

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Nell'ambito assai vasto delle norme elastiche si identificano le clausole generali. Termine passato dalla lingua tedesca (Generalklauseln) alla nostra, dove è stato recepito dapprima nella dottrina, poi nella giurisprudenza ed ora anche nella legislazione (art. 30, comma 1, l. 4 novembre 2010 n. 184).

Resistendo alla tentazione di superare una volta per tutte i diversi tentativi di definizione, mi limito qui a definire la clausola generale come disposizione, operante in un determinato ordinamento giuridico (generalmente si parla dell'ordinamento statale) e formulata attraverso espressioni linguistiche indeterminate, sì da esservi implicito il richiamo a valori della morale o del costume, generalmente recepiti in norme o principi dello stesso ordinamento (o comunque sicuramente condivisi), oppure espressi da altri ordinamenti ( 6).

2. L'interpretazione-applicazione di una disposizione formulata con una clausola generale dà luogo ad una questione di diritto. Essa viene perciò sottoposta al sindacato della Cassazione ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. “Facendo uso della clausola generale si pongono nella premessa maggiore del sillogismo [giudiziale] i parametri e il risultato dell'analisi sui parametri [di giudizio; perciò ] quando il giudice di merito sbaglia in questa fase non commette un errore di fatto ma di diritto. Di conseguenza, sotto questo profilo, è certamente ammissibile il controllo della Corte di cassazione sull'applicazione della clausola generale” (7 ).

In questo senso si è espresso ultimamente anche il legislatore, che con l'art.

1, comma 43, l. n. 92 del 2012 ha previsto, per il caso di inosservanza delle regole poco prima dettate in materia di clausole generali di giusta causa e giustificato motivo di licenziamento (art. 30 stessa l.), il ricorso in cassazione per violazione di norme di diritto ( 8 ).

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E' impossibile pensare ad un'interpretazione astratta delle clausole generali, vale a dire ad un discorso interpretativo che non finisca per risolversi in una tautologia.

Si parla perciò di interpretazione-concretizzazione ( 9), ossia di necessario riferimento agli elementi dalla fattispecie concreta.

Ciò ha indotto talvolta a confinare l'interpretazione resa dal giudice di merito nell'ambito del giudizio di fatto e perciò a ridurre il controllo della Cassazione entro il limite dell'art. 360 cit., primo comma, n. 5. Questa è una tendenza riscontrata anche in altre Corti supreme europee: “la qualification des faits doit pouvoir être soumise au contrôle de la Cour de cassation et de la Cour de revision ( scilicet: del Tribunale federale tedesco). Pourtant la solution n'est pas aussi nette que cela et a suscité des nombreuses controverses doctrinales … la Cour de cassation se retranche ainsi parfois derrière le pouvoir souverain d'appréciation des juges du fond

… Ces exclusions d'examen ne sont jamais motivés de façon détaillée … Il est permis d'affirmer que les Hautes juridictions civiles française et allemande acceptent le principe d'un large contrôle des qualifications … Ce contrôle n'est toutefois pas systématique” (10 ). Nei medesimi termini si esprime con riguardo alla nostra Cassazione la dottrina italiana comparatistica (11) e l'incertezza si riflette anche in alcuni contributi dottrinali di colleghi, nei quali si parla di tema in cui “sarebbe molto da discutere” (12) oppure si nega la censurabilità in sede di legittimità dell'applicazione di norme elastiche “allorquando detta applicazione rappresenti la risultante logica e motivata della specificità dei fatti accertati e valutati nel loro globale contesto” ( 13 ).

Queste esitazioni debbono a mio avviso essere superate. Stabilire cosa e come è storicamente avvenuto appartiene all'area del giudizio di fatto (14 ), mentre la qualificazione giuridica dei fatti accertati integra un giudizio di diritto, anche se l'attribuzione di concreto significato alla disposizione

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elastica comporti un'operazione valutativa ed una conseguente illustrazione giustificativa più o meno complessa.

Direi anzi che la riluttanza, talvolta riscontrabile, della Corte di legittimità al compimento di queste valutazioni e, se occorra, dalla formulazione del principio di diritto ai sensi degli artt. 363 o 384 cod. proc. civ. indica una tal quale inclinazione alla fuga dalla responsabilità morale della decisione (15 ).

Valga per tutti l'esempio in materia di giustificazione, dei licenziamenti del lavoratore subordinato. Questi possono essere inflitti per giusta causa (art.

2119 cod. civ.) o per giustificato motivo (art. 1 l. 15 luglio 1966 n. 604).

Quanto ai dirigenti, di regola licenziabili ad nutum (art. 10 l. cit.), spesso la contrattazione collettiva richiede nondimeno la giustificazione onde nel linguaggio curiale si parla di “giustificatezza” (16 ). La Cassazione precisa il diverso significato da attribuire alle tre espressioni, che in modo graduale differenziano la gravità dei comportamenti, così non rifiutando la

“concretizzazione” delle clausole generali neppure quando le differenze siano sfumate.

Qui si coglie anche la differenza fra giudizio di applicazione delle clausole generali e giudizio di equità. Com'è noto, la dottrina è solita distinguere fra equità “sostitutiva”, con la quale il giudice può sostituire il personale criterio di decisione del caso concreto alla disposizione di legge, ed equità

“integrativa”, che lascia un più o meno ristretto spazio di libero giudizio, all'interno della cornice legislativa del singolo istituto (ad es. l'art. 1226 cod. civ. permette al giudice, salvo il rispetto delle norme che regolano il risarcimento del danno contrattuale, di procedere alla valutazione equitativa del danno, in difetto della possibilità di prova del preciso ammontare).

Il giudizio di equità sostitutiva non è suscettibile, per definizione, di controllo in cassazione se non per vizio di motivazione (la quale è richiesta dall'art. 111, sesto comma, Cost. per “tutti i provvedimenti giurisdizionali”

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ed allontana così l'aequitas cerebrina) mentre quello di equità integrativa può essere sindacato ex art. 360, primo comma, n. 3 cit., quando il giudice, sconfinando, abbia violato le norme legislative che nella materia fungono da cornice. Solo qui il giudizio equitativo presenta tratti comuni con quello applicativo di una clausola generale.

Com'è noto, l'equità sostitutiva è ormai possibile solo quando le parti l'abbiano richiesta ai sensi dell'art. 114 cod. proc. civ., mentre il successivo art. 339, terzo comma, ha trasformato quello del giudice di pace in giudizio d'equità integrativa. (17)

3. La definizione di clausola generale che si è sopra proposta porta a precisare la distinzione tra latitudine del potere interpretativo ed arbitrio ( 18 ). La dottrina mette in guardia contro la tendenza del giudice a far prevalere le proprie opinioni, la quale risalta quando si creano difformità di decisioni “addirittura a livello di Sezioni unite” ( 19 ). L'uso delle clausole generali da parte del legislatore, si aggiunge, può essere giustificato e raccomandato per consentire l'adeguamento delle norme e del sistema alle mutate situazioni sociali ed economiche, ma può pure prestarsi, nelle mani di una magistratura debole, a piegare il diritto all'ideologia di una classe o di un gruppo (come avvenne in Germania attorno al 1930, quando la “fuga nelle clausole generali” finì per agevolare la disponibilità e poi la conversione della giustizia tedesca al nazismo) (20).

Risulta così evidente come il principale problema pratico, posto dall'uso delle clausole generali da parte del legislatore, è quello di un'interpretazione-applicazione corrispondente a criteri oggettivi e comunemente accettati, sì da rendere plausibile il controllo soprattutto in sede di impugnazione. E' stato detto che i criteri di determinazione del significato delle clausole generali debbono essere esterni, ossia costituiti non “da uno o più enunciati giuridici … del medesimo sistema giuridico

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cui appartiene l'enunciato normativo che contiene la clausola generale”

(21). Ma su questo punto è necessario intendersi giacché la necessità di ricorrere, quando si tratti di clausole generali adoperate dal legislatore statale, a criteri esterni alla legge non significa che si possa giustificare la scelta interpretativa secondo criteri extragiuridici. Non tutto il diritto sta nella legge, come si dirà nel par. 5.

Criteri moralistici o politici, o più largamente ideologici, di integrazione del diritto positivo sono, salvo che si tratti di salvaguardare “il minimo etico di cui l'uomo comune è naturale portatore” ( 22 ), sempre soggettivi o, peggio, imposti dall'esterno e perciò pericolosi o dannosi ai consociati.

Un'argomentazione giustificativa svolta in modo ragionevole e controllabile, ossia basata sui sistemi normativi statali e non statali (ad es., della contrattazione collettiva nazionale, o dei codici deontologici professionali, o dell'ordinamento comunitario, o della giurisprudenza EDU), mantiene il giudice nel sistema di giuspositivismo voluto dall'art.

101, capoverso, Cost. e lo allontanano da un sistema di responsabilità politica, estraneo ad un ordinamento costituzionale che (art. 106 Cost.) esclude una magistratura professionale elettiva ed assoggetta la giurisdizione soltanto alla “legge” (art. 101 Cost.). Il sistema elettivo di reclutamento dei giudici presuppone che i candidati esibiscano non tanto competenze tecniche quanto programmi da sottoporre agli elettori, con la conseguente responsabilità. Non sono compatibili soggezione alla legge e dovere di realizzare obiettivi politici (23), dove per legge s'intende oggi concordemente “diritto oggettivo” anche di fonte non legale, al quale il giudice è in vario modo astretto in tutta l'attività interpretativa e specie quando debba colmare le lacune legislative.

4. Appare evidente da tutto ciò come, a differenza di quanto avviene di solito con le disposizioni normative definitorie, il risultato interpretativo

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non possa essere raggiunto attraverso un nudo sillogismo. La premessa maggiore, anzi, dev'essere giustificata con lo svolgimento di un discorso di tipo retorico, in cui i diversi argomenti non si allineano come gli anelli di una ferrea catena logica, ma si intrecciano come in un ordito, dove i fili più forti danno insieme ai più deboli maggiore saldezza al tessuto.

Fuor di metafora, la motivazione della sentenza non può, quando si tratti di interpretazione delle clausole generali, dimostrare la legittimità del dispositivo more geometrico ma può e deve risultare plausibile in base alla ragionevolezza dell'argomento o eventualmente della pluralità di argomenti che, cumulati, conferiscano persuasività al discorso.

Ho detto poc'anzi della necessità di non esibire argomenti ideologici.

Questo pericolo, abbandonata “la predicazione estrema di un uso alternativo del diritto, la cui sostanziale sterilità è facile constatare oggi a distanza di un quarantennio” (24), non mi pare oggi incombente. E' più facile, all'opposto, l'eventualità di motivazioni troppo laconiche o sostanzialmente insussistenti. Non basta affermare che il comportamento del debitore appare contrario alla regola della buona fede o che il licenziamento del lavoratore è sorretto da giustificato motivo, ma occorre esternare i criteri, sistematici o d'altro genere, in base ai quali si esclude la buona fede o si ravvisa il giustificato motivo.

5. E' possibile raggruppare per categorie gli argomenti che possono essere adoperati dal giudice al fine di restringere, e se possibile cancellare, l'area di indeterminazione dell'enunciato legislativo e pervenire così ad una decisione legittima ossia oggettivamente condivisibile.

A) Argomento sistematico. L'interprete si trova assoggettato anzitutto alle scelte di valore fondamentali contenute nella Costituzione. Queste permettono di producere in melius l'esperienza giuridica, regolata da

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determinazioni anche contingenti dell'autorità politica ma necessariamente entro i limiti di una superiore legittimità. La Corte costituzionale mantiene in vita le scelte di valore originarie del Costituente, le adegua al momento e le impone, con vincolo più o meno stretto, ai giudici comuni ed agli altri operatori del diritto.

Il testo della Costituzione e le pronunce della Corte sono così il primo strumento di riduzione dell'area semantica propria delle clausole generali.

Ad essi si aggiungono le norme proprie dell'Ordinamento comunitario e quelle derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Soccorre poi l'interpretazione sistematica in relazione alle norme infracostituzionali ( 25 ). Gli argomenti dell'analogia legis o dell'analogia iuris o a contrario o a fortiori e numerosi altri, solo alcuni dei quali richiamati dall'art. 12 delle preleggi ma tutti consueti all'esperienza di ogni operatore del diritto, permettono al giudice-interprete lo svolgimento di discorsi giustificativi sottoponibili al controllo delle giurisdizioni superiori e più in generale della comunità dei giuristi.

Detti argomenti sono stati censiti e catalogati dalla dottrina italiana(26 )e più recentemente da quella francese, ove è sempre più combattuta la tradizionale forma puramente sillogistica della sentenza, nonché un

“assolutismo legislativo” che riduce la premessa maggiore al solo testo della legge statale; ivi viene oggi propugnata una nuova concezione della sentenza, quale decisione da giustificare espressamente attraverso argomenti per lo più plurimi e non tutti strettamente legali(27).

E' necessaria la conoscenza degli svariati argomenti e l'attitudine a bilanciarli, ponendoli così in ordine gerarchico nella concreta decisione.

Essi permettono di mantenere nell'ordinamento giuridico l'irrinunciabile coerenza, da intendere non come qualità definitivamente assunta bensì come esigenza che sempre si rinnova e mai viene soddisfatta stabilmente . Particolare rilevanza assume l'argomento storico, che comporta

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nell'interpretazione delle clausole generali non la ricostruzione della volontà effettiva del legislatore bensì dei diversi significati assunti nel tempo dalla disposizione (28 ).

Questi significati variano non solamente attraverso la sopravvenienza di norme nuove, che modificano il quadro d'insieme, ma anche con l'intero svolgimento della vita giuridica, formata dai comportamenti, dai fatti, dalle valutazioni sociali, dagli assetti istituzionali (29 ). Recentemente la Corte costituzionale ha ritenuto di correggere la propria giurisprudenza in materia di rappresentanze sindacali aziendali “alla luce dei mutamenti intercorsi nelle relazioni sindacali degli ultimi anni” e del nuovo “quadro normativo di riferimento, in ragione della copiosa legislazione che ha elevato la contrattazione collettiva a fonte integrativa, suppletiva o derogatoria” (30 ).

La tensione della giurisprudenza, teorica e pratica, verso il sistema è irrinunciabile poiché immette razionalità nell'inevitabile disordine delle decisioni politiche e della pratica degli affari.

B) Argomento naturalistico. Spesso sono le caratteristiche oggettive del fatto a ridurre o eliminare l'arbitrio del giudice-interprete. Egli giustifica così la propria decisione attraverso l'argomento tradizionalmente chiamato

“naturalistico” ossia fondato sulla “natura delle cose”. I nudi fatti non esprimono valori ma condizionano in maniera più o meno cogente la libertà di chi interpreta. Nell'agricoltura e nel commercio la stabilità delle norme, spesso consuetudinarie, dipende “più dalla natura delle cose che dall'arbitrio degli uomini, in quanto prodotto da forze spontanee agenti in ambito di sostanziale autonomia” ( 31 ).

L'incidenza dell'aumento delle conoscenze scientifiche, e in particolare delle tecniche di indagine dei fenomeni naturali, sull'interpretazione delle norme e sul bilanciamento dei valori di rilevanza costituzionale è posto in evidenza da Corte cost. 18 febbraio 1988 n. 179, che in materia di tutela previdenziale contro le tecnopatie modifica il sistema legislativo di

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presunzione di eziologia professionale ed estende la tutela assicurativa a malattie professionali “non tabellate”. La stessa Corte risolve questioni in materia pensionistica anche con richiamo alla maggiore durata media della vita (sent. n. 30 del 2004).

Alcune regole nascono dal mondo degli affari ma vengono considerate con sospetto oppure ostilità dai custodi, teorici e pratici, dell'ordinamento dello Stato. Tuttavia le urgenze della pratica le impongono e lo Stato finisce per includerle nell'ordinamento proprio. E' il caso degli accordi stipulati dai soci, per lo più di società di capitali, fuori dell'atto costitutivo e dello statuto, al fine di regolare la loro condotta all'interno della comunità; patti

“parasociali” a lungo ritenuti invalidi dalla giurisprudenza e da una parte della dottrina, poi regolati in leggi speciali e da ultimo nel codice civile (artt. 2341 bis e ter).

Nel diritto processuale è difficile considerare la giurisprudenza, costituzionale e civile, in materia di cosiddetto “doppio termine” per la notificazione degli atti (32 ), senza pensare che essa sia stata condizionata dal non ottimo andamento dei pubblici uffici, postali e giudiziari, ai quali è affidata l'attività di notificazione.

Il professor Patti ci ricorda, con riferimento all'art. 242 del BGB, come la giurisprudenza tedesca concretizzi la clausola generale di buona fede con l'aiuto di parametri tratti dall'esperienza e dalla realtà del rapporto sociale.

“Se il giudice supera i limiti di tolleranza ricavabili dall'ordinamento, viene meno la sua fedeltà alla legge” ( 33 ).

C) Argomento autoritativo. Il diritto vivente. Non è il caso di soffermarsi troppo sul tema, ampiamente trattato anche in recenti incontri della Formazione decentrata, della giurisprudenza quale fonte del diritto e del pouvoir normateur dei giudici, che si aggiunge al pouvoir législatif delle assemblee elettive (34 ). Tema considerato quasi eversivo dalla generazione

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di magistrati precedente alla mia e che con l'influsso della cultura nordamericana ha finito con l'imporsi anche da noi grazie a Gino Gorla ed a Giovanni Tarello, che viaggiarono negli Stati uniti. Il primo insegnò l'analisi della giurisprudenza pratica, rilevandone il valore specie in prospettiva storica (la “comparazione verticale”, Egli diceva); il secondo notò come interi istituti potessero entrare nell'ordinamento attraverso la via non legislativa ma giurisprudenziale, portando l'esempio, da noi, del diritto sindacale (35 ).

L'interpretazione delle clausole generali si giova dell'argumentum ab exemplo, e in particolare al richiamo dei precedenti giudiziari. Possono essere questi perciò a fornire la regola della decisione, specie se convenientemente raggruppati e classificati (36 ).

D) Segue. L'autorità della dottrina. Alla restrizione dell'area di indeterminatezza delle clausole generali giova, ancora, l'argumentum ab auctoritate. Autorità costituita dalla giurisprudenza teorica. La communis opinio doctorum è da sempre strumento interpretativo capace di ridurre l'arbitrio giudiziale ed anche oggi essa contribuisce direttamente, malgrado l'art. 118 disp. att. cod. proc. civ., alla formazione di regole giurisprudenziali non meno che alla formulazione di nuovi articoli del codice o di leggi speciali.

Si pensi alla vicenda dell'adeguamento della retribuzione, spettante al lavoratore subordinato, ai parametri dell'art. 36, primo comma, Cost. Essa trova la sua origine sia negli studi di Redenti sulla giurisprudenza probivirale e sulla forza espansiva dei “concordati di tariffa” sia in una meno lontana tesi di Nicolò sul diritto soggettivo alla retribuzione, configurato come un diritto della personalità ( 37 ).

A questo autore si deve altresì, almeno direttamente, la riconduzione della diminuzione del valore reale della prestazione pecuniaria al “maggior danno” di cui al capoverso dell'art. 1224 cod. civ., e quindi l'attenuazione

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del principio nominalistico dell'art. 1277 in caso di inflazione più virulenta.

E) Le norme delle comunità intermedie. L'ordinamento legale dello Stato vive in osmosi con la normazione delle regioni, delle associazioni sindacali, degli ordini professionali, ecc., riconducibili alle “formazioni sociali” di cui all'art. 2 Cost.. Le clausole generali favoriscono l'integrazione della legislazione statale con le norme espresse da questi ordinamenti. Sono i contratti collettivi ad integrare le clausole generali legali nella materia lavoristica, come risulta anche ed espressamente, nella materia dei licenziamenti per giustificato motivo e per giusta causa, dall'art. 30, comma 3, l. n. 184 del 2010.

Nella materia disciplinare degli ordini professionali le clausole amplissime della legislazione statale (decoro, prestigio, ecc.) non possono essere applicate che avendo riguardo ai codici deontologici ed alla giurisprudenza degli organi di autocrinìa.

Nessun soggettivismo interpretativo, ove il giudice si astenga dall'imporre valori propri o attinti da un'imprecisa coscienza comune e si limiti ad accertare le scelte operate da quei gruppi.

6. Gli strumenti tecnici dell'interpretazione mantengono la neutralità dell'interprete quando evitino, o riducano al minimo, le personali scelte assiologiche.

La rassegna che si è condotta nel paragrafo precedente ha voluto dimostrare come le clausole generali lascino scelte morali o politiche all'interprete in misura assai minore di quanto appaia a chi resta condizionato dal positivismo statualistico esclusivo. Il passaggio dalla concezione puramente sillogistica del giudizio ad una visione neo-retorica della decisione, e della motivazione , nonché l'ampliamento dell'universo normativo hanno permesso di passare da un positivismo assoluto ad uno moderato, ma hanno anche fornito al giudice-interprete strumenti che ne

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eliminano o riducono al minimo l'arbitrio e ne rendono oggettivamente controllabile la decisione motivata.

Ciò non toglie che residuino casi in cui gli strumenti interpretativi permettono sì di ridurre ma non di eliminare del tutto l'area di indeterminazione, caratteristica delle norme elastiche, e che rendono perciò inevitabile le scelte assiologiche di chi sia chiamato ad applicarle.

Qui la dottrina più ostile alla “politicizzazione” della funzione giudiziale raccomanda di considerare elementi accertabili oggettivamente (ad es.

l'agiatezza economica del genitore, nell'apprezzare l'interesse “morale e materiale della prole” in sede di affidamento, al padre oppure alla madre:

art. 155, secondo comma, cod. civ.) e di trascurare gli elementi variabili a seconda dell'atteggiamento personale del giudice, come quelli influenzati da preferenze ideologiche o religiose ( 38 ).

S'è detto sopra come la disposizione normativa assai raramente lasci, grazie alla precisa formulazione letterale, una sola possibilità interpretativa e come piuttosto essa offra una cornice (Rahmen) entro la quale il giudice trova la decisione muovendosi con discrezionalità. Si è anche tentato di offrire criteri oggettivi di restringimento – fino, se possibile, all'annullamento – dell'area di discrezionalità, e così di conseguimento della soluzione più plausibile (quella che l'art. 65 ordin. giudiz. chiama, con espressione legata all'epoca in cui fu emesso, “esatta”).

Rimangono tuttavia casi nei quali la topica giuridica non può soccorrere e la scelta assiologica del giudicante è inevitabile.

Se delle norme fondamentali che disciplinano l'istituto del matrimonio (col trascorrere del tempo il primo comma dell'art. 29 Cost. ha assunto i caratteri di una clausola generale) sia espressione la prolungata convivenza dei coniugi e se perciò questa, in sede di delibazione di una sentenza ecclesiastica d'annullamento, debba pesare in modo decisivo ossia prevalere su ragioni d'annullamento rilevanti per la legge canonica, è

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questione che, se non erro, coinvolge necessariamente una scelta ideologica. Il diritto positivo, ed anzitutto la Costituzione – con il suo carattere liberale e laico, da una parte, e col capoverso dell'art. 7, d'altra parte – non offre una soluzione certa ( 39 ).

In questo caso il giudicante non può non interrogare la propria coscienza.

In altri casi il giudice dell'impugnazione, anche la Corte di cassazione, può esercitare il self-restraint, riconoscendo la scelta del giudice di provenienza non incompatibile col diritto oggettivo, e perciò confermandola quand'anche si dovesse pervenire, col tempo, alla conferma di scelte diverse. L'incertezza del diritto che ne conseguirebbe sarebbe effetto della funzione tecnica, e non politica (supra, par. 3), della giurisdizione.

Confermare la decisione del giudice di provenienza per non sovrapporgli una propria scelta politico-ideologica è comunque scelta d'opportunità, che, nella fase di cassazione, non interferisce con la questione dell'insindacabilità dei giudizi di fatto (40).

Un esempio può essere dato nella materia di graduazione delle sanzioni disciplinari irrogabili al lavoratore subordinato e più precisamente di proporzione della sanzione inflitta dal datore di lavoro (art. 2102 cod. civ.).

Fatto salvo il rispetto della discrezionalità di questo da parte del giudice di merito, che può sindacare soltanto l'eventuale sconfinamento nell'eccesso di potere, si pone poi la questione della sindacabilità del giudizio di merito da parte della Cassazione, la quale è solita astenersi dalla censura non perché si tratti di questione di mero fatto(vedi retro, par. 2) ma per mantenere il controllo di legittimità entro limiti non troppo invasivi.

Il professor Patti ci ricorda come alcuni autori neghino che la Corte di giustizia UE abbia competenza per la concretizzazione delle clausole generali e quindi per la loro interpretazione, se quest'ultima si risolve in un'attribuzione di significati che “va ben oltre la normale attività ermeneutica” ( 41 ).

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Secondo questa tesi il self-restraint della Corte di giustizia sarebbe giustificato dall'intenzione di non invadere il campo delle autorità nazionali, anche se ciò possa causare un'incertezza del diritto comunitario.

La non determinazione della fattispecie legale è stata ultimamente ritenuta illegittima per lesione del diritto di adeguata difesa in giudizio, necessitante di univocità e chiarezza delle norme, vale a dire per contrasto con gli artt.

24 Cost. e 47, 52, 53 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (42 ).

Roma, 1° ottobre 2013

NOTE

(1) GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli 2011, 49.

(2) RESCIGNO, Manuale del diritto privato italiano, Napoli 1986, 34.

(3) PATTI, Clausole generali e discrezionalità del giudice, in Ragionevolezza e clausole generali, Milano 2013, 83.

(4) Cass. 29 agosto 2003 n. 12690; 5 marzo 2004 n. 4530; Sez. un. 12 maggio 2006 n. 11003; 30 ottobre 2010 n. 26489; 19 aprile 2011 n. 8931.

(5) GAZZONI, Manuale cit., 48.

(6) ROSELLI, Clausole generali. “Iura novit curia”.Contraddittorio, in Giur. it. 2011, 1701. La definizione è accettata da GROSSI, Luigi Mengoni nella civilistica italiana del Novecento, in Europa e dir. priv. 2012, 32.

(7) Così PATTI, Clausole generali e discrezionalità del giudice, cit., 93.

Nello stesso senso GAZZONI, Manuale cit., 49; E. FABIANI, voce Clausola generale , in Enc. Dir. Annali, V, Milano2012, 238-246.

(8) AMOROSO critica la scelta del legislatore nella Relazione su La

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riforma della tutela reale per i licenziamenti illegittimi, svolta nell'incontro di studio del 25-27 ,marzo 2013 presso la Scuola superiore della magistratura-Scandicci.

(9) MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv.

crit. dir. priv. 1986, 19.

(10) FERRAND, Cassation française et Révision allemande, Parigi 1993, 137-138.

(11) SONELLI, L'accesso alla Corte suprema e l'ambito del suo sindacato. Un contributo sulla Cassazione civile in un'ottica comparatistica, Torino 2001, 206-209.

(12) RORDORF, Questioni di diritto e giudizio di fatto , in AAVV La Cassazione civile. Lezioni dei magistrati della Corte suprema italiana, Bari 2011, 6.

(13) AMOROSO, La Corte e il precedente, in AAVV La Cassazione civile, cit. , 41. Nettamente nel senso che si tratti di giudizio di diritto è CAMPESE, Il regime della incompatibilità dei collegi di Cassazione chiamati a decidere ricorsi contro sentenze rese in sede di rinvio. Relazione dell'Ufficio del massimario della Corte n. 113 del 1° luglio 2013, 42-43.

Secondo EVANGELISTA, La funzione di nomofilachia come limite al sindacato di legittimità, in AAVV, La Corte di cassazione nell'ordinamento democratico. Atti del convegno tenutosi a Roma il 14 febbraio 1995, Milano 1996, 272-273, La Corte, di fronte alle applicazioni delle clausole generali rese dai giudici di merito, “rifiuta il proprio sindacato su questioni sussuntive che, per vastità della congerie delle circostanze di fatto, per la loro variabilità e peculiarità, appaiano prive di una valenza futura”. Ma in realtà il giudizio di possibilità circa la ripresentazione della questione in futuro è troppo incerto. In ogni caso la questione è di diritto e sarà questione di opportunità, di self-restraint, astenersi dal sindacato. Vedi infra, par. 5.

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(14) Così, esattamente, RORDORF, op. cit., 5.

(15) L'enunciazione del principio di diritto ex art. 384, primo comma, cod.

proc. civ. serve non solo per il giudice di rinvio ma anche per la funzione nomofilattica di cui all'art. 65 ordinam. giudiz., diversamente da quanto sembra ritenere SONELLI, op. cit., 209, nt. 47.

(16) “Vocabolo coniato con deplorevole ineleganza” (RESCIGNO ,

“Drafting”delle leggi, in AAVV, La vocazione civile del giurista. Saggi dedicati a Stefano Rodotà, a cura di G. Alpa e v. Roppo, Roma-Bari 2013, 320.

(17) ROSELLI, Note sull'impugnazione della sentenza equitativa, in AA VV, Il giurista e il diritto. Studi per Federico Spantigati, a cura di A. Bixio e G. Crifò, Milano 2010, 436.

(18) PATTI, Clausole generali e discrezionalità del giudice, cit., 82.

(19) GAZZONI, Manuale cit., 49.

(20) Così RESCIGNO, Manuale cit., 28.

(21) VELLUZZI, Le clausole generali. Semantica e politica del diritto, Milano 2010, 65. Nello stesso senso PATTI, L'interpretazione delle clausole generali, in Ragionevolezza e clausole generali, cit., 55.

(22) GROSSI, Il disagio di un “legislatore” (Filippo Vassalli e le aporie dell'assolutismo giuridico), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno 1997, 388.

(23) GUASTINI, Sovranità popolare, legge, giurisdizione, in AAVV, Interpretazione e diritto giudiziale, a cura di Mario Bessone, Torino 1999, 203. Vedi anche, ma con osservazioni non persuasive, KRYNEN, L'emprise contemporaine des juges, Parigi 2012, 376 e segg.

(24) GROSSI, Il diritto civile alle soglie del terzo millennio (una pos- fazione) , in MACARIO e LOBUONO, Il diritto civile nel pensiero dei giuristi. Un itinerario storico e metodologico per l'insegnamento, Padova 2010, 413, nonché in Quaderni fiorentini, cit. 2010, 475.

(19)

(25) BELVEDERE, Le clausole generali tra interpretazione e produzione di norme, in Politica del dir. 1988, 636.

(26) TARELLO, L'interpretazione della legge, Milano 1980, 341-396.

(27) Com'è noto, le sentenze francesi sono motivate col solo richiamo alle disposizioni di legge applicate e perciò senza che vengano espresse le ragioni delle diverse scelte interpretative. Queste ragioni possono essere ricostruite solo attraverso la lettura (quando vengano pubblicati) dei travaux préparatoires , vale a dire delle relazioni e richieste scritte, rispettivamente del rapporteur e del pubblico ministero, ma con un più o meno ampio margine d'approssimazione poiché non è detto che gli argomenti proposti in quei lavori vengano poi recepiti dal giudicante.

Ultimamente (AA VV, Le raisonnement juridique. Recherche sur les travaux préparatoires des arrêts , sotto la direzione di P. Deumier, Parigi 2013) l'esame di alcune centinaia di documenti preparatori ha portato al censimento dei diversi argomenti del ragionamento giuridico giustificativi della decisione, fondati generalmente su disparate fonti del diritto obiettivo e necessari soprattutto in assenza di precise disposizioni di legge (où il n'y a pas de texte, ossia, diciamo noi, quando l'interprete deve costruire la norma in assenza di disposizione. Cfr. GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, Milano 1998, 19-20): la legge, i precedenti giudiziari, la dottrina, universitaria e “organica” (quest'ultima formata dagli scritti dottrinali dei giudici), la giurisprudenza del Consiglio costituzionale e delle Corti UE ed EDU, il diritto straniero. A parte vengono elencati gli argomenti d'

“opportunità” alcuni dei quali non giuridici (economici, sociali, scientifici, pratici, morali. Vedi infra par. 6), altri tradizionalmente compresi nella topica giuridica (di coerenza dell'ordinamento, di equità integrativa ).

(28) PATTI, L'interpretazione delle clausole generali, cit., 42.

(29) ROSELLI, La coerenza del codice civile, in Dir. romano attuale, 2000, 51.

(20)

(30) Corte cost. 23 luglio 2013 n. 231.

(31) GROSSI, Naturalismo e formalismo nel sistema medievale delle situazioni reali (1967); Assolutismo giuridico e proprietà collettive (1990);

La proprietà nell'officina dello storico (1985), tutti in Il dominio e le cose.

Percezioni medievali e moderne dei diritti reali, Milano 1992, 27, 716, 605.

(32) Ex multis Corte cost. 2 febbraio 1978 n. 10; 27 gennaio 1994 n. 69;

26 novembre 2002 n.477; 2 aprile 2004 n. 107.

(33) PATTI, Clausole generali e discrezionalità del giudice, cit., 89.

(34) D'AMBRA, L'objet de la fonction juridictionnelle: dire le droit et trancher les litiges, Parigi 1994.

(35) G. TARELLO, Il realismo giuridico americano, Milano 1962;

IDEM, Teorie e ideologie del diritto sindacale, Milano 1967, specialm. 15.

Per le opere di Gino GORLA, ex multis, voce Giurisprudenza, in Enc. dir vol. XIX, Roma 1970, 489 ; Procedimento individuale. Voto dei singoli giudici e collegialità “rotale”: la prassi della Rota di Macerata nel quadro di quella di altre rote e simili tribunali fra i secoli XVI e XVIII, in AA VV, Grandi tribunali e rote nell'Italia di antico regime, a cura di M. Sbriccoli e A. Bettoni, Milano 1993, 3.

(36) Sul raggruppamento dei casi in Fallgruppen, e la conseguente formazione di regole attraverso l'opera di sistemazione svolta dalla dottrina tedesca, vedi PATTI, L'interpretazione delle clausole generali, cit., 37 e segg.

(37) NICOLO', L'art. 36 cost. e i contratti di lavoro, in Dir. giur. lav.

1951. II, 5.

(38) Sullo stato dell'organizzazione giuridica. Intervista a Giovanni TARELLO, a cura di Mario BESSONE, Bologna 1979, 18.

(39) Vedi di CERONI la Relazione su contrasto giurisprudenziale, a cura dell'Ufficio del massimario della Cassazione 27 giugno 2013 n. 108.

Sull'art. 29 Cost. vedi CRESCENZI, Per una semantica della famiglia

(21)

(ovvero: di cosa si parla, quando si parla di famiglia?) in AAVV, Studi per Spantigati, cit., 196.

(40) Vedi NAPPI, Il sindacato di legittimità nei giudizi civili e penali di cassazione, Torino 2011, 46.

(41) PATTI, L'interpretazione delle clausole generali, cit., 73 e 75;

IDEM, Clausole generali e responsabilità del giudice, cit., 95.

(42) I giudici rimettenti impugnarono l'art. 16 d. lgs. n. 28 del 2010, che richiedeva agli organismi di mediazione garanzie di “serietà ed efficienza”.

La Corte costituzionale con ord. 21 giugno 2013 n. 156 dichiarò manifestamente inammissibile la questione, per avere già dichiarato incostituzionale la mediazione obbligatoria, prevista dall'art. 5 d. lgs. cit., privo di delega legislativa in parte qua (sent. n. 272 del 2012). L' art. 5 è stato reintrodotto con l'art. 84 d. l. n. 69 del 2013, conv. in l. n. 98 del 2013, onde la questione ha riacquistato attualità.

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